Il ponte del paradiso: racconto - 14

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— Ai patti, ai patti, e non mi seccare. Queste ragazzate non sono degne
di te, nè di me. Rimane da assestar la seconda; quella del tuo
matrimonio.
— Ah sì, proprio quello! — esclamò Filippo, tentennando la testa.
— Quello, infatti; — ribadì l’altro, inflessibile. — E mi preme, perchè
c’è impegnato il mio onore. Ricorda ciò che ti dicevo ieri; niente è
mutato nella mia condizione delicatissima rispetto ad Anselmo Cantelli.
Dunque, stammi a sentire; senza interrompermi, il che mi annoierebbe;
senza opporti al mio volere, il che mi offenderebbe, e sarebbe una
giunta crudelmente inutile.... a tutto l’altro che sai. —
Filippo s’inchinò senza proferir parola; e Raimondo pacatamente seguitò:
— Anzitutto, niente traspiri di ciò che è seguito tra noi. Anselmo è
arrivato stamane; e proprio nel punto buono! Ma io debbo mantenermi
fermo nella proposta, ch’egli ha accettata, e per cui egli è venuto.
Anselmo è il re dei galantuomini; non merita d’esser trattato alla
leggera, e molto meno di essere canzonato da noi. Tu dunque, sposerai
Margherita. Sicuro, poichè non è toccato a te il cattivo numero, la
sposerai. Andrò oggi sulle quattro al Danieli; già mi sono fatto
scusare, della mia assenza alla stazione, dal Brizzi; dal Brizzi, che ho
pure mandato a casa.... mia.... — e qui Raimondo fece la pausa e l’atto
di chi ingoia sforzatamente un amaro boccone, — a casa mia, dico, per
avvertire che non sarei andato a far colazione, ma soltanto
m’attendessero a pranzo. Così, vedi, tra le quattro e le sei avrò finito
di combinare ogni cosa con Anselmo, e tu potrai fare questa sera la tua
visita solenne, che io avrò debitamente annunziata. Ci sarò anch’io, per
farti da padrino.... o da padre. Ti va? —
Filippo aveva le lagrime agli occhi.
— Ti ho ascoltato devotamente; — rispose. — Sei un eroe. Ma se tu
volessi dimenticare ciò che si è fatto qui, dianzi!... —
Raimondo fece una spallata, in atto d’impazienza e di sdegno.
— Ma non l’hai capito ancora, che questo è impossibile, assolutamente
impossibile? Io, prima di tutto, non sono un eroe. Se fossi, non ti
avrei neanche invitato al giuoco di poco fa. Era il resto dell’ira, che
bisognava sfogare. Ma bada, dell’andarmene da questo mondo bugiardo, non
sarà stata cagione la sorte d’un bigliettino estratto in vece di un
altro. Credilo, Aldini; sono caduto da troppa altezza d’illusioni, e la
vita mi è un peso insopportabile. Sarei già fuori di pena, se non fosse
che voglio uscirne bene, da persona pulita. Tu, certamente, sei stato la
cagione di tutto, cagione immediata, per altro, e vicina; prima e
lontana cagione furono le mie sciocche illusioni. Che ci vuoi fare? Sono
andate al diavolo; ci restino. Dopo tutto, tu non hai fallito senza
complici; e la tua complice io l’ho amata. Chi sa?... forse l’amo
ancora; ed è questo il pensiero che mi rende feroce, odioso a me stesso.
Sia dunque finita così, come ho deciso. Me ne andrò, dopo che il tuo
matrimonio sarà compiuto. Mi sei debitore di questo sacrifizio.... se
proprio ti sembrerà tale. E lagnati ancora! Infine, sacrifizio, o no,
fermo ai patti, e rispetta l’onor mio, dove ancora è possibile. —
Filippo Aldini fece quello che già tante volte aveva fatto, nel corso di
quel doloroso colloquio; chinò la fronte, in atto di obbedienza, e più
di vergogna. Raimondo si era alzato, riprendendo il suo cappello, ch’era
rimasto posato sulla tavola.
— A questa sera; — diss’egli; — sulle nove; ed anche un po’ prima, non
sarà male. —
Poi, con un gesto d’addio, che non giunse alla stretta di mano, si avviò
all’anticamera.
Filippo Aldini lo aveva accompagnato fino all’uscio, senza parole, umile
in atto, sempre coll’animo abbattuto, quasi curvando la testa sotto il
peso di una grande tristezza.
— Ti obbedirò; — aveva risposto brevemente, malinconicamente, alla
raccomandazione di Raimondo.
Nè altro aveva soggiunto, imitando così l’esempio severo di lui. Egli
intendeva benissimo che l’amicizia era morta, e solo ne doveva restare
la onesta finzione in faccia alla gente.
Ritornato nella quiete del suo studio (quiete, ahimè, già più volte così
violentemente turbata!), il povero Aldini rimase lungamente pensoso.
Quante cose, in due giorni! quante confusioni, quanti contrasti, e
quante rovine! Ma erano veramente due giorni? non due settimane, due
mesi, due anni? Ed era stato proprio il giorno innanzi, ch’egli aveva
promesso a Livia un ultimo atto di resistenza, il tentativo iniquo di
mandare in fumo la propria felicità? Era stato il giorno innanzi, che
Raimondo Zuliani, amico più caldo ed imperioso che mai, aveva sgominato
il suo tentativo, rotto d’un colpo il suo faticoso tessuto di scrupoli
vani, dimostrandogli che oramai l’onor suo era impegnato, e che alla
perdita dell’onor suo non avrebbe potuto sopravvivere? Povero amico
Raimondo! Ben altra perdita doveva egli toccare indi a poco, perdendo
tutte le sue illusioni ad un tratto! Lei infedele, la sua Livia adorata;
lei pazza, e nell’impeto cieco del suo orgoglio offeso, diventata
feroce, tragica come una Furia antica! Egli, il povero disilluso,
giustamente irato, anelante a vendetta, incatenato ancora dall’amor suo,
smarrito tra la necessità di provvedere al suo onore oltraggiato e il
desiderio di salvare quella donna da una vergogna altrimenti
inevitabile, non era riuscito ad altro che a scavarsi con le sue mani la
fossa! Era giustizia, quella? Cieca, davvero, cieca lassù come in terra!
Ed ora? Se la signora Zuliani, che era stata a sentire, commetteva
un’altra delle sue malaugurate follìe, qual nuova vergogna per lui, nel
cospetto di quell’uomo infelice! Perchè certamente aveva sentito;
soffermata là, dietro l’uscio a vetri, per assicurarsi che il visitatore
fosse veramente Raimondo; rimasta inchiodata a quel posto da un
sentimento di curiosità morbosa; partita finalmente, dopo aver ascoltato
l’essenziale, il terribile, dell’infausto colloquio. Egli ne era
addolorato insieme e sgomento. Ma infine, perchè sgomentarsene? perchè
dolersene? L’imprudenza di lei non aveva portato lì per lì conseguenze
spiacevoli; per tutto l’altro, poichè il male era fatto, bisognava
commettersi in balia del destino, e tanto meglio se quella donna aveva
ascoltato: ella poteva misurare l’ampiezza del male commesso con le sue
smanie gelose; poteva anche riconoscere la grandezza d’animo
dell’infelice Raimondo, così poco savio con le sue illusioni, ma così
nobile ad un tempo, perchè quelle illusioni erano state belle come
l’anima sua, e che ad ogni modo se ne riscattava con un eroismo sublime.
Filippo Aldini ammirava quell’uomo, che si svelava così grande
nell’orrore del suo disinganno, come era stato semplice e buono nella
ingenua fede in cui lo spirito suo si era lungamente cullato: lo
ammirava per ciò, lo invidiava.
Quanto a sè, dopo quanto era avvenuto tra loro in quel giorno fatale,
poteva l’Aldini accettare i frutti della magnanimità di Raimondo
Zuliani? Troppo bene ricordava egli che l’amico aveva pochi giorni
innanzi scongiurati gli effetti di un velenoso discorso nell’animo buono
della signora Eleonora Cantelli, giurando e spergiurando che nei
sospetti addensati sul capo di Filippo Aldini non c’era nulla di vero.
Combatteva sospetti, il povero Raimondo, forte della sua fede e
dell’intima conoscenza, che s’illudeva di avere, del cuore, e degli atti
del suo giovane amico. Avrebbe egli potuto parlare una seconda volta con
tanta asseveranza? No, certo; la buona fama di Filippo Aldini era dunque
tutta fondata sopra una vecchia testimonianza; la verità, nella mente
disillusa del buon testimone, era tutt’altra, pur troppo. E non era un
ingannar Margherita, presentandosi a lei puro d’ogni colpa, scevro
d’ogni ombra di sospetto, sulla fede fatta per lui da Raimondo Zuliani?
Filippo amava Margherita con tutte le potenze dell’anima sua; neppur
egli sarebbe vissuto, perdendola; ma voleva ottenerla meritandola;
meritandola almeno con la sua sincerità, con la sua lealtà. E questa,
ahimè, come dimostrarla alla divina fanciulla?
Perciò avvenne ch’egli pensasse a lungo; ma finalmente la sua
risoluzione fu fatta. Guardò l’orologio; era il tocco. Prese allora il
suo cappello, infilò lestamente il suo pastrano, ed uscì, ma non senza
aver serrato con tanto di chiavistello quell’uscio segreto nel fondo
della casa, e giurato che pei pochi giorni in cui fosse rimasto ad
abitarla, quell’uscio segreto non si sarebbe aperto ad anima viva. Fatta
la sua risoluzione, si sentì più sollevato dell’animo; almeno quanto
poteva esser tale nelle tristi circostanze di quell’aspra giornata.
Andava di buon passo verso San Marco, e di là fino alla riva degli
Schiavoni, giungendo in pochi minuti all’albergo Danieli, ove dimandò se
il banchiere Cantelli, arrivato quella mattina a Venezia, fosse in casa,
e visibile.
— Non è uscito ancora, signor conte; — gli dissero al camerino della
direzione; — a mezzodì, faceva colazione.
— Avrà dunque finito; — osservò Filippo. — Abbiano la bontà di fargli
giungere questo biglietto di visita. —
E consegnò il cartoncino, su cui a matita, sotto il suo nome e cognome,
scrisse in aggiunta: “desidera vivamente di riverire il commendatore
Anselmo Cantelli, e di ottenere da lui la grazia di un breve colloquio„.
— Breve! — soggiunse mentalmente, in quella che un servitorello
minuscolo, in fantastica divisa militare tra il cacciatore e l’ussero,
assaltando a quattro a quattro i gradini della scala, portava il
biglietto alla sua destinazione. — Che ne so io? Ma egli capirà che
vorrei parlargli da solo a solo. —
Due minuti dopo, scendeva il piccolo guerriero, più che saltando i
gradini, scivolando a rovina sugli orli. E il conte Aldini, per non
esser da meno, gli fece scivolare tra le dita una liretta d’argento,
mentre il ragazzo gli diceva, colla precisione di linguaggio cerimonioso
che è pregio dei grandi alberghi:
— Il signor commendatore Cantelli prega il signor conte Aldini di voler
salire da lui. —
Bisognava dunque veder le signore! Ma infine, quella era la conseguenza
più naturale del partito a cui si era appigliato. Filippo Aldini salì.
Sul secondo pianerottolo, frattanto, si apriva un uscio, e ne veniva
fuori un vecchio signore, colla manifesta intenzione di muovergli
incontro.


XVI.

Confessione generale.

Anselmo Cantelli, poichè era lui il cortese signore venuto innanzi sul
pianerottolo, fece all’Aldini un sorriso che valeva da solo tutte le
cerimonie del mondo, e con affabilità da vecchio amico lo prese per
mano, traendolo a sè.
— Venga, venga; — gli disse. — Faremo conoscenza or ora, sotto gli occhi
delle dame. Favorisca di passare.
— Per ubbidienza; — rispose l’Aldini, e salutando con un cenno
rispettoso del capo entrò nella sala.
I Cantelli erano ancora a tavola; ma si vedeva che avevano finito di far
colazione, e allora allora stavano prendendo il caffè. Di rimpetto al
posto che il signor Anselmo aveva lasciato vuoto per muovere incontro al
visitatore, sedeva la signora Eleonora; Margherita e Federigo sui lati.
Il giovane ufficiale di marina si alzò con premura, per stringer la mano
al suo caro Aldini; Margherita non volle esser da meno di lui in nessuno
dei due atti, che erano di bella cortesia, se anche il primo di essi non
rispondeva del tutto alle piccole leggi dell’etichetta. Un po’ pallidina
tuttavia, la cara fanciulla, e con una cert’aria di languore diffusa sul
volto; ma quella era una grazia nuova, che s’aggiungeva alla bellezza.
Margherita, poi, era bella a tutti i modi, e cara in tutti gli aspetti.
Della signora Eleonora non si dice nemmeno, se accogliesse a festa
l’Aldini. Contegnosa sempre, perchè stava sempre un po’ dura sulla vita,
sorrise nondimeno e porse con bel garbo la destra, lasciando che con
altrettanta gentilezza il perfetto cavaliere facesse l’atto del
baciamano, all’antica.
— Quant’è che non abbiamo il piacere di vederla! — ebbe la bontà di
dirgli, e senza aria di sforzo. — Quattro anni, non è vero?
— E per me furono secoli, signora; — rispose l’Aldini, inchinandosi. —
Ma temevo tanto di essere importuno, in questi giorni! Son sempre
venuto, nondimeno, a chieder notizie.
— Non è la stessa cosa, — notò Margherita; — e bisognerebbe tenerle il
broncio.... per quattro secoli ancora. Ma è festa oggi, e sia remissione
di peccati, per l’arrivo del babbo. Ebbene, signor conte, che cosa ne
dice, del nostro babbo? —
“Del nostro„ aveva ella detto! Filippo Aldini si sentì tremar tutto, dal
capo alle piante. Ed era un tremito doloroso, pur troppo! In tutt’altra
occasione gli avrebbe fatto fiorire una grande allegrezza nell’anima:
per allora non poteva far altro che chiamargli un pallido sorriso e
qualche frase stentata sul labbro.
— Vedi, babbo, — proseguiva intanto Margherita; — il signor conte Aldini
è stato il nostro gentil cavaliere in tante passeggiate artistiche; ci
ha fatto conoscere ed ammirare le più belle cose di Venezia. E vuol
rivederne una bellissima, Lei? — soggiunse, rivolgendosi ancora a
Filippo. — Guardi un po’ là, nel vano della finestra. —
Nel vano della finestra, dove Margherita accennava, era una seggiola,
davanti ad un tavolincino da lavoro, e sul tavolincino, poggiata sopra
un cavalletto minuscolo, una cornicetta di felpa cremisina, entro cui si
vedeva un disegno a matita.
— Che cos’è? — domandò Filippo Aldini, dando un’occhiata da lontano.
— Come? Non riconosce più l’opera sua? — Filippo si avvicinò, guardò più
attentamente, e commosso mormorò:
— Il ponte del Paradiso! —
Ahimè, come asserragliato, quel ponte! e come lontano, quel Paradiso?
L’avrebb’egli raggiunto mai? E doveva fare un certo discorso, che lo
avrebbe allontanato sempre più da quell’Eden vietato. Venuto a sedersi
accanto al signor Anselmo, guardava ad ogni tanto con espressione di
angoscioso desiderio quel babbo, ch’egli vedeva per la prima volta e
forse per l’ultima; quel babbo cortese che con tenta amorevolezza gli
batteva sul ginocchio con la morbida palma. Che simpatico vecchio era il
signor Anselmo Cantelli! Vecchio, così per dire, che a dargli
cinquant’anni d’età gli si faceva torto. Aveva i capelli bianchi, per
verità, ma la faccia fresca, vermiglia, senza una grinza, gli occhi
aperti, lucenti e pieni di vita, la bocca giovine come gli occhi, e per
conforto all’orgoglio di due file di denti sanissimi, le labbra sempre
disposte al sorriso.
— Perchè guarda tanto il mio babbo? — gli domandò Margherita. — Me lo
vuol forse rubare? Badi, gli fo buona guardia, io. Al più al più, potrei
concedere di fare a metà.
— Stavo osservando, signorina, — disse Filippo, reprimendo a forza un
altro moto interiore, — stavo osservando come il tipo del babbo
corrisponda al suo. Fatte, s’intende, le debite restrizioni; —
soggiunse, imbrogliandosi un poco nel suo ragionamento; — in quel modo
che una donna può rassomigliare ad un uomo....
— Ad un uomo che ha tanto di baffi; — conchiuse Margherita ridendo.
Si conosceva a colpo d’occhio che la cara birichina era molto felice in
quell’ora. Tra lo sfolgorìo dei grandi occhi luminosi e il luccicore
perlaceo della bocca divina, le sue guance prendevano un bel colore di
rose incarnatine, che prometteva il sollecito rifiorire di quell’aspetto
di bellezza ond’era stato deliziato Filippo Aldini parecchi giorni
innanzi; in quel giorno, ad esempio, che egli e Margherita erano stati
al ponte del Paradiso, e, Dio, permettendo, lo avevano anche varcato.
Finalmente il signor Anselmo si levò da sedere.
— La mia gente avrà da fare; — incominciò — la mamma da coccolarsi in
cento discorsi col suo Federigo; Margherita da scrivere alle sue amiche
di Milano. Io, se il conte Aldini mi fa grazia, vorrei fare una
passeggiatina in Piazzetta con lui. —
Come aveva capito il bisogno di Filippo! Come aveva accortamente girata
la frase!
L’Aldini fu pronto ad ossequiare le signore, promettendo una visita per
quella sera. Ma prometteva a fior di labbra, impacciato nelle parole e
negli atti. Se ne avvide Margherita, e cogliendo il buon momento ch’egli
si era ridotto presso il vano della finestra, aspettando che il signor
Anselmo avesse indossata la sua cappa di panno verde cupo foderata di
pelliccia di martora, gli disse a mezza voce:
— Ella non è in uno de’ suoi bei giorni, conte.
— Ha ragione, — rispose egli, rabbrividendo; — ho qualche pena, difatti.
Ma non per me; — aggiunse tosto, notando l’effetto che produceva; — per
un amico che ha qualche dispiacere. —
E un desiderio lo prese, mentre stava lì, davanti alla divina creatura,
nella piena luce dell’ampia finestra, un desiderio intenso, a cui non
seppe resistere. Se era condannato a perderla, come gli pareva naturale,
come pur troppo gli pareva fatale, voleva almeno guardarla bene,
guardarla intensamente a quella breve distanza, involgerla tutta in una
occhiata, aspirarla, assorbirla. Il lampo degli occhi dilatati, e la
gagliardia del respiro tratto a larghi polmoni, non furono senza un
muover di labbra, che formavano parole, lasciandole tuttavia prive di
suono.
— Ella mi dà il buon augurio? — mormorò ella, arrossendo.
— Sì, ch’Ella sia felice, felice, felice.
— Risponderò con tre grazie; — replicò Margherita, facendosi sempre più
rossa. — Ma torni stasera più gaio, o più consolato; avrà il suo conto
saldato in tremila. Sono o non sono un onesto banchiere?
— Ah, tu sei un banchiere, bambina? — disse il signor Anselmo, cogliendo
in aria le ultime parole della sua Margherita. — Ed io, come mi vedi in
questa pelliccia, sono un certo che.... tra il tenore e il baritono. —
Gran capo ameno alle sue ore, il signor Anselmo Cantelli! E bisognava
volergli bene ad ogni costo.
Sceso sulla riva degli Schiavoni, quell’uomo eccellente così parlò al
conte Aldini:
— Ella ha da intrattenermi di cose importanti, m’imagino; ma non gravi,
spero. Siano come si vogliono, Ella si lasci dire per intanto che in
casa mia sono tutti incantati di Lei; mia moglie, mia figlia, mio
figlio. Stamane, dato il tempo necessario alle accoglienze “oneste e
liete„, han tutti incominciato a tessere il suo panegirico. A tavola,
poi, per tutto il tempo della colazione, è stato un piatto solo, Aldini,
Aldini. Se lo lascia dire con quella confidenza di linguaggio che
l’amicizia permette? Aldini al _consommè_; Aldini _au beurre d’anchois_;
Aldini all’_aspic_; Aldini alla _suprème_. Aldini alla _maître-d’hôtel_,
e chi più n’ha ne metta. —
L’Aldini sorrideva malinconicamente.
— Non si offende già, voglio credere; — ripigliava il signor Anselmo,
prendendolo amichevolmente pel braccio. — Son fatto così, e gradisco la
celia.
— Che dice? Mi confonde; — rispose l’Aldini, stringendo sotto il braccio
la mano del signor Anselmo. — Ella mi dà una gran prova di benevolenza;
così potessi meritar la sua stima!
— L’una e l’altra possiede; — replicò il signor Anselmo. — Per me,
glielo confesso, quella non potrebbe andar senza questa. Metta che noi
siamo già vecchie conoscenze. E così.... facciamo un piccolo tradimento
al nostro Zuliani? —
Filippo rabbrividì, a quella scappata, pure imaginando ch’ella fosse
scevra d’ogni malizia.
— In che modo? — balbettò.
— Non lo vede? L’amico, che ha la moglie ammalata, e perciò non si è
potuto muover da casa per venirmi a ricevere alla stazione, mi annunzia
la sua visita per le quattro, e mi promette di condur Lei alle nove,
perchè io abbia il piacere di conoscerla. Ed ecco, noi ci siam visti e
conosciuti assai prima; saremo già amici vecchi, stasera. Glielo dirò, e
rideremo.
— No, non gliene dica, per carità; — supplicò, fortemente turbato,
l’Aldini. — Non sappia egli che ci siam visti prima!... almeno, —
soggiunse dopo un istante di pausa, — bisognerà dirgli che ci siamo
veduti per caso. Ella del resto, vedrà e giudicherà, dopo che io le avrò
parlato un po’ a lungo.... se Le piacerà di ascoltarmi.
— Certamente mi piacerà; sebbene il suo turbamento mi lasci temere che
non si tratterà di cose tutte piacevoli.
— No davvero; — disse l’Aldini sospirando. — E sarà bene, perchè io
possa parlare liberamente, che andiamo in luogo appartato.
— Non in piazza, capisco; e neanche in una camera d’albergo. Che cosa mi
propone Lei?
— Ma.... se osassi....
— In casa sua? Sta benissimo. Casa di scapolo; _garçonnière_.... Come
esprimerebbe la cosa in italiano? Ci ho pensato tante volte; ma non son
forte in lingua madre. Col rispetto dovuto agli scapoli come Lei, avrei
detto: paretaio. Scherzo, sa? E mi par bene scherzare, finchè siamo in
istrada, per non aver aria di due frati certosini. È lontana, la sua
abitazione?
— Correndo, — rispose Filippo, — ci si arriva in dieci minuti; andando
di passo regolare, in quindici.
— Sto bene a gambe; — conchiuse il signor Anselmo; — arriveremo in
dieci. —
Entrati in Merceria, affrettarono il passo. Il signor Anselmo era anche
stimolato da una grande, curiosità e più agitato da un senso di vaga
inquietudine. Che cosa aveva da dirgli il conte Aldini di così grave, o
geloso, che l’amico Zuliani non dovesse neanche sapere che egli,
Anselmo, e il suo genero _in pectore_, si erano già visti? Questione di
denaro? Il sospetto ne corse alla mente del banchiere; ma egli fu pronto
a scacciarlo. Cozzava troppo con tutto quello che egli sapeva delle
condizioni, del modo di vivere, della serietà e della estrema
delicatezza del giovine gentiluomo. O allora? Allora il partito migliore
che si potesse abbracciare era quello di non far almanacchi per via,
aspettando di essere in casa del signor Aldini e di sentire il gran
segreto da lui.
Quanto all’Aldini, poichè aveva fatto il suo preambolo oscuro, ma
promettente, non si sentiva più di simulare una calma che non aveva
nello spirito, e camminava in silenzio, tutto chiuso ne’ suoi pensieri,
rannuvolato come il cielo di Venezia in quell’ora.
— Ecco una strana avventura! — disse il signor Anselmo tra sè, come fu
entrato in casa di Filippo Aldini, ed ebbe preso posto sulla poltrona
che questi gli offriva.
Filippo si era seduto dopo di lui, sopra una scranna, ma standoci, anzi
che seduto, appoggiato, col capo basso e il petto in fuori, mezzo
inginocchiato tra l’orlo della scranna e l’orlo della scrivania che gli
stava davanti. Si era rimpicciolito, in tal guisa, umiliato nel cospetto
di quell’uomo, che doveva esserne il suo giudice.
— Signor Cantelli.... signor Anselmo.... — incominciò, — vuol essere il
mio confessore, ed accogliere la mia confessione generale? So che Ella
aveva.... ed ha ancora buone intenzioni per me. Per tutto ciò che
risguarda la mia vita di cittadino e di soldato, di onest’uomo e di
gentiluomo, credo di esserne degno.
— Lo so; — disse il signor Cantelli. — L’amico Zuliani me ne ha scritto
quanto occorreva. Anche da Parma ho saputo molto, ed altamente
onorevole, della sua gente e di Lei. Ma certo, a me sarebbe bastato ciò
che mi asseriva, sulla propria fede, un uomo d’alta probità, un uomo
d’oro, come Raimondo Zuliani. —
Filippo abbassò il capo ancor più che non avesse fatto in principio.
— Ahimè! — diss’egli. — Il signor Zuliani si è in qualche punto
ingannato. Aggiungo, col rossore della vergogna sul viso, che quell’uomo
ottimo non poteva non ingannarsi. Ho dei torti, e gravi, verso di lui,
che egli non conosceva ancora, scrivendole. Non inarchi le ciglia, La
prego, non mi levi il coraggio di proseguire. Debbo confessarle
sinceramente ogni cosa, chiedendole, per altro, d’ogni cosa il segreto.
— Ella mi ha preso per confessore; m’investo del sacro ministero. Non
abbia dunque verun timore; manterrò gelosamente il segreto. —
Così disse il signor Anselmo, più inquieto che mai, ma disposto a
prestare la più viva attenzione.
Filippo Aldini, sempre incurvato sul braccio e mezzo inginocchiato
com’era, incominciò toccando brevemente del servizio militare
abbandonato, del suo stabilirsi a Venezia, del suo vivere elegante, ma
non al tutto dissipato, del suo spendere misurato, dello aver conosciuto
il banchiere Zuliani, incaricato di rimettergli le sue modeste rendite,
e infine dell’essere entrato, senza secondi fini, naturalmente, per
semplice bontà di Raimondo Zuliani, in grande dimestichezza con lui.
Qui il primo guaio; qui la cagione d’ogni male per ambedue. Si erano
troppo fidati, Raimondo della virtù dell’amico, egli della sua propria
forza, che veramente poteva bastare, essendo corazzata di bella
indifferenza. Come si perdette egli? come naufragò la sua buona e leale
amicizia, tra le lusinghe del palazzo Orseolo? Cavalleresco ossequio,
rispettosa confidenza, erano questi i termini, non varcati per un pezzo,
delle sue relazioni colà. Certamente, la rispettosa confidenza e
l’ossequio cavalleresco non potevano escludere quel tanto di galanteria
superficiale ed innocente che si usa in società con le dame, zucchero in
polvere, con quintessenza di sottili profumi, senza cui pare che il
mondo elegante non possa vivere, temendo sempre che certa riserbatezza
puritana di modi lo conduca a morir di noia. Intanto, si può egli
ricordare con precisione quando e come si varchino certi confini, sempre
male segnati? e quando e come sia nata quella confidenza più intima, che
è già un principio di complicità, per cui l’uno sovrabbondando e l’altro
cedendo, si dispone in tortuosi giri quel nodo, che una volta formato
stringe e lega due esseri? Una preferenza insignificante a tutta prima,
un servizio da nulla esagerato dal sentimento, una frase
spensieratamente più tenera tra i fumi di un convito, gli ardori e le
fragranze arcane, tra le ebbrezze di un ballo e le libertà d’una veglia
mascherata.... Che dire, e che cercare di più? Il signor Anselmo, il
confessore, il giudice poteva intender questo, ed altro a sua posta.
Certo, una cosa poteva asserire l’Aldini, nella sincerità della sua
confessione; ch’egli si era trovato senza avvedersene sull’orlo del
precipizio; ch’egli c’era rimasto, con una vaga speranza di ritrarsi e
un esagerata timore di apparir vanitoso e ridicolo, nella ostentazione
inopportuna di una sciocca paura. Involto, sconvolto e travolto; in
queste tre parole Filippo Aldini esprimeva i tre stadii dell’error suo.
Così era egli caduto; ma presto aveva tentato di rialzarsi, e di
rialzare, consigliando con tenerezza, a grado a grado cercando di
persuadere, sperando di esserne venuto a capo, ricadendo ancora, per
rialzarsi di nuovo, tentando sempre, volendo ad ogni costo riuscire
all’intento.
Il signor Anselmo ascoltava, tentennando il capo a quando a quando, e
sorridendo con filosofica espressione di compatimento benevolo.
— Eh, si capisce; — diceva, colmando un intervallo che Filippo aveva
posto nella sua dolorosa esposizione di fatti. — Le occasioni fanno il
ladro. Certe care donnine son poi così matte!... E chi sa? più
assottigliano il cervello, più hanno i nervi teneri. Se mettiamo poi in
loro presenza un giovinotto come Lei!... —
Sì, tutto questo era buono e bello, ma non attenuava punto la triste
condizione di Filippo Aldini. Seguiva infatti il guaio peggiore; e
Filippo Aldini passò a raccontarlo. Bene aveva egli spezzata quella
catena di errori, non dubitando di apparire nell’ansia continua delle
esortazioni e delle preghiere un codardo. Ed oramai confidava di aver
ridotta quella donna alla sua medesima fede; non la vedeva più
altrimenti che in conversazioni, a teatri, in visite cerimoniose; a
farla breve, nelle sole occasioni in cui ogni mancamento alle
consuetudini antiche avrebbe piuttosto nociuto che giovato, dando
argomento ad osservazioni maligne, suscitando ingiuriosi sospetti.
Quella donna, se non al tutto persuasa; gli pareva convinta, rassegnata,
tranquilla. Perchè da ultimo aveva dato in ismanie? Orgoglio ferito,
certamente, non fiamma rinnovata d’amore: ed era stato un colpo di
follìa, quell’amore; spento dalla ragione, non avrebbe dovuto più
divampare. Non egli, poi, colpito dalla bellezza, dalla grazia, dalla
virtù d’una cara fanciulla, d’una creatura divina, aveva osato
vagheggiare il pensiero di farla sua: era stato Raimondo, a formarne il
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