Il dolce far niente: Scene della vita veneziana del secolo passato - 11

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con esenzione dalle tasse, con privilegi, impieghi, onori e impunità
di delitti. Malgrado però di questa rigorosa sorveglianza e della
severità delle leggi, la Voce della libertà trapanava da ogni parte
e la si sentiva ondeggiare per l'aria come i profumi della primavera.
Entravano furtivamente in Venezia, libri, fogli, programmi, gazzette,
coccarde, ed ogni altro incentivo. Il Villetard, segretario della
legazione francese, tendeva la mano ai malcontenti, favoreggiava le
congiure e fomentava gli spiriti più audaci. I fucili e i cannoni della
rivoluzione erano ancora lontani, ma penetravano in Venezia le massime,
i pensieri, le idee che precedono ogni mutamento sociale, apparecchiano
il terreno delle riforme, minano gli antichi propugnacoli e segnano le
fondamenta dei nuovi edificii.
Maddalena passando una mattina per una calle remota, vide un gruppo di
persone che ciarlavano con aria misteriosa, guardandosi intorno. Erano
suoi conoscenti e vicini; si mise dunque in loro compagnia per udire
le notizie del giorno. La fanciulla non potendo suscitare sospetti,
essi continuarono i discorsi. Uno fra loro mostrava i pugni in atto di
minaccia e diceva:
— Ancora un poco e dovranno deporre la toga, i parrucconi!... Cosa
sono i nobili più di noi?... I francesi vengono avanti... avanti...
avanti...
Uno degli uditori voltava la testa con aspetto pauroso e mandava fuori
un soffio prolungato che voleva dire — Bagattelle!...
Un altro interrompeva il narratore con un — tss — tss! — e indicava con
l'occhio un balcone, dal quale un individuo sospetto faceva capolino.
— Eh! non abbiate più paura!... continuava il narratore, sono appena
due giorni che alcuni detenuti per sospetto di congiura contro la
repubblica, vennero rilasciati in libertà per l'influenza d'un alto
personaggio della legazione francese....
— Come? chiedeva il più timido, non li hanno condannati?...
— Non hanno osato torcer un capello a nessuno!... guai se lo avessero
fatto!... eh! non sono più i tempi delle violenze tenebrose.... bisogna
che ci pensino due volte....
Maddalena pensava dentro a sè: — La mia idea è dunque buona, e posso
salvarlo senza pericoli. — L'egoismo delle passioni è sì grande
che sovente confonde il proprio interesse con l'altrui. E la povera
fanciulla traviata da una furente gelosia, aveva smarrito il buon
senso.
Interamente dominata dal fatale pensiero che preoccupava il suo
spirito, non ascoltava più che macchinalmente le declamazioni del
narratore, quando il nome del conte Leoni la scosse dall'astrazione che
aveva invaso il suo spirito e tendendo attentamente l'orecchio udì le
seguenti parole:
— Il conte Leoni partirà fra due giorni per Vienna con una missione
diplomatica.... il dispotismo si lega al dispotismo, egli è il
degno sostenitore degli abusi, ma verrà il giorno della giustizia ed
allora....
Maddalena non volle ascoltare più oltre, e se ne andò ferita da un
nuovo colpo nel cuore. Le parole: il conte Leoni partirà fra due
giorni per Vienna — le si erano scolpite nelle mente come una tremenda
minaccia. Il momento fatale era giunto, l'impunità degli amanti
assicurata. I vapori della gelosia le salivano al cervello, come i
fumi del vino ai bevitori. Vacillava e non vedeva innanzi a sè che
un velo che le offuscava la luce. Poi le ritornavano alla mente le
altre parole: — I prigionieri sospetti di congiura vennero liberati.
— Bisogna decidersi ad agire con risoluzione, essa pensava fra sè, il
tempo stringe e fra due giorni sarebbe troppo tardi!
Con tali idee giunse a casa, si chiuse nella sua stanza, e vi stette
lungamente vaneggiando coi fantasmi della gelosia e dell'amore che le
passavano davanti lo spirito come una coorte d'anime dannate confuse
cogli spiriti eletti. Erano sogni d'ineffabili dolcezze turbati dalle
minacce d'una possente rivale, che apparecchiava il suo trionfo, erano
promesse di giorni lieti e sereni, disperse dai nuvoloni d'un vicino
uragano, solcato da lampi spaventosi, e dal guizzare del fulmine.
La sua mente malata delirava, passando da un pensiero ad un altro
senza transizione ragionevole, e portando le immagini agli eccessi
dell'esagerazione. Ora si figurava tutti gli orrori, tutte le miserie
del carcere, le torture della mente e del cuore, le tenebre, la nudità
delle pareti, e Valdrigo pallido e malato in un canto, abbandonato alla
vendetta di giudici implacabili, condannato per la sua accusa a finire
i giorni in una tomba senza luce.... egli che amava tanto il sole e la
libertà, il soave profumo dei campi e l'ampio spazio del mare!...
Allora, disperata e furente, si batteva la fronte, si lacerava le
vesti, si scopriva il seno palpitante, apriva le finestre, respirava
l'aria a buffate come chi soffoca dall'oppressione dell'asma o dalle
perniciose evaporazioni dei carboni incandescenti. La calma della
laguna, il cielo sereno, le fresche brezze della sera scendevano come
un balsamo sopra quell'anima desolata, e la voce della coscienza
parlando al suo cuore il linguaggio dell'onestà, il rimorso degli
insani progetti riprendeva il suo dominio e le lagrime del pentimento
le inumidivano il ciglio e le solcavano le guancie.
Ma non passava guari di tempo che una bruna gondoletta solcando
l'acque davanti alla sua finestra, lasciava intravedere dagli aperti
finestrini, un giovine ed una fanciulla che stretti in amplesso
affettuoso si scambiavano un lungo bacio sulla bocca.
Quella scena esaltava nuovamente il suo spirito, faceva palpitare il
suo cuore con violenza, e il canto del gondoliere che conduceva la
coppia felice ai freschi della laguna, risuonava alle sue orecchie come
una voce di scherno e d'ironia, riaccendeva la sua collera, avvelenava
i suoi sospetti e faceva tacere i rimorsi della coscienza. Si figurava
di vedere Silvia e Valdrigo, suggellare con un bacio il lunghissimo
amore, e giurarsi una fedeltà a tutte prove, immersi nelle delizie
della solitudine, fra il lusso dei ricchi appartamenti del palazzo
Leoni. Chiudeva la finestra, e la luce del crepuscolo che tingeva in
rosso il firmamento penetrava nella sua stanza cogli ultimi chiarori
che invitano la mente ai pensieri melanconici. Una profonda tristezza
invadeva i sensi affaticati della povera fanciulla, e un sopore pieno
di visioni succedeva alle lotte dolorose del giorno.
All'indomani Valdrigo le appariva lieto e raggiante come un uomo
che si aspetta una sicura fortuna. Ella leggeva nel volto di lui il
presentimento d'un trionfo vicino, e ne fremeva di sdegno; la stanza di
lui esalava un leggiero sentore di essenza d'ambra, profumo sospetto a
Maddalena, perchè emanava dalle sue vesti dopo la vendita del quadro,
e appunto era incominciato al tempo delle visite in casa Leoni.
Rovistando fra le carte del giovane scoperse un ritrattino di Silvia,
lavoro condotto di memoria dal pittore innamorato, e una tale scoperta
inasprì la sua piaga, e fomentò la gelosia che dilaniava il suo cuore.
Ma ciò che mise il colmo al suo furore, fu un viglietto profumato
all'indirizzo di Valdrigo, apportato da un gondoliere. Appena uscito il
messo, sospinta da' suoi sospetti, essa stava per aprire il foglietto
suggellato, quando entrando Vittore glielo vide fra le mani e se lo
prese. La fanciulla con uno sguardo scrutatore interrogò il volto del
giovane, e le parve di vedere in un bagliore degli occhi un lampo di
felicità.
Era troppo!... Divenuta cieca dalla gelosia, fremente dalla collera,
eccitata da tante circostanze, e spinta a provvedere dall'imminenza
del pericolo, salì rapidamente alla sua stanza, e preso un foglietto di
carta, con la mano tremante, e le vertigini, si mise a scarabocchiarvi
sopra le seguenti parole: — Vittore Valdrigo congiura contro il
governo. — La sua inesperienza dello scrivere la obbligava a tracciare
le lettere una per volta, ora grandi ed ora piccole, alte e basse come
le onde del mare in burrasca, che indicavano perfettamente lo stato del
suo animo, e in capo ad una mezz'ora aveva finito la sua delazione,
col relativo indirizzo dell'accusato. La solita voce della coscienza
la mordeva fortemente, e forse la avrebbe condotta a distruggere
l'infame foglietto, quando la melodia del violino di Valdrigo le
giunse all'orecchio come un preludio di divina dolcezza, come il canto
dell'anima accesa dall'amore e dalla speranza che inneggiava alla
divinità una sublime rivelazione.
Postosi un fazzuolo sul capo, usci col viglietto nascosto in seno,
e attraversò rapidamente la via, senza vedere i passanti. C'erano in
quel tempo in Venezia alcune cassette collocate in vari luoghi, che
rappresentavano una testa di leone nella cui bocca si gettavano le
denunzie segrete. Giunta davanti ad una di quelle tremende cassette, si
guardò d'intorno, e trovandosi sola, gettò il biglietto nella bocca del
leone, e partì.
È facile immaginare come abbia passato la notte che seguì la sua fatale
risoluzione; punta dal rimorso, turbata dalla paura, ad ogni piccolo
rumore trasaliva nel letto e le pareva udire gli sgherri che venissero
ad arrestare Valdrigo. Ma la notte passò senza che si avverassero i
suoi presentimenti, e il mattino sereno e tranquillo precedette un
giorno di pace, senza avvenimenti che agitassero il suo spirito. Alla
seconda notte, nuove paure vennero a funestare le lunghe ore delle
tenebre, e l'insonnia manteneva sul trasudato origliere tutte le
torture dell'incertezza, e tutte le palpitazioni dello sgomento. Al
terzo giorno Valdrigo uscì come al solito, ma non rientrando alla ora
consueta, i sospetti incominciarono a bazzicarle pel capo e pensava —
sarà stato arrestato per via — ed allora sentiva un dolore intenso che
soffocava i suoi sospiri, ma poi si rimetteva pensando che forse era
andato in casa Leoni — allora sarebbe corsa ella stessa fra gli sgherri
a strapparlo dalle braccia della rivale fra le quali lo dipingeva la
sua fantasia riscaldata.
Finalmente Valdrigo ritornò a casa canterellando come era solito, e
preso il violino gli fece uscire delle note misteriose e gementi, che
parevano singhiozzi fra le lagrime. — Sembra il canto d'un prigioniero
— disse fra sè la fanciulla, e proruppe in dirottissimo pianto. —
Ma poi si consolò pensando che erano già passati tre giorni dalla
delazione, e quindi essa diceva: — Non avranno fatto calcolo della mia
accusa — tanto meglio! — e ringraziava il cielo con fervore.
Il violino con uno dei trabalzi che erano nelle abitudini dell'artista,
cambiò metro ad un tratto, e si mise a suonare una danza brillante che
era la franca e briosa espressione della gioja.
Il sole tramontava quando deposto il violino Valdrigo cambiava i
suoi abiti usuali con gli abiti nuovi. Maddalena che stava sempre in
agguato, guardava per il buco della serratura, e seguiva i movimenti
del giovane. Egli pettinava i suoi capelli con una accuratezza
straordinaria, li andava lisciando col cosmetico, e rivolgendo con
arte studiata in modo da scoprire tutta l'ampiezza della fronte. Poi
guardava se i manichini staccati formassero una cadenza regolare, e
se le lattughe della camicia presentassero delle piegue aggraziate
ed ammodo. Metteva le scarpette lucidissime colle fibbie d'argento, e
tirava le calze di seta con tanta cura che non facevano una piega, e
parevano una seconda pelle che coi suoi lucidi riverberi dava maggior
risalto a tutti i movimenti dei muscoli.
La gelosia si riaccendeva nel cuore di Maddalena. Il conte Leoni doveva
essere partito, quella era dunque la sera fissata d'un abboccamento con
Silvia.
La fanciulla si torceva le mani, e rientrando nella sua stanza
malediceva l'indolenza del governo, e mormorava fra i denti: — Cosa
fanno questi balordi d'inquisitori di Stato?... perchè non mandano ad
arrestare un accusato?... a che servono le bocche del leone?... a cosa
servono le denunzie segrete?
Ma intanto che ella fremeva dalla collera, dopo d'aver assistito agli
apparecchi di una spedizione galante, la notte scendeva propizia agli
innamorati, e prometteva di proteggere colle tenebre i loro misteriosi
ritrovi.
Valdrigo era all'ordine, ed uscito dalla sua stanza, ne chiudeva
l'uscio e scendeva tranquillamente le scale, e la povera fanciulla
ascoltava i passi di lui coll'ansia affannosa dell'avaro che sente il
rumore dei ladri che si avvicinano allo scrigno, e si apparecchiano ad
involargli tesori.
Giunto alla porta di strada mentre egli teneva in mano il bottone del
chiavistello per aprire, dall'altra parte suonavano il campanello.
Valdrigo aprì, e si trovò in faccia di quattro persone di sinistra
fisonomia, una delle quali gli chiese: — Il signor Vittore Valdrigo?...
— Sono io — rispose il giovane, cercando di dissimulare una vaga
inquietudine che lo assaliva. — Allora favorisca rientrare, io sono
il _fante dei cai_[78] e vengo per ordine degli eccellentissimi
inquisitori di Stato. — Gli altri erano, Messer Grande e due birri. La
forza morale dei fanti, esecutori degli ordini dei tribunali, era così
grande in Venezia, che bastava il loro nome per far abbassare la testa
e tremare.. Rimontarono le scale, entrarono nella stanza di Valdrigo
e l'obbligarono ad aprire tutte le cassette e gli armadi. Rovistarono
il letto, misero sossopra ogni suppellettile, indagarono accuratamente
ogni ripostiglio segreto, ogni angolo, ogni accessorio della mobilia, e
batterono sui quattro lati del muro ascoltando se il suono manifestasse
dei vuoti nelle pareti. Raccolte tutte le carte rinvenute le involsero
in un foglio, e dopo di averlo suggellato con molta attenzione,
invitarono Valdrigo a seguirli. Egli chiese in grazia d'avvertire
i suoi ospiti, e questo gli venne concesso. Entrò nella stanza di
Maddalena, sempre accompagnato dai quattro inseparabili compagni, e
trovò la ragazza sfigurata a tal punto che ne sentì più compassione che
della propria sventura. Essa aveva udito ogni cosa, voleva accorrere,
ma le mancarono le forze, e cadde sopra una sedia, pallida come un
cadavere, cogli occhi infossati, i capelli irti sulla fronte, la bocca
arida ed amara, i denti serrati, il cuore palpitante, le membra distese
dalla rigidezza dei muscoli, le mani chiuse con violenza. Valdrigo si
fece a consolarla alla meglio, dicendole: — Fatevi animo, Maddalena,
deve essere un errore, e ci rivedremo fra breve.
Poche altre parole potè aggiungere, che essa quasi nulla intendeva, e
lo guardava fisso con due occhi incantati che parevano di vetro.
La vecchia Marta era accorsa in aiuto della nipote, Beppo era assente,
il fante intimò la partenza. Valdrigo commosso per la pietà della
fanciulla le si avvicinò accorato e con l'affetto d'un fratello le
depose sulla fronte fredda un bacio d'addio, ed uscì senza volgersi
indietro perchè gli mancavano le forze. — A quel bacio la fanciulla era
caduta come colpita dal fulmine.


XXXIII.

Valdrigo venne condotto nelle prigioni dette dei Piombi, perchè, come
è noto, si trovavano sotto al tetto del palazzo ducale. Colà egli
aveva tutto il campo di meditare sulle sue disgrazie, e sulle umane
vicissitudini; le quali poi non sono così indipendenti dalla volontà
dell'uomo quanto vorrebbero pretendere coloro che attribuiscono troppo
sovente alla fatalità della sorte, quello che in fatto non è che
la legittima conseguenza delle loro azioni. Così Valdrigo colla sua
invincibile tendenza al dolce far niente s'era creata un'esistenza
avventurosa e da nulla, ed abbandonando il lavoro che gli avrebbe
fruttato soddisfazioni e benefizi, perdeva i giorni e smarriva
l'ingegno in vane e sterili occupazioni.
Invece il suo compagno d'infanzia perseverando nelle fatiche e negli
studi, avanzava ogni giorno d'un passo, ed aveva oramai raggiunto un
tal merito da bastare alla immortalità. Il Senato gli aveva decretata
una medaglia d'oro del valore di cento zecchini, e gli assegnava una
pensione vitalizia di cento ducati d'argento mensili, in compenso del
monumento scolpito in onore d'Angelo Emo. E mentre Valdrigo entrava in
carcere, Canova riceveva dall'ambasciatore della Repubblica presso la
corte di Roma la medaglia commemorativa. La presentazione del dono del
Senato venne fatta con molta solennità nella sala grande del Palazzo
di Venezia (residenza dell'ambasciata a Roma) fra le persone addette
alla legazione ed i più distinti personaggi invitati per la cerimonia.
L'Ambasciatore presentò al Canova la medaglia, dicendogli: — «A voi,
cittadino, onore dell'Italia, e della nostra patria, il veneto Senato
mi commette presentarvi questo ricordo, in segno del suo gradimento per
l'opera vostra, già collocata nel nostro arsenale, ove a gloria vostra
e nostra, vivrà per molti secoli a comune compiacenza e decoro»[79].


XXXIV.

Beppo rientrando in casa trovò la Maddalena a letto col medico da una
parte, e la Marta dall'altra. Il suo svenimento aveva durato quasi
un'ora, e la povera vecchia, credendola morta, aveva gridato con voce
disperata e chiesto ajuto dalle finestre.
Accorse le donnicciuole delle case vicine, prodigarono le prime cure
alla fanciulla, e cercarono il medico.
Intanto la notizia dell'arresto di Valdrigo s'era sparsa per la calle,
e diffusa per la città, e tutti fantasticavano sui misteriosi motivi
d'una tale misura. Cogli animi concitati dagli avvenimenti politici
tutti discutevano gli atti del governo, e ciascheduno spiegava le
cose a suo modo. I timidi rientravano in casa sospettosi, bruciavano
le carte e i giornali proibiti, e accusavano d'imprudenza i turbatori
della pubblica quiete.
Beppo rimasto con Maddalena volle che sua sorella gli raccontasse
esattamente i particolari dell'arresto, e quando udì che avevano
trasportate le carte del giovane si cacciò le mani nei capelli
esclamando: — Egli è perduto!...
Maddalena, quantunque abbattuta da un'eccessiva prostrazione di forze,
alla parola del fratello balzò sul letto spaventata, e rizzandosi
a sedere gli chiese con voce fioca ed affannosa, il motivo di tale
giudizio.
Allora Beppo, dopo essersi assicurato che la porta era ben chiusa,
e che nessuno ascoltava, avvicinandosi alla fanciulla tremante le
disse all'orecchio: — Valdrigo è frammassone! cioè affigliato ad una
società segreta, che congiura contro il governo, egli aveva carte e
libri proibitissimi; faceva la propaganda fra il popolo, dei principi
d'eguaglianza fra gli uomini, e predicava la libertà e la distruzione
dei privilegi!...
Ad ogni parola ascoltata, Maddalena mandava un gemito profondo, il
suo seno agitato palpitava con trabalzi interrotti dall'asma, con una
mano nervosa serrava il braccio del fratello, e finalmente ricadde
sull'origliere, con un singulto tanto profondo, e continuato che pareva
il rantolo della morte. Beppo si pentiva ma troppo lardi delle sue
rivelazioni, accorreva a chiamare la Marta, ritornava dal medico, ma il
male era fatto. Si dichiarò una febbre violenta con vaneggiamenti, nei
quali la povera fanciulla pronunciava voci sconnesse prive di senso,
chiamava Valdrigo.... e balbettava sovente la parola perdono.
Intanto si spargeva anche a Treviso la notizia dell'arresto del giovane
pittore, e la povera Rosa andando al mercato, udì la triste novella.
Ritornata in fretta a Saltore, trovò la casa in iscompiglio e il marito
nella desolazione.
Avendo scoperto un tumore in un bue, Zammaria era corso a chiamare
il veterinario, il quale aveva dichiarato l'animale affetto da _spina
ventosa_, incurabile.
L'annunzio dell'arresto di Vittore accrebbe la disperazione di
Zammaria, il suo cervello non era suscettibile di sopportare due
disgrazie in un punto senza gravi conseguenze.
Alla prima contrarietà egli diventava muto, alla seconda imbecille.
Oppresso dall'affanno per i pericoli del figlio, minacciato di perdere
un bue, e il migliore della stalla, sbalordito dal discorso della
moglie, egli se ne stava colle mani in tasca, il naso in aria, la bocca
spalancata, gli occhi stralunati, come trasognato e smarrito. Le sue
idee erano confuse, egli non vedeva più chiaro, il bue malato e la
prigione di Venezia, suo figlio, gl'inquisitori di Stato, e la spina
ventosa gli trottavano per la testa in una nube misteriosa; il boia e
il veterinario gli stavano davanti minacciosi, e la moglie spaventata
aumentava i suoi terrori con le sue lagrime, e i suoi lamenti.
La Rosa si decise a partire per Venezia, e raccomandando alle cure di
Osvaldo gli affari di casa, il bue ammalato e il marito istupidito, si
mise in via per Mestre, e colà entrata in una barca giunse sulla sera
alla casa degli ospiti di suo figlio.
Venne ricevuta dalla vecchia Marta e da Beppo colle lagrime agli
occhi, e tosto la introdussero nella stanza di Maddalena. La povera
malata entrava in convalescenza dopo lunghe sofferenze, superate per le
cure della nonna, per l'assistenza delle amiche, ma più di tutto per
l'influenza d'un pensiero che dominava il suo spirito e sosteneva le
sue forze. Passata la prima violenza del male, essa aveva pensato con
rimorso alla commessa imprudenza, aveva meditato ai modi di riparare la
colpa, al dovere d'adoperarsi in vantaggio dell'infelice prigioniero,
e di tentare ogni via per salvarlo. Il sentimento d'un tal dovere le
era penetrato talmente nel cuore, che secondava i consigli del medico
per ristabilirla in salute. L'energia della gioventù e la forza della
volontà sono due potenti rimedi per ogni malattia. Vedendo entrare
la Rosa, le parve che il cielo le inviasse un'alleata, e dopo d'aver
sfogato colle lagrime l'espressione del cuore, promise alla buona madre
di assisterla nelle sue supplicazioni in favore del giovane; e promise
a sè stessa di prestarsi a salvarlo a costo d'ogni sacrificio.
Le loro espansioni affettuose e le reciproche promesse invigorirono
il coraggio e la speranza d'entrambe, e incominciarono subito a far
progetti ed a stabilire un mezzo che si mostrasse favorevole allo
scopo. Ognuna manifestava le sue idee, la Rosa desiderava presentarsi
alla contessa Fulvia degli Orseolo, gettarsi a' suoi piedi, muoverla
a pietà, intercedere la sua valida protezione. Maddalena dimenava la
testa lentamente in segno di disapprovazione e stringeva le labbra come
chi dubita d'una cosa, ma non vuole opporre un'assoluta negativa.
Discussero lungamente sull'importante soggetto, ma la fanciulla
meditava un piano che le sembrava infallibile, e temporeggiava
soltanto ad annunziarlo per misurare le sue forze. Essa pensava che al
mondo non c'è che una cosa sola d'irresistibile — l'amore. — Questa
passione, essa diceva fra sè, può spingere a degli eccessi, può fare
dei miracoli. Se una persona può salvare Valdrigo questa è Silvia
Leoni, essa lo ama, essa troverà il modo di liberarlo. — Ma bisognava
raccogliere le forze tutte del cuore e della mente, bisognava disporsi
ad una annegazione completa di sè, bisognava rinunziare ad ogni
aspirazione, ad ogni speranza, ad ogni gelosia. Questa era però una
espiazione necessaria, la giusta punizione della colpa, colle stesse
sue armi.
Quando le parve di sentirsi forte abbastanza per affrontare l'impresa,
comunicò il suo piano alla Rosa, che vi aveva già pensato, ma non
osava proporla per un riguardo istintivo verso la fanciulla della
quale indovinava l'affezione, e sospettava la gelosia. Lieta però
della decisione secondò il progetto, e fissato il giorno della visita,
si disposero tutte due a sostenere la loro parte in modo da ottenere
l'intento, la madre pensando a quanto avrebbe detto per intenerire
la signora, la Maddalena studiandosi di domare la sua ripugnanza
verso la rivale e di dominare la sua passione, sagrificando sè stessa
all'interesse del giovane amato.
Giunta la mattina stabilita si misero in via, ed entrambe col cuore
agitato da diversi sentimenti entrarono nel palazzo Leoni. Avendo
chiesto di parlare alla padrona, un servo gallonato, le introdusse in
un'ampia anticamera dicendo: — Accomodatevi qui ed aspettate.
In simili circostanze l'aspettativa è un supplizio, i minuti sono
lunghi come le ore, e i pensieri tristi si accumulano nello spirito e
pesano gravemente sul cuore.
Finalmente il servo ricomparve, aperse una porta, e tenendosi indietro
disse: — Venite pure avanti....
Le donne entrarono in una stanza resa oscura dai pesanti cortinaggi
delle finestre, ed esalante un leggiero profumo d'essenza d'ambra che
salì al cervello di Maddalena come l'emanazione d'un veleno. Chiusa la
porta dal domestico che rimase di fuori, si avanzarono lentamente, e si
arrestarono dirimpetto ad un ampio seggiolone sul quale sedeva la dama.
Silvia, vestila a bruno, e più pallida del solito pareva oppressa da
una profonda tristezza, ma quando riconobbe la Rosa si alzò in piedi,
la accolse con pietosa dolcezza, se la fece sedere da presso e le disse
con voce compassionevole:
— Povera Rosa!... m'immagino il motivo della vostra visita. — La Rosa
scoppiò in un dirotto pianto, e dimenticò le belle espressioni che
aveva apparecchiate per intenerire il cuore della signora, ma le sue
lagrime erano più eloquenti di qualunque altro discorso.
Silvia indicò una sedia a Maddalena che si teneva in piedi cogli occhi
bassi, e continuò:
— Siamo in tempi funesti per tutti, povera Rosa.... i torbidi delle
provincie, le minaccie degli stranieri, l'audacia dei nemici del
governo, rendono i giudici più severi.... ma qui si arrestò, perchè
s'avvide che con tali parole raddoppiava il dolore della povera madre,
e soggiunse: — fatevi coraggio, io non ho aspettato la vostra visita
per occuparmi in favore di vostro figlio, ma vi ripeto, i tempi sono
cattivi....
E mentre parlava andava esaminando attentamente la fanciulla che non
conosceva, la quale sentendosi osservata arrossiva, e non osava alzare
gli occhi, finalmente spinta dalla curiosità Silvia chiese alla Rosa:
— Chi è questa ragazza che vi accompagna?...
La Rosa esitava a rispondere, ma poi si decise, e disse con voce
singhiozzante:
— È la nipote della padrona di casa di mio figlio....
Silvia e Maddalena si scambiarono un colpo d'occhio eloquente. La prima
pareva che chiedesse con amaro sospetto: — saresti forse una innamorata
di Valdrigo? — l'altra con fiero cipiglio sembrava dire: — Conosco i
segreti del vostro cuore.
— State in casa con Vittore?... chiese Silvia con apparente
indifferenza.
— Sì, signora.... rispose Maddalena, con un'aria di trionfo.
Allora Silvia, come per investigare dalle espressioni del volto,
gl'interni sentimenti della fanciulla, soggiunse:
— Si potrebbe forse ottenere la liberazione di Vittore, dal carcere, ma
sarebbe impossibile di salvarlo dalla espulsione dal territorio....
— Tanto meglio!... saltò fuori a dire Maddalena, che non seppe frenare
la sua gioia. E la Silvia che studiava coll'istinto della donna i
lineamenti della fanciulla sospetta, indovinò dall'atteggiarsi del
volto e dall'improvvisa risposta, l'amore e la gelosia.
Allora, desiderosa di mettere alla prova l'intensità di
quell'affezione, e forse anche di punire l'audacia d'una rivale dal
cui amore sentiva offesa la sua dignità, continuò il suo discorso
indirizzandosi alla Rosa, ma osservando sottecchi ogni movimento della
fanciulla:
— Se potessi ottenere il suo esiglio, egli potrebbe andare in Carinzia.
Io devo passare di là per recarmi a Vienna a raggiungere mio marito, e
lo prenderei volontieri con me. A Vienna potrei giovarlo molto colle
relazioni dei nostri amici. — Maddalena si mordeva le labbra, e le
vene della sua fronte ingrossavano. — Silvia osservava ogni movimento
di quel volto alterato, e continuava con apparente tranquillità: — È
certo che l'esilio chiude per sempre le porte della patria, ed egli non
potrebbe più entrare nei domini della repubblica.... ma piuttosto che
marcire in una prigione, piuttosto di non vedere più il sole....
La povera Rosa teneva le mani giunte, e cogli occhi gonfi, infiammati,
e pieni di lagrime, levava la fronte verso il cielo, che metteva
compassione a vederla. — Maddalena lottava fra l'amore e la gelosia,
fra il desiderio ardente di salvare Valdrigo, e il dolore di vederselo
rapito per sempre. Ma alle ultime parole di Silvia, fatto come uno
sforzo sovrumano sopra sè stessa, ruppe il silenzio, ed esclamò:
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