Il Professore Romualdo - 06

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conversazione; era una cosa da far strabiliare! Ma il medico aveva
giudicato opportuno che la Gilda conoscesse qualche persona dell'età
sua, ed erano su per giù della stessa età le figlie del rettore. Il
cavaliere Lorati era una buonissima pasta d'uomo, che da venti anni
professava diritto civile e in tutto questo tempo non aveva mutato
una virgola alle sue lezioni. Gli scolari sapevano come ogni lezione
principiava e come finiva, e spesso il professore aveva la compiacenza
di sentir correr lungo i banchi una frase ch'egli non aveva ancor
detta. Del resto, il cavalier Lorati era tenuto in conto di persona
sapiente; era segretario della locale Accademia di scienze e lettere,
e in questo ufficio aveva avuto agio di svolgere le sue naturali
disposizioni per le commemorazioni funebri. Infatti, quando moriva
un socio, era a lui che toccava darne la triste novella, e la dava
_col cuore spezzato_. Il buon professore non avrebbe ommessa questa
frase per tutto l'oro del mondo. Ma non era soltanto in favore dei
soci dell'Accademia che il cavalier Lorati versava il suo inchiostro
e le sue lagrime. Chiunque passasse agli eterni riposi, per poco che
fosse conosciuto da lui, aveva il conforto d'un suo cenno necrologico
preceduto da un motto latino, o da uno dei soliti emistichi, come —
_Morte fura — Prima i migliori e lascia star i rei_ — oppure — _Sol chi
non lascia eredità d'affetti — Poca gioja ha dell'urna_.
Un'altra bella qualità del cavaliere era la sua sommissione agli
oracoli della signora Olimpia, sua moglie, donna notevole per molti
rispetti, e particolarmente per quello di madre di famiglia. Ella
aveva studiata a fondo la situazione matrimoniale delle sue figliuole
e soleva cantar loro su tutti i toni: — Bimbe mie, vostro padre è un
sapientissimo giureconsulto, ma voi non avete quello che si dice il
becco d'un quattrino, e ai tempi nostri una lepre verrà a gettarsi in
braccio del cacciatore prima che un uomo venga spontaneamente ad offrir
la sua mano a una ragazza senza dote; perciò abbiate bene in mente che
bisogna aiutarsi da sè, non aver romanticismi, non patir distrazioni,
cercar molto e cercar sempre, e quando si crede di aver trovato, badare
che non isfugga la preda. Io sono vostra madre e farò il dover mio. Ma
farei ben poco se non mi secondaste.
Fedele alle sue savie massime, la signora Olimpia metteva in mostra
la sua Ginevra e la sua Giulia quanto più poteva, e non mancava di
condurle a passeggio, alle funzioni di chiesa, ai dibattimenti della
Corte d'assise, dappertutto insomma dove vi fosse la speranza di veder
comparire quella rara selvaggina che si chiama un marito. Inoltre ella
riceveva due sere la settimana. Erano ricevimenti alla buona; alcuni
professori con le mogli e le figliuole, alcuni parenti dei professori,
e una mezza dozzina di studenti, nei quali la signora Olimpia aveva
creduto di scoprire la stoffa matrimoniale.
Per i professori c'era un tavolino a parte, intorno al quale essi
impegnavano discussioni rumorose sui regolamenti universitari, sui
ministri che s'eran succeduti all'istruzione pubblica, sugli esami e
sulle propine. Ma il grosso della compagnia sedeva a una gran tavola
rettangolare, su cui la Ginevra e la Giulia stendevano con moltissima
cura un tappeto di lana che ricadeva sin quasi sul pavimento. I maligni
volevano far credere che all'ombra di quel tappeto si stabilissero
fra gli studenti e le ragazze attivissime comunicazioni di mani e di
piedi, assai più gustose dei giuochi di società che avevano luogo alla
superfice.
Alle dieci la signora Olimpia distribuiva agli invitati una tazza
di tè leggiero in modo da non alterare il sistema nervoso, e le
padroncine giravano un piatto di _sandwichs_ preparati dalle loro
mani. Alle undici la compagnia si scioglieva, salvo i pochi casi in
cui tra gl'invitati si trovasse una persona di buona volontà da suonar
l'armonica e da permettere alla gioventù di far _quattro salti in
famiglia_.
Un osservatore superficiale troverà senza dubbio che la signora
Olimpia, sollecita com'era di procurar marito alle sue figliuole,
commetteva una leggerezza invitando ai suoi convegni serali la Gilda,
che dava scacco matto a tutte e due. Ma la signora Olimpia aveva vedute
più larghe e profonde. Ella pensava che la bellissima giovinetta poteva
servir d'uccello di richiamo e far venire in casa qualcheduno che non
ci sarebbe venuto altrimenti. — E pur che ci vengano almeno in due —
rifletteva l'accorta donna — io ci avrò sempre guadagnato. Quand'anche
si appiccicassero entrambi alla nipote del Grolli, più d'uno ella non
ne sposerebbe; l'altro resterebbe sempre amico di famiglia, e allora,
chi sa?
Non si può creder quante feste si facessero dalla famiglia Lorati ai
due nuovi ospiti. Le ragazze volevano sedere l'una a destra, l'altra a
sinistra della Gilda, la colmavano di elogi sulla sua bellezza e sulla
sua grazia, la iniziavano ai segreti dei dilettevoli giuochi di _scopa_
e _campana e martello_. La signora Olimpia e il rettore prodigavano
le più tenere cure al professor Romualdo, e anzi il rettore sentiva
l'imperioso bisogno di fargli ogni momento il solletico sulle ginocchia
e di ripetergli con infinita espansione: — Ma bravo il nostro Grolli,
che si è risolto a uscir dal suo guscio!
E gli altri professori in coro: — Bravo Grolli! Bravissimo!
Nell'ora del tè poi era la signora Olimpia in persona che portava la
tazza al dottor Romualdo e gli offriva i _sandwichs_. Faceva servire
gli altri invitati dalle figlie, ma il dottor Romualdo voleva servirlo
ella stessa.
I colleghi, con la insistenza uggiosa dei dotti quando pretendono di
far gli uomini di spirito, celiavano costantemente su queste attenzioni
speciali della signora Olimpia pel Grolli. — Ehi Grolli, state in
guardia... la signora Lorati insidia la vostra innocenza... Badate che
non si ripeta il caso della moglie di Putifarre.
Il professore si agitava sulla sedia e borbottava infastidito: — Che
discorsi! — E si confermava sempre nell'idea ch'era meglio vivere
a sè, tenersi lontani anche dai colleghi, e non aver con loro altre
relazioni che quelle volute dagli studi. Ma oramai erano vani rimpianti
e conveniva rassegnarsi all'inevitabile.
Gli omaggi di cui la Gilda era l'oggetto in casa del rettore
non le facevano salire i fumi al cervello. Lasciava discorrere i
damerini senz'accordar preferenze ad alcuno, e quando giungeva il
momento desiderato dei _quattro salti in famiglia_, ella ballava
indifferentemente con tutti, più entusiasta della danza che dei
danzatori. Com'era bella allorchè il giro vorticoso del valzer le
invermigliava le gote e le scompigliava i capelli, e il suo piede
leggiero appena sfiorava il pavimento, e la sua persona agile, snella,
succinta, si disegnava in mille pose sempre diverse e sempre leggiadre
e composte!
— Che allegria, non è vero, in queste festine? — diceva il cavaliere
Lorati, stropicciandosi le mani e andando dall'uno all'altro crocchio.
— Benedetta la gioventù!... Ci s'ingrassa proprio a vederla divertirsi
in tal modo... Voi, caro Grolli, vi siete fatto vecchio prima del
tempo... Avete avuto torto, un gran torto... Quanti anni avete?
— Trentacinque fra poco.
— Guardate un po' se un uomo a trentacinque anni dovrebbe star lì
impalato presso uno stipite invece di ballare con le ragazze... Fin che
si tratta di me che non aspetto i sessanta...
Ballare! Egli, il professor Grolli! Che idee! Le coppie danzanti
lo urtavano, lo investivano, ed egli rimaneva come trasognato. In
quell'intrecciarsi delle braccia, in quel confondersi del respiro, in
quel mover del piede in cadenza, in quell'abbandonarsi della persona
all'onda dei suoni, c'era dunque, ci doveva essere un piacere ch'egli
non aveva mai provato, ch'egli non sapeva comprendere, ma di cui gli
era impossibile non ravvisare l'espressione schietta ed ingenua nelle
facce giovanili ch'egli vedeva passarsi davanti. Era proprio vero.
C'era un mondo di cui egli non aveva nemmeno toccato la soglia.
Negl'intervalli fra un ballo e l'altro la Gilda veniva a dargli un
saluto e a chiedergli se si divertiva... Oh! tanto... Egli la seguiva
mestamente con l'occhio mentre ella s'allontanava a braccio di un
_cavaliere_ qualunque. Egli pensava che la cara bambina la quale gli
aveva insegnato a comprender la famiglia, non era più sua; le acri
voluttà della vita si erano impadronite di lei: oggi era il ballo,
era l'ingenua soddisfazione di sapersi ammirata; domani sarebbe stato
l'amore, forse la passione violenta, irresistibile, fatale.
— Fra un paio d'anni bisognerà dar marito a quella ragazza — diceva il
rettore battendo sulla spalla del dottor Romualdo. — Cospetto! Come è
cresciuta bene!... Grande scoglio questo del matrimonio... E io ho da
provvedere a due... Meno male che se ne incarica Olimpia.
Un discorso così naturale come quello del matrimonio della nipote
recava al professore una molestia inesplicabile, ed egli sfogava il suo
dispetto parlando con amarezza di tutti i giovani i quali frequentavano
la famiglia Lorati.
Nel tornare a casa, una sera, la Gilda gli chiedeva il suo parere sopra
certo Norio, ch'era una conoscenza recente e che pareva destinato a
divenire il beniamino della società.
— È un giovine che non riuscirà a nulla — replicò vivamente il
professore.
— O perchè dici così? — ella soggiunse.
— Perchè? A che vuoi che riesca un giovine che è venuto qui per
istudiare e pochi giorni dopo il suo arrivo non sa impiegar meglio la
sera che ballando e facendo giuochi di compagnia?
— Dio buono! Alla sua età non gli sarà lecito divertirsi?
— Alla sua età il divertimento per i giovani seri, per i giovani
che vogliono diventar qualche cosa, è lo studio. Ne ho conosciuti
io di questi giovani, che vegliavano fino a tarda ora sui libri,
affaticandosi la mente, logorandosi gli occhi, che si alzavano
poi la mattina prima del sole e ripigliavano il lavoro lasciato a
mezzo, intenti a decifrare una formula, a risolvere un problema...
Oh non erano eleganti, no... Non avevano la scriminatura perfetta, i
baffetti arricciati, il colletto candidissimo, il nodo della cravatta
d'una simmetria architettonica, non avevano i bottoncini d'oro sulla
camicia... no, no... le loro vesti erano sgualcite, la loro biancheria
era frusta, i loro capelli scomposti... Le donne non li guardavano con
compiacenza...
— Ma, zio Aldo — interruppe Gilda — saranno stati indecenti.
— Non me ne intendo io... Erano poveri...
— Ebbene, che colpa ha il signor Norio se la sua famiglia è piuttosto
agiata?
— Colpa? Non ne ha nessuna, ma gli manca la più grande maestra della
vita, la povertà. Male alloggiati, mal nutriti, mal coperti, si trova
che vi è una sola consolazione, il lavoro, lo studio... La vita del
pensiero diventa la vita del corpo; non si sente la fame, non si sente
il freddo... Per mesi e mesi si mangia un pane di meno al giorno,
tanto da comperarsi un libro nuovo, e quel libro acquistato così
faticosamente ha per noi maggior pregio che non abbia pei bellimbusti
un abito da ballo, e per voi altre donne un vezzo d'oro e di perle...
Voltarne e rivoltarne la coperta, tagliarne le carte, aspirare l'odore
acre della stampa ancora umida e fresca, ecco tanti piaceri ignorati
dal comune della gente... Che c'importa delle travi affumicate, che
c'importa delle pareti sgretolate e crollanti?... I nostri occhi
guardano più in là; essi abbracciano il mondo intero...
— E nessuna compagnia, nessuna distrazione? — chiese la Gilda, che non
aveva mai trovato lo zio Aldo così eloquente.
— Distrazioni?... Qualche passeggiata all'aria aperta, nelle ore del
sole l'inverno, nelle ore del fresco l'estate... Compagnia?... Fra i
vivi, tre o quattro coetanei delle stesse condizioni e degli stessi
gusti; fra i morti, tutti i migliori... Tutti quelli che hanno stampato
un'orma nel campo degli studi; tutti quelli che hanno aggiunto una
verità al patrimonio della scienza... e t'assicuro io che valgon meglio
della folla volgare e piccina dalla quale siamo attorniati.
— Tu hai fatto questa vita, zio? — domandò la Gilda commossa.
— Ho parlato di me?
— Oh! T'ho inteso benissimo... Fosti tu pure uno di quelli che hanno
lottato, che hanno patito.
— Ne conobbi tanti che patirono di più...
— Povero zio Aldo! — rispose la fanciulla alzando verso di lui gli
occhi inteneriti. — Sei rimasto solo presto?
— Sì — egli rispose, scosso da quella voce soave, da quello sguardo
penetrante. — Ma lasciamo questo discorso... Vedi che ormai la burrasca
è passata.
La Gilda sapeva che suo zio non era mai stato ricco, ma ella
ignorava ch'egli avesse avuto una giovinezza così travagliata, e
strappandogliene per la prima volta la confessione non poteva a meno di
ammirare in lui la forza dell'animo alieno da ogni vanteria.
— Hai ragione, zio Aldo — ella soggiunse dopo una breve pausa. — Quelli
che tu hai descritti sono i giovani degni di essere amati.
Egli sentì corrersi un fremito per le vene; poi disse sospirando: —
Amati da una donna! A che pro?... Allora non istudierebbero più.
— Oh zio Aldo — sclamò la Gilda — come sei cattivo con noi donne!


XIII.

Nel maggio di quel medesimo anno, il professore e la Gilda ricevettero
una visita non meno cara che inaspettata, quella del capitano Rodomiti.
Il capitano non si era mai dimenticato dei suoi amici, scriveva loro
ogni tre o quattro mesi, mandava regali alla sua figlioccia, e le
prometteva sempre che sarebbe venuto a salutarla. Ma, sinchè il suo
bastimento si trovava nei mari dell'India e del Giappone, egli aveva
un bel promettere, e la Gilda diceva ridendo: Lo _zio Tonino_ discorre
delle sue visite come s'egli fosse a Firenze o a Milano invece d'essere
a Hongkong o a Singapore. — Adesso però egli si era diviso non senza
rammarico dalla sua vecchia _Lisa_, e assumeva il comando di un legno
di gran portata uscito appena dai cantieri di Sestri Ponente per conto
d'uno dei principali armatori della riviera Ligure. Prima d'imbarcarsi
e di star lontano dall'Italia chi sa quanti anni ancora, aveva chiesto
una licenza di due settimane, e ne approfittava per venir a vedere
coi propri occhi i cambiamenti successi in quasi dodici anni nella
vispa bambina ch'egli aveva condotta da Montevideo a Genova. Come lo
accogliessero non c'è bisogno di dirlo. Il lungo tempo trascorso dal
primo ed unico incontro fra il professore e lui non aveva lasciato
segno visibile sulla sua fisonomia e sulla sua persona. Una vita
attiva sin dall'infanzia, esercitata alle fatiche, alle privazioni e
ai pericoli, abbrevia forse il periodo della giovinezza, ma prolunga
quello della virilità. L'uomo comincia più presto, ma finisce più
tardi. Il Rodomiti toccava i sessanta, ma a vederlo lo avreste detto
appena cinquantenne. Giusto di membra nelle sue proporzioni colossali,
egli si conservava sempre ritto e imponente; l'occhio limpido e vivace
esprimeva il connubio della forza e della bontà; non era facile trovare
un pelo bianco nella sua barba e nei suoi capelli che incorniciavano
l'ovale regolare della sua faccia abbronzita. In collera era terribile,
terribile come l'Oceano di cui aveva affrontato così spesso le
tempeste; ma le tempeste della sua anima erano molto meno frequenti
di quelle del mare, e i suoi scoppi d'ira non erano mai cagionati
da futili motivi. Solo i deboli, quando non sono pusillanimi, sono
irascibili. Il capitano Antonio era d'ordinario pronto al sorriso e
all'arguzia; la sua voce tonante sapeva piegarsi alle inflessioni più
dolci, più carezzevoli, specialmente quand'egli si trovava in mezzo
ai bambini. Oh i bambini egli li amava tanto! Non v'era porto toccato
dalla sua nave ov'egli non ne conoscesse qualcheduno, e la sua cabina
era piena di gingilli ch'egli portava da una parte all'altra del mondo
per regalarne i suoi piccoli amici. E che feste essi gli facevano! Come
gli si arrampicavano sulle spalle, come gli tiravano la barba! Era
padrino di quasi tutti i figli de' suoi marinai, e la soddisfazione
ch'egli vedeva dipingersi in tante famiglie al suo comparire lo
dispensava dall'avere una famiglia propria. D'indole espansiva e
gioviale, egli narrava volentieri i suoi viaggi, che gli avevano fatto
conoscere uomini e paesi diversi, e veniva sempre alla sua conclusione
favorita: — Ciò che v'è di meglio dappertutto sono i fanciulli.
— Meglio delle donne? — chiedeva qualcheduno maliziosamente.
— Eh! mille volte meglio.
Il capitolo delle sue avventure galanti sarebbe stato lungo e curioso;
ma egli non voleva parlarne mai, e, se altri tentava di tirarlo in
lingua, egli rispondeva con monosillabi e guardava i globi di fumo
svolgentisi dalla sua pipa.
Con immenso terrore della signora Dorotea, il professor Romualdo
avrebbe voluto dare ospitalità al capitano; ma questi preferì aver la
sua libertà e scendere all'albergo. Egli veniva però ogni mattina a
prender la Gilda, che si appendeva al suo braccio, e sebbene dovesse
alzar molto gli occhi per fissarlo in viso e stentasse alquanto a
mettere i suoi passi al pari con quelli di lui, era superba di un così
maestoso cavaliere. Si sentiva più di una esclamazione intorno a loro,
si vedeva più d'un curioso far sosta un momento e voltarsi indietro,
colpito dalle dimensioni colossali del capitano.
— Ho questa statura da quarant'anni e non ci si sono ancora avvezzati
— osservava sorridendo il Rodomiti, mentre si avvicinava con cautela
alla vetrina di qualche negozio e abbassava il capo per non urtar nei
lampioni.
Il capitano e la Gilda avevano una infinità di cose da dirsi. Egli
rinverdiva nella mente di lei le immagini illanguidite dei primi anni,
le discorreva di sua madre; ella, dal canto suo, gli parlava dello zio
Aldo, della sua bontà, del suo amore allo studio, della sua timidezza.
— Un brav'uomo, un brav'uomo — soggiungeva con un accento convinto il
capitano. — È un uomo di cuore... Non mi dimenticherò mai del nostro
primo incontro. Egli pareva sbigottito della mia statura; io, a vederlo
così piccino, così impacciato, non n'ebbi la migliore impressione... È
più basso di te, non è vero?
— Oh, di qualche centimetro...
— A ogni modo, adesso è migliorato anche nell'aspetto... Adesso senza
dubbio si rade, si pettina... è quasi bello al paragone... Ma allora
era un vero istrice... Indossava poi un certo vestito da viaggio...
Oh che tipo! Però non mi ci volle molto a riconoscere un fior di
galantuomo... Non esitò un istante, accettò lealmente, francamente,
il legato lasciatogli da sua sorella... Non tutti avrebbero fatto
altrettanto.
— Lo credo io! — esclamava la Gilda. E raccontava le mille attenzioni
che il suo tutore le prodigava, la cura ch'egli si prendeva della sua
educazione, i sacrifizi d'ogni specie ch'egli faceva per lei. — Già —
ella diceva — ne fa uno grandissimo a tenermi seco... Non può soffrire
le donne... Alle fanciulle fa grazia, ma con le donne è inesorabile...
Quando mi son cambiata di pettinatura (in collegio tenevamo i capelli
raccolti in due lunghe trecce che ci cadevano giù per le spalle) egli
durò fatica ad avvezzarvisi. A ogni passo che faccio per uniformare la
mia _toilette_ a quella delle mie coetanee, vedo lo zio annuvolarsi
in viso... E non è già per la spesa... no certo, gli è che lo zio mi
avrebbe voluto sempre bambina.
E la Gilda guardava istintivamente le sue sottane ancora un po' corte.
Una mattina il Rodomiti chiese ed ottenne licenza di condur seco per
qualche giorno la ragazza a Milano. Questo viaggetto finì con un gran
colpo di scena. Poichè, nella sera in cui il capitano e la Gilda furono
di ritorno, la signora Dorotea mise un grido, e per poco non lasciò
cadere di mano il lume con cui ella era venuta ad aprire.
— Chi è? chi è?
— Zitta, sono io... Non mi conosce? — disse la Gilda, avviandosi
frettolosa verso la camera dello zio. Il capitano Rodomiti la seguiva
più lentamente, e con la sua presenza metteva in soggezione la vedova
e la forzava a starsene muta.
Il professor Romualdo era seduto davanti alla scrivania con le mani
sprofondate nei capelli, cogli occhi fissi sull'ultimo numero del
_Journal des mathématiques_, con le spalle rivolte all'uscio. Una
candela con cappello di cartoncino verde raccoglieva la poca luce sullo
scrittoio e lasciava in ombra il resto della stanza.
La Gilda entrò in punta di piedi, s'avvicinò adagio adagio alla sedia,
e appoggiandosi alla spalliera, disse: — Zio Aldo.
Egli diede un sobbalzo. — Sei tu Gilda? — Poi guardò dietro a sè, e il
suo volto, che s'era composto a un sorriso, si atteggiò a un immenso
stupore. — Chi è?...
In fondo, presso all'uscio, s'intese lo scoppio d'una risata.
— Non conoscete più vostra nipote? — chiese il capitano.
— Ma...
Il professore, riavendosi a poco a poco dalla sorpresa, si alzò da
sedere, sollevò la candela fino all'altezza del viso della Gilda, e
ripetè più volte — È possibile?
— Possibilissimo — rispose il capitano Antonio. — Il rubino è quello
di prima; è cambiata soltanto la legatura... La Gilda esitava, ella mi
ripeteva che lo zio ha dichiarato guerra a morte alle donne, e che ella
non poteva sperare di vedersi trattata da lui con la solita intimità se
non conservando le apparenze della fanciulla... Baie, io le risposi;
faremo accettare al signor zio il fatto compiuto... O vuoi restare
perpetuamente cogli abiti corti? Persuasa a mezzo, me la son condotta
a Milano, e la ho fatta vestire a modo mio... Fu proprio a modo mio?
— No, per dire la verità... Tu sceglievi certe stoffe, certi colori...
— Non avrò buon gusto; già, quello lì, a bordo non si acquista... Io
volevo un po' più di lusso... Ma questa signorina fu così modesta, così
discreta... diverrà una valente massaja... Insomma, la guardi, signor
orso, e vada superbo d'una così bella nipote (tùrati le orecchie,
Gilda), e confessi che le donne non sono poi la più brutta parte
della creazione... Santo Dio! Che bujo c'è qui dentro! — continuò
il capitano, fregandosi un fiammifero sui calzoni e accendendo con
quello una candela che era sul canterale. — Oh! così! Sono soddisfatto
davvero... Brava _madama_... Come si chiama la fata?
— _Madama Chaillon!_
— Brava _Madama Chaillon_!
Il capitano sedette sul canapè, si stropicciò le mani, e stirò sul
pavimento le sue lunghissime gambe.
L'ammirazione del capitano Rodomiti non era affatto irragionevole,
perchè la Gilda non era mai stata così bella come quella sera. Il
suo vestito non le faceva una grinza; ed ella lo portava con la
disinvoltura d'una gran dama.
— Via, via, caro Grolli — continuò il capitano, ch'era in vena di
chiacchierare — perdonate alla vostra pupilla il delitto di aver
passati i sedici anni e di avere un paio d'occhi che faranno girare il
capo a molti.
— Capitano! — interruppe il dottor Romualdo.
— So che queste cose non si dovrebbero dire in presenza della ragazza,
ma la Gilda ha giudizio e non c'è pericolo che gli elogi la guastino...
E poi, lasciatemi discorrere ancora stasera, chè domani parto, e me ne
vado alla Plata... Dunque, non le tenete il broncio?
— Ma che broncio? Io non vi capisco — proruppe il dottor Romualdo,
alquanto confuso. — È un pezzo che mia nipote non è più una bambina,
eppure io non le ho scemato l'antico affetto.
— Oh, no — proruppe la Gilda.
— Non basta, non basta — riprese il capitano, spingendo fuori della
bocca una grande nuvola di fumo — bisogna che la Gilda possa avere
per voi tutta la confidenza ch'ella avrebbe pei suoi genitori... Si
avvicina il momento dei segreti scabrosi; guai se una ragazza non sa a
chi rivelarli! Me ne intendo, io, di queste cose; quando le mie cento
figliocce sparse nelle cinque parti del mondo mi veggono arrivare,
esse sanno ch'io leggo sul loro fronte le novità che sono accadute nel
loro cuoricino... E vi assicuro, professore mio, che queste novità si
rassomiglian tutte, tanto alla Nuova Zelanda quanto in Italia, tanto
nella Polinesia quanto al Messico, tanto al Capo di Buona Speranza
quanto al Giappone... È così, e la vita convien prenderla com'è...
Il capitano, alzatosi in piedi, camminava lentamente per la stanza,
e la sua ombra gigantesca si disegnava sulla parete; il professore,
inquieto, guardava ora lui, ora la Gilda, ch'era immobile con un gomito
appoggiato alla spalliera d'una seggiola, cogli occhi chini al suolo.
— Qui non c'è scritto ancora nulla — soggiunse il Rodomiti,
avvicinandosi alla giovinetta, ponendole una mano sotto il mento e
sforzandola a guardare in su — qui non c'è scritto ancora nulla — e a
queste parole il dottor Romualdo si sentì liberato come da un incubo.
— Ma — continuò il loquace capitano — un dì o l'altro qualche cosa ci
sarà scritto sicuramente, e allora, siccome io mi troverò sull'Oceano,
e il professore queste formule non sa decifrarle da sè, sarà necessario
che _madamigella_ si faccia coraggio, e dica nell'orecchio allo
zio ciò che la turba... E il signor zio deve promettermi che non si
scandalizzerà punto, ma farà bene anche allora la sua parte di babbo.
Siamo intesi, Gilda?
— Sì — ella rispose, arrossendo.
— E voi, Grolli?
— Ma sì, è naturale... Che uomo siete!... Che discorsi avete tirato in
campo stasera! — disse il professore che smaniava sulla seggiola.
— Oh in quanto a me non ho mai capito che sugo ci sia a non voler
guardar le questioni in faccia e a trattar le ragazze come se vivessero
in un altro mondo... Adesso però puoi lasciarci, Gilda. Avrei da dire
una parola a tu per tu al professore.
— A me?
— Sì, a voi... Oh una cosa da nulla... A rivederci domattina, Gilda;
verrai ad accompagnarmi alla stazione?
— Sicuro, e anche lo zio ci verrà.
La giovinetta prese una candela e si ritirò nella sua camera, ov'ebbe
una gran tentazione di dare un bacio alla propria immagine nello
specchio. Ella sapeva da un pezzo che non era brutta, ma quella sera
soltanto ella acquistava la persuasione di esser veramente bella.
— Dunque? — disse il professore, quando fu solo col capitano Antonio.
— Non vi sgomentate... Pare impossibile... Siete un brav'uomo, ma
troppo apprensivo... Permettete.
Il Rodomiti si mise a sedere sul canapè, che scricchiolò sotto
l'immane peso; accavallò una gamba sull'altra e, gonfiando e sgonfiando
successivamente le guance, mandò tre gran boccate di fumo.
— Dunque quello che volevo dirvi è questo. Non è lontano il tempo in
cui vostra nipote prenderà marito...
— E di nuovo quest'argomento! Non avete dichiarato or ora che non c'è
nulla?
— Sicuro; a tutt'oggi non c'è nulla... Ma bisogna intenderci... Non
c'è nulla di personale... La Gilda si trova nello stadio dell'amore
anonimo.
— Non v'intendo.
— È tanto facile — replicò il capitano. — Benedetti dotti!... Ogni
ragazza, professore mio, prima d'innamorarsi di qualcheduno, attraversa
un periodo nel quale prova vagamente, indeterminatamente l'amore...
I poeti ve la spiegherebbero in lungo e in largo; io sono tagliato
alla buona e parlo come so... Del resto, se non foste un originale, mi
avreste indovinato per aria, giacchè quella condizione dell'animo non
è una particolarità delle sole donne... Insomma, per venire a bomba,
quando una ragazza è entrata nella fase dell'amore anonimo, ella non
tarda molto a dar forma alle sue fantasie, non tarda molto a passar
nella fase dell'amore personale... Mi sono spiegato chiaro, spero...
— Sì, sì... Insomma troverà qualcheduno che le piacerà, e vorrà
sposarselo... Tutti i gusti son gusti.
— Credete pure che quello lì è un gusto che durerà per un pezzo... Ma
la morale del mio discorso è questa: nulla è più difficile che maritare
una ragazza senza un soldo di dote.
— È quello che dice anche il professor Lorati.
— Ora, scusate la mia franchezza... Voi non siete ricco...
— No, certo.
— Dei quattrini che la Gilda ha portati con sè da Montevideo non ne
resterà ormai quasi più...
— Come?
— Sfido io! Dopo tanti anni, per poco che la ragazza vi sia costata...
Il dottor Romualdo alzò la ribalta della scrivania, e ne tolse un
libretto, dicendo: — Mia nipote non poteva star presso di me come in un
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