Il Professore Romualdo - 11

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a sè stesso che non è rimasto in ozio, collocava a posto le virgole
dimenticate, arrotondava l'occhiello degli _e_ e metteva i punti sugli
_i_. Si può tuttavia giurare che la sua mente era assorta in altri
pensieri ai quali non era certo estranea una persona la cui apparizione
repentina ed inaspettata lo fece scattar dalla sedia.
— Tu, Gilda?... Alzata?... A quest'ora?... Che direbbe il medico?
— Oh! — ella rispose — bisogna ormai emanciparsi dal medico... Sto
bene... Vedi come mi reggo da me...
— Stai bene e sei così pallida? — esclamò il professore con
inquietudine. — Che hai?
— Nulla....
— Non dirlo... Hai gli occhi gonfi, Gilda, sei agitata... Questa tua
visita mattutina non è certo senza una grave ragione.
— Voglio riprender le mie antiche abitudini — ella replicò, avvicinando
una seggiola al tavolino — voglio esser la tua assistente, il tuo
segretario come una volta... La pecorella smarrita ritorna all'ovile...
ecco tutto.
Com'ella s'accorse che lo zio Aldo stentava a raccapezzare il senso
delle sue parole, estrasse di tasca un foglio e glielo porse spiegato
— Leggi.
Appuntò il gomito al ginocchio, fece con la mano sostegno al mento, e
stette lì a capo chino senz'aprir bocca e senza batter palpebra. Pareva
una figura scolpita nel marmo.
Il professore intanto aveva divorato l'arruffatissima lettera di Mario.
— Parte? Ti lascia? — egli gridò, appena l'ebbe finita. E balzò in
piedi con impeto, schizzando fiamme dagli occhi.
Ella si scosse, sollevò la testa, e rivolgendo allo zio uno sguardo
soave e amorevole: — Sono stata io — gli disse — egli non fece che
ubbidirmi.
— Ubbidirti? — egli proruppe passando di sorpresa in sorpresa. — Gli
hai imposto tu di partire?
Ella gli riferì il colloquio avuto con Mario il giorno innanzi. Il
professore durò fatica a non interromperla cento volte.
— Non difenderlo, non iscusarlo — egli esclamò finalmente, misurando a
lunghi passi la stanza. — Che amore era il suo?... Ha potuto sentirti
parlare come gli parlavi, e non è caduto a' tuoi piedi, e non si pentì
delle sue esitazioni e non rinnovò i suoi giuramenti? T'ha abbandonata,
è fuggito perchè le tue guance sono men floride, perchè i tuoi occhi
sono meno scintillanti d'un tempo? E tu gli perdoni, e gli perdoneranno
tutti, e la sua vigliaccheria resterà impunita? Oh come intendo in
questo momento il piacere della vendetta!... Come disprezzo questa
scienza vantata che sfibra le virtù del braccio e dell'animo!... Come
volentieri la darei tutta quanta per essere un forte, per colpire
inesorabilmente colui che ti rende infelice!
— Mio cavaliere — rispose la giovinetta, atteggiando il labbro a un
malinconico sorriso — non voglio che tu mi vendichi... Non c'è offesa
da vendicare... Mario era pronto a sposarmi, fui io che gli resi la sua
parola... S'egli mi avesse resistito, sarebbe stato un eroe, e non si
può pretender dagli uomini che siano eroi... Forse è stato meglio così.
— Ma pur tu lo amavi?
— Oh sì... Quando credevo di poter essere una valida alleata del suo
ingegno, uno strumento della sua gloria. Appena cominciai a dubitare
che gli sarei stata d'impaccio, cominciai anche ad amarlo meno... Sono
orgogliosa...
— Gilda!... E l'avvenire?
— Starò qui come sono stata finora; mi rimetterò a studiare... le donne
brutte studiano... copierò i tuoi manoscritti, ti aiuterò nei tuoi
esperimenti...
Egli le diede sulla voce. — Non parlarmi dei miei esperimenti... Il
mio laboratorio io l'abborro... Voglio distruggerlo... O almeno voglio
chiuderne l'uscio per sempre...
— Lo riapriremo insieme, zio Aldo — rispose la Gilda. — Rammento
ancora le mattine che vi ho passate, a bocca aperta, tempestandoti
d'interrogazioni, ammirando la vastità del tuo sapere, e la infinita
pazienza che avevi con me... Povera cameretta! Da due anni la
trascuravo e ne fui punita... Oh se si potesse tornare indietro di due
anni!... Proviamo, zio Aldo.
— Se si potesse — egli ripetè, tentennando il capo con aria desolata.
E soggiunse a mezza voce: — È un nodo che non si scioglie. — Indi si
abbandonò sopra una sedia e si coprì il viso con le mani.
— Zio Aldo, tu mi nascondi qualche cosa — proruppe inquieta la Gilda.
— I nostri guai non sono finiti?
— La fatalità ci perseguita, o fanciulla... Io vorrei pure che queste
pareti ridivenissero per te il nido calmo e tranquillo della tua
infanzia, vorrei poter dirti come una volta: Addormèntati fidente
sulle mie ginocchia, appoggiati al mio braccio leale, lasciami esser
tua guida nel campo della scienza... Ma no; un destino iniquo non lo
permette; io sono un pazzo, io sono un malato.
— Se sei un malato, ti curerò — interruppe con dolcezza la giovinetta.
— Non mi curasti tu per due mesi? Dovrei abbandonarti, se soffri?
— Eppure sarà necessario — egli esclamò, agitandosi sulla seggiola.
E proseguì: — Non ho rimorsi... ho lottato... ho lottato tanto...
Tutti gli argomenti che la ragione può suggerire io me li son detti...
tutta l'energia d'un carattere avvezzo a vincer gli ostacoli, io l'ho
spesa... e non è valso a nulla...
— Ma insomma, a che mirano le tue parole? Che vuoi fare di me?
— Pensiamo insieme, studiamo un modo...
— Non posso più viver sotto questo tetto come la tua pupilla, come la
tua nipote, come la figlia dell'anima tua?
— Compiangimi, Gilda, non lo puoi.
— Come la tua sorella?... Vedi, i patimenti hanno in me affrettata
l'età... Io posso esser la tua sorella.
— Non lo puoi, non lo puoi — replicò il professore con l'accento della
disperazione.
Vi fu un istante di silenzio. Il dottor Romualdo teneva le mani
intrecciate sulle ginocchia, lo sguardo immobile a terra. La Gilda,
levatasi da sedere, gli si avvicinò lentamente. Un lieve rossore le
tingeva le gote.
— Alza gli occhi — ella disse — fissami in viso. In questa casa dove
non posso esser più nè pupilla, nè nipote, nè sorella, potrei almeno
esser la compagna della tua vita, la tua sposa?
— Tu, Gilda? — esclamò lo scienziato con un grido che veniva dal cuore.
— La mia sposa; L'hai detto? L'hai proprio detto, tu? L'hai detto sul
serio? Non ti sei presa giuoco di me? Oh no! Il tuo volto onesto porta
l'impronta della sincerità... Tu non vuoi uccidermi!
Egli le afferrò tutt'e due le mani e le tenne strette nelle sue.
— Zio Aldo — ella mormorò affettuosamente.
— Non chiamarmi più così... Chiamami Aldo... O piuttosto, no, sciocco
ch'io sono... chiamami ancora zio Aldo... c'è tanta dolcezza in
queste due parole pronunziate dalle tue labbra... Sentivo sempre
dirmi _professore_, _professore_... e non ero che un professore arido,
dotto, noioso...; tu mi dicesti zio e sono divenuto un uomo... Oh se
la mia vita fosse cominciata da quando batte il mio cuore, io sarei ben
giovine, o Gilda...
Egli s'interruppe un momento; poscia riprese con un sospiro: — Invece
hai riflettuto che son vecchio, che ho diciannove anni più di te?
Guarda la mia barba e i miei capelli segnati di bianco, guarda le
rughe della mia fronte... La tua giovinezza è appassita per poco; essa
risorgerà senza dubbio; ma la mia, oh la mia non torna mai più.
La Gilda scrollò il capo. — Tu mi porti un cuore che non ha amato altra
donna che me...
— Nessun'altra, nessun'altra — egli esclamò con enfasi.
— Lo vedi — ella rispose. — Il tuo cuore almeno è più giovine del mio
— Abbassò gli occhi e soggiunse arrossendo: — E da quando... da quanto
tempo mi ami?
— Lo so io forse? Fu nel giorno in cui lessi sulla tua fronte ch'era
finita per te l'infanzia gioconda; fu prima, fu dopo? Lo ignoro.
Sentivo il mio affetto trasformarsi a grado a grado, ma non sarei
riuscito a dire a me stesso che cosa provavo... Non avevo mai amato...
Ti cercavo e ti sfuggivo... Avevo un immenso desiderio e una paura
immensa delle tue carezze... Nelle mie notti insonni la tua immagine
mi appariva fra le tenebre... Nel giorno il fruscìo della tua veste,
il suono della tua voce turbava le mie meditazioni. Mi sembrava qualche
volta che non avrei avuto pace finchè tu non avessi abbandonato la mia
casa, e talora mi sembrava invece che senza di te non avrei potuto
vivere... Eppure era amore?... Non lo so, non lo so... Ma quando tu
amasti un altro, oh allora sì m'accorsi che veramente t'amavo...
— Poveretto! Che strazio deve essere stato il tuo! E hai sofferto in
silenzio?
— E potevo parlare? Eri bella come un angiolo, tutte le grazie della
gioventù ti fiorivano in viso; eri innamorata di un uomo bello e
giovine anche esso... parevate nati uno per l'altro... La vostra
passione era così ragionevole, la mia così strana, così assurda!
Parlare?... Darti un dolore, insidiare la tua felicità, io che
t'adoravo?... Un giorno solo fui per tradirmi... oh quel giorno avrei
voluto morire...
— Che rivelazione fu per me quella! — esclamò la Gilda.
— Te n'eri accorta?
— Sì... Ero venuta ad annunziarti il prossimo arrivo di Mario... Si
dovevano prendere i concerti per le nozze...
— Che pensasti di me, Gilda?
— Piansi tanto...; che non avrei fatto per consolarti? Tu ti sei chiuso
nella tua camera, nel tuo laboratorio... La mattina dopo...
— Taci — egli interruppe — a pensarci mi corre un gelo per l'ossa...
Più tardi io vegliavo al tuo letto... Avevi gli occhi bendati, eri
tutta una piaga... Il tuo respiro era un rantolo, la tua voce era un
gemito... I medici ti davano quasi per ispacciata; io volevo salvarti
a ogni costo...
— E mi salvasti.
— Sì, ma la mia ferita si faceva più larga e profonda. Dal tuo alito
infocato, dal tocco delle tue mani ardenti per la febbre, io aspiravo
l'amore... E non avevo speranze, e non avevo altro desiderio che quello
d'espiare un minuto d'oblìo... Non era per me ch'io ti conservavo in
vita, era per l'uomo a cui tu avevi giurato la tua fede. Spesso mi
pareva ch'egli non t'amasse abbastanza e me ne sdegnavo; ma pure (lo
crederesti?) sentivo una specie d'orgoglio all'idea che il mio amore
ignorato fosse più forte del suo... Accarezzavo col pensiero la mia
infinita miseria. Quando non s'ha più che il dolore, si vuole almeno
che il dolore sia grande... Intanto m'abbandonavo a occhi chiusi alla
corrente, aspettando da un momento all'altro che tu mi fossi tolta
per sempre... Ma no; tu non mi sei tolta, tu rimani; e io mi domando
ancora se tutto ciò non è un sogno, mi domando se sono ben desto...
Gilda, Gilda, sei tu sicura di non ubbidire a un impeto subitaneo, di
non cedere a un movimento di pietà verso di me, di dispetto verso _un
altro?_... Se ti pentissi domani! Se Mario tornasse!
— Uomo di poca fede!... Non è un capriccio il mio, non è un desiderio
di vendetta... Quante volte, in mezzo ai patimenti di questi ultimi
mesi, io confrontavo in silenzio l'amor tuo con quello dell'uomo che
avrebbe dovuto sposarmi!... Quante volte, se eravate entrambi accanto
al mio letto, io studiavo l'espressione diversa dei vostri volti; nel
tuo una tenerezza infinita, in quello di Mario un tedio profondo! E
dicevo: Mario amava la mia bellezza che è svanita; lo zio Aldo mi ama
qual sono, mi ama forse di più dacchè cessai di esser bella...
— E vero, è vero...
— Dicevo: Mario non è un triste, non è un vile; egli terrà la sua
parola, ma io avrò il rimorso di aver fatto una vittima... E così il
mio cuore s'allontanava a mano a mano da lui e s'avvicinava a te...
a te ch'eri stato la mia provvidenza, a te cui speravo di poter dar
qualche gioia. Oh Mario non tornerà; egli è troppo lieto della libertà
che gli è resa; egli insegue il suo ideale d'artista, va dove lo chiama
la sua anima appassionata del bello... Se tornasse...
— Ebbene? Che faresti?
— Ebbene? Farei... così — ella gridò gettandoglisi fra le braccia — e
ti direi: Son la tua sposa difendimi... Mi crederesti allora?
— Ti credo, ti credo — proruppe il dottor Romualdo, stringendo al seno
con impeto quel capo diletto. E mentre la copriva di baci, mormorava:
— Oh Gilda!... Amor mio!
— Non ci odii dunque più, noi povere donne? — ella chiese con malizia.
— Adoro te — egli rispose — ecco quello ch'io so.


XXIII.

Pochi mesi dopo, una bella mattina di settembre, il professor Romualdo
era affacciato alla finestra d'un albergo di Genova guardante il mare.
Era l'albergo medesimo in cui, circa quindici anni addietro, egli
aveva passato tante ore d'incertezza attendendo il suo misterioso
abboccamento col capitano Rodomiti. Fra quelle pareti era cominciata
per lui una nuova esistenza, eran cominciate le cure, i pensieri che
dovevano far sbocciare la sua gioventù appassita prima di nascere,
ed egli tornava oggi ai memori luoghi, allo stesso modo che l'egro
risanato torna pellegrino alla fonte ond'ebbe il primo ristoro. Come
quindici anni addietro, gli si stendeva davanti agli occhi lo splendido
golfo riscintillante ai raggi del sole, e una selva d'antenne si
levava al cielo, e mille barchette guizzavano sulle acque leggermente
increspate, e s'alzava dai pensili giardini il profumo dei fiori, e
dalle vie popolose l'allegro strepito del lavoro.
Ma questa volta il dottor Romualdo non era solo. S'aprì l'uscio
della camera attigua, e una giovine dalla persona snella e spigliata
s'avvicinò con passo rapido alla finestra, e toccò lievemente la spalla
del professore.
— Sei tu, Gilda? — egli disse, voltandosi estendendole ambe le mani.
— Va bene così? — ella chiese, mostrando la sua _toilette_ d'una
elegante semplicità. E soggiunse: — Son curiosa di vedere che
impressione gli faccio.
— Sei bella, Gilda — riprese il professore. — Sei troppo bella per me.
— Zitto — ella interruppe, portando al labbro l'indice della mano
destra — Zitto, non voglio sentir coteste sciocchezze.
La Gilda era sempre un po' magra, un po' pallida, ma il tempo andava
via via scolorando le sue cicatrici e ricolmava lentamente le sue
guance sparute, e faceva rinascere i suoi capelli, i cui ricciolini
bruni spuntavano dagli orli della sua cuffia. In quanto al segno che
l'era rimasto nell'occhio sinistro, esso non era percettibile a prima
vista. Certo ella non era più, ella non sarebbe più ridiventata la
splendida giovinetta che sollevava un mormorio di ammirazione sul suo
passaggio, ma era chiaro che le conseguenze dell'accidente ond'ella era
stata vittima avrebbero finito coll'essere assai minori di quanto s'era
supposto.
Ella s'accostò in punta di piedi all'uscio che metteva sul corridoio.
— Vien gente? — domandò il professore.
— No... Del resto, siamo intesi... Prima ch'egli entri scappo di là...
— Cattiva! Vuoi lasciar me nell'imbarazzo...
— Voglio veder come ti levi d'impaccio...
Non occorre una grande sagacità a capire che il professore e la Gilda
aspettavano qualcheduno. Questo qualcheduno era il capitano Rodomiti,
il quale aveva scritto a' suoi amici annunziando loro che sperava
d'essere a Genova col suo legno entro il settembre, e che giunto colà
avrebbe chiesto una licenza di alcuni mesi, e sarebbe intanto volato
subito a far loro una visita. Il capitano sapeva della malattia e
della guarigione della Gilda; non sapeva il resto, perchè le notizie
posteriori non avrebbero potuto pervenirgli durante il viaggio. Non
doveva esser piccola sorpresa per lui l'apprendere il matrimonio del
professore Romualdo con la figlioccia, e questa sorpresa i novelli
sposi avevano voluto anticiparla col venirgli incontro essi stessi.
Invero essi sentivano un po' di rimorso a non averlo consultato prima
delle nozze, ma si capisce d'altra parte che la condizione di due
fidanzati i quali abitano sotto il medesimo tetto è troppo ambigua
perchè essi non abbiano da affrettarsi a diventar marito e moglie.
Comunque sia, il professore e la Gilda, che s'erano sposati appena
ottenuto il decreto reale che toglieva l'impedimento della parentela,
si trovavano a Genova da un paio di settimane, e il nostro matematico
andava ogni mattina nel banco di noleggi del signor Egisto Giorgi
successore dei signori Radice e Lupini, per informarsi del capitano.
Alla fine, la vigilia del giorno di cui parliamo, il dottor Romualdo
era tornato all'albergo con una importante notizia. Il legno comandato
dal Rodomiti era in vista e sarebbe entrato in porto verso notte.
Allora il professore, d'accordo con la Gilda, era ripassato nel
banco del signor Giorgi a lasciarvi un bigliettino pel capitano così
concepito: «Sono qui all'_Hôtel de la Grande Bretagne_, nº 36. Ho molte
cose da dirvi. Vi aspetterò domani all'albergo fino a mezzogiorno.» Il
signor Giorgi, ch'era un uomo assai più officioso dei suoi predecessori
Radice e Lupini, non solo si incaricò della trasmissione del biglietto,
ma fece aver la mattina seguente al professor Grolli la risposta del
capitano: «Sarò da voi prima dell'ora indicata — scriveva il Rodomiti;
— ma che diamine v'impediva di venirmi a trovare a bordo? E la Gilda?»
Erano le undici quando un cameriere picchiò all'uscio del nº 36, e con
un certo timore reverenziale introdusse il gigantesco marinaio.
— Oh Grolli — disse costui, stringendo cordialmente la mano del
professore. — E la Gilda?
— Ormai sta bene.
— S'è sposata col suo Mario?
— No...
— Come?
— Or ora vi dirò. Accomodatevi.
Il capitano prese una sedia. — Non è la vostra camera da letto? — egli
domandò, girando intorno gli occhi.
— No... è un salottino... dormo di là — rispose il Grolli in fretta,
come se le parole gli scottassero la lingua.
— Cospetto! Siete in lusso ora — esclamò il Rodomiti. E soggiunse: — Su
via, raccontatemi... Questo matrimonio?
Quando il professore ebbe narrato che la Gilda aveva reso a Mario
la sua libertà e che Mario aveva accettata l'offerta, il capitano si
lasciò scappare una serqua di vigorose esclamazioni, le quali finirono
con una domanda _ad hominem:_ — E voi?
— Io? Che cosa?
— E voi non avete data una buona lezione a quel bellimbusto che pianta
la sposa perchè le è toccata una disgrazia?.. Oh lo so quel che volete
dire... È stata lei... Grazie tanto... Ella non poteva fare altrimenti;
ma un uomo che avesse avuto un filo d'onore non l'avrebbe presa in
parola... Ah caro Grolli, se ero nei vostri panni, non l'andava a
finire così... Gran che! Voi altri dotti non avete sangue nelle vene!
A questo punto il capitano con un brusco movimento ruppe la spalliera
della seggiola e si alzò di scatto facendo tremare i vetri della camera
sotto i suoi passi pesanti e poderosi.
— È dunque diventata un mostro questa Gilda? — egli ripigliò, dopo una
breve pausa.
— Un mostro! — esclamò il professore scandalizzato — Che idee?
— Oh adesso vi riscaldate! Con me? Era meglio riscaldarsi con
quell'altro... Via, scusate — continuò il Rodomiti, mutando tono. —
Son certo che avete fatto tutto ciò ch'era possibile... Se la Gilda
è sempre piacente, non dureremo fatica a darle un marito che valga
più di quel vostro famoso pittore... Bisognerà pensarci insieme... Ma
spiegatemi un po', perchè non l'avete condotta con voi a Genova?
Il professor Romualdo, più confuso che mai, guardò istintivamente verso
l'uscio della camera attigua.
Questo imbarazzo non isfuggì al capitano, il quale chiese con una
certa impazienza: — Siete in compagnia? C'è qualcheduno di là?... Avete
un'aria di mistero!...
— Benedette donne! — pensò il Grolli. — Hanno dei capricci!... Per
secondar la Gilda mi convien fare questa commedia. — Insomma — egli
disse a voce alta — ho da raccontarvi una novità...
— Ed è?
— Ho preso moglie...
Questo annunzio produsse al marinaio l'effetto dello scoppio d'una
mina. — Moglie?... Voi?... Scherzate?
— Niente affattissimo — rispose il professore punto da queste
esclamazioni — Parlo sul serio...
— E il vostro odio per le femmine?
— È sfumato...
— Non c'è che dire — osservò il marinaio, calmandosi a poco a poco
— voi siete il miglior giudice delle vostre azioni, e in quanto
alla donna che vi sposò, ella può vantarsi d'avere sposato un gran
galantuomo...
— Non credete quindi che questa donna abbia commesso uno sproposito
imperdonabile? — domandò il dottor Romualdo, alquanto rinfrancato.
— Tutt'altro... tutt'altro... Anzi vi chieggo perdono... Del resto, è
vero... siete ringiovanito, e mi congratulo con voi. Ma che volete?...
Penso alla mia figlioccia... Converrete meco che adesso è più urgente
che mai di accasarla... Povera Gilda!... È necessario ch'io la veda...
Abita sempre con voi?
— Sicuro...
— Non v'invidio... Due donne sotto il medesimo tetto...
— Ma mia moglie...
— Non intendo dir male di vostra moglie... Dio guardi... Ma in ogni
modo...
— Volete conoscerla? — insinuò il professore, che non vedeva l'ora di
gettar giù la maschera.
— No, grazie... o almeno finchè non sia necessario. Non prendete in
cattivo senso il mio rifiuto... Sapete che io sono un uomo alla buona,
un uomo che si trova a disagio in mezzo alle nuove conoscenze...
specialmente poi quando si tratta di signore...
— E se fosse una signora che si conoscesse da un pezzo? — disse una
vocina nota e melodiosa. In pari tempo la Gilda si precipitò nella
stanza e si appese (qui la frase va a pennello) al collo del capitano.
— Come? Che?... la Gilda...? — balbettò il Rodomiti nel colmo dello
sbalordimento.
— Sì, signore, la Gilda... Sono un po' mutata, ma insomma...
Il capitano guardava alternativamente la sua figlioccia e il
professore, le cui guance s'erano fatte del color della porpora — Sua
moglie? — egli disse infine.
— Sua moglie, sua moglie — ripetè la giovine.
— Non è lo sposo ch'ella si meritava — osservò Romualdo in tono
rimesso, ma senza affettazione di umiltà.
— _Zio Tonino_ — disse la Gilda — fallo tu finire una buona volta...
Egli ha paura che tu disapprovi il nostro matrimonio...
— In verità, figliuoli miei — esclamò il capitano, scotendo forte
la mano ad entrambi — in verità ch'io sarei una gran bestia se lo
disapprovassi... Ma vi confesso che mi avete fatto cascar dalle
nuvole... Ah professore, professore, siete più birichino di quello
che credevo, voi... Basta... Intanto, Gilda, torno a dirti ciò che
dicevo poco fa a lui... La donna che prese per marito questo signore ha
sposato un fior di galantuomo...
— Grazie, amico mio — interruppe il dottor Romualdo, raggiante di
contentezza.
— Un fior di galantuomo — continuò il capitano — a cui bisogna voler
bene sempre.
— Perdonandogli la sua età matura, il suo brutto visaccio, e i suoi
capelli che imbiancano — soggiunse il professore, compiendo la frase.
— Allora — saltò a dire la Gilda — io porterò in campo le mie cicatrici
e il mio occhio sinistro...
— Zitti tutti e due — gridò il capitano Antonio col suo vocione —
amatevi e fatemi presto diventare padrino d'un bel maschiotto... Questo
è l'essenziale.
— Oh! — bisbigliò la Gilda, arrossendo.
E il professore, tanto per mutar discorso: — E voi — disse — non
penserete mai a farvi una famiglia?
— Io? A sessantadue anni?... Eh via, a trentotto, ne avete trentotto,
non è vero?
— Sì.
— A trentotto la cosa va co' suoi piedi, ma a sessantadue poi... ho
proprio paura ch'essa andrebbe coi piedi degli altri.
* * * * *
La storia è finita. Che se qualcheduno volesse sapere che cosa
pensi di queste nozze la signora Dorotea, dirò soltanto ch'ella ne è
felicissima, che sostiene d'avervi contribuito per gran parte, ma che
non sa persuadersi come un così bel matrimonio non debba fruttarle
una vincita al lotto. E sì ch'ella va giocando a ogni estrazione i
numeri che le sono suggeriti dalla cabala e da persone sperimentate e
autorevoli.
Del resto, dopo il primo momento di stupore, tutti si sono persuasi
che il dotto professor Romualdo Grolli, sebbene non sia un Adone,
può essere un eccellente marito rimanendo un insigne matematico; solo
la signora Olimpia Lorati gli tiene il broncio perchè, volendo pure
sposarsi, non ha sposato una delle sue figliuole.
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