Il dolce far niente: Scene della vita veneziana del secolo passato - 05

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passò il secondo anno come il primo, sempre disposto a partire, sempre
ritenuto da una abituale indolenza.
Finalmente venne il secondo autunno, e come al solito ricomparve a
Vascon la famiglia degli Orseolo col consueto corteggio di Don Lio
innamorato fedele delle muse, e col nobile Partecipazio sempre più
ringiovanito dalle pomate e dai cosmetici coi quali cancellava le rughe
del suo volto, come i ristauratori dei quadri antichi riparano i guasti
del tempo. Questa volta poi c'era anche la Silvia, perchè l'esperienza
aveva insegnato a sua madre che amori della durata di due anni non
esistevano al mondo, e quindi secondo le sue massime ogni pericolo era
tolto.
L'arrivo della fanciulla scosse Valdrigo dal letargo; e indovinate che
cosa fece!
Valdrigo fuggì.
Cercando di vederla si sarebbe esposto a nuovi insulti, a nuove
calunnie, e il suo carattere non era tale da affrontare una seconda
volta l'alterigia patrizia. Averla vicina e non vederla era cosa
insopportabile al suo cuore, era lo stesso come il pretendere che il
ferro si allontanasse all'avvicinarsi della calamita.
Dalle lotte colla natura si fugge con energica risoluzione, ma non si
resiste nè si vince. Valdrigo dunque partì, ma non per Venezia che non
aveva per lui più attrattive, ma per un viaggio pedestre ed artistico
sulle Alpi che contemplava da lontano e non aveva mai vedute da presso.
Entrò nel Cadore, la Svizzera del Veneto, e costeggiando la Piave
visitò quei boschi antichi, e quei monti scoscesi che offrono tanti
spettacoli sublimi all'ammirazione di chi ama la natura, e la grande
poesia delle sue opere. La donna de' suoi pensieri lo seguiva dovunque,
e disponeva la sua mente alla contemplazione di quelle scene stupende
che le anime volgari guardano stupidamente senza gustarle.
In quelle solitudini alpestri egli meditava le grandezze delle opere
di Dio e la caducità delle umane produzioni. Quelle roccie sfidavano
gl'insulti dei secoli, e le opere più solide dell'uomo non potevano
sopravvivere alle spente generazioni. L'antico Egitto scomparve,
Gerusalemme non è che un mucchio di macerie, la divina Atene è caduta,
e di tanta scienza, e di tante arti gentili, e di tante sublimi o
graziose produzioni non ci restano che pochi frammenti che rendono più
amaro il tramonto di ogni grande civiltà.
Volle compiere un pio pellegrinaggio al paese che diede i natali al
grande Tiziano; e in quella valle pittoresca che fiancheggia la Piave
cercava i punti che avranno arrestati gli sguardi dell'immortale
pittore. Visitò la casa abitata dall'artista ancora fanciullo, e
baciò la parete ove appena decenne quella mano divina aveva dipinto
una Vergine col succo d'erbe spremute e di fiori. Era quello il
primo lavoro dell'uomo davanti al quale l'imperatore Carlo V, doveva
inchinarsi a raccogliere il pennello caduto, rispondendo alla sorpresa
di lui: — Tiziano è degno d'essere servito da Cesare.
Ritornò a Saltore in novembre, quando tutti i villeggianti erano
partiti, e rifece solitario i passeggi che doveva aver fatti la Silvia,
e seguiva le sue traccie coll'istinto, e gli sembrava di vederla.
Talvolta si arrestava dietro un albero ad osservare il giardino e il
palazzo. Ma le chiuse imposte gli pesavano sul cuore come le memorie
dei morti. Angelo Rotondo vangava la terra intorno agli dèi venerati
da Don Lio, Fiorina copriva i garofani per ripararli dal freddo, e il
boschetto era deserto.
Un giorno ritornando dal solito passeggio trovò sua madre sulla porta
che lo aspettava, tenendo fra le mani una lettera. Vittore riconobbe
sull'indirizzo il carattere di Antonio Canova. Il collega ed amico gli
scriveva da Roma la relazione del suo primo trionfo.
Il grande monumento del pontefice Ganganelli era stato scoperto al
pubblico nella chiesa dei santi Apostoli. Canova gli raccontava la
storia dei suoi lavori, degli studi intrapresi, delle fatiche sostenute
per superare le difficoltà dell'arte, e gli svelava ingenuamente le
gioje provate a lavoro compiuto, e le agitazioni sofferte davanti al
giudizio del pubblico, e accennando le lodi ricevute e le critiche
soggiungeva: «le critiche danno luogo a riflettere ed insegnano: le
lodi sovvertono ed addormentano; tolgono la smania di andare avanti, di
tenere in attività lo spirito per distinguersi»[5].
Ai discorsi dell'arte seguivano le confidenze del cuore; il quale
soffriva per un amore infelice. Lo scultore amava la figlia d'un altro
artista, Domenico Volpato. Erano stati fidanzati, ma inesplicabili
misteri aveano rotto quel nodo, e in luogo delle nozze era seguito
l'abbandono. Ma egli cercava nel lavoro un sollievo al dolore, e così
anche le ambascie d'un amore tradito divenivano fomite all'arte e
aggiungevano espressione alle opere.
Canova chiudeva la lettera eccitando l'amico a mettere a prova il suo
genio con qualche opera di lena, e lo invitava a dargli notizia dei
lavori compiuti.
Il rossore della vergogna coloriva le guancie del giovane, il rimorso
del tempo perduto gli lacerava la coscienza, l'esempio glorioso
dell'amico lo scoteva finalmente dal lungo letargo, e presa una
risoluzione irremovibile, si diede a raccogliere gli studi dispersi,
a mettere insieme i suoi libri, gli arredi, e gli utensili dell'arte
mentre che la madre gli apparecchiava il fardello delle vesti, per la
partenza.
All'indomani alzatosi per tempo abbracciava i parenti, stringeva al
seno sua madre che piangeva a calde lagrime, dalla gioja di vederlo
risoluto a lavorare e dal dolore di perderlo. La buona donna gli
metteva in mano le sue economie, gli raccomandava il coraggio, lo
accompagnava per un tratto di via. I suoi bagagli partivano sopra una
carretta condotta fino a Mestre da Osvaldo, egli se ne andava a piedi,
come la prima volta, ma con qualche anno di più con qualche illusione
di meno, con l'anima ferita, col rimorso del tempo perduto.
Per via sua madre gli prodigava i consigli dei cuori semplici, lo
pregava di conservarsi onesto, di meritarsi la stima di tutti, di non
lasciarsi invadere dall'ozio, di aver fede in Dio, di voler bene a
lei che pregava sempre per la sua felicità, e invocava sul suo capo le
benedizioni del cielo. A Lancenigo si separarono con nuove lagrime e
baci; la buona Rosa ritornò a Saltore col cuore stretto dall'affanno, e
Vittore giunto a Mestre, e preso posto in una barca, arrivava alla sera
in Venezia.


XVIII.

Sbarcò in casa d'un amico, e si mise tosto in traccia d'un alloggio
modesto. Nel tempo che dimorava al palazzo Orseolo aveva fatto
conoscenza con un certo Beppo Caruga battelliere, che conduceva gli
artisti al lido, e nelle gite dei dintorni.
Avendolo scontrato per via gli chiese delle indicazioni in proposito.
Beppo offerse una stanza nella sua casa, che venne subito accettata,
e trasportativi i bagagli prese immediatamente possesso della nuova
dimora dopo aver fissato un modesto contratto per l'alloggio e pel
vitto.
La casa del povero pescatore era situata in un quartiere remoto di
Venezia. Essa formava l'angolo di una calle che finiva in laguna, e la
stanza di Valdrigo aveva tre finestre, una guardava la strada, le altre
l'acqua. Da lontano la catena dei monti formava la cornice del quadro.
Quella camera era stata la stanza nuziale dei genitori di Beppo, morti
entrambi da due anni. Ripulita e imbiancata, si voleva affittarla,
ma non trovava aspiranti perchè se la stanza era vasta, ariosa e
decente, l'aspetto esterno della casa era affatto miserabile, cosicchè
quell'alloggio riusciva troppo povero e lontano dal centro per le
modeste fortune, e di troppo lusso per i poveri. Valdrigo vi si trovava
a meraviglia, e sosteneva che l'esterno era più bello dell'interno.
I muri scalcinati, i modiglioni sporgenti, le reti distese sulla
facciata che si asciugavano al sole, i canestri panciuti del pesce
che circondavano la porta, i laceri pannilini che sventolavano dalle
finestre sopra un lungo bastone, come le banderuole dei navigli in
un giorno di festa, davano veramente a quella casa un certo che di
pittoresco, che conveniva perfettamente alle idee di Valdrigo. La
vista poi dalle finestre era magnifica, e si estendeva sopra un vasto
orizzonte. Alcune bianche vele disperse per la laguna si riflettevano
sulle acque e parevano uccelli fantastici vaganti sulle onde azzurre
del mare. Nelle ore del riflusso gli strati scoperti apparivano come
verdi tappeti galleggianti, e i cercatori di crostacei vagavano per le
alghe ricurvi il dorso, in traccia della preda. Al tramonto del sole
le montagne lontane si tingevano di colori cangianti dal giallo d'oro
al rosso porporino, dal rosso al violetto, e finalmente all'azzurro,
fino a che le nevi brillavano ai languidi chiarori della luna. Tutto
il giorno la laguna era popolata di barche, le più vicine apparivano
distinte coi loro accessorii più minuti, le lontane parevano un punto
nero nello spazio. Entravano di continuo nel canale, passavano o si
fermavano alla riva battelli, burchi, caicchi, gondole, peote, e ogni
maniera di barche. Sulle fondamenta le donnicciuole si sedevano al
sole, rattoppando i cenci, o facendo i calzetti, querelandosi fra
loro, mormorando del prossimo, lamentandosi della crescente miseria.
I fanciulli giocavano, i battellieri si riposavano sulle soglie delle
porte o apostrofavano i compagni, o si burlavano dei passeggieri, o con
un segno degli occhi imberciavano certe gondole che uscivano al fresco
con due innamorati.
Quel luogo, quantunque lontano dal centro romoroso di Venezia, pure
non era il più opportuno per decidere al lavoro il nostro indolente
Valdrigo. Mille motivi lo attiravano alla finestra, mille altri ve lo
ritenevano in osservazione. Da un lato studiava la natura, dall'altro
le scene popolari che aveva sotto gli occhi. Dagli alberi e dai
campi di Saltore, alle barche ed alle acque di Venezia il mutamento
era troppo grande per non attirare gli sguardi d'un artista. Dalla
solitudine della campagna alla bizzarra conversazione del popolo
di Venezia la differenza era troppo rimarchevole per non servire di
distrazione, a chi tanto facilmente si lasciava distrarre.
La famiglia de' suoi ospiti si componeva di tre soli individui. Beppo,
sua sorella Maddalena, e la vecchia Marta, la nonna degli orfani, una
povera vecchierella grinza e rugosa. Beppo era un ardito pescatore,
laborioso sul mare, scioperato sulla terra. Marta aveva dieciotto anni,
i capelli castagni, gli occhi briosi, una bocca ridente che lasciava
vedere il candore dei denti, la carnagione brunetta, la figura snella.
La gioventù e la salute andavano d'accordo nell'abbellire la modesta
popolana la quale aggiungeva a questi doni della natura la pulitezza
della persona, un abito semplice, un grembialino fiorito, un monile di
corallo coi relativi orecchini.
Quando usciva di casa battendo i tacchi delle pianelle sul selciato,
dimenando i fianchi con una particolare leggiadria, col fazzuolo bianco
sul capo, e l'aspetto franco e sicuro, tutti gli sguardi la seguivano;
i giovinotti si volgevano indietro a guardarla con quella attenzione
avida ad un tempo e stizzosa colla quale il cacciatore osserva una
rara selvaggina che gli passa sotto al tiro, ma vola rapidamente e
sparisce, prima che possa montare lo schioppo per farla cadere a' suoi
piedi. E i vecchi libertini stralunando gli occhi per vederla tutta
intiera, si passavano la lingua sulle labbra come il goloso gastronomo
davanti l'evaporazioni solleticanti d'un delizioso manicaretto che
non è destinato per lui. Ma nessuno osava importunarla, tanto la sua
fisonomia incuteva rispetto, per una certa aria fra l'innocente e
il risoluto, che pareva dire — non avrete niente, o uno schiaffo. —
Valdrigo la guardava sottecchi coll'ammirazione del pittore, ma colla
indifferenza dell'innamorato di un'altra.
I primi giorni, Maddalena portava nella stanza del giovane il suo
modesto desinare che era trovato sempre eccellente, ma poi egli chiese
di far tavola comune cogli ospiti, e dopo alcune cerimonie venne
accettato. La mensa si allestiva in cucina, e dopo il pranzo prendevano
tutti una fiammata davanti al camino. Quando nevicava, o soffiava
il vento, la conversazione si prolungava qualche ora. La vecchia si
addormentava la prima, e Beppo le teneva compagnia poco dopo, cosicchè
Vittore e Maddalena restavano soli a contarsela.
Taluno dei nostri giovani lettori si aspetta adesso una dichiarazione
d'amore, e un dialogo passionato. Tutt'altro, signori, Valdrigo parlava
a Maddalena del buon tempo e della pioggia, del caldo e del freddo,
— non vi ricordate che egli era innamorato di Silvia? e di che sorta
d'amore! di quegli amori che scompariscono dal mondo coll'abolizione
delle classi privilegiate, col principio dell'eguaglianza.
L'amore cresce sempre in ragione diretta delle difficoltà che incontra,
e degli ostacoli che si frappongono al suo corso regolare, come quei
torrenti che ingrossano davanti agli argini e alle dighe, e diventano
minacciosi pei campi sottoposti. Quando gli odii politici dividevano
le famiglie, rendendo impossibile ogni alleanza fra i nemici, allora si
vedevano gli amori di Giulietta e Romeo; quando si divisero le nazioni
fra nobili e plebei con una sbarra insormontabile, si videro fra i
giovani delle due parti degli amori d'una tenacità pari all'alterigia
dei nobili, e questo era il caso di Valdrigo. Le leggi della ingenua
natura sono semplici e piane, la fecondazione delle piante succede
spontaneamente sul campo, la fecondazione degli animali bruti è
sottoposta alle stesse condizioni dei vegetali, e così sarebbe anche
della razza umana, al cui naturale connubio la natura non domanda
altro che un maschio ed una femmina. Ma l'uomo essendo un animale
ragionevole non ha trovate giuste le leggi di natura, si è incaricato
di correggerle ed ha emanate delle leggi civili che costituiscono la
base della nostra società. La natura diceva: un matrimonio è
bene assortito quando due giovani di sesso diverso si sentono chiamati
da una istintiva inclinazione a formare una sola famiglia. E sembra
che questo fosse un grande sproposito, che venne corretto nel modo
seguente: La società dichiara un matrimonio bene assortito quando i
nobili sposeranno i nobili; quando i ricchi si uniranno coi ricchi
e i plebei coi plebei, e in altre parole un matrimonio sarà bene
assortito quando una donna con ricca dote sposerà un uomo che nuota
nell'abbondanza, e quando un uomo che non ha nulla per vivere formerà
famiglia con una donna che muore di fame. La società avendo fissati
questi principi fondamentali, la natura si oppose e protestò, e da
questa lotta fra le leggi di natura e le leggi sociali nacquero tutte
quelle sventure amorose e i conseguenti delitti che troviamo registrati
nelle storie, raccontati nelle cronache, esagerati nei romanzi.
E siccome noi non vogliamo esagerare questa storia perchè non si dica
che scriviamo un romanzo, diremo francamente che Vittore Valdrigo,
quantunque perdutamente innamorato di Silvia, pure non si trovava male
con Maddalena, e senza avvedersene egli stesso le stava volontieri
vicino.
Ma non essendo punto innamorato di lei, le sue idee non subivano
quella specie d'esaltazione cerebrale che innalza i pensieri al disopra
dei tetti, cosicchè le sue idee volgevano al positivo e al comune, e
riscaldandosi al camino andava dicendo fra sè stesso: — È egli giusto
ed onesto che per il piacere di riscaldarmi con questa buona ragazza io
debba consumare la legna de' miei ospiti?... È egli giusto ed onesto
che intanto che a Saltore abbonda il combustibile, io mi riscaldi
colla legna che scarseggia a Venezia? — Così riflettendo prese una
lodevole determinazione e scrisse a sua madre che mandasse Osvaldo a
Mestre con un buon carro di legna, e ne fissava il giorno preciso.
Rosa, ricevuta la lettera, corse dal curato per farsela leggere, e
ritornò a casa decisa a farsi onore, ma Zammaria si mise a brontolare
e a mendicare dei pretesti, e finì dichiarando che la legna bisogna
venderla pei bisogni di famiglia, e incominciò una resistenza ostile
e una scaramuccia che a poco a poco divenne un vero combattimento. La
Rosa impiegava invano la solita artiglieria degli sguardi fulminei,
chè Zammaria prevedendo i mezzi del nemico si difendeva voltando la
schiena agli assalti. Allora la Rosa, assalito di fronte l'avversario,
gli gettò due parolette nell'orecchio che parvero far breccia; e come
al solito mormorando per la sofferta sconfitta, cedette il campo di
battaglia, e se ne andò nella stalla a sfogare la sua collera coi buoi,
sopra i quali menava la striglia con tanto furore che i poveri animali
si dimenavano spaventati e mandavano dolorosi muggiti.
Al giorno fissato Valdrigo pregò Beppo di accompagnarlo a Mestre
colla barca ove egli disse, che suo fratello lo aspettava con alcune
masserizie. Partirono e trovarono esattamente Osvaldo che li aspettava
col carro. La buona madre aveva interpretato largamente la commissione
del figlio, perchè, oltre la legna in abbondanza, la spedizione
comprendeva quattro magnifici capponi, del formaggio fatto in casa,
del butirro, delle uova, e un bottaccio del vino saporito di Saltore.
I fratelli avevano voluto aggiungere le loro offerte a quelle della
madre, a motivo delle prossime feste del Natale, e così c'erano
delle noci, dei pomi ed una zucca formidabile, la quale soddisfaceva
l'ambizione d'Osvaldo nella sua qualità di ortolano. Vittore rimase
commosso, non sorpreso della bontà e dell'affetto materno. Egli
aveva portato da Venezia un bel fazzoletto rosso per sua madre,
una tabacchiera per suo padre, del buon caffè, del levante e dello
zucchero per tutti, e consegnò ogni cosa ad Osvaldo, raccomandandogli
di non dimenticarsi i suoi baci, e le più tenere espressioni di
gratitudine e di affetto. Non è a descriversi la gioia di Beppo che si
manifestava con espressioni volgari e troppo colorite; ma è certo che
non dissimulava il suo contento con ipocrite cerimonie. Trasportati
gli oggetti dal carro alla barca, e rinnovati i saluti al fratello, si
misero in viaggio, Osvaldo per ritornare a Saltore, gli altri due per
Venezia. Valdrigo pensava con tenerezza a sua madre, e Beppo ripeteva
ogni momento le stesse parole: — Paron benedetto, che cuccagna! —
Così per merito di Valdrigo e della buona Rosa, la famiglia dei
pescatori passò le feste, come non le aveva forse mai passate, e
crebbe l'intimità e l'amicizia fra l'artista e i suoi ospiti, ed
egli poteva prolungare le sue sedute intorno al focolare senza
rimorsi. Le provvisioni ricevute eccitando la curiosità delle donne,
che incominciavano a crederlo un principe travestito e a sospettare
delle sue intenzioni, resero necessari degli schiarimenti e delle
giustificazioni.
Valdrigo dovette quindi raccontare la sua storia, ben inteso riveduta,
corretta e diminuita dall'autore, il quale stimò necessario di
tacere intieramente il motivo dell'abbandono degli Orseolo, e tutti
i particolari relativi alla sua passione per Silvia. Questo amore
pareva ingrandito dalla distanza, fomentato dalle impossibilità,
inasprito dagli ostacoli insormontabili. A che scopo ostinarsi ad
amare una nobile e ricca donzella, fidanzata ad un potente signore?
a che scopo conservare nel cuore questa fiamma che gli consumava la
vita?... Andatelo a domandare agli innamorati!... andate a domandare
all'incendio con quale scopo egli distrugga i palazzi, i teatri, i
dipinti preziosi, le suppellettili, i libri, i documenti più rari!
Lo abbiamo detto, l'amore nella natura è un dolce sentimento che guida
alla felicità, l'amore inasprito dalle leggi o dai pregiudizi sociali è
una passione che conduce alla disperazione e alla pazzia.
Talvolta in qualche sera di gennaio veniva giù una pioviggina
gelata che metteva i brividi al solo vederla. Sul focolare dei
pescatori brillava una viva fiamma, la bella Maddalena sedeva sotto
la cappa del camino, ed una sedia vuota dirimpetto pareva messa
a posta per Valdrigo. Egli guardava colla stessa indifferenza il
fuoco crepitante, il posto vacante e la ragazza, e involgendosi
nel ferraiuolo attraversava Venezia fra il fango e l'intemperie per
procurarsi l'indescrivibile contento di contemplare le invetriate
del palazzo Orseolo. Le stanze essendo illuminate e la calle oscura,
si distinguevano abbastanza bene le persone che si avvicinavano alla
finestra.
Talvolta era un domestico in gran livrea, o il volto color di rosa di
Don Lio, o la candida parrucca del nobile Partecipazio. Vittore passava
la sera spiando avidamente ogni movimento, e premendosi il petto
colla mano quando un'ombra passaggiera gli faceva battere il cuore
con soverchia violenza. Intanto il vento gli soffiava la pioggia sul
viso, e lo faceva battere i denti dal freddo. Solo risultato di tali
prove amorose era una qualche violenta infreddatura che lo confinava a
letto per tre giorni. Così non giungeva mai il momento del lavoro e del
giudizio, e passavano i mesi coi soliti prodotti del dolce far niente.
La convalescenza riconduceva l'infelice innamorato sotto la cappa
del camino, e ristabiliva le conversazioni colla Maddalena. La buona
ragazza compiangeva le sofferenze di lui, gli riscaldava le tisane per
la tosse e gli parlava di sua madre.
Se egli le avesse fatto delle dichiarazioni amorose, essa si sarebbe
tenuta in guardia, ed avrebbe chiuse le porte del cuore, per istinto
d'onestà, ma il contegno di Valdrigo rendeva inutile ogni precauzione,
ed escludeva qualunque pretesto di diffidenza. Ma a quanto sembra,
l'amore è una passione insidiosa, ed avendo trovate aperte le porte
del cuore di Maddalena, vi entrò, senza chiederne il permesso. Un bel
giorno la povera fanciulla si trovò il nemico in casa senza sapere da
che parte vi fosse entrato, cosicchè mentre Vittore adorava la Silvia,
la Maddalena adorava Vittore.


XIX.

I giorni dell'inverno son brevi e se le cure d'un amore infelice
assorbono alcune ore e i bisogni della vita alcune altre, che cosa
resta per lo studio? Aggiungete il tempo perduto in pensieri amorosi ed
artistici, i sogni del cuore, i voli della fantasia, ed anche il timore
di non riuscir bene nel lavoro. Certi giovani pensano sempre alle
grandi difficoltà di compiere un'opera perfetta, all'ingratitudine del
mondo che non tiene conto delle privazioni, delle pene, delle fatiche
dell'artista, e così via fino al disprezzo della gloria, fino al
disprezzo della vita. Sono le solite idee di chi non ha voglia di far
niente.
Canova in Roma non pensava a queste cose; egli era invaso da una specie
di febbre, e gli pareva di non mai lavorare abbastanza; non pensava
alle difficoltà che per vincerle, e alla gloria che per meritarla.
Modellando la creta egli sentiva nell'animo il sublime entusiasmo di
colui che vede il suo pensiero trasformarsi in realtà, e si agitava
sotto la foga d'una ispirazione più pronta della mano. Nelle ore che
riposava dal lavoro della plastica, si dedicava allo studio delle
lingue straniere, alla lettura delle opere classiche, letterarie,
erudite ed artistiche, o delineava degli studi dagli antichi modelli
o dal nudo, apparecchiandosi così un vasto terreno sul quale potesse
spaziare il suo genio.
Valdrigo studiava in altro modo; passeggiando per Venezia, osservando
gli effetti della luce sulle sculture dei palazzi, ammirando i colori
del tramonto sulle nuvole e sull'acque, cercando i motivi delta
tavolozza della veneta scuola sulle figure dei passanti, sulle quali
non trovava più le robuste tinte che si ammirano nei quadri degli
illustri maestri.
O percorreva la laguna sulla barca di Beppo osservando da lontano lo
stupendo spettacolo della città, che pareva galleggiante sulle acque
trasparenti, come un'isola fantastica, troppo bella per rimanere sulla
terra, troppo grave di peccati per salire verso il cielo. Un giorno
invaso da' suoi sogni poetici, rimase lungamente immobile nella barca a
contemplare Venezia lontana immersa in un velo di nebbia che la rendeva
più bella del solito, e ritornando alla riva si trovò tutte le membra
intirizzite dal freddo. Entrò allora in una bettola, e per riscaldarsi
tracannò in tutta fretta uno dopo l'altro alcuni bicchieri di vino di
Dalmazia, e uscì tosto a passeggiare al sole sulla riva. Vagando da una
strada all'altra si trovò in Campo San Giovanni e Paolo, e sentendosi
stanco entrò in chiesa ove andava sovente ad ammirare le cospicue opere
d'arte che abbondano in quel Pantheon delle Venete glorie.
La luce esterna entrava nel tempio illanguidita e variopinta
attraversando le ampie invetriate a colori; le lampade accese
davanti gli altari gettavano un riflesso rossastro sulla penombra dei
monumenti, l'odore dell'incenso si spandeva nella grave atmosfera, e
contribuiva a rendere misterioso e solenne il sacro luogo. Valdrigo
entrando a destra si sedette dirimpetto al monumento lavorato da
Pietro Lombardo, e si mise a contemplare con un occhio istupidito
l'urna sepolcrale, portata sul dorso da tre guerrieri, sulla quale
s'erge la statua del doge Pietro Mocenigo. Tutto ad un tratto gli
parve di vedere che i guerrieri si movessero, e che il principe
scosso dal lungo sonno aprisse gli occhi. Un brivido gli passò per il
corpo, si levò in fretta, fece alcuni passi e si sedette nuovamente
in faccia al Mausoleo del generale Orsino, ma levato lo sguardo vide
le statue della Prudenza e della Fede che si abbassavano per salutare
la statua equestre dell'eroe, il quale agitando leggermente le gambe
sembrava voler conficcare gli sproni nel ventre del cavallo per farlo
avanzare. Valdrigo, sbalordito, mandò un grido di sorpresa, poi chiusi
gli occhi si mise a urlare di spavento. Poco dopo sentendosi cadere
dell'acqua sulla fronte riaperse gli occhi e si trovò circondato da una
folla d'individui. Allora parve si facesse animo perchè ringraziava
gli astanti, ma poco dopo soggiunse: — Voi siete certamente gli
eroi di queste tombe mossi a pietà del mio male. Grazie, Capitano
Orazio Baglioni, grazie, illustre Bragadino, e voi che mi guardate,
serenissimi principi Vendramino, Loredano, Morosini, Cornaro,
lasciatemi in riposo, e ritornate in pace ai vostri Mausolei...


XX.

Alla mattina seguente Valdrigo ritornando alla sua dimora trovava i
poveri pescatori nella più grande inquietudine. Maddalena appena lo
vide gli si fece incontro dicendogli:
— Non ha avuto disgrazie?... Ove ha passato la notte?
— Nessuna disgrazia... ho passato la notte tranquillamente in un buon
letto, in casa del sagrestano di san Giovanni e Paolo...
— Come?...
E qui le raccontò ingenuamente l'effetto impreveduto del vino
di Dalmazia, ajutato dall'incenso e dalla fantasia predisposta
alle allucinazioni. Gli eroi che lo circondavano in chiesa erano
naturalmente i devoti attirati dalle sue grida, e il sagrestano accorso
con dell'acqua per calmare le sue sofferenze. Il bravo uomo mosso a
pietà per l'accidente del giovane, e conoscendo per pratica che un buon
sonno lo avrebbe guarito, non volle deporlo sul lastrico, e assistito
da' suoi colleghi lo trasportò sopra un letto in casa sua, seguendo
la massima cristiana «fare agli altri quello che si vorrebbe che fosse
fatto a sè stessi.»
L'apprensione degli ospiti, e certi sospetti di Maddalena finirono con
una bella risata e con l'osservazione dell'artista: che se il vino di
Dalmazia fa risuscitare i morti, minaccia per riscontro di far morire i
vivi.
Intanto erano trascorsi alcuni mesi dal giorno ch'egli s'era proposto
di darsi seriamente al lavoro senza che nessuna opera compiuta fosse
uscita dalle sue mani, meno alcuni ritrattini che gettava giù in
fretta per guadagnare qualche cosa e non rimanere di aggravio a
sua madre. Come le api che cercano il miele su tutti i fiori egli
cercava un alimento al suo spirito sulla superficie delle arti, ed
evitava di penetrare nel fondo ove si trova la gloria, ma a prezzo di
sudori e di stenti. In quel tempo l'atmosfera di Venezia era pregna
di molecole soporifere e di emanazioni debilitanti, che penetravano
nelle fibre umane come una fatale epidemia e le rendeva floscie e
cascanti. Valdrigo invaso da una passione infelice sciupava il genio
improvvisando versi ispirati dalla sua diva, o gettava sulla carta
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