Il ritratto del diavolo - 02

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chiarire quale delle due parti mobili ha maggiore virtù nel
cangiamento del tipo.
--Dev'esser la bocca;--osservò Lippo del Calzaiuolo.
--Infatti,--disse il Chiacchiera,--quando madonna Fiordalisa sorride,
vi apparisce due tanti più bella.
--Non si tratta di sapere quando apparisca più bella, poichè lo è
sempre moltissimo;--replicò Parri della Quercia.--Io ho detto soltanto
che ella vi muta espressione, e sembra avere un'altr'aria da quella di
prima. È sempre lei, per chi la conosce, e tuttavia è un'altra
bellezza. Il pittore che la ritraesse in uno di quei punti, crederebbe
di non averla resa con verità, se la vedesse in un altro.
--Pure,--notò il Chiacchiera,--questo Spinello, che non è un pittore,
e neanche un principiante, con due tratti di penna ce l'ha fatta
ravvisare alla prima.
--Bella forza!--esclamò Tuccio di Credi.--È una somiglianza ottenuta
nel complesso; buon per lui che non è andato ai particolari. La sua
parsimonia gli ha fatto buon giuoco. Vedete qua; con due tratti di
penna vi ha data un'aria di madonna Fiordalisa. Se ne avesse aggiunti
altri due, gli sarebbe andato a male ogni cosa.
--Che diamine gli è saltato, di fare il ritratto alla figlia del
maestro?--chiese Cristofano Granacci.
--Oh bella!--esclamò il Chiacchiera.--E stenti tanto a capirla? Ne
sarà innamorato. È così naturale che un giovanotto s'innamori d'una
bella ragazza! Domandane a Tuccio di Credi: egli ti risponderà....
--Che sei uno scimunito;--interruppe Tuccio di Credi, dando al
Chiacchiera una guardataccia, che pareva volesse mangiarselo.
Ma il Chiacchiera non si spaventava per così poco.
--Oh, ecco,--gridò egli, ghignando,--ecco una riprova di ciò che ha
detto Parri poc'anzi, sulla varietà delle espressioni. Guardate Tuccio
di Credi, se non sembra tutt'altri. O Tuccio, chi ti facesse il
ritratto in questo momento, in fede mia, non ti renderebbe un
servizio.--
Tuccio di Credi, veduto così sottosopra, cioè computando l'una cosa
per l'altra, poteva anche passare per un bel giovinotto. La
carnagione, è vero, traeva all'olivastro; ma non è detto che
l'olivastro sia un brutto colore, e ci son molti a cui simili impasti
di giallo e di verde non dispiacciono punto. E poi, s'accordavano bene
con quella tinta scura i capegli e le sopracciglia nerissime; di guisa
che sotto quella vigoria di toni fuligginosi, l'olivastro delle carni
poteva acquistare l'apparenza di un amabile pallore. Ma anche Tuccio
di Credi aveva un tipo mobilissimo, che giustificava pienamente
l'osservazione beffarda del Chiacchiera. Incominciamo a dire che nel
suo volto si notavano due parti distinte, la superiore virilmente
modellata, a contorni risentiti e gagliardi, l'inferiore timidamente
condotta, quasi appena accennata. Si sarebbe detto che la natura,
facendo quella testa, si fosse annoiata a metà dell'opera sua. Il
naso, ad esempio, non era in proporzione con l'ampiezza della fronte;
le labbra sottili e smorte mancavano di fermezza; il mento sfuggiva
senz'altro. In quella faccia, fluita di mala voglia, c'era alcun che
di stonato, che i pochi peli vani delle labbra e del mento non
bastavano a dissimulare, e che la barba più folta non avrebbe potuto
correggere. Anche gli occhi, neri, ma senza luce, dipinti di nerofumo,
lasciavano qualche cosa a desiderare. Per solito, li vedevate poco;
sfuggivano ad ogni esame. Quando Tuccio di Credi parlava con voi,
quegli occhi guardavano sempre in basso e da un lato; poi, tutto ad un
tratto, vi passavano dall'altro, senza che li aveste veduti fermarsi
sui legacci del vostro giustacore. Osservando il rapido trapasso di
quei due lumi spenti, pensavate involontariamente alla lucciola, che
nel fosco della notte vi brilla trasvolando da destra, indi vi
apparisce a sinistra, dopo esservi passata davanti alla chetichella,
rattenendo il palpito della sua luce fosforica.
Mastro Jacopo, una volta aveva detto di lui:
--Tuccio di Credi non sarà mai un valente disegnatore. Un uomo che non
guarda mai davanti a sè, può egli vedere quel che si faccia?
Alle beffe dal Chiacchiera. Tuccio di Credi aveva aggrottate le ciglia
e si era morso le labbra. Indi, facendo spallucce, aveva risposto:
--Che grullerie! Basta che il primo venuto dica una cosa per chiasso,
perchè tu ci fabbrichi subito un ragionamento. Già, non l'hanno
battezzato il Chiacchiera per nulla. Oggi tu hai visto l'innamorato in
una figurina di donna, e questo è anche peggio della trovata di Parri
della Quercia. O che? Non si può egli vedere una bella ragazza per
via, e sentire il desiderio di segnarne il profilo sulla carta, come
si segna il profilo d'un frate che va alla cerca, o d'un cane che
s'accosta al muro? L'uomo che vuole avanzare nell'eccellenza
dell'arte, studia tutto quello che vede. E se gli capita di vedere
qualche bella figura di donna, vuoi tu che chiuda gli occhi e dica:
_Domine salvum fac_, come un santo eremita, esposto alle tentazioni
del diavolo?
--Se almeno ce ne fossero due, qua dentro, di donne!--ribattè il
Chiacchiera, che non voleva darsi per vinto.--Ma, a farlo a posta, non
c'è che questa, non c'è.
--Non prova nulla.
--Prova moltissimo. Che non ci sian più belle donne, in Arezzo? O che
abbiano presa l'abitudine di tapparsi in casa, quando passa il Giotto
redivivo?
--Ah sì, Giotto ridivivo! Ben detto!--esclamò Lippo del
Calzaiuolo.--Se ti sente mastro Jacopo, ti abbraccia e ti bacia sulle
gote.
--Chi parla di mastro Jacopo?--gridò una voce, che mise lo scompiglio
nella brigata.--E chi ho da baciar sulle gote, se è lecito?
--Maestro!--dissero i garzoni, tirandosi indietro mogi e confusi.
Il maestro si avanzò in mezzo al crocchio e vide il quaderno dei
disegni di Spinello Spinelli.
--Ah!--riprese egli, con accento mutato.--Studiavate? Ammiravate anche
voi quel che sa fare questo bravo giovinetto? Avanti, su, si faccia
avanti quello che ho da baciar sulle gote, e mi dica cosa pensa di
Spinello Spinelli.
--Maestro,--scappò fuori il Chiacchiera,--io non so se mi bacerete
sulle gote, o se piuttosto non mi allungherete una pedata; ma dico,
con vostra licenza, che questo Spinello ha voluto fare un ritratto, in
questo piccolo schizzo.
--Orbene,--disse mastro Jacopo, rabbruscandosi;--e se avesse proprio
voluto fare un ritratto, che ci vedreste di male voi altri?
--Niente, Dio guardi; niente nell'intenzione. Ma quanto all'esito del
tentativo.... Vedete qua Tuccio di Credi, il quale sostiene che la
somiglianza è tutta dovuta alla parsimonia dei tratti. Il vostro
protetto ha trovata l'aria della figura, e nient'altro. Se dovesse
fare un ritratto, si troverebbe molto impicciato.--
Mastro Jacopo crollò sdegnosamente le spalle.
--Eh via, lasagnoni! Quello è un giovane che, se vorrà fare un
ritratto, anche da pittore novellino qual è, lo farà, in barba a tutti
voi, quando avrete messo su barba.
--Parri della Quercia non è di questa opinione.
--Ah, Parri?... sentiamo qual è l'opinione di messer Parri della
Quercia.--
Parri, così tirato in ballo dalla imprudenza del Chiacchiera, si fece
modestamente a rispondere:
--Io, veramente, maestro, non intendevo di togliere i meriti al vostro
nuovo scolaro. Non lo conosco ancora di persona, ma lo stimo già assai
per questi tocchi di penna, che voi ci avete proposti ad esempio.
Dicevo solamente che madonna Fiordalisa....--
Jacopo di Casentino diede un balzo e guardò il migliore de' suoi
discepoli con aria tra maravigliata e scontrosa.
--Che c'entra madonna Fiordalisa?--diss'egli interrompendolo.
--Eh, c'entra in questo modo,--rispose Parri della Quercia,--che nei
quattro tocchi di cui parlavamo dianzi, quando voi siete capitato....
Eccoli qua, del resto; non ci vedete il ritratto di madonna
Fiordalisa? Almeno almeno, si può dire che arieggiano la sua figura.
---Sia pure;--disse mastro Jacopo, col piglio di chi non vuol negare
nè ammettere una cosa.--E che cosa dicevi tu dunque?
--Dicevo che madonna può riconoscersi in questi contorni, ma che
questo non può dirsi un vero ritratto. Un ritratto della vostra
figliuola io l'ho per la cosa più difficile del mondo, se non per
avventura impossibile. Madonna Fiordalisa ha un'aria così mutevole!
--Aria mutevole! aria mutevole!--borbottò mastro Jacopo.--Non so che
cosa intendiate di dire, con quest'aria mutevole. I vecchi pittori non
le conoscevano, queste novità del vostro gergo.
--Maestro,--entrò a dire il Chiacchiera, vedendo che Parri della
Quercia era rimasto mutolo,--sono le parti mobili del viso, che fanno
di questi scherzi. Il viso ha le sue parti mobili; è l'opinione di
Tuccio di Credi.--
Mastro Jacopo andava di meraviglia in meraviglia.
--Ah sì! Anche Tuccio di Credi ha un'opinione?--chiese egli, con
accento sarcastico.
Tuccio di Credi fu toccato sul vivo da quelle parole, ma più dal tono
canzonatorio con cui erano profferite.
--Che male ci sarebbe, maestro?--disse egli.--E che ci vedreste di
strano?
--Niente, in verità; niente strano in voi altri. E non ci sarebbe
neanche ombra di male, se almeno voleste prendervi il fastidio di
lavorare. Siete lasagnoni, buoni a nulla.... Cioè, mi correggo; siete
buoni a far chiacchiere; tanto che uno di voi ci ha buscato il
soprannome. Ragionare di principii, far trattati, inventar dottrine,
ecco il fatto vostro. Lavoro, vuol essere, lavoro, e poi sempre
lavoro. Le ragioni dell'arte son qui, nel braccio e nella schiena; il
resto non vale più che tanto. Fatemi la grazia di lasciare le ragioni
dell'arte, i principii, i trattati, a coloro che sono invecchiati
nell'operare. Anche voi, un giorno, quando sarete giunti a compieta,
potrete dire ai giovani: così va fatto e così non va fatto. In nome di
che? In nome della vostra esperienza. Senza di questa non ci son
dottrine che tengano.
--Maestro,--osò dire il Chiacchiera,--voi restringete il campo
dell'arte.
--Che campo m'andate voi sfringuellando? Il campo dell'arte! Ecco
un'altra invenzione dei pittori parolai. Dovevate vederlo che cos'era
il campo dell'arte, quando vivevano i grandi maestri. Non le si
conoscevano mica, queste cianciafruscole ai bei tempi di Taddeo Gaddi
e di Giotto!
--Giotto fu un rinnovatore dell'arte;--ribattè il Chiacchiera.--E noi
dobbiam mirar tutti a fare del nuovo.
--Ah sì? E credete che sia possibile, far sempre del nuovo? Badate,
lasagnoni, che le vostre novità non siano ritorni alle mosse. L'unica
novità, che io possa raccomandarvi è questa: fate, fate, non vi
stancate di fare. E per intanto smettete le ciance, che il fistolo vi
colga!--
Ciò detto, maestro Jacopo si allontanò dal crocchio dando una poderosa
alzata di spalle. Al quale atto il Chiacchiera rispose per tutti,
facendo le boccacce. Poco stante si affacciava un giovinotto
sull'uscio della bottega.
--È qui mastro Jacopo di Casentino?--chiese egli con aria peritosa.
--È qui;--rispose il Chiacchiera.--Che cosa volete da lui?--
Mastro Jacopo aveva udito la voce del nuovo visitatore, ed era subito
escito sul limitare della sua camera.
--Oh, bravo, ragazzo mio, fatti avanti!--gridò egli.--Ti aspettavo.
Eccoti in casa tua. Questi sono i tuoi compagni di lavoro; Tuccio di
Credi, Parri della Quercia, Cristofano Granacci, Lippo del Calzaiolo,
il Chiacchiera... cioè, diciamo prima il nome che ha avuto a
battesimo, Angiolino Lorenzetti, e poi diremo quello che gli hanno
appioppato le persone intendenti.--
Il giovane a cui erano presentati in quella forma gli scolari di
mastro Jacopo, li salutò con un cenno grazioso del capo, indi
soggiunse:
--Saremo amici, io spero.
--A voi, lasagnoni,--ripigliò maestro Jacopo,--salutate Spinello
Spinelli, l'autore dei tocchi in penna che avete veduti poco fa. È un
ragazzo che, se non si svia per cammino, farà parlare di sè.--
Gli scolari di mastro Jacopo s'inchinarono davanti a Spinello. Parri
della Quercia gli stese la mano, dicendogli:
--Amico e fratello, se vi piace.--
Ma gli altri non si fecero così avanti, non si buttarono via come
Parri della Quercia.
--Saremo amici, io spero!--ripeteva sommesso il Chiacchiera, rifacendo
il verso del nuovo venuto.--Vedete che degnazione! O che si
crederebbe, per caso, d'essere il duca Namo di Baviera?
--O il Saladino;--soggiunse Lippo del Calzaiolo.
--Sarà poi Calandrino, e nulla più;--conchiuse Cristofano Granacci.
Tuccio di Credi non disse nulla; ma dentro di sè pensava:
--Amico tuo! Sei sciocco, affè mia, se lo speri!--


III.

Abbiano la mala pasqua i pessimisti, gli scettici, ed altri filosofi
di tal fatta, i quali sostengono che l'uomo sia un animale invidioso
per natura, e che le nostre buone qualità sieno solamente effetto di
paziente educazione, come a dire di strofinamento e di verniciatura.
Grazie al cielo, e con licenza dei filosofi sullodatì, ci sono ancora
delle anime intimamente buone, la cui virtù è frutto di generazione
spontanea, non già conseguenza d'innesto sapiente, o d'arte
giudiziosamente educatrice. E ci sono altresì degli uomini che non
soffrono il male dell'invidia, neanche (e questo è meritorio da parte
loro) quando vedono che Tizio o Caio ha ingegno o attitudine da
superarli di gran lunga, in questa o in quella disciplina.
Vedete, ad esempio, il nostro bravo messer Jacopo di Casentino. Il
vecchio scolaro di Taddeo Gaddi, il degno continuatore della
tradizione di Giotto, indovinava facilmente che quel giovinottino da
lui preso a bottega, quando avesse fatto un tantino di pratica nel
maneggio dei pennelli, sarebbe diventato di schianto un artista
insigne, un maestro, da lasciarsi addietro i migliori del suo tempo. E
per lui, per quell'aquilotto che metteva appena i bordoni, mastro
Jacopo aveva smosso il suo piglio burbero; per lui trovava le parole
amorevoli, la placida assiduità degli insegnamenti, la ineffabile
tenerezza dei conforti paterni.
Due sentimenti diversi lo persuadevano a ciò. Il primo era quello
dell'ambizione. Esser maestro ad un discepolo che non aveva punto
mestieri di rimproveri e così poco di incitamenti a far meglio, poter
raccomandare il suo nome ad un nuovo argomento di gloria, eccovi
l'ambizione di mastro Jacopo; ambizione legittima, e, quel che più
monta, di effetto sicuro, si sarebbe detto un giorno: Spinello
Spinelli, il famoso pittore d'Arezzo, era scolaro di Jacopo da
Casentino. Degno del maestro il discepolo! E se pure si fosse dovuto
dire: migliore del maestro la gran pezza, sarebbe stato poi un gran
male? Avere indovinato un ingegno potente, averlo tratto
dall'oscurità, avergli per così dire adattate le ali agli omeri, non è
forse una gloria, un titolo di merito al cospetto dei posteri, specie
quando un simil titolo si può metter di costa ad altri parecchi?
Ora, che mastro Jacopo di Casentino non s'ingannasse in questi suoi
sogni ambiziosi, la storia dell'arte italiana lo ha dimostrato. La
fama di Spinello Aretino ha confermata, se non per avventura
accresciuta, la fama del suo vecchio maestro.
L'altro sentimento era d'indole affatto domestica. Gli dò mia
figlia;--diceva tra sè mastro Jacopo.--Bello lui, come essa è bella:
ha ingegno, salirà presto in eccellenza d'arte; avrò in lui un aiuto
maraviglioso; prospererà la mia scuola; Arezzo contenderà la palma a
Firenze....--
E qui mastro Spinello....Ma via, non precipitiamo nulla, raccontiamo
le cose per filo e per segno, non mettiamo il carro avanti ai buoi.
Madonna Fiordalisa, ve l'ho già detto, si dimostrava umana col nuovo
discepolo dì suo padre. Più volte nel corso della settimana, o con un
pretesto o con l'altro, Spinello Spinelli era invitato a desinare dal
maestro; onore che toccava di rado agli altri compagni suoi di
bottega. Qualche volta anche lei discendeva al pian terreno; e
certamente più spesso che non le accadesse da prima; ora per avvertire
il babbo che si dava in tavola, ora per chiedergli il suo parere su
questo o su quel particolare d'economia domestica, ed anche, perchè
bisogna dir tutto, anche senza una ragione sufficiente per scendere.
Ma già deve trovarla sempre, e per ogni cosa, la ragione sufficiente?
I filosofi, che hanno voluto metterla come fondamento dei loro
sistemi, si sono trovati anch'essi il più delle volte impacciati.
E Spinello ardeva; e l'interno ardore gli traluceva dagli occhi. Voi
lo sapete, lettori, perchè di lì ci sarete passati un giorno anche
voi; l'amore e la tosse si nascondono male. Anche madonna Fiordalisa
nascondeva male il senso che faceva su lei l'amore di Spinello
Spinelli; anzi, non lo nascondeva affatto. Perchè avrebbe dovuto
nasconderlo? Non era nato, quell'affetto, e non cresceva forse
liberamente sotto lo sguardo benevolo di suo padre? Era da principio
un po' timida; poi, nel ravvisare la stato del proprio cuore, si era
fatta contegnosa. Ma queste deboli difese, pari alle fortificazioni
improvvisate lì per lì da un esercito in aperta campagna, durano
appena quel tanto che basti ad una semplice ricognizione. E madonna
Fiordalisa non aveva durato fatica a riconoscere che quel gentile e
modesto innamorato non era altrimenti un ingannatore. Si sentì
raffidata e gli diede senza contrasto il suo cuore. Dolce abbandono,
che non è turbato da nessun sospetto, da nessuna paura!
Mentre faceva quei progressi nel cuore di lei, e forse per la stessa
ragione che li faceva, il nostro Spinello avanzava rapidamente nella
disciplina che aveva con tanto ardore abbracciata. Imparava facilmente
quel che oggi si chiama il meccanismo dell'arte. Sapeva come si
dovessero unire i colori, a fresco e a tempera, o come si avessero a
dipingere le carni e i panni, per modo che ne venisse rilievo e forza
alle figure, mostrando l'opera chiara ed aperta; conosceva quali
colori si dovessero usare nel dipingere a fresco, cioè tutti di terra
e non di miniere; con che risolutezza di mano si avesse a condurre il
lavoro, prima che l'intonaco del muro potesse disseccarsi, e qual
forza dovesse dare al colore, perchè le tinte, mentre che il muro è
molle, mostrano una cosa in un modo, che poi, secco il muro, non è più
quella di prima. Ed altre cose aveva prontamente imparate, con potenza
di desiderio, anzichè per pratica; del dipingere a tempera, cioè col
rosso dell'uovo e col latte del fico mescolati nei colori; del
dipingere a chiaroscuro, contraffacendo le cose di bronzo: e
finalmente del fare gli sgraffiti sulle mura, per modo che reggessero
all'acqua piovana.
E tutto ciò senza rifarsi pure una volta ai principii. Tirato dalla
sua inclinazione a schizzare dal vivo, od altrimenti dal naturale,
Spinello Spinelli era già andato molto innanzi nel disegno, esprimendo
col lapis rosso di Lamagna, o col nero di Francia, figure,
atteggiamenti, partiti di pieghe, od altro che gli toccasse l'animo.
Così lavorando, aveva acquistato una maravigliosa destrezza a fare con
la penna i dintorni delle cose vedute, dando le velature e le ombre
con una tinta dolce, che otteneva dall'inchiostro stemperato
nell'acqua. E da ultimo, come abbiamo veduto dai disegni suoi, che
erano andati sotto gli occhi di mastro Jacopo, faceva ogni cosa a
tratti di penna, lasciando che i lumi delle figure fossero resi dal
bianco della carta.
Del resto, in quei cominciamenti della pittura mancavano i grandi
esemplari da proporre ai discepoli, e ognuno ritraeva dal vero,
portando nell'opera quei medesimi difetti e qualità, che erano
nell'occhio di ciascheduno, e nel suo modo particolare di veder la
natura. Che se a voi, lettori discreti, paresse strano il caso di
tanti pittori i quali vedevano la figura umana più smilza del
naturale, di guisa che nei dipinti di quel secolo non si scorge ombra
di quella pienezza di forme che è tanto comune in natura, io vi
pregherò di ricordare che quei bravi rinnovatori dell'arte escivano
allora dagli stecchi della pittura bisantina, e, per vedere tutto il
vero nel vero, dovette mancar loro il coraggio. _Natura non facit
saltum_, si è detto; anche l'arte ha dovuto andare per gradi.
Per contro, se i pittori della scuola di Giotto davano ancora troppo
nello smilzo, avevano già la cura lodevole del finito; laonde se i
corpi delle loro figure, asciutti come sono, accusano la povertà degli
studi anatomici, la espressione dei volti e diligenza nel disegnare le
estremità, ci appalesano quel sentimento profondo della verità, che
doveva rifare di sana pianta le arti figurative e non far rimpiangere
al mondo la perdita dei capolavori di Apelle e di Zeusi.
Ho detto, e ritorno a Spinello Spinelli. Il quale, vedendo operare
mastro Jacopo di Casentino, si accese del desiderio di dipingere a
fresco, che era in quei tempi il sommo dell'arte. Ma tacque il suo
pensiero, che gli pareva troppo audace, anzi temerario senz'altro, e
si restrinse ad osservare il modo con cui mastro Jacopo preparava i
cartoni, ringrandendo a vaste proporzioni i suoi disegni, e qualche
volta, ad ottenere i giusti effetti di luce e d'ombra, facendo modelli
di creta, i quali disposti in una data azione tra loro, lasciavano
vedere gli sbattimenti, i rilievi, e tutte l'altre particolarità di
cui si vantaggia la prospettiva d'un quadro.
Tre mesi erano scorsi dacchè Spinello viveva al fianco di mastro
Jacopo, e il giovinotto, a mala pena ventenne, aiutava già il
principale negli affreschi del Duomo Vecchio, di quel Duomo in cui per
la prima volta aveva veduto madonna Fiordalisa. S'intende che Spinello
tratteggiava sull'intonaco i disegni del maestro, e sotto gli occhi di
lui ci metteva il colore.
Immaginate voi come si struggessero di rabbia i compagni di Spinello.
Escludiamo, per altro, il povero Parri della Quercia, modesto e buon
giovane, il quale non si sentiva nato per la grand'arte dell'affresco
e si contentava di lavorare a tempera certi trittici, e pale d'altare,
che erano commesse a mastro Jacopo da qualche pieve, o da qualche
oratorio del contado. L'affresco voleva ardimento d'ingegno,
franchezza di mano, sicurezza di giudizio. e tante altre belle
qualità, che non erano nell'indole di Parri. Ma gli altri discepoli di
mastro Jacopo, assai meno valenti di Parri della Quercia, erano anche
assai meno modesti di lui, e si rodevano di vedere quel nuovo venuto,
che si spingeva in brev'ora tanto innanzi nel magistero dell'arte, e,
quel ch'era peggio, nelle grazie del maestro.
Un giorno, essendo Spinello a lavorare sulle impalcature del Duomo, in
compagnia di mastro Jacopo, questi gli disse di punto in bianco:
--Ragazzo mio, è tempo che tu voli da te.
--Volare da me!--esclamò il giovine levando gli occhi dal muro, per
guardare il maestro.--Che intendete di dire?
--Mi sembra di parlar chiaro;--ripigliò mastro Jacopo.--Il tuo ingegno
ha messe le penne maestre; puoi volare senza aiuto di chicchessia.
Spinello si fece rosso, chinò la fronte e rispose:
--Maestro, al fianco vostro ho un cuor da leone. Ma da solo! Ci
pensate voi! Non mi avverrà egli dì fare come quell'Icaro di Creta,
che perse le penne e andò a sommergersi in mare?
--Vedete la modestia, che è andata a stare ad uscio e bottega coi
giovani!--gridò mastro Jacopo, ridendo.--Ma sia pur giusto il paragone
che tu fai delle tue ali con quelle d'Icaro. Nessuno ti dice che tu
abbia a discostarti dal tuo maestro, dal tuo secondo padre. Lavorerai
sotto i miei occhi, se Dio vuole, e baderai sempre ai miei consigli.
Hai risolutezza di mano e buon giudizio per fare da te. Vuoi? C'è da
dipingere, nella cappella qui presso, un Miracolo di san Donato.
L'opera è di grande rilievo, perchè il santo è qui in casa sua; ma ho
fede che te la caverai con onore.
--Maestro, e se mi fallisse la prova? Vorranno poi i massari della
chiesa commettere a me un'opera di tanta importanza?
--Non lo sapranno che poi;--rispose mastro Jacopo, dando un'alzata di
spalle.--E noi cancelleremo il dipinto, se non riescirà secondo le
speranze che io ho concepite di te.--
Spinello tuttavia esitava.
--Bell'ardire!--esclamò mastro Jacopo,--Così ami tu Fiordalisa?--
All'udire quelle parole, Spinello si scosse e il cuore gli diede un
balzo nel petto. Figuratevi! Era la prima volta che mastro Jacopo gli
parlava di sua figlia. E per la prima volta ne diceva abbastanza, non
vi pare?
--Ah maestro! maestro, che dite voi mai?--gridò il giovine,
turbato.--Ho io bene inteso?--
Mastro Jacopo sorrise, come sanno sorridere i babbi, quando non hanno
nulla da rifiutarvi, o giovinotti innamorati.
--Se ho bene inteso io, fin dal primo giorno che sei entrato a
bottega,--rispose allora il vecchio pittore,--sì certamente, tu mi hai
bene inteso quest'oggi.--
Spinello Spinelli rimase lì, pallido dalla commozione, ansante, con
gli occhi imbambolati. Non poteva credere alla propria felicità.
Guardava il maestro, come se volesse leggere nel volto di lui la
conferma delle parole udite; poi guardava in aria, come se cercasse
un'immagine cara, che doveva trovarsi là, pronta alle sue invocazioni
amorose.
--Orbene, che hai?--disse mastro Jacopo.--Non sei contento?--
Spinello si abbandonò sui gradini del trespolo che serviva a mastro
Jacopo per accostarsi alla vòlta, e diede in uno scoppio di pianto.
--Animo, via! Che cos'è questa ragazzata!--borbottò mastro Jacopo.--Se
ti sentono di laggiù!...
--Ah, lasciatemi piangere, maestro, padre mio, lasciatemi piangere.
Avere amato tanto tempo senza speranza!... Essere entrato da voi,
temendo che non mi accettaste come vostro scolaro!... Poi, essere
vissuto così, accanto a voi, disperando di potervi dire un giorno....
di potervi confessare.... E sempre con la paura di sentirmi annunziare
da voi, o da altri di bottega, che madonna Fiordalisa era sposa....
Oh, maestro, maestro, vorrei che ci foste stato voi, nel mio caso!
--Eh, non dubitare, ci sono stato anch'io, _in diebus illis;_--rispose
mastro Jacopo.--Ci si passa tutti, o presto o tardi, per queste
benedette ansietà. Ma, come vedi, non era il caso di tremare. Si
pensava a te, mentre tu ti guastavi il sangue coi sospetti e con le
paure. E c'è voluto che la fortuna venisse a cercarti lei; che il
babbo fosse il primo a parlare....
--Oh, padre mio, non dite ciò, ve ne prego! Sapete pure che non
ardivo!
--Già, tu non ardisci mai. Ma bada, ragazzo mio, la tua fortuna è a
questo patto. Tu farai il Miracolo di san Donato, e sarà davvero....
--Un miracolo;--interruppe Spinello.--Ve lo prometto.
--Ci fo assegnamento. Ed ora, andiamo a casa, che qui s'è fatto
abbastanza, per oggi.
--No, maestro, lasciatemi qui. Voglio pensare al mio soggetto.
--Qui? a cinquanta palmi da terra?
--Che importa? La mia testa è più alta di mille miglia. Non sono io al
settimo cielo? Poi vedete, maestro, qui siamo nel Duomo vecchio.
Laggiù--continuò Spinello, accennando in basso, attraverso le
commessure del ponte,--laggiù, presso la quarta colonna di destra, ho
veduto per la prima volta madonna Fiordaliso. Non sapevo chi fosse; ma
ne rimasi colpito. Andai quel giorno a nascondermi là, dietro quel
pilastro della navata di destra, per poterla vedere di profilo, senza
che ella si accorgesse di nulla. Che allegrezza fu quella, per i miei
occhi! E ogni festa, sapete, ogni festa, io la vedevo così. Eravamo
nel giugno dell'anno scorso. Benedetto mese, che ne ha tante di feste!
Gli altri ne hanno meno, o non lo valgono. L'aspettavo all'ingresso,
avendo l'aria di guardare tutt'altro; poi me ne venivo laggiù; anzi,
ricordo che fu quello un gran dolore per me.
--Sentiamo quest'altra!--esclamò mastro Jacopo, ridendo.
--Sì,--riprese Spinello,--perchè tutti i giovani d'Arezzo la
conoscevano come la bellissima tra le belle. Ahimè, pensai, quanti non
si augureranno di piacerle al pari di me! E quanti non avranno ragione
a sperare di essere più fortunati! Temevo, e il soverchio della paura
fa quello che mi diede le forze per muovere incontro a voi. Tremavo
come una foglia, ve ne ricordate? E quando poi, nella furia, commisi
l'errore di portarvi tutti i miei disegni, senza pensare li per li che
ce n'era uno....
--Già, il ritratto della mia figliuola;--disse mastro Jacopo.--Oh,
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