Il Professore Romualdo - 07

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convitto — Indi soggiunse: — Venite qui; avvicinatevi al lume. Ecco il
conto della mia pupilla, regolato di semestre in semestre alla Banca.
L'ultimo saldo è del 31 dicembre.
— Ventottomilanovecentosessantasette lire! — esclamò il capitano
osservando la pagina che gli era indicata. — È possibile?
— Oh! È merito in gran parte degli interessi.
— Tutti gli interessi accumulati! Vi par poco? — continuò il Rodomiti,
mentre sfogliava il libretto. — Nessuna prelevazione dal 1861 in qua?
— Non m'è occorso di farne — disse semplicemente il professore.
— Invece una serie di versamenti — riprese l'altro con enfasi.
— Quello che ho potuto. Ho pochi bisogni, non ho una famiglia mia, non
mi ammoglierò mai; che dovevo farne de' miei risparmi?
— Ah caro Grolli — proruppe il capitano — è destino che ogni volta che
vi vedo io debba rimanere sbalordito.
— Avete torto. Ciò ch'io feci lo avreste fatto anche voi. E adesso,
terminate pure il vostro discorso.
— Ma adesso voi non accetterete forse la mia offerta...
— Quale offerta?
— Non ho famiglia neppur io, resterò celibe... come voi; mia sorella
non ha figli ed è ben provveduta; in tanti anni di lavoro ho messo
qualche cosa da parte... Alle corte, volevo far una piccola dote alla
Gilda.
— Grazie, grazie, capitano... Lo vedete, voi siete migliore di me,
voi pensate a quelli che non vi appartengono... Io, in fin dei conti,
non faccio che il mio ufficio di zio... Del resto, la Gilda vi è
già debitrice di molto; la dote che volevate regalarle serbatela a
qualcheduna delle vostre figliocce che sia in maggiori strettezze...
Intanto il capitale di mia nipote crescerà da sè con gli interessi...
e un altro poco lo farò crescere anch'io... Pel momento del matrimonio
insomma, che non sarà forse così vicino... la Gilda ha sedici anni e
qualche mese... pel momento del matrimonio saranno raggiunte, io spero,
le trentaquattro o trentacinque mila lire... Non sarà molto, ma, via,
non sarà nemmeno pochissimo.
— Siete un brav'uomo, caro Grolli, e siete un cuor d'oro... Mi fareste
quasi riconciliare coi dotti... Vi avverto, ad ogni modo, che voglio
pensar io al corredo... Ho un amico a Milano, al quale darò l'incarico
e che farà certo le cose per bene... Se poi potessi esser da queste
parti all'epoca delle nozze, s'intende che farei da padrino...
Dev'essere un bel giorno!
— Lo credete? — chiese il professore, ch'era sempre seduto davanti
alla scrivania, e che segnava macchinalmente col lapis delle figure
geometriche sopra un pezzo di carta.
— Sì, sì; perchè dovrebb'essere altrimenti? La donna è fatta per avere
una famiglia.
Vi furono alcuni secondi di silenzio. Alla fine il dottor Grolli
alzò il viso dalla carta, si levò gli occhiali, si passò la mano
sulla fronte, e disse: — Capitano, se foste qui in _quel bel giorno_,
consentireste a prendermi a bordo del vostro legno per qualche mese?
— Voi?... In mezzo alle balle di cotone e ai sacchi d'indaco?
— Sì — soggiunse il professore con quanto maggior disinvoltura gli fu
possibile. — Allora le mie cure di tutore saranno finite, avrò la mia
piena libertà, e ne approfitterò per vedere un po' di mondo. Che c'è di
strano?
— Nulla... Anzi... figuratevi se vi prenderei a bordo volentieri... Ma
chi sa dov'io sarò in quel tempo?
— Se sarete lontano, pazienza.
— Curiosa idea la vostra... E non vi fa male il mare?
— Non lo so, non ho mai provato... Speriamo di no.
— Siamo intesi dunque... Oh dev'esser tardi... Me ne vado... A
domattina.
— Verrò a prendervi all'albergo con la Gilda, e andremo insieme alla
stazione.
— Sì, addio, Grolli... Lasciate che vi stringa la mano... Sono superbo
della vostra amicizia. Non vi dico altro.
E i due uomini così diversi d'aspetto e d'indole, ma così conformi
nella rettitudine dell'animo, si separarono vivamente commossi.


XIV.

L'estate fu più soffocante del solito, e il professore Romualdo si
recò con la Gilda a passar parte delle vacanze in un albergo fra
le Alpi, lasciando che i Lorati andassero in un sito di bagni, ove
ci era più gente, più _chique_, e ove la signora Olimpia sperava
di maritare almeno una delle figliuole. Il professore, senza essere
alpinista, era un camminatore infaticabile; la Gilda, snella, leggera,
intrepida, sarebbe stata in grado, a detta delle guide, di affrontare
anche il ghiacciaio; però ella non osava di chieder tanto allo zio,
e si contentava di percorrere insieme con lui la parte meno scabrosa
di quei monti. Uscivano talvolta soli, talvolta accompagnati da un
ragazzo che portava gli scialli e le provvigioni, giravano a caso per
quattro o cinque ore, e si rifocillavano sdraiati sull'erba; mentre
a pochi passi scrosciava il torrente e gli abeti mormoravano sul loro
capo, e si udiva il muggito dei buoi e il tintinnìo delle capre sparse
pei pascoli. La Gilda era ammirata delle Alpi. Durante le sue gite
ella parlava poco, ma la commozione dell'animo le era scritta sul
viso; di tratto in tratto le sfuggiva un grido dal labbro, ed ella
rimaneva estatica dinanzi all'orrido pittoresco d'una gola profonda,
o alle fosforescenze di un ghiacciaio, o all'ampiezza d'una valle
illuminata dal sole. Talora, staccandosi d'improvviso dal fianco del
suo compagno, ella saliva su qualche punto elevato da cui lo sguardo
spaziava in più largo orizzonte. Il vento respingeva le falde della
sua veste succinta e le ciocche de' suoi capelli ricciuti, e la sua
bella persona immobile, con le braccia conserte, si disegnava come
una figura fantastica sullo sfondo azzurro del cielo. Intanto il
professore andava erborando per via e raccoglieva diligentemente entro
una scatola le varie specie di licheni, di genziane, di felci, di dafni
e d'altre piante della flora alpina, oppure frangeva qua e là con un
piccolo martello la roccia, e riempiva di pietruzze una borsa ch'egli
portava a tracolla. Poi la sera, in albergo, parlava di botanica e di
geologia alla nipote, la quale, a forza di fargli da assistente nel suo
laboratorio, aveva finito col prendere una leggera tintura scientifica,
e lo ascoltava con attenzione benevola.
L'albergo ove alloggiavano i nostri amici era uno dei soliti che
si trovano fra le Alpi, tozzo, massiccio, rettangolare, col tetto
acuminato, sporgente per un metro e mezzo oltre la linea dei muri,
con una ringhiera di legno che girava intorno al primo piano. Sul
frontone della porta d'ingresso era appesa un'insegna con dipintovi
a colori vivaci un quadrupede che dalla spiegazione scrittavi sotto a
caratteri cubitali doveva essere un camoscio. Nell'interno le pareti
foderate di legno, l'andito ingombro di scialli, di _alpenstocks_
e di funi. In cucina un ampio focolare, protetto, covato quasi, da
un'enorme cappa intorno a cui luccicavano i rami. Poco distante dal
focolare una stufa monumentale, che aveva l'aspetto di un mausoleo.
Nel salotto da pranzo una tavola oblunga, modestamente ma pulitamente
apparecchiata, con sedie di paglia tutto all'ingiro. Anche qui la sua
stufa; poi una credenza, e di fronte a questa una mensola con due o tre
scaffali di libri, e specialmente di _Guide_ delle Alpi e di romanzi
inglesi dell'edizione di Tauchnitz. Appesi alle pareti un barometro, un
termometro, una carta geografica della regione, alcune litografie senza
valore e alcuni avvisi d'alberghi italiani, svizzeri, francesi; sopra
un canterale un calamaio e l'_album_ dei viaggiatori fitto di nomi, di
osservazioni e anche di versi in più lingue.
Lo scorrere le pagine di quel libro era per la Gilda un gradevole
passatempo, ed ella sorrideva una mattina leggendo le note di una
signora di Londra, la quale nello stesso periodo manifestava il suo
entusiasmo pel pesce del lago e il suo dolore per non avere trovato in
quei siti un ministro anglicano, quando una riga più sotto ella vide un
nome che le strappò un'esclamazione di stupore.
— Che c'è? — domandò il professore Romualdo, che tagliava le carte
all'ultimo fascicolo d'una rivista scientifica, venuta a cercarlo
lassù.
— Leggi qui — ella disse, porgendogli il libro. Egli lesse — _Mario
Albani, pittore._
— Mario, sai — proseguì la Gilda — il figlio del signor Gedeone, il mio
antico compagno di giuochi; non può essere che lui. Quanti anni sono
che non lo vedo!... Scommetto che non lo riconoscerei più...
— Probabilmente sarà già partito — interpose il professore, a cui
questo nuovo personaggio destava una vaga inquietudine.
— No, no... guarda... dev'esser giunto oggi prima che noi scendessimo.
C'è la data: 5 agosto.
— Ebbene, se ci sarà lo vedremo... Non è poi conveniente di affannarsi
tanto per una persona che non ci riconoscerebbe nemmeno... Del
resto, un ragazzo balzano che ha piantato la famiglia per fare il suo
capriccio.
— Volevano che vendesse pepe e cannella, ed egli era artista
nell'anima... Si capisce...
— Oh!... Artista!... Il solito passaporto dei cervelli malati... Basta
— conchiuse il professore, che si accorgeva di essersi riscaldato
troppo — ciò non ci riguarda.
Proprio in quel punto, un passo d'uomo si fece sentire nell'andito,
e una voce maschia e melodiosa diede alcuni ordini in cucina. Indi
entrò nel salotto un bel giovane alto, spigliato, con l'aquila del Club
Alpino sul cappello. Aveva le chiome un po' lunghe, la barba nascente,
la carnagione abbronzita. I suoi occhi espressivi s'incontrarono subito
con quelli della Gilda ch'erano fissi sopra di lui. Anche il professore
lo guardava con singolare attenzione.
Egli stette un momento sospeso, le sue guance si dipinsero di un vivo
rossore, poi balbettò: — Ma?... Non m'inganno?... Il signor professor
Grolli?... E la Gil... la signora Gilda?
— Oh signor Mario! — esclamò la giovinetta, con un sorriso che le
illuminava tutta la fisonomia. — Mi ha ravvisata?
— No, veramente. Ho ravvisato il signor professore. E lei mi aveva
riconosciuto?
— Nemmeno; ma sapevo ch'era qui... dal libro dei viaggiatori.
Il professor Romualdo, il quale, essendo il solo che non avesse punto
cambiato aspetto da una diecina d'anni, aveva servito d'anello a questo
riconoscimento, dovette far di necessità virtù, e stringere, quanto più
cordialmente gli fu possibile, la mano del pittore.
I due giovani intanto non finivano di evocare i ricordi del passato.
— Si rammenta, signora Gilda, delle nostre scalate ai sacchi di caffè?
— Sì; e le sue cavalcate sui barili d'aringhe?
— E lo studio comparativo dei vari campioni?
— E quel famoso G A ch'ella dipinse sulla schiena della signora Dorotea?
— È viva la signora Dorotea?
— Oh sì... Un po' brontolona...
— Era tale anche allora... E quei suoi due gatti _Mao_ e _Meo_?
— Quelli son morti.
— Ma! Chi direbbe che son corsi tanti anni da quel tempo?
— Se si potesse tornare indietro!
— No, signora Gilda, non lo pensi nemmeno.
— Oh, perchè?
— È troppo bella così.
Questo complimento a bruciapelo fece salire le fiamme al viso della
giovinetta, che abbassò gli occhi e cercò di mutar discorso.
— Si trattiene qui un pezzo?
L'Albani rispose che aveva in animo di intraprendere l'ascensione
d'una tra le cime meno conosciute della catena, ma che gli era forza
aspettare il ritorno d'una guida impegnata per un paio di giorni con
altri forastieri. Intanto si poteva fare insieme qualche gita agevole
anche ai non alpinisti.
La Gilda applaudì di gran cuore alla proposta, il dottore Romualdo
l'accolse invece con assai mediocre entusiasmo, ma la nipote non durò
gran fatica a ribattere le sue obbiezioni. E invero, a che scopo eran
venuti lì se non a quello di girare fra i monti? E che altro avevano
fatto sino allora? Mario chiamò l'albergatore, e un po' consultandosi
con lui, un po' esaminando la carta geografica, stabilì la via da
percorrere il domani; poi, simile a un generale che determina in
anticipazione il suo campo di battaglia, segnò col lapis rosso il luogo
ove si sarebbe fatto sosta per desinare; infine ordinò egli stesso in
cucina di approntare un buon pezzo d'arrosto da mettere nel carniere.
L'oste lo ascoltava con la deferenza dovuta a un alpinista che era
salito due volte sul Cervino.
Per quel giorno l'Albani non lasciò quasi mai il professore e la Gilda.
Era cordiale, espansivo come chi fece un incontro inatteso e gradito,
e parlava volentieri dei suoi disegni per l'avvenire, delle sue
speranze, delle sue ambizioni. Si sentiva giovine, si sentiva forte,
aveva l'anima piena di poesia, d'ideale, vedeva turbinarsi davanti agli
occhi mille immagini che un dì o l'altro egli confidava di riprodur
sulla tela. No, egli non aveva sortito l'indole dell'uomo d'affari,
il suo ingegno non si era mai saputo acconciare alle discipline delle
cifre; che avrebbe fatto nello scrittoio di suo padre? Da fanciullo
in su aveva avuto un culto, un amore ardente, irresistibile; il
culto, l'amore del bello. La bellezza gli faceva piegar le ginocchia,
come cosa di cielo; e l'aveva cercata e la cercava per tutto,
negli splendori dell'alba e del tramonto, nella nota d'una musica
appassionata, nel fascino della poesia, nelle forme armoniose e nel
sorriso della donna. La religione del bello era tutto per lui; beati
i tempi in cui essa era l'ispiratrice dei popoli! Insomma egli era,
egli voleva essere artista: lo lasciassero seguir la sua via; forse
egli avrebbe presto o tardi toccato una meta non ingloriosa. Di quadri
finora non ne aveva fatto che uno, venduto a Zurigo e accolto con
benevolenza dai critici più severi. Ma si portava dietro un'infinità
di studi, di schizzi, gettati giù alla buona sul primo pezzo di carta
che gli cadeva sotto le mani. Erano tipi che egli aveva accarezzati
nella fantasia, o che aveva incontrati realmente nel suo cammino;
ricordi della vita, o ricordi del pensiero, ch'egli raccomandava alla
carta, con un segno, con una data ch'era per lui un filo d'Arianna onde
raccapezzarsi in quel labirinto. Nei libri che leggeva, e ne leggeva
molti (poesie e romanzi per lo più), cercava soggetti di quadri;
traduceva in linee i personaggi e le scene che l'autore aveva descritto
a parole. In questi suoi disegni appena abbozzati era il germe delle
sue opere venture; era il materiale greggio da cui egli sperava di
sprigionare il metallo prezioso.
Tutte queste cose Mario Albani diceva al professore e alla Gilda,
sciorinando davanti a loro quelli ch'egli chiamava i suoi scarabocchi
e spiegando donde ne avesse tratto l'ispirazione. La sua parola era
colorita, nervosa, e rivelava un giovane d'ingegno, un po' entusiastico
forse, un po' troppo fiducioso di sè, ma nel quale c'era a ogni modo la
stoffa d'un uomo non volgare.
Bisognava mettersi in moto la mattina all'alba, e quindi quella sera i
nostri _touristes_ si separarono presto, dopo aver preso un eccellente
_punch_ preparato da Mario, il quale, da buon alpinista, portava nel
suo piccolo bagaglio una mezza dozzina di limoni e una bottiglia di
_cognac_.
Quando il pittore fu nella stanza, egli si accorse ch'era muro a muro
con la Gilda. Egli picchiò sulla parete e disse: — Signora Gilda, la
sveglierò io domattina. — E diede altri due colpetti: — Mi sente? — Sì,
sì.
La Gilda poteva soggiungere ch'ella non aveva punto sonno, e che
probabilmente non avrebbe dormito in tutta la notte. E invero ella
si ravvoltolava nelle coltri senza chiuder occhio, pensando a quel
bizzarro incontro col suo antico compagno d'infanzia, là tra le
solitudini alpine, a mille duecento metri sul livello del mare. Com'era
mutato Mario! Ed era mutata anche lei, ed egli glielo aveva fatto
intendere con tanta galanteria, quand'ella aveva espresso il desiderio
di tornar bambina. — È troppo bella così — Queste parole le ronzavano
gradevolmente all'orecchio. Ella sorrideva a fior di labbro; poi, per
una rapida associazione d'idee, paragonava fra loro i tre uomini che le
pareva di conoscer meglio nel mondo, lo zio Aldo, il capitano e Mario.
Era possibile immaginarsi tre nature più diverse? Per l'uno la vita si
chiudeva tutta nell'austerità degli studi, per l'altro essa significava
il movimento, la lotta, il pericolo; pel terzo essa non aveva che uno
scopo: la ricerca appassionata del bello. Chi dei tre aveva ragione?
La Gilda non sapeva dirlo, ma l'istinto femminile l'avvertiva ch'ella
esercitava un impero su quelle tre anime.
Nella camera attigua, ch'era quella del professore, si vedeva lume
attraverso il buco della serratura.
— Sei desto ancora, zio Aldo? — chiese la Gilda.
Il chiamato balzò in sussulto. — Sì... Come lo sai?... Ho fatto romore?
— No, vedo chiaro.
— Leggevo... Ma tu perchè non dormi? Non ti senti bene forse?
C'era tanta tenerezza, c'era tanta ansietà nella voce del dottor
Romualdo, che la giovinetta ne fu commossa. — Che idee! — ella rispose
— sto benissimo... Oh! perchè spegni la candela?
— Perchè tu possa dormire.
— Povero zio Aldo! — pensò la Gilda — Come mi vuol bene!
Il professore aveva detto una piccola bugia. Egli non leggeva. Egli
riandava nella mente le cose della giornata, e cercava d'indovinar
l'avvenire. Che influenza avrebbe avuto sull'avvenire l'improvviso
incontro della Gilda e di Mario? Nessun giovine aveva mai parlato alla
Gilda con la confidenza di questo giovine; verso nessuno ella si era
mostrata tanto espansiva. Che fosse giunto anche per lei il momento
in cui l'_amore anonimo_ prende forma e contorni? Che questo pittore
entusiasta fosse l'uomo prescelto? Saprebbe egli amarla? Saprebbe
renderla felice?
Mentre il professore Grolli si agitava in questi pensieri, le tempie
gli martellavano e il cuore gli batteva con palpiti affrettati.


XV.

La Gilda era in piedi all'alba. Quando Mario picchiò sulla parete per
isvegliarla, ella gli disse, canzonandolo: — Scommetterei che è ancora
in letto.
— Già, mi alzo adesso.
— Bravissimo. E io sono bella e vestita.
— Bella sì, ma vestita no.
— O scusi, come può dirlo?
— Alle donne manca sempre qualche cosa.
Il pittore aveva ragione. Ella aveva ancora da dar l'ultima mano alla
sua _toilette_.
— A ogni modo — ella rispose — vedremo chi farà più presto ad uscir di
camera.
— Vedremo... Chiami il professore intanto.
— Oh! Quanto a lui, è pronto, e ci aspetta. Esce appunto adesso dalla
sua stanza.
Di lì a un paio di minuti, due usci si apersero allo stesso momento
sull'andito, e i due giovani si diedero il buon giorno con una risata.
— Sono stata prima io... di un secondo — disse la Gilda.
— Perdoni... Io ero già fuori con la testa, mentre lei... E poi, badi,
ha violato i patti.
— Come?
— Sì... Ella non finito la sua _toilette_.
— Oh! Che dice mai? — esclamò la fanciulla, tastandosi da tutte le
parti.
— Le manca d'agganciare un bottone.
— Dove?
— Là — egli rispose, segnando un punto del vestito.
— Questi sono cavilli. Insomma ho vinto io... Non è così, zio Aldo? —
ella esclamò, correndo verso il professore che camminava nell'andito
col capo chino e con le mani intrecciate dietro la schiena. E soggiunse
scherzosamente: — Bisogna far lega, noi due, contro questo signorino.
— Davvero? — replicò il professor Romualdo, sforzandosi a sorridere.
— Badino, badino — riprese l'Albani, e mentre parlava fece un mezzo
giro sui talloni. — Non vedono quello che ho dietro alle spalle.
— Sì... Ha lo zaino... Oh bella, vorrebbe farci paura con lo zaino? Se
dicesse l'_alpenstock_, meno male... Quello lì potrebbe passare per una
lancia...
— Oibò, oibò. La mia forza risiede oggi nello zaino. Sa che cosa c'è
qui dentro?... Ci sono le provvigioni, c'è l'arrosto, il salame, il
pane, il vino... Sta in me di affamare il nemico. E il nemico affamato
si arrende.
— O muore — soggiunse in tono eroicomico la giovinetta.
— Pazzerella che sei! — disse il professore.
Ed ella:
— Noi prenderemo d'assalto il deposito delle vettovaglie, non è vero,
zio Aldo?
— Pazzerella, pazzerella! — replicò questi. E invidiava la facile
allegria della gioventù, egli che non s'era sentito giovine mai.
Si discese in salotto, ove l'ostessa aveva approntato il caffè e latte;
poi si partì con la scorta di un ragazzo ch'era pratico della strada e
che portava gli scialli e i mantelli.
Era una splendida mattina; le cime dei monti illuminate dai primi
raggi del sole si disegnavano nitidissime nel cielo azzurro, un'aria
frizzante ed elastica, che infondeva lena alle membra, s'insinuava fra
i rami degli abeti e accarezzava mollemente l'erba rugiadosa. Si saliva
a grado a grado, ora traversando ampie praterie, ora addentrandosi
nelle macchie dei pini, ora costeggiando a ritroso qualche torrente
incassato nella montagna. La scena, come avviene tra le Alpi, mutava
ad ogni istante, a vicenda orrida e amena, angusta e spaziosa. Qua una
gola asserragliata fra due rocce a picco e ove l'acqua si precipitava
con un fracasso d'inferno, travolgendo nel suo corso i sassi ciclopici,
là una distesa di valli inondate di luce, avvolte in una quiete
solenne.
La flora ricchissima e la curiosa struttura geologica dei terreni
distraevano singolarmente il professore, al quale nessuna delle gite
passate aveva offerto sì largo campo di osservazioni. E l'Albani
prestava un aiuto insperato al suo dotto compagno, arrischiandosi
volentieri col suo piede sicuro nei posti meno accessibili a coglier
per esso le felci, le dafni, le sassifraghe, i ciclamini e i licheni.
Ma più spesso il pittore stava a fianco della Gilda, il cui volto
brillava d'uno schietto entusiasmo. I due giovani si comunicavano le
loro impressioni e provavano una dolce maraviglia a vedere quanta
conformità vi fosse nei loro gusti. La Gilda s'accorgeva per la
prima volta d'avere anch'essa istinti un po' avventurosi (era forse
l'inquietudine de' suoi genitori che le scorreva nel sangue), sentiva
che le tranquille abitudini casalinghe, in cui tante donne trovano
pure una compiuta felicità, avrebbero alla lunga finito col venirle
in uggia. Oh poter correre il mondo, poter affinare lo spirito nella
lotta, poter conoscer la vita! E il suo pensiero volava alla sua mamma,
il cui animo virile in mezzo alle più terribili prove le era stato
vantato tante volte dal capitano Rodomiti. Ma qui non poteva a mano
di sovvenirle un altro ricordo. La sua mamma era stata ingrata verso i
suoi parenti; ne imiterebbe ella l'esempio, sarebbe ingrata anch'ella
verso chi aveva fatto tanto per lei?
A millesettecento metri sul livello del mare, sopra un bell'altipiano
onde si godeva una veduta magnifica, l'Albani, che era il vero
capo della piccola brigata, ordinò di far sosta. Indi, deposto lo
zaino, ne sciorinò sul prato il prezioso contenuto. I viaggiatori si
adagiarono sull'erba e fecero onore al pasto frugale con l'appetito
che si trova sempre sulle Alpi dopo un'ascensione di alcune ore. Dato
fondo alle provvigioni, salvo una bottiglia di vino e alcune fette di
salame tenute in serbo per le circostanze imprevedute, Mario consultò
l'orologio e disse: — Ancora venticinque minuti, e poi ci rimetteremo
in cammino. — C'erano da fare altri cento metri di salita piuttosto
ardua, prima di giungere al punto che si era prefisso quale ultima meta
alla gita della giornata.
La Gilda pretendeva di non essere punto stanca, ma nel fatto ella
se ne stava molto volentieri distesa sull'erba, col _plaid_ sotto
il capo per guanciale, con l'occhio intento a seguire uno stuolo di
nuvolette bianche e leggiere che parevano rincorrersi verso occidente.
Il professore, seduto vicino a lei, aveva aperto la sua scatola da
erborista e passava in rassegna il ricco bottino della giornata,
enumerando le varie specie coi loro nomi latini e tentando di richiamar
l'attenzione della sua pupilla sopra una rarissima _gentiana nivalis_,
e sopra un _diantus atrorubens_ ch'era una maraviglia. Intanto
Mario, addossato al tronco di un larice sul ciglio dell'altipiano,
ora contemplava la scena circostante, ora si voltava a guardare la
leggiadra testina arrovesciata della fanciulla, e la gentile persona di
lei, che si mostrava in tutta l'armonia squisita delle sue linee.
A un tratto un buffo di vento scosse con estrema violenza i rami e
le foglie del larice, investì fieramente il pittore, e trasportò a
parecchi metri di distanza il cappello della Gilda e la scatola del
professore Romualdo, disperdendone i tesori botanici. Quando Mario
ebbe ricuperato il suo equilibrio, la ragazza il suo cappellino, e
il dottor Grolli la sua scatola vuota, i nostri tre viaggiatori si
guardarono sbalorditi. Sul loro capo il sole brillava in tutta la sua
magnificenza, e nulla offuscava l'azzurro di quella parte di cielo che
si offriva al loro sguardo; erano sparite perfino le candide nuvolette
di cui la Gilda accompagnava pur dianzi con l'occhio la rapida fuga. Ma
sul dorso della montagna ululavano le selve delle conifere, e, tendendo
l'orecchio, si sentivano giù nella valle latrati di cani e voci che
si chiamavano e si rispondevano di lontano, e muggiti d'armenti che
si affrettavano alle stalle facendo tintinnare i campanoni appesi al
collo. Nello stesso tempo, il ragazzo che serviva di guida e che s'era
dilungato alquanto in traccia di bacche selvatiche, tornò indietro
gridando: _L'uragano! l'uragano!_ Infatti, salendo sopra un rialto
di terra donde si dominava il lato opposto della valle, si vedevano
in fondo, nell'interstizio di due monti, grossi nuvoloni addossarsi,
accavallarsi gli uni sugli altri, e a poco a poco formare una sola
massa bruna, serrata, minacciosa. Indi quella bruna massa, foggiandosi
a cuneo come a romper le file di un esercito nemico, usciva dai suoi
accampamenti e si avanzava preceduta dal cupo rombo del tuono, resa
più terribile dallo spesseggiare dei lampi. La natura pareva oppressa
da un incubo, l'erba si piegava impaurita, dagli abeti scroscianti
cadevano le pine che il vento palleggiava come trastulli, dalla roccia
sgretolata precipitavano i rottami giù per la china; l'aquila sola,
roteando nell'aria, salutava col rauco suo strido la bufera imminente.
Si tenne un breve consulto. Procedere innanzi era impossibile;
tant'era mettersi addirittura sulla via del ritorno, e, se il temporale
scoppiava, cercar ricovero sotto qualche sporgenza del monte.
Mario si ravvolse nel suo _plaid_ e aiutò i compagni a fare
altrettanto, indi si cominciò la disastrosa ritirata. Il sole brillava
sempre e la sua viva luce contrastava singolarmente coi neri e densi
vapori che andavano via via diffondendosi tutto all'intorno. Secondo
la violenza e la direzione del vento, le ombre degli alberi si
allungavano, si accorciavano, si scontorcevano sul terreno, e intanto
il vento incalzava, e il tuono più romoroso, più insistente, faceva
tremar le montagne.
— Bisogna fermarsi qui, lontano dagli alberi — disse il professore,
additando il cavo d'una rupe.
Intanto le tenebre si stendevano dappertutto, coprendo ogni lembo di
cielo, nascondendo ogni vetta, invadendo la valle. Ma la tetra notte
era squarciata da incessanti baleni, alla cui luce rossastra gli
oggetti prendevano forme strane e paurose. Con un fracasso che superava
lo strepito di cento battaglie, il fulmine correva da nube a nube e
si precipitava dalle nubi alla terra, segnando di un solco mortale il
tronco dei pini più elevati, sprofondandosi nella roccia. Cominciarono
a cader di grossi goccioloni; quindi si rovesciò un torrente di pioggia
fitta, gelata, impetuosa. La natura era terribile, la sua voce tonante
copriva la voce dell'uomo. I nostri _touristes_ si erano avvicinati
istintivamente gli uni agli altri; ma non potevano scambiarsi una
parola. Bensì, all'assiduo barbaglio dei lampi, la Gilda vedeva gli
occhi di Mario e dello zio che la fissavano con pari sollecitudine;
que' due uomini non erano inquieti per sè, ma per lei. Ella sorrideva
ad entrambi per tranquillarli, e abbandonava la sua mano nella mano
vigorosa del pittore. Talora, con un cenno del capo, ella additava il
piccolo montanaro ch'era il meno intrepido della comitiva, e che le si
era accovacciato ai piedi turandosi le orecchie coi due pollici.
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