Il passaggio: Romanzo - 2

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e l'orgoglio per lo sforzo mio e per tutto lo sforzo umano! Non sapevo
che cosa mi mancava: un'anima, dove la mia anima si riflettesse.
Amore, intimo specchio, amore che mi trovi bella! E quando mi scorgi
sei beato. Non sottrarti, non fuggire! La vita comincia adesso, per
te come per me. Ti amo, vedi, per la tua esitazione da vincere, per
la tua stanchezza da guarire, per le tue accorate e vane nostalgie
a cui oppongo il fervore dei miei presentimenti: ti amo per quel tuo
smarrito stupore s'io ti parlo e ti esalto la vita. Amo quel che tu
puoi divenire se credi in me. Hai fede? Sono una piccola donna, remota
e ignota, ma la mia volontà di conoscere e di creare è più vasta e più
intensa della tua. Se tu mi dai la mano, anche così da lontano, la mia
volontà passa in te. Questo brano, se anche null'altro avvenga. Che tu
creda a questo mio cuore come a cosa che arde più del sole, e che tu
sappia, di giorno e di notte, ad ogni istante, che i miei occhi, pur
nel sonno, hanno la visione del tuo sorriso; il tuo sorriso, che forse
non fiorirà mai presso il mio volto; un sorriso fiero, o mio amore....

Amore, speranza di miracolo! Potenza in te dormiente, perpetua attesa
del tuo risveglio!
Gli ulivi al sole son d'argento e fremono e fervono: grandi azzurre
acque si stendono di là dalle rame brunite; e un brivido le sfiora. Il
volto del mondo non è mutato da quando io avevo quindici anni e non
muterà fra mille: raggiante e silenzioso mi guarda più ch'io non lo
guardi; mi guarda, piccola ma sola, viva per poco ma nuova sempre.

Evocavo per l'amore la bella adolescente ch'ero stata. E improvvisa
la mia necessità fu di dire, per la prima volta, come quella mia
adolescenza era stata uccisa. Sogni di vergine ch'io non ebbi il tempo
di sognare, nubilità che non conobbi, mia violata vita! Doveva venire
l'amore perchè io comprendessi finalmente. Ma senza onta e senza
livore. Nè era per suscitar pietà nell'amato che gli confidavo la
feroce tristizia della sorte subita tant'anni innanzi. Non volevo esser
compianta, quella sorte non m'aveva distrutta, e non m'impediva ora di
denudarmi idealmente, di compiere le vere mie nozze con lo sposo degno
di saper tutti i miei secreti....
Lettera nuziale, scritta in una notte di maggio, in una stanza
d'albergo solitaria, e dopo che fu scritta una vertigine m'abbattè la
fronte sulla tavola, sentii uno strano sapore in bocca, e realmente un
rivolo rosso m'uscì dalle labbra, tinse il margine dei fogli.... Sangue
misteriosamente affiorato col getto dell'anima, lettera consacrata....
Quando mi rialzai andai alla finestra. Da una linea dolce di colli
inselvati di cipressi l'alba sorgeva, argentea: un fiume scorreva verde
fra tenui veli. Arno! Arno! Il vento mi passava fresco tra le ciglia,
dissipava ogni senso di malore. Ero a Firenze per la prima volta, sola,
per un impreveduto caso. Sarei ripartita la dimane, ansiosa di riveder
mio figlio. Pur dianzi la morte forse m'aveva rasentata, in quella
stanza di locanda, china su un foglio dove, se la morte mi prendeva
seco, occhi estranei avrebbero scoperto, irridendo e profanando, tutto
ciò ch'io ero stata.... Perchè non tremavo?
Anima mia, tutte le angosce hai conosciute ma non quella di contendere
paurosamente con la tua ombra, non quella di sentirti impreparata a
divenir ombra.
Sei una cosa sola, che tu viva o che tu muoia. Ad ogni istante, se
anche nessun'altra nell'universo ti assista, e nessuna testimonianza ne
resti, sei di te stessa sicura e puoi trapassare in pace. Sicura pur se
deliri o se erri o se affranta giaci al buio. E sai di non recar con te
nel mistero una stilla sola di odio verso la vita.
Solitudine silenziosa nell'ora estrema, prova estrema che forse
t'attende, morte che può giungere mentre la vita ti ha chiesto
qualche terribile atto e tu lo compi e nessuno fuor che te stessa può
intenderti....
Nessuno mi vede, che sappia assolvermi....
Anima, tu sai patire anche questo.
Eri sola e muta quando sorgesti dal nulla, e non hai terrore se nel
nulla dovessi rientrare muta e sola. Hai vissuto, sei stata fiamma, lo
sei in quest'attimo che può essere il tuo ultimo — e altro non chiedi.

Ma perchè piansi la sera di quello stesso giorno, mentre andavo sotto
i grandi alberi lungo il fiume, e mi giungeva suono di musica, non so
più se lieta o malinconica, e la folla passava e passava di là da siepi
fiorite di rose?
Povero mio petto scosso da singulti silenziosi, ritmo che mi giungeva
col vento, sera che scendeva sulla primavera, pietà immensa, pietà
immensa e desolata, abbandono d'ogni volontaria fierezza, pianto nella
sera sulla mia sperduta miseria, sulla realtà infima del mio solitario
anelito, presentimento intraducibile, sere e sere e sere di primavere
venture, deserte, struggenti, fasciate di brividi!

E ancor oggi, tanto tempo è che il nostro amore è morto, tanto tempo è
che tu stesso, Felice, sei morto, sei bianca polvere nel tuo cimitero
di montagna, io piango in cuore se penso che non venisti dopo quella
mia confessione crudele a cercarmi.
Parve, sì, per un istante, che ti promettessi a me, turbinando nel tuo
spirito ammirazione e fede. Ma poi, subito dopo, tacesti. E per mesi
restai senza più una tua parola. Restai, atterrita dallo sgomento che
in te intuivo, spasimante per la tua impotenza a tradurre in verità di
vita l'imagine che di me t'avevo data, di me, di te e dell'amore.
Quel mattino di settembre in cui alfine arrivasti improvviso, e io ti
avvolsi in uno sguardo di cui portasti in te il senso sino all'ultima
tua ora, mi dicesti: «Non t'avevo veduta.... Ora.... son tuo....».
Da lontano mi avevi trovata grande, ma bisognava che tu mirassi il mio
acceso volto ed i miei occhi radianti per sentirti avvinto: così è,
così è.
«Perdonami» io mormorai, non quel giorno ma più tardi, la prima volta
che ci baciammo, «Perdonami» ripetevo ogni poco, ma tu non sentivi,
ebbro di gioia.
Io stessa non sapevo perchè quella parola mi salisse dal profondo.
Forse più che a te chiedevo grazia a me.
Anche il tuo viso era chiaro e fiamme erano nei tuoi capelli e bello
per la prima volta trovai l'ardore virile — fervente luce d'estate
sembrava vaporare dal tuo giovine e snello corpo mentre godeva
d'abbracciarmi, poi la voluttà distendendo sul tuo sorriso una gravità
mortale fu come se mi donassi la tua vita — sul petto ti tenni, ti
contemplai mio — oh, caro ti sentii, con dolcezza e con tenerezza
infinite, ma lo scambio perfetto dell'offerta non era avvenuto,
l'estasi perfetta non era scesa su me....
Ti finsi la felicità che non provavo, o semplicemente tacqui? O avevo
sul viso il riflesso dell'ebbrezza tua? Forse non mi chiedesti nulla.
Mi ringraziavi sommesso e superbo. Come se io ti avessi dato soltanto
allora la prova del mio amore, soltanto coll'allacciare alle tue le mie
membra.

Vita, a ciascun velo che la mia mano da te distacca tu resti ancor
avvolta da un altro velo, e i miei occhi nelle grandi orbite sotto
il grande arco della fronte si fanno più e più profondi, tentando
ogni volta di vedere senza lacerarti che cosa tu sei, ogni volta
inutilmente, vita, giorni tutti da patire, veli tutti da sollevare,
mistero che vuoi essere riconosciuto da ogni goccia del mio sangue fin
che le mie vene pulseranno!
Egli mi ringraziava. Io gli chiedevo perdono. Eravamo giovani, entrambi
di natura candida, figli dell'alpe, figli del sogno. Esprimevamo
irresistibilmente, ciascuno per sè, la propria nuda verità in quel
mormorio quasi inavvertito fra bacio e bacio. Eravamo fanciulli
candidi.
Non si parlò di rifare il destino.
C'era sole per i giardini dove camminammo, assorto ciascuno in sè pur
tenendoci per mano, prima di lasciarci.
Dolce era la sua mano, dolce il volgersi del suo sguardo azzurro verso
il mio. Era nella bionda luce creato fra le piante e le acque per
accompagnarmi in quella mia ora con mite silenzio.
Forse non altro era l'amore.

Da sola, da sola prendere il timone della mia sorte!
Assumere, chiara, grave, tutta la coscienza della mia intima libertà,
inalienabile libertà.
Da sola giudicarmi, da sola tendere l'orecchio al comando interno, da
sola ubbidire.

Anche se l'amore fosse altro, fosse quale l'ho contemplato in me
meraviglioso di virtù, c'è qualcosa ch'esso non attinge, non attingerà
mai, nodo fondo del mio essere, fibre di sogno, fibre segrete, corde di
volontà invisibili fra la mia prima e la mia ultima giornata....

Ascóltati nella tua sostanza, donna, ch'è tua soltanto: fa' di udire
quel ch'essa per sè richiede, tu sola lo puoi, nessuno varrebbe ad
aiutarti, ascolta, di là d'ogni sentimento e d'ogni idea, oltre il tuo
supplizio e il tuo diritto, oltre anche la tua maternità, dove uguale
statura hanno sacrificio e ribellione, umiltà ed orgoglio, ed uguali
pesano gioia e dolore, la tua legge parla — ascóltala.

Parla tremenda.
Tu l'intendi.
Ricordati.
Ricordati, per tutto il tempo avvenire.
E se nella tua ultima giornata, dopo migliaia e migliaia di giornate
inesorabili, tu giacessi esangue in un deserto, invoca la morte se
vuoi, ma ancora ricordati d'aver ascoltata la tua legge nell'ora
lontana, e non rinnegarla chiudendo gli occhi.


_LA FEDE._

Mentali imagini, lampi d'intimi simboli, parole che furono visioni,
squarci d'orizzonti, richiami, richiami, densità di coscienza, violenza
silenziosa onde l'anima è tratta nel tempo lontano, nei luoghi lontani,
tensione della vita verso ciò che fu, verso la verità che è nelle morte
ore vissute, spasimo, vertigine, strazio e voluttà delle fibre bramose
struggendosi di creare!

Casa solinga presso la pineta, ginestre per gli ondulati declivi verso
Roma, distesa di terreno a ponente coltivata tutta a fiori, campo
iridescente di giacinti, viso roseo di una sorella intento accorato,
biglietti del mio bambino, anche in sogno la scrittura incerta puerile,
la fragile voce che geme: «Mamma, voglio venir da te....».
Se il vento qualche mattino mette un poco di fretta alle nuvole, la
donna che passa sotto i pini crede udire il pianto del mare.

Fra i cespugli del Palatino, presso una piccola statua femminile che
ha il capo mozzato, un pomeriggio io dico piano, tremante e sicura
insieme: «Un'unica norma per vivere vedo ben fissa, la sincerità».
Sincerità.
E tuttavia....
Ma se io parlassi dell'amore che ho provato e che ancora mi resta
per il giovine lontano, non crederebbero tutti ch'io son partita di
laggiù per lui? E sarebbe ingiusto, verso entrambi. Alla vigilia ancora
della mia risoluzione egli mi ripeteva per lettera: «Pensa a quante
donne accettano di vivere nelle tue stesse condizioni, soffrono, si
sacrificano per i figli: pensa a mia madre, umile e grande: sopporta
anche tu, tu che hai inoltre la luce dell'ingegno e il conforto
dell'arte: sii buona, paziente, prudente....».
Tutta la responsabilità dell'atto che ho compiuto è mia.

La primavera trascorre, la ricchezza delle ginestre se ne sta solinga
per i declivi, come la splendente saggezza sotto il cielo. Nessuno
sale a coglierne una grande corona per recarla alta fra le braccia al
proprio rifugio d'ombra.

Com'era il mondo prima del verbo? E come sarà quando il verbo si
dissolverà di nuovo e tutto verrà compreso, abbracciato senza più
distinzione? Tutte le piante e le acque e le pietre saranno noi,
saranno spirito; Platone e Dante saranno i nostri poemi le nostre
architetture le nostre battaglie, oppur grembi di donne felici, a notte
pago silenzio, estasi.

Perchè quando m'accompagno a qualche uomo ho questo bisogno di
scioglierne in limpidità l'animo?
Nodo di tormento oscuro, sonnambolico tedio insensato è nelle parole
che odo, stanche, e nulla esse m'insegnano. Ma nello sguardo di chi mi
parla, se un poco s'arresta su me, si diffonde lo stupore....
Occhi virili, laghi turbati! Neri o turchini o d'oro, turbati s'io li
fisso, pallidi laghi, con i miei sereni!

Manca a tutti costoro una piccola cosa, ch'è forse il segreto della
mia forza: la semplicità. Così penso. Il valore della vita sfugge loro.
Hanno una blanda o aspra sete d'oblio, non hanno volontà di esistere,
di stringere l'esistenza al petto per comunicarle il proprio ardore.
C'è caldo nei vostri cuori, come nel mio?

«Rina, — mi scrive Felice — ho paura.»
«Difenditi» io gli rispondo, e il sole per intendermi mentre attraverso
le grandi piazze, e le fontane e le case e i passanti mi formano
intorno alone — «abbi l'orgoglio d'amarmi meglio d'ogni altro....».
Ridico a me stessa le parole che gli mando, come per cercarne il senso
più vero.

Spazi d'oro.

E un giorno colgo un accento singolare nella voce d'un amico, d'uno
dei pochi che han rispettato, senza giudicare, ciò ch'io ho fatto. M'è
accanto per via, mi guarda mormorando: «Una donna. Una donna libera».
Piccolo di statura, ha nella persona qualcosa di una pianta che stia
svincolandosi da una roccia. Prosegue a parlare, c'è come una timorosa
speranza in questa sua voce: «Chi sa, le nostre strade in quali modi
si svolgeranno». Ripete: «Strano, strano». Come può trascolorar rapido
un viso, come nessun fantastico paese sotto i cieli o sotto i mari!
E che cos'è questa inattesa in me necessità di coraggio? Coraggio per
l'imminenza della sorte, per ciò che non sai, Rina, ma ch'è decretato?
E costui, che così poco ti conosce, afferma che sei libera.
Perchè Felice non è qui? Ora che finalmente mi ama! Perchè non mi
possiede maggiormente? Legge egli, che trema, nella propria anima? Che
cosa vi vede, di là d'ogni angoscia?
Lo chiamo, lo scrollo: «Dimmi una volta tu la parola sicura, la
sentenza serena. Lo puoi, per questo te lo chiedo. La bilancia deve
pareggiarsi, tu devi restituirmi in un sol tratto la sostanza di
volontà e di fermezza ch'io ti ho dato a poco a poco....».

Febbre e follia di verità, o mio cuore puro, mio cuore d'aurora!

Poter cantare la creatura tutta viva, tutta chiara ch'io era!

Non son più quella, da tanti anni. Ma quella che ero splendeva
come un'immortale. Poter cantarla, bellezza che forse in estremo
mi rilampeggia dinanzi. Sono un'altra, superba di quella che vorrei
cantare come se non avessi mai portato il suo nome. Gli anni m'han
fatta diversamente luminosa, d'una diversa gloria. Voi che m'incontrate
ora e vi meravigliate di trovarmi tuttavia così fervente e così
innocente, amici che vorreste difendermi come una bimba dal cerchio
d'assoluto entro cui brucio pur sempre, uomini e donne che quasi
v'indignate per la mia perpetua credulità di barbara, v'indignate e poi
con pensosa tenerezza m'abbracciate, non sapete, non sapete il tempo
in cui questo mio destino di ardore e di candore si disegnò. Com'io
sentissi e parlassi serena e delirante insieme, sensi e parole discesi
da sfere ignote, tutta un presagio, e senza stupirmi e senza mirarmi,
respirando come freschi venti di mare idee ferme, idee inesorabili,
d'esse sole credendo materiata la vita. La mia fede d'allora! E nulla
mi costava sforzo. Ero un'esistenza, non ancora una resistenza. Non so
dire, non so dire. A certi momenti della storia, a certe apparizioni
di vergini madri, quando la sapienza di millenni si trasmuta entro un
umile presepio, l'andatura lo sguardo l'accento del mondo si fan gravi
e soavi. Ero tutta nuova, tutta pronta. Imaginando mia vicina la morte:
chiara come me: imaginazione che da allora non mi ha mai più lasciata:
sempre di poi ho vissuto, sana in tutte le fibre, pensando non avere
che poche altre stagioni dinanzi: senza terrore. Fiorire, ma in vista
della morte. Bella come ogni cosa che fiorisce in vista della morte.
Avida di riconoscere, in ogni minuto che mi resti, una legge d'ascesa,
un ritmo, e del calore. Vedrò mai più mio figlio? Ma che in un'alta
anima virile, prima ch'io muoia, l'imagine mia s'imprima, nell'anima
di un uomo ch'egli più tardi possa ascoltare come un messaggero di
verità. La vita è grande. Le possibilità di farla sempre più grande
sono infinite. Siamo nati per vincere, per affermare, per l'eroismo,
per il martirio, per l'intimo accordo con il mistero. Crudele, ma
gloriosa offerta: chi la respinge abdica alla propria profonda realtà.
«Dobbiamo divenire quello che siamo.» Questa parola è in me senza
ch'io sappia ch'è già stata pronunziata. Di là dalle apparenze, dove
giungono le nostre capacità di ricerca e di battaglia? A quale forma
generosa ci confronteremo un giorno, che la bianca nebbia nasconde
all'orizzonte? Tentarla, indovinarla, creare qualcosa che ne sia degno.
Temerariamente. A questo serve la libertà. Si rende libero ad ogni
prezzo soltanto chi ha questa febbre, questa follia. Per una libertà
più vera, per muovere incontro al mondo trasfigurato....

O mio cuore d'aurora!

Affanno sconosciuto, fra voci d'acque e d'uccelli e di bimbi, un
giorno a Tivoli, tra il fogliame di perla forato su la pianura e sul
lontano lampeggìo di Roma, affanno muto, e stupore frattanto per tutti
i sensi, e nel volto dell'uomo che m'è accanto, ombrato di fini rughe,
un sorriso ansioso per ciò ch'egli vede negli occhi miei, sgomento e
tenerezza indicibili, di cui egli crede e non può penetrare l'essenza,
sorrisi e sguardi seguiti come musiche, poi repentino il silenzio, e
due mani che si tendono, un lungo momento si stringono.

Lontano il giovine che ho tanto amato soffre. L'amo ancora, l'amo
ancora. Il suo amore è quasi un mio figliolo, un fiore nato dal mio
desiderio di vita e di verità. Ma perchè non ne ho mai parlato a
quest'altro uomo col quale pur da mesi m'accompagno come una piccola
sorella, come una trepida incitatrice alla felicità? Sospetta costui
ciò che realmente io sono? Ho taciuto per timidezza, ho taciuto per
pudore, per un istinto di segreto. Ah, Felice! Il nostro amore mette
attorno a me una magnetica persuasione, a nessun vivente mai ne ho
detto sillaba, basta si senta nella mia dolcezza come si sente nel
miele il fiore e nel fiore il sole. Andrea se n'è lasciato avvolgere,
ignaro, senza nulla formulare neppure a sè stesso.... Andrea, ch'è
nostro maggiore. L'ho creduto sereno. La sua poesia è d'una sensibilità
sotterranea, cupa per avvilienti ricordi, scetticamente bramosa
di fantasie lucide. Gli guardo la persona e il viso che dicono il
tormento di generazioni curve su zolle in paesi di nebbia. Le donne
che l'hanno lusingato, belle rose bionde, non gli han dato nessuna
realtà di gioia. Non saprò mai perchè una notte io l'abbia sognato,
steso a terra piangente, supplicandomi d'amarlo. Pianto insostenibile!
Mi sono svegliata chiamando Felice, Felice dagli occhi di genziana
e dai capelli di fiamma, Felice che ha i miei anni e l'alta gentile
figura che vorrei veder una volta profilata nel cielo su una delle
nostre balze. Ho dunque anche nel sonno la volontà armata per disputare
all'avversità le mie conquiste? Ti voglio salvo. Felice, amo te,
voglio esser cosa tua, darti tutto ciò che posseggo, farti salire più
in alto di tutti, tu, tu. Così poche ore abbiamo avute. E tutte le ha
esaltate la mia lunga passione. Perchè dovremmo affondare? Ah, ch'io
dica finalmente ogni cosa a quell'uomo, ch'io gli mandi la lettera
disperata che mi scrivevi ieri come sotto la minaccia d'una sciagura,
mentre io vivevo l'ora ambigua e magica fra gli ulivi a Tivoli....
Bisogna, bisogna che Andrea sappia ch'io appartengo ad un altro. Se
son colpevole per aver troppo tardato a parlare, mi perdoni. Mi perdoni
se gli ho fatto qualche male, se qualche larva cara alla sua fantasia
sparisce stasera; siamo in tre a soffrire stasera per una stessa
inesplicabile violenza....

Nella casa presso la pineta, nella grande stanza a ponente, sul letto
dove ha soffocato tanti gridi per il suo dolore di madre, una donna si
abbatte un pomeriggio con un singhiozzo di felicità, tremendo.
Ha risposto Andrea:
«Ho il petto gonfio d'un orgoglio immenso: non mi son mai sentito amare
così da una persona, contro tutta sè stessa».
Orgoglio, strazio, rassegnazione, attesa.
«E anch'io vi amo. Ma non moverò un dito per conquistarvi. Voi verrete».
Poi, sommesso, ansante:
«No, no, sia come voi deciderete. Voi non potete sbagliare. È la prima
volta che mi trovo dinanzi a una donna che è forse più grande di me, e
non ne ho umiliazione, ma un senso di dolcezza infinita. Non vi chiedo
nulla, forse non desidero nulla. Vi guardo agire. Ciò che farete sarà
bello, anche se non risponderà alla vostra vera legge. E sopratutto
lavorate, e non parlate di morte.... Stanotte, bocconi sul pavimento,
l'ho anch'io invocata, io che l'ho vista tante volte insidiarmi.
Ma ora vi prometto che sarò forte. Finchè brillerà alla mia memoria
quell'attimo vissuto a Villa d'Este, sarò pago....».
Felicità, cosa divina: come una divinità cosa dura e severa!
Come lo splendore del sole, come il silenzio d'un filo d'erba, come una
lontananza oceanica, divina e terribile cosa a sostenere!
La donna singhiozza.
Non ha un solo istante d'esitazione, di dubbio, d'ombra.
È nel cavo d'una mano.

Sonno ch'io vegliai, giovinezza che contemplai assopirsi lene sul mio
petto dopo una notte di spasimo supremo, creatura, fra le mie braccia
dormiente creatura dell'anima mia, giovinezza del mondo respirante
soave nel sonno dopo esser stata sfolgorata da una luce d'eternità,
sonno ch'io vegliai adorando.
Chi fece il sogno di due amanti che riposassero così, l'uno vegliando
su l'altro, dopo aver detto addio al loro amore piangendo?
In qual notte, al fiato di quale immensa passione, di là dal firmamento?
Invisibile, Insaziabile, Volontà, Verità, Forza, qualunque fosse il suo
nome, come l'adorai dopo averla ubbidita! Così quale l'avevo sentita,
io medesima ero stata piena di ferocia e piena di pietà, esecutrice e
consolatrice, ebbra e lucida, specchio e fantasma, e le ore come onde a
marea avean cantato alterne.... Le ore avean mescolato gemiti disperati
e sguardi raggianti, orrore e vittoria, i suoi gridi e i miei: avevan
visto mescolarsi anco una volta le nostre membra anelanti, i nostri
corpi che s'eran piaciuti. Giovinezza, mio primo amato, braccia dolci
da cui devo strappare la mia carne che appena incominciava ad imparar
la gioia. Morire, morire! Non si può, bisogna svellersi da questo
desiderio di consunzione, oh voluttà, bisogna vivere, la vita è più
cruda della morte, oh labbra che non bacerò mai più, occhi che non
mi vedranno mai più riversa e ridente! E il tuo cuore, il tuo cuore
di fanciullo che m'ascolta e diventa uomo! Sei, oggi che ti lascio,
quello che ho tanto atteso! Oggi che non puoi più nulla per me, ch'io
ti lancio per sempre via da me come una mia canzone compiuta.... La
vita ci vuol creatori, tu lo senti. Sale, ci sospinge. Non si sa più
se spasimiamo o se godiamo. Vuole che ci si ribelli e insieme che
ci si curvi. Così come ci si dona e poi ci si riprende, perchè non
diventi menzogna ciò ch'è stato verità, non si trascini livido ciò
che nacque ardito.... Oh nodo delle nostre vite, la sua ultima vampa
è la più alta! Ci siamo trovati sulla terra per farci provare l'un
l'altro questa sofferenza feconda come nessuna delizia. Per sfidare
la vertigine su questa cima remota. Tutto è lontano, anche ciò che è
deciso: tutto è piccolo in confronto a questo nostro ultimo abbraccio,
alla forza che da me è passata in te, alla luce che ti splende sul
volto, al sonno che ti coglie sul mio cuore, o creatura....
Sonno ch'io vegliai. Il mare cantava. Immobile io adoravo e piangevo.
Una mia lagrima gli cadde sulla fronte; egli riaperse gli occhi e
disse: «È calda come sangue. M'hai segnato per sempre. Ti benedico».


_IL NOME._

L'umiltà m'avvolse.
Profonda come le ombre violette nella valle coronata da nubi d'argento.
Io son nata a mezzo agosto in Piemonte. Ma forse in cielo in quel mio
primo mattino stavano sospese grandi fantasime bianche, e nella lontana
campagna d'Assisi, dove mia madre era passata da sposa, nella chiara
conca di paese dove vorrei morire, forse tutta la soavità della terra
si vestiva di viola.
Umiltà, senso di donna, veramente senso materno. Cima dell'essere
che si è espresso in tutta la sua potenza e s'è trasceso. Vittoria
estatica. Se l'orgoglio fu necessario, ahi! triste, ora è scomparso. Le
inquiete ali dell'anima si ripiegano.
«Son vostra» scrissi ad Andrea. «Ma fate di non ingannarvi, amatemi
nella verità, qualunque sia».
L'ora estiva sfavillava. Come oggi, a nessuna sorella avrei voluto
augurare sorte uguale alla mia, che tuttavia con nessuna avrei voluto
cambiare.
Poi una sera, l'una accanto all'altro per la prima volta dopo la
confessione, egli mi disse: «Ho sentito stanotte che mia madre, se ci
fosse ancora, sarebbe contenta». Mi disse: «Sei bella. Intendi? Sei
tutta bella». Mi chiese: «Scriverai a lui di questa giornata?». Al mio
reciso, un poco rauco: «No, questo non lo riguarda più», le sue piccole
pupille brune sorrisero un attimo crudeli.
Ricorda egli? Nel cavo della sua mano teneva il mio cuore. «Ti
custodirò» diceva. «Sento che è per sempre» susurrò un'altra sera.
Palpitante e raccolto il mio cuore lo pregava: «Non dire, non dire. Io
non so nulla del domani, non voglio sperar nulla. Son tua di là d'ogni
attesa. Non promettermi alcuna cosa. Resta libero. Ti amo grande».
Esser per lui un momento di riposo.... Può il genio averne? La terra
rotea. Fra miriadi di punti luminosi il mio sguardo d'amante non può
trattenerlo che per un attimo. Esser per i suoi vaganti occhi una
minuta scintilla, una stellina senza nome, silenziosa.... Quando sono
stata accesa? Quali larghe zone iridescenti mi scopre egli intorno?
Estate, stagione colma, e il mio volto di rosa in preghiera, preghiera
di grazie.
Panieri di pesche, fragranze e colori, brusio di piccole faccende al
mattino per le vie borghesi, stridìo di rondini la sera oltre i rami
della piazza. Nella sua stanza fra le sue braccia, quando giungevo
egli mi chiamava Letizia, mi chiamava Chiara, mi chiamava Vittoria.
Da singulti sentii scosso il suo povero torso, il pallido, magro,
quasi di crocifisso, petto, dopo che vi ebbe premuto il mio di Eva,
un meriggio che mi parve allo spirito ricominciar davvero la storia
umana, nella calda ombria del letticciuolo, ricominciar con la nostra
redenta coppia. Un figlio, un figlio! Alla vita che è buona, alla
vita che è grande. Il patito volto dell'uomo, quei suoi lineamenti
senza grazia, terrei, si trasfiguravano, la donna con il suo amore li
penetrava d'euritmia, tutte le trasparenze del mare, tutte le radiosità
dell'etere adunate squillavano nell'abbraccio. Un figlio. Con sensi
trascendenti, con labbra e con mani per baci e carezze musicali ad
attimi animati, a creature sorte dal respiro del cuore, a visioni ebbre
di fede....
Chiara, Letizia, Vittoria. Ed un giorno, sul rovescio d'un dei
foglietti dov'io nella notturna pace della pineta gli susurravo delle
mie estasi, egli scrisse: «Sibilla». Nome di mistero, che doveva
restarmi, nome del mio destino fiero ed altero, nome che non ho mai
amato ma che ho portato come un dono periglioso, Sibilla, fiorito
inconsapevole di sua durata quando un solo ancora m'ascoltava.
«Tu sei più un'ammiratrice che un'amante della vita» doveva dirmi
molt'anni di poi un giovine definitore, ed io stupita assentire.
Ma in quell'estate d'oro uno solo ancora m'ascoltava, uno solo ancora
credeva di conoscermi.
In tutto il mondo egli soltanto per qualche tempo potè accostare il suo
orecchio a sentirmi crescere.
Rondini stridevano in cielo, vette di eucalipti rosseggiavano, fontane
nel vento dilatate c'investivano. Terrazze di caffè, sotterranee
trattorie, polvere degli sterrati oltre mura, ciuffi di castagni
sulle cime albane in vista dei minuscoli laghi, glauchi occhi, e
dell'incandescente filo di mare all'orizzonte.... Ero vestita di
mussola bianca ed egli mi ripeteva: «sorridi». Tutti i temi di quello
che fu il nostro canto s'accennarono. Mi mise in mano volumi e ancora
volumi. Analogie singolari mi richiamavano l'infanzia, l'educazione
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