Il dolce far niente: Scene della vita veneziana del secolo passato - 10

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urto di guardifanti schiacciati nella pressa, uno scialacquo di pizzi e
di fiori, uno sdruccio di ricchi costumi, che strappati dai movimenti
disordinati, coprivano il suolo di frammenti. Il gridìo confuso
delle maschere, era dominato dal frastuono dell'orchestra, e un'afa
soffocante toglieva il respiro.
A chi ama l'aure pure del mattino, sotto un cielo sereno, e le voci
della natura, le ebbrezze dei baccanali notturni entro alle chiuse
sale sembrano aberrazioni della follia, o frenesie di anime dannate. Ma
l'onda delle passioni getta l'umanità nei tumulti della vita, ove molti
cercano la lotta, alcuni l'oblìo, pochi trovano il diletto, nessuno la
felicità.
Le anime frivole seguono l'andazzo, come le piume travolte dai
raggiri del vento, e trasportate nel vortice si agitano per l'impulso
ricevuto. Poche menti sane chieggono alla ragione i consigli della
vita, e cercano la felicità nelle tranquille soddisfazioni del cuore,
e nell'adempimento dei propri doveri. L'umanità è un mare in continua
burrasca, e le sue onde non trovano la calma, che in qualche seno
riparato dagli uragani, in qualche angolo nascosto agli sguardi
volgari.
Le appariscenze d'un ballo mascherato, ascondono le piaghe sociali
sotto ai volti di cera e i bizzarri abbigliamenti. Tutte le passioni
disordinate prestano il loro concorso a quello spettacolo dell'umana
intemperanza, e la Maddalena che andava in traccia di Valdrigo, non
aveva certo nel cuore i fremiti della gioja, ma sibbene tutte le
amarezze della gelosia. Invano ella cercava nella folla la maschera
avidamente desiderata, ed alla sua anima tormentata dall'inquietudine,
si aggiungeva la nausea provocata dai riboboli degli arlecchini, e
dalle facezie grossolane dei pagliacci e dei pantaloni.
Finalmente dopo lunghi e faticosi raggiri per le stanze che
circondavano la sala, vide da lontano una bauta con un nastro azzurro
sulla spalla sinistra e un sussulto del cuore l'avvertì, che quella
maschera ascondeva Valdrigo.
Si fece largo da quella parte, e dopo qualche lotta coi gomiti,
assistita dalla compagna che s'interessava vivamente alla sua
curiosità, lo raggiunse di fianco, e lo seguì. La folla calcava
talmente le persone che Maddalena si trovò spinta alle spalle di
Vittore, con immediato contatto.
Egli si teneva in mezzo a due graziose mascherette in veste di seta
nera e zendado con una rosa sul capo, ma indirizzava il discorso ad una
sola, e le diceva:
— Se possiamo arrivare alla scala, sarebbe meglio uscire addirittura da
questa babilonia.
— No, rispondeva la mascheretta, è troppo presto, vediamo piuttosto di
penetrare nella stanza del giuoco....
E andavano passo passo camminando dietro agli altri fra le spinte
degl'indiscreti, e le grida acute dei mascheroni, con Maddalena e la
compagna dappresso, le quali studiavano ogni mossa, ed ascoltavano
ogni parola. Valdrigo non si permetteva veruna intimità colla sua
mascheretta, le parlava anzi con rispetto, e la difendeva dagli urli
dei vicini con ogni delicata attenzione.
Attraversate tre stanze in linea retta, nella quarta presero una
porta a sinistra, ed entrarono in un locale ove intorno a dei tavolini
coperti di monete d'oro e d'argento, si tenevano i giocatori di faraone
e bassetta.
La folla diradata lasciava libero il respiro, il rumore cessava,
e s'udiva solo il suono del denaro deposto e raccolto. I giocatori
parevano di marmo, cogli occhi intenti sulle carte, collo sguardo
animato dalla speranza, o abbattuto dal disinganno. Alcuni grandi
personaggi giocavano freddamente, e guadagnavano o perdevano colla
stessa indifferenza, e fra questi stava seduto il conte Leoni. Le
mascherette condotte da Valdrigo gli passarono da vicino colla massima
indifferenza, e attraversata la stanza entrarono sul pianerottolo in
capo alla scala.
— Dunque usciamo, diceva Valdrigo, con una voce supplichevole....
La mascheretta pareva esitante, soggiungeva: «aspettiamo ancora.... più
tardi....»
Ma questi rifiuti sembravano agitarlo, e con voce alterata egli
ripeteva:
— Ve ne prego, Silvia, non mi rifiutate il favore di parlarvi senza
testimoni, non vi chieggo che qualche istante; sono lunghi anni che
tengo chiuso nel seno un segreto che mi soffoca, permettete che vi dica
una parola.... e poi basta!...
— Andiamo!... disse la maschera con una risoluzione istantanea, e
scendendo rapidamente le scale scomparvero.
Maddalena voleva seguirli, ma le mancarono le forze, essa aveva tutto
compreso. Quella maschera era Silvia Leoni, quell'amore di tanti anni
era ancora una passione segreta. Valdrigo non s'era mai trovato solo
con Silvia, quali ostacoli avessero potuto impedire una dichiarazione
d'amore, in tante visite fatte dal pittore al palazzo Leoni, questo
era un mistero per Maddalena, ma le parole di Valdrigo non ammettevano
un dubbio. — Fosse virtù di donna onesta, o mancanza d'occasione
propizia, o timore di vendette terribili, il fatto stava che Valdrigo
non aveva ancora aperto il suo cuore. Tante rivelazioni in un minuto
avevano stravolte l'idee della povera innamorata, avevano colpito il
suo cervello con una sorpresa istantanea, avevano animati i suoi sensi
con una arcana speranza, quando ad un tratto, quella rapida decisione
di Silvia l'aveva nuovamente colpita sul vivo. La lunga aspettativa
aveva raggiunto il suo termine, la donna cedeva alle preghiere d'una
intervista segreta, la sicurezza del marito lontano accresceva il
pericolo, la passione svelata avrebbe sormontato ogni ostacolo, la
notte avrebbe protetto ogni oblìo. Le memorie della prima giovinezza,
il fuoco rinchiuso, la costante resistenza, tutto rendeva quella
passione violenta e irresistibile, e una volta consumato il sacrifizio,
Silvia non era donna da capriccio, ma da tenace fermezza... Valdrigo
era perduto per sempre!...
Tutte queste idee attraversarono rapidamente il suo spirito, le
paralizzarono le forze, la resero immobile e stupida. Il fuoco della
gelosia venne a risvegliare la sua mente, allora volle inseguirli,
arrestarli par via, smascherarli, e scese precipitosamente le scale
si trascinò dietro la compagna che invano si studiava di calmarla,
coi consigli della ragione e della amicizia. Maddalena non udiva le
sue parole, e non ascoltava che gl'impeti d'una passione esaltata.
Giunte sulla via, le maschere che andavano e venivano dal Ridotto
impedivano il passo, i venditori di melarancie confondevano la loro
voce strillante coi fischi dei birichini, colle risa dei gondolieri,
col variato gorgheggiare dei venditori ambulanti che accrescevano la
confusione e il rumore della strada.
Uscite da quel miscuglio di gente si trovarono in una calle più
tranquilla, ove poterono levarsi la maschera, asciugarsi il sudore
del volto, e riprendere un po' di lena, l'aria fresca e salina che
spirava dalla laguna rinnovava il respiro. Maddalena irrequieta non
voleva fermarsi, e pretendeva inseguire i fuggitivi, ma la compagna la
calmava, mostrandole le strade deserte, le traccie perdute, il rispetto
prescritto verso le maschere, il nessun diritto di agire, l'insulto ad
una donna dell'alta nobiltà, e finalmente la collera di Valdrigo, il
suo odio e la sicura vendetta. Ma essa ascoltava ogni consiglio come
trasognata, e piuttosto di dar retta all'amica, pareva che pensasse ai
mezzi per mandare ad effetto il suo funesto pensiero.
Veduta l'impossibilità d'inseguirli, si rimise la maschera e volle
ritornare al Ridotto. La compagna che la teneva per braccio sentiva
un tremito in tutti i muscoli della povera fanciulla, sorda ad
ogni preghiera, e dovette seguirla macchinalmente, sperando che le
distrazioni del ballo avrebbero calmati i suoi sensi.
Risalite le scale, e penetrata nuovamente nella stanza del giuoco,
essa andava vagando trascinata dalla passione e guidata da un pensiero
che dominava il suo spirito. Pareva che cercasse taluno nella folla,
finalmente svincolandosi dall'amica, si avanzò verso un tavoliere di
giuoco, e avvicinandosi al conte Leoni che teneva le carte fra le mani
gli disse all'orecchio:
— Conte, vostra moglie è uscita or ora dal ballo, appoggiata al braccio
d'un uomo mascherato...
Il giuocatore rivolgendo rapidamente la testa, squadrò la maschera per
bene, e con volto serio rispose:
— E che importa a voi questo?...
— A me niente... conte... ma a voi deve importare moltissimo!...
— E se questa maschera fosse suo fratello, che avreste da dire?...
— Se non conoscessi chi si asconde sotto la maschera, non sarei venuta
ad incomodarvi, ma ho creduto rendervi un servigio...
— Sette a due zecchini... diceva il conte attento al giuoco... e
perdeva. Fante a sei zecchini... e perdeva. Paroli, e perdeva il
doppio. Allora muto e freddo in apparenza, ma dentro iracondo e
ostinato, ripeteva asso a tre zecchini...
— Ci va del vostro onore, gli sussurrava Maddalena all'orecchio, ed
egli:
— Asso, quattro zecchini...
— Conte, una amica della vostra casa voleva salvarvi l'onore, scusate
l'incomodo... addio...
— Aspettate un momento, rispondeva irritato il conte, afferrando con
una mano convulsa le vesti di Maddalena, e gridando... dieci zecchini
sull'asso di spade!...
— Buona fortuna, signore!... e lasciatemi andare... Ripeteva la
maschera.
— Vi chieggo un momento per cortesia... il due di bastoni a quattro
zecchini... aspettate ancora un giro e parleremo...
— Sarà troppo tardi!...
La passione del giuoco teneva il conte inchiodato davanti al tavolino,
la gelosia lo agitava fortemente e l'interna lotta si manifestava sul
suo volto contratto dalla impazienza e dalla collera. Deciso di levarsi
da sedere, la comparsa d'una carta lo ripiombava sulla sedia, e mentre
con l'occhio intento seguiva le vicende del giuoco, colla attenta
orecchia ascoltava gli eccitamenti della maschera che gli diceva:
— Peccato!... un angelo di bellezza... accogliere di notte in sua casa
un amante all'insaputa del marito!..
— Li raggiungo fra un istante... aspettatemi... quattro zecchini sul
cinque di bastoni...
— Per quattro zecchini... esporsi a perdere un tesoro... esporsi alla
vergogna... al ridicolo...
— Sono con voi... Paroli...
— Troppo tardi!... È già un'ora che sono partiti... forse fuggiti da
Venezia...
— Fuggiti!... e gettando le carte sul tavolo, con gli occhi stralunati
e scintillanti di collera, si levò ad un tratto, gettò a terra la sedia
e presa sotto al braccio la maschera la trasse in un canto della sala.
La folla si restrinse intorno al tavolo, e il suo posto venne occupato
subito da un altro, come nelle battaglie quando si chiudono le file per
riempire i vuoti lasciati dai morti.
Allora il conte, esaminando attentamente la maschera, voleva ad ogni
costo scoprire la persona che si permetteva d'insultarlo in quel modo
e di provocare la sua collera e la sua gelosia. Vani tentativi. Allora
sospettando ancora un qualche imbroglio, un raggiro immaginato con
uno scopo secondario, e dubitando della sincerità della maschera, le
chiese:
— Potreste dirmi il nome della persona che accompagnava mia moglie?...
— Certamente!... il suo primo innamorato di Villa Saltore... il pittore
Valdrigo...
— Basta così!... rispose con cupa fisonomia il conte Leoni, e senza
proferire altra parola si allontanò dalla maschera, e uscendo dalla
stanza scese rapidamente le scale.
Maddalena e la compagna lo seguivano ad una certa distanza, ma appena
liberato dalla folla, si mise a camminare con passi tanto frettolosi
che volto il canto d'una via lo perdettero di vista nell'oscurità della
notte fra il labirinto delle calli.
La compagna che aveva assistito a tutta la scena, invano tirando per la
veste Maddalena, o stringendole le braccia, e susurrandole all'orecchio
le parole — basta — prudenza — trovandosi finalmente sola con l'amica,
le disse con un accento di paura:
— Che cosa hai fatto mai!... Maddalena!...
— Ho salvato Valdrigo da una relazione colpevole... Con una donna
troppo superiore alla sua condizione... da una maledetta passione...
— Lo hai perduto!... rispose la compagna affannata; hai esposto la sua
vita al più grande pericolo... forse...
— Taci per carità!... mio Dio... se il conte Leoni lo ammazzasse!...
Allora arrestandosi per trovare un appoggio al parapetto d'un ponte,
si asciugava i sudori del volto e mandava lampi dagli occhi. La sua
fantasia le dipingeva il conte Leoni con un coltello alla mano, in
traccia dei colpevoli... apriva una porta... li trovava abbracciati...
Allora ritornando alla collera ed alla gelosia che le ardeva nel cuore,
soggiungeva:
— Ebbene, li ammazzi tutti e due... e col braccio levato in aria
faceva segno di ferire, e raddoppiava i colpi con un sogghigno di gioja
spaventosa, ripetendo ogni volta — li ammazzi... li ammazzi!...
Ripresero il cammino verso il loro quartiere conversando concitate
per via sulle avventure della notte, e sui timori delle conseguenze
probabili.
Essendo vicine di casa si congedarono all'uscio, e ciascheduna entrò
nella propria dimora. Maddalena entrata nella sua stanza, si spogliò
in fretta e gettandosi macchinalmente sul letto incominciò a pensare
a' suoi casi. Ora si sentiva dilaniare dal rimorso, ora la collera le
accendeva lo spirito e la spingeva a desideri di vendetta e di sangue.
— Che cosa sarà succeduto?... chiedeva a sè stessa... e si cacciava
le mani nei capelli, e sospirava e piangeva. Poi riteneva il fiato e
ascoltava tremando. Ogni persona che passava per via risvegliava i suoi
sospetti... se venisse a casa ferito!... e pensava non senza una certa
gioja alle cure che gli avrebbe prodigate, alla guarigione sicura, al
pentimento, e, chi sa!... forse avrebbe aperto gli occhi e conosciuto
il suo amore... poi tornava a tormentarsi con più gravi paure... se lo
portassero a casa moribondo!... mio Dio!... per causa mia!... la sua
morte!... sua madre!... povera Rosa... e piangeva, affranta dal dolore.
Le ore battevano lentamente all'orologio della chiesa vicina, il
silenzio regnava nella strada, non si sentiva che il tonfo dei remi
di qualche gondola che passava nel canale, e la voce del gondoliere
— _stali_ — _premi_ — all'atto di sboccare in laguna. I minuti le
parevano infiniti... il cervello in ebollizione la trascinava da
un pensiero ad un sogno, da una reminiscenza ad un timore, senza
transizione regolare, colla confusione del caos. Gli orecchi le
tintinnavano ancora della musica da ballo e del gridio delle maschere,
vedeva l'oro dei tavolieri del giuoco, e poi pensava ad una stanza
silenziosa, a due innamorati, ad un bacio, ad una donna svenuta in
un'estasi d'amore e d'obblio... e poi vedeva gli occhi ardenti del
conte Leoni, un coltello... un lago di sangue! Finalmente le parve di
riconoscere un passo lontano, tese l'orecchio con attenzione sostenuta,
il passo si avvicinava, e il cuore le diceva — è Valdrigo. — Poco dopo
udì che s'arrestava alla porta, e la chiave che entrava nella toppa.
Aperto l'uscio, Valdrigo saliva le scale ed entrava tranquillamente
nella sua stanza.


XXXI.

In generale i mariti ammazzano raramente gli amanti, a Venezia poi
nel secolo passato non li ammazzavano mai. C'era una gran licenza
di costumi, ma ciò non escludeva affatto la virtù. Silvia desiderava
e temeva un abboccamento con Valdrigo. Essa sentiva la necessità di
frenare gli slanci imprudenti del giovane, ma sentiva in pari tempo
il pericolo della lotta. Voleva dissimulare una ferita, ma temeva che
mettendovi sopra le mani il dolore la scoprisse. Andò al ballo con
l'idea di condursi Valdrigo al casino per fargli una predica sulla sua
condotta inconveniente, ma confessava a sè stessa d'averlo talvolta
incoraggiato cogli sguardi che tradivano il cuore, cosicchè essa si
trovava giudice e colpevole a un tratto, e temeva giustamente che
l'accusato diventasse accusatore. Dapprima esitava dunque a mandare ad
effetto il suo piano, poi temendo le conseguenze del rifiuto si decise
a finirla, ma giunta sulla via si pentì, ed avrebbe voluto ritornare
sui suoi passi. Così le farfalline svolazzano intorno al lume fino
che a forza di raggiri cadono nella fiamma e si abbruciano le ali. Non
osando retrocedere, e non volendo avanzare, perdeva il tempo per via,
e a Valdrigo che la sollecitava con affettuosa insistenza, rispondeva
mostrandogli l'ombre cupe dei canali, e i pittoreschi effetti della
notte sui palazzi, e sull'acqua.
In tal modo impiegarono molto tempo nel breve tragitto, ma finalmente
giunsero al casino. Entrati, accesero il lume, e salite le scale,
la padrona ordinò alla cameriera di accendere un po' di fuoco al
caminetto. Valdrigo non ne aveva bisogno, ma Silvia temporeggiava per
raccogliere le sue forze, e farsi animo. La cameriera indovinava le
impazienze del giovane, e mossa da pietà si affrettava a metter legna
e a soffiare, ma appunto le cose fatte in fretta non approdano, e
invece del fuoco uscivano dei nuvoli di fumo che invadevano la stanza;
e quindi fa necessario aprire le finestre e le porte. L'aria entrando
facilitò l'operazione, e una bella fiamma crepitante brillò nel camino.
Chiuse nuovamente le imposte, la cameriera accese due doppieri, ed uscì
serrando l'uscio. Non aveva ancora attraversata l'anticamera quando
s'udì una violenta scampanellata alla porta di casa: era il conte
Leoni. Vi fu un minuto secondo di stupore, ma Silvia ordinò tosto si
aprisse. Pensi il lettore allo stato di Valdrigo; è certo che se Don
Lio avesse conosciuta in quel momento la posizione del giovane, avrebbe
paragonato il suo affanno alle pene di Tantalo. Egli rimase immobile
e quasi pietrificato fissando gli occhi istupiditi nella fiamma, come
dovette trovarsi la moglie di Lot, quando contro al divino comando si
volse a contemplare l'incendio di Sodoma. Il conte Leoni entrò nella
stanza raffrenando il suo impeto, ma lasciando intravedere i suoi
sospetti dall'occhio scrutatore e dalle ciglia aggrottate.
Silvia lo attendeva davanti al caminetto col fiero cipiglio della virtù
offesa, e colla dignità della donna che può levare la fronte senza
rossore; in quel momento di suprema soddisfazione essa sentì tutto il
valore della sua onestà, tutta la forza dell'innocenza. I loro sguardi
si scontrarono, l'interrogazione del marito fu muta ma eloquente, la
risposta della moglie fu assoluta e severa; essa fissò gli occhi nel
marito con tale sicurezza imperiosa ch'egli dovette abbassarli; perchè
realmente egli era colpevole. — Passato quel primo momento essa ruppe
il silenzio; e rivolta al conte gli disse con un'aria indifferente:
— Allo scampanio, non credeva che foste voi... non mi avete avvezzata a
questi modi...
— Scusate, egli rispose, l'agitazione della corsa m'aveva irritato i
nervi...
— E perchè avete corso?...
— Vedendovi uscire dal ballo temetti... qualche improvvisa
sofferenza... pel caldo... in mezzo a tanta folla...
— Diffatti, interruppe Silvia, che lo vedeva imbarazzato, diffatti non
sto bene... un'oppressione, un bisogno d'aria mi costrinse d'uscire...
Ho pregato Valdrigo d'accompagnarmi...
— Vi ringrazio, caro Valdrigo, soggiunse il conte porgendo la mano
al pittore, e stringendogli la destra ch'era fredda come quella d'un
morto.
A poco a poco la conversazione prese l'andamento ordinario e parlarono
di cose indifferenti, chè in fine dei conti, avevano tutti e tre delle
ragioni per essere contenti.
Più tardi il conte propose di cenare. La cameriera uscì per fare alcune
provviste ad una vicina trattoria, che nelle occasioni dei balli, stava
aperta tutta la notte.
Valdrigo dovette apparecchiare la tavola, il marito apriva un armadio
e ne tirava delle bottiglie di vino di Cipro stravecchio coperte di
ragnateli e di polvere. E mentre la Maddalena esterrefatta vedeva nelle
sue spaventose fantasie il marito che versava il sangue dell'amante,
il conte Leoni mesceva il Cipro a Valdrigo, e toccando i bicchieri,
bevevano insieme alla salute dalla Dama. — Fedele! pensava il marito —
perduta! ma non per sempre, diceva a sè stesso il giovane innamorato.


XXXII.

La prudenza consigliò Valdrigo ad astenersi per qualche tempo dalle
visite in casa Leoni, malgrado l'ardore sempre crescente della
sua passione. Maddalena lo sorvegliava da vicino, studiava i suoi
andamenti, leggeva nella sua fisonomia i desideri repressi, e le
inquietudini d'un'anima esaltata. L'amore che essa teneva celato
nei più profondi penetrali del cuore si nudriva di speranze future,
e infiammava la sua gelosia irritata dalle fatte scoperte. La cieca
gelosia si nutre di chimere, e guida a fatali consigli.
La povera fanciulla, incoraggiata dal felice risultato della sua prima
resistenza, diceva a sè stessa. — Bisogna ch'io perseveri.... Bisogna
che io continui ad attraversare i suoi progetti, ad impedire ad ogni
costo i progressi d'una passione fatale, bisogna ch'io trovi il modo
di rompere gli anelli d'una catena che lo trascina alla perdita della
sua felicità, che lo allontana dal mio cuore; i continui ostacoli
devono stancare la sua pertinacia, compromettere la Dama, risvegliare i
sospetti del marito... egli sarà costretto di rinunziare all'impresa...
La ferita sarà dolorosa, ma il tempo sana ogni piaga, io consolerò le
sue pene raddoppiando le cure, cercherò di ricondurlo al lavoro, alla
pace... aspetterò che gli anni calmino le sue passioni violente...
e forse un giorno, troverò nella sua felicità la ricompensa degli
affanni, coi quali, senza avvedersene, mi avvelena la vita.
E nelle lunghe notti insonni, rivolgendosi nelle coltri affaticate,
meditava uno stratagemma che riuscisse a tagliare il nodo gordiano
con rottura irreparabile, senza gravi pericoli per nessuno, senza che
si potesse scoprire la mano che colpiva. Dapprima pensava di mettersi
d'accordo con la Rosa, di farlo chiamare a Saltore con un pretesto,
per allontanarlo da Venezia, ma egli avrebbe tosto scoperto l'inganno
e sarebbe ritornato. Un nuovo avviso al conte non voleva arrischiarlo,
era cosa pericolosa, ed aveva tremato troppo della sua prima imprudenza
per volerla tentare di nuovo, dal lato della signora non vedeva nessuna
cosa possibile.
Di tutti i suoi progetti quello di allontanarlo da Venezia le pareva
il più opportuno, ma non trovava il modo di mandarlo ad effetto, e
poi temeva che il pittore uscito una volta dalla sua casa, potesse non
tornarvi mai più, o stabilirsi in altri paesi, e perderlo per sempre.
Avrebbe voluto poterlo chiudere nella sua stanza, e tenerlo tutto
per sè, ma siccome la cosa non era fattibile, cercava come si potesse
rendergli impossibile l'accesso alla Dama, senza troppo allontanarlo da
sè, e qui stava appunto la difficoltà.
Mettendo il cervello alla tortura coi più strani pensieri, finì
a coltivare un'idea, che le pareva avere del buono e del cattivo
come tutti gli altri progetti, ma che presentava un incontrastabile
vantaggio, ed era di mettere il Consiglio dei Dieci in alleanza colla
sua gelosia. Ecco come ragionava la fanciulla: Una falsa accusa
farebbe mettere Valdrigo in prigione, e l'accusa essendo falsa la
prigionia non potrebbe oltrepassare la durata del processo. L'innocenza
dell'accusato, e la giustizia dei giudici renderà impossibile ogni
pericolo di condanna, ma forse il semplice fatto della prigione,
basterebbe ad allontanare per sempre il Valdrigo dal palazzo Leoni
anche dopo la sua liberazione, perchè l'esalazione del carcere rimane
sempre indosso a tutti i prigionieri di Stato, innocenti o colpevoli,
nè l'alterigia patrizia può ammettere nella sua società un uomo
sospetto di congiura, liberato per sola mancanza di prove.
Il piano dunque le sembrava magnifico, ma teneva la sua decisione
in sospeso, a motivo delle privazioni alle quali avrebbe esposto
Vittore. Veramente aveva sentito dire che mentre dura il processo
i prigionieri non sono da paragonarsi ai condannati, pure sentiva
dentro di sè una voce tormentosa che biasimava i suoi pensieri, e
le minacciava le amarezze del rimorso. Nella calma della ragione
essa vedeva che provocare l'arresto di Valdrigo era un delitto, che
privava ingiustamente un uomo della libertà, che gettava un innocente
nella tristezza e nelle miserie del carcere, e pensando ai timori
del giovane, alla dolorosa solitudine, alla privazione d'aria e di
luce, al silenzio senza interruzione, ai dolori senza conforto, alle
sofferenze senza lenimento, malediceva il suo progetto, si strappava i
capelli dall'affanno, e giurava di frenare una passione violenta che la
trascinava a colpe tanto crudeli.
Ma quando Valdrigo usciva di casa, galante e profumato come un
gentiluomo, con l'aspetto ardito e l'occhio scintillante, con un'aria
di provocazione e di conquista, allora la ragione taceva, allora i
buoni sentimenti svanivano, e i più dolorosi sospetti entrando nel
cuore, risvegliavano le furie della gelosia e la brama d'arrestare
ad ogni costo il trionfo d'una pericolosa rivale. I più forsennati
progetti le ripullulavano in mente, nessuna pena le sembrava soverchia
pel colpevole, avrebbe pagato col suo sangue una catena, il truce
aspetto delle porte ferrate, dei grossi chiavistelli e delle doppie
sbarre sorrideva al suo spirito agitato, come le promesse di un amico
sicuro.
Esitante sul partito da prendersi, spiava ogni passo di Valdrigo, e
porgeva attenta orecchia ai discorsi del popolo che incominciando ad
inquietarsi sui destini di Venezia, mormorava sotto voce del governo
e d'alcuni nobili, fra i quali ritornava sovente in campo il nome
del conte Leoni, detestato dai partigiani delle nuove idee, come
il più accanito nemico d'ogni transazione e il più tenace difensore
dell'antico sistema.
Le passioni represse fermentavano, un ardente desiderio di novità e
di riforma lottava contro i difensori della Serenissima Repubblica,
della quale vantavano le glorie passate e amavano le presenti dolcezze,
il vivere beato e pacifico, i continui passatempi, il libertinaggio
protetto dalle abitudini e dalla tolleranza del governo. Il lungo
abbandono delle armi e la vita molle avevano infiacchita la fibra del
popolo e della nobiltà, e abbassato il livello dei caratteri. Perduta
ogni morale dignità ed ogni nobile sentimento nazionale, l'egoismo
signoreggiava i magistrati del governo ed i privati cittadini.
I principî della rivoluzione francese che proclamavano i diritti
dell'uomo alla libertà ed all'eguaglianza, si chiamavano il _gallico
veleno_, ed era perfino proibito di parlarne. Intanto i francesi
entravano in Italia, e i Savj seguitavano a chiudere le orecchie
ai consigli più assennati, e continuavano a far la corte alle dame
ed a frequentare i pubblici spettacoli colla maschera sul volto.
All'invasione delle idee, il governo si opponeva colla proibizione
degli scritti; alla invasione delle armi straniere, rispondeva colla
neutralità disarmata. In conseguenza di ciò, mancavano le armi e i
soldati, le piazze forti erano sguarnite nè si pensava gran fatto
alle difese, nè ad accrescere la flotta, nè ad acquistare le armi
o fabbricare la polvere; per riscontro si vietavano in Teatro le
tragedie perchè sollevavano e concitavano gli animi. Le rivelazioni
più importanti dei residenti alle Corti straniere e i dispacci
degli ambasciatori veneti in Francia, che annunziavano i disordini,
le minaccie e i pericoli imminenti, non venivano nemmeno letti al
Senato per non turbare il sonno ai patrizii, e per ordine degli
eccellentissimi Savj di settimana, tutte le carte risguardanti tali
argomenti si passavano nella _Filza delle comunicate non lette_[77].
Volevano ad ogni costo la pace, il riposo ed il sonno, e dichiaravano
la guerra alle mode di Parigi, ai bottoni, ai ventagli rivoltosi,
alle foggie giacobine; spendendo ragguardevoli somme per ispiare la
condotta dei soggetti. Lo spionaggio era una delle basi del governo, ed
i magistrati dopo d'aver spiati i sudditi si spiavano fra loro. I Tre
spiavano i Dieci, i Dieci spiavano i Tre, l'Avogador del Comun spiava
gli uni e gli altri. Le spie frequentavano tutti i luoghi pubblici,
le vie, i teatri, le chiese, e perfino le private dimore, e i loro
servigi venivano retribuiti con salvacondotti temporanei, con denaro,
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