Il Designato: Romanzo - 11

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afferra la donna a carriera, la ruba, la trattiene, e la rilascia,
pronto a sostener le conseguenze del suo furto o a difender la sua
preda. Romantica e immoralissima convinzione, senza dubbio; ma in ogni
modo, essa m'aveva avvezzato a tradire soltanto il sesso maschile.
Perchè colla donna, in qualunque maniera ella fosse mia, avevo sempre
sfoggiata una fedeltà eccezionale; e non era piccolo merito il potere
assolversi da ogni peccato in proposito, da ogni desiderio
inconfessabile, da ogni sotterfugio.... La fedeltà nasceva per la
certezza che l'infedeltà è inutile in un amore libero; certezza non
condivisa talvolta dalla donna, la quale aveva trovata utilissima
l'infedeltà in tutti gli amori di questo mondo.
A me pareva dolce cosa esser fedele; dovere innegabile e nel medesimo
tempo piacevole, appunto perchè non imposto da alcuno, e senza lode
agli occhi della legge.
Ma da qualche ora un bisogno vivo, pressante, imperiosissimo di
tradire anche la donna, m'aveva costretto a sconfessare le mie
abitudini, così cavalleresche da un lato, così.... arabe dall'altro;
ed ero venuto a prender posto nel Circolo summentovato,
classificandomi fra i soci che si propongono di tradire ambedue i
sessi.
La mia decisione era grave, perchè il tradimento aveva un nome; non
già perchè mancavo a delle promesse, facevo sanguinare un'anima
femminile, dovevo vivere d'una vita doppia e falsa; tutto questo è
comune a qualunque tradimento, anche nell'amore libero.... Ma l'essere
stato previsto il mio caso, l'essere stato battezzato con un nome da
Codice penale, mi metteva un piccolo brivido di vergogna....
Avevo appoggiati i gomiti al davanzale della finestra e guardavo giù
nel corso Venezia i non molti passanti, senza distinguerli; poi
sembrandomi che ciò mi distraesse dalla solennità del momento, mi
ritrassi, e rimasi bensì presso la finestra, ma in poltrona, collo
sguardo al soffitto.
Raccoglievo ed elencavo gli eccellenti motivi pei quali dovevo tradire
mia moglie.
Innanzi tutto, l'incompatibilità di carattere. (Come la legge aveva
saputo prevedere e battezzare anche questo caso, con dei vocaboli un
po' barbari, ma chiarissimi!). Lidia non amava la letteratura; Lidia
era mutabile così da passare in un solo mese dal desiderio di
solitudine, ai divertimenti più chiassosi, e da questi ai piaceri
frivoli dell'abbigliamento raffinato: non aveva alcuna idea della
famiglia, e mentre in Isvizzera temevo arieggiasse alla buona massaia,
in Italia s'occupava tanto della casa, da non saper nemmeno quale
servo avessi io, dopo lo sfratto d'Andrea; non possedeva sentimenti
precisi, e per lentissime gradazioni era arrivata a mostrarsi
indifferente di dieci supposte mie amanti, quando in principio
s'oscurava se soltanto io trovava bella, non una donna, ma una
vestaglia femminile; non aveva il senso della maternità, anzi peccava
del senso contrario, paventando un parto, per la sua bellezza, e per
la sua tranquillità se i bambini fossero venuti a troncarle la libera
disposizione della giornata; era imprudentissima, perchè ormai doveva
aver compreso che Gian Luigi Sideri mi dava ombra, e tuttavia ella
ogni sera lo invitava per la sera successiva, quand'avrebbe potuto
invitare quell'ottimo Caccianimico, il quale non era men valente
giuocatore del Sideri; era presuntuosa, della presunzione irritante,
che sembra ascoltare e approvare i consigli, e poi agisce a modo
proprio, con un'inesperienza sbalorditoia....
Avrei potuto accumulare altre schiaccianti accuse di questo genere,
tutte classificabili sotto quel solo titolo legale; ma mi urgeva di
togliermi agli argomenti oggettivi, per vagliare i soggettivi, meno
giustificati, ma più tremendi, perchè Lidia non avrebbe mai potuto
allontanarli, non supponendoli neppure.
Ella non supponeva ch'io era stanco di lei; aveva preso alloggio in
casa mia, credendo che ciò solo bastasse a farmele considerar legato
per l'esistenza intera. Non ragionava male in fondo, perchè nessuno
s'era preso il disturbo di spiegarle i gravi ostacoli che una donna
deve superare per impossessarsi dell'uomo, il quale, essendo suo per
legge, è perciò appunto meno suo d'ogni altro, e più volonteroso di
sottrarsi a un dominio spaventevole per forma e per durata.
Nessuno le aveva spiegato che marito e moglie si trovan sempre nelle
condizioni di Maometto e della montagna: onde, ne vengono
disastrosissime conseguenze, comechè ciascuno ami far da montagna che
non si muove, e veder l'altro far da Maometto che la conquista.
Ero stanco di Lidia; se nessuno le aveva insegnate così belle cose,
ella era abbastanza intelligente per averle comprese, quando invece
Lidia pareva volersi rifare del servaggio non lungo di fanciulla, con
un interminabile sultanato di donna. Cosicchè la sua freddezza
complessa mi respingeva, e pur amando le sultane in genere, ero
disposto a dei sacrifici per le sultane sole che avessero muscoli e
nervi, sorrisi e parole.... Non riconoscevo in Lidia alcun diritto
all'idolatria senza condizioni....
Un calcolo erroneo m'aveva consigliato ultimamente d'imporle quelle
notti ch'ella rifiutava per capriccio; ed avevo così resa anche più
problematica la pace del focolare. D'un tratto, Lidia s'era assunta la
divisa dell'obbedienza, d'un'obbedienza curiosissima, fingendo
d'ignorare i miei gusti, e sbizzarrendosi a invitar gente che non mi
piaceva e a trascurarne altra che mi piaceva assai, come quel buon
Caccianimico, il quale veniva sempre a visitarci, ma ci vedeva di rado
a visitar la sua signora.
Da questo era conseguita la sensazione dell'estraneità di Lidia a
tutto quanto mi concerneva. Ella non era la mia donna, o la mia
amante, o mia moglie, o un essere caro ed intimo per le cui fibre
passassero vibrazioni concordi ad ambedue; ella era una donna che
andava e veniva per la casa, che mi dava del tu, che pranzava alla mia
tavola, che mi permetteva di dormirle a fianco e che mi consegnava le
note della sarta con una puntualità maravigliosa.
A costei io avrei dovuto serbarmi fedele tutta la vita? Oggi, domani,
mi sarei imbattuto nella donna per la quale l'amore non era vuota
parola, e il mio poteva essere anche una salvezza o un motivo di
vivere.... Io avrei dovuto rinunciare alle sconfinate gioie d'un
simile possesso, per che cosa? Per rappresentare nella commedia la
maschera del marito fedele.
Calai un pugno sul bracciuolo della poltrona, e mi diedi a passeggiare
infuriato.
Nel lungo ragionamento avevo omessa una cosa d'importanza non lieve:
ero deciso a tradir Lidia; ma con chi? Senza dubbio, con una donna per
la quale l'amore non era vuota parola.... E dove si sarebbe trovata
questa donna?... Fra le mie conoscenze, non mi pareva; fra le mie
conoscenze abbondavano le donne che non soltanto consideravan vuota
parola l'amore, ma eran vuote di cervello esse medesime; tutte amiche
di Lidia....


XVI.

Sull'uscio comparve donna Teresa, dicendo:--Allora, siamo d'accordo.
Io vi aspetto laggiù, per la settimana ventura. Solo, badate nelle
visite di congedo, di far ben capire che a Pallanza resterete poco
tempo....--
Le diedi uno sguardo, mentre parlava. Aveva un abito di seta scozzese,
a grosse righe colorate, assolutamente ridicolo; e l'adipe senile,
imprigionatovi dentro, protestava da ogni parte, mostrando mia suocera
così attillata, angustiata e vistosa, da eccitar le beffe dei monelli.
--Va bene, mamma,--risposi con un saluto della mano.
Ella se ne andò. Anche costei aveva usurpati i titoli e i poteri; se
non mi fosse venuta la mattana di sposar Lidia, donna Teresa m'avrebbe
servito a maraviglia per esilararmi nei giorni di tedio. Io le doveva
adesso il più illimitato rispetto, da che ella mi chiamava suo figlio,
ed io chiamava lei mia madre, nei discorsi confidenziali....
Pensandovi, c'era da riderne o da piangerne senza posa....
Un ritratto incorniciato di nero, pendente a fianco del letto,
attrasse i miei sguardi, per imperiosa antitesi.... Quella era la
madre mia; quella ch'era morta, che mi aveva amato con l'anima tutta e
per troppo brevi anni! Quale differenza fra la bruna testa
aristocratica di lei, e il viso scialbo, dai lineamenti sdruccioli di
donna Teresa!
Per un istinto puerile di rivolta, mi guardai bene d'annunciare una
lunga assenza agli amici; nelle visite di quei giorni, ebbi a rilevare
come anche Lidia non determinasse la durata della nostra vacanza.
«--Partiamo per qualche tempo--» era la frase di prammatica,
«--Facciamo compagnia alla mamma prima che si stabilisca al Cairo.--»
La nostra fama di coniugi esemplari durava tuttavia, a quanto potei
capire; davanti a noi si parlava senza paura di felicità coniugale e
si condannava con entusiasmo lo stato celibe; noi sorridevamo
cortesemente, sovrani annoiati fino alla morte dalla marcia reale e
rassegnati a sentirsela nelle orecchie in ogni occasione.
--Molto bene,--mi disse un giorno Ettore Caccianimico,--hai saputo
resistere a tua suocera!--
(Per non sospendere le amichevoli consuetudini, egli anticipava le sue
visite o veniva ad accompagnarci fuori, portando sempre a Lidia una
bottoniera di fiori freschi, assai graditi dalla donna, che se li
disponeva in modo ammirevole).
--Ne valeva la pena,--risposi.--Hai notizie di Laura?
--Nulla, dacchè tu l'hai trovata a passeggio con Giorgio.--
Questo mi rendeva inquieto. I piccoli viglietti quotidiani mi
mancavano da qualche tempo, e la portinaia, interrogata, non aveva
saputo dirmi se non che il dottore si vedeva più volte in un sol
giorno, e che la cameriera era desolata per un aggravamento della sua
signora. Non osavo scrivere, nè presentarmi in casa Uglio, ricordando
come l'ultima volta appunto in cui c'eravamo incontrati, Giorgio
avesse finto di non vedermi per sottrarsi all'obbligo del saluto.
Quand'ebbi campo d'appartarmi con Ettore Caccianimico, gli spiegai
tutto questo, un po' titubante.
--Infine,--gli dissi,--io mi sacrifico a passare un mese a Pallanza
col solo scopo di.... per la sola idea di.... trovarvi Laura, di
tenerle compagnia. Come tu dicevi benissimo, è ormai un'opera buona il
non lasciarla sola, poveretta!... Ma non vorrei che il sacrificio
fosse inutile e Laura rimanesse a Milano.... In tal caso, me ne andrei
con Lidia per questo benedetto viaggio.
--Ah!--esclamò Ettore.--Sei matto? Laura verrà a Pallanza, non
dubitare; question di giorni, ma verrà senza dubbio.... Vuoi che
m'incarichi io di prender notizie? Non far complimenti,--aggiunse
sorridendo,--tra noi è difficile stabilire dove finisca l'amico e dove
cominci....
--Se tu volessi,--interruppi,--te ne sarei gratissimo.... Tu sai le
mie intenzioni....
--Ma diavolo!... Non mi farei complice d'idee prave....
--Sei molto allegro. Hai commessa la cattiva azione di cui mi tenesti
parola?
--Uh, che ragazzo!--fece il Caccianimico seccato.--Crede a tutto
quanto mi scappa di bocca in un momento di malumore!--
L'indomani, il colloquio fu più breve, scambiandoci le frasi
nell'intervallo in cui Lidia--che noi accompagnavamo alle solite
visite,--si metteva il cappello avanti allo specchio.
--Ci sei stato?
--Laura verrà. È a letto per riposo ordinatole dai medici.
--L'hai vista?
--Ho parlato con Giorgio. A proposito: mi ha chiesto se c'era il
pericolo d'incontrarti in campagna. È diventato geloso?
--Sciocchezze!--terminai io, alzando le spalle.--Ti ringrazio di
cuore.--
Da quell'istante, respirai meglio. Laura sarebbe guarita, ritornandomi
quell'amica intelligente dalla quale avrei potuto bere dolcezze
rinnovate; e a convincermi dell'affezione rimastami in cuore per lei,
sarebbe bastato l'estremo bisogno ch'io aveva, di parlarne con Ettore
fino alla sazietà.
Lidia era l'aurora fredda; Laura con dieci anni più di Lidia, era il
tramonto dorato d'un'esistenza ardentissima.... In una strana
rievocazione, mi sentivo già Laura fra le braccia, assetata ella
medesima di quell'amore non tutto esausto di cui ci sapevamo capaci; e
la vedevo con certi abiti, con certi guanti, con un certo ombrellino
conosciuto, che appoggiato alla sua spalla ci serviva per appartarci
convenientemente dagli altri....
--Tu cominci a farmi dubitare delle tue caste intenzioni,--osservava
Ettore, una volta ch'io lo tormentava perchè mi desse la certezza
della guarigione di Laura.
--Ti pare?
--Sarebbe enorme, non dico,--mormorò Ettore;--ma ne ho viste di
peggio.--
All'ultimo martedì di Lidia, in mezzo al chiacchierio di visitatori e
alla sfilata di gente antipatica, mi trovavo isolato sotto
un'impressione tale da richiamarmi dei sospetti, che nell'attesa d'un
riavvicinamento a Laura, s'eran calmati d'assai. Lidia, soddisfatta
delle molte attestazioni di simpatia avute in quei giorni, vibrava di
gaiezza; pareva si fosse iniziato un periodo nuovo per la sua anima
depressa, la quale riprendeva quell'atteggiamento d'ingenua bontà,
d'infantile confidenza, ch'eran sì forti ausiliari della sua bellezza.
La sera prima, Gian Luigi aveva promesso di venire a Pallanza egli
pure e di trattenervisi qualche tempo; l'aveva promesso a Lidia,
perchè io m'era guardato d'interrogarlo sui suoi disegni.... Aveva
detto che la campagna gli era necessaria (la sua tristezza
inesplicabile aumentava), che si sentiva stanco, sfiduciato...; una
variazione, insomma, al tema delle sentimentalità pericolose.... E
congedandosi, s'era scusato di non poter venire a salutarci
l'indomani, perchè occupatissimo.
Io dava a quelle occupazioni un senso tutto egoistico; Gian Luigi,
innamorato di Lidia, riscaldato dalle sue lodi, ambizioso di
soverchiarmi e di giungere alla donna per vie non comuni,--doveva
lavorare, preparava qualche romanzo.... forse avrebbe avuta l'audacia
di dedicarlo a Lidia, con le semplici iniziali trasparenti....
Lidia, la quale comprendeva questo, vibrava di gaiezza, quantunque
Gian Luigi mancasse fra i pochi intimi; e perchè mancava, ella non era
elegante come di solito....
--Sei nervoso,--mi disse Ettore Caccianimico, sorprendendomi in quelle
meditazioni.--Fai gli onori di casa in modo pessimo. La tua signora
deve lavorar per due.--
Io lo afferrai per un braccio e lo trascinai nel vano d'una finestra.
--Non ho nulla,--risposi;--tutto si riduce a una gran seccatura per
queste convenzionalità stupide di visite e controvisite, come se
partissimo pel Congo.
--Debbo dirti....--mormorò Ettore.--Le notizie di Laura paiono men
buone.... Domani subirà un'operazione....
--Domani!--esclamai ad alta voce.--Ma perchè non me l'hai detto prima?
Avrei ritardata la partenza con un pretesto....
--L'ho saputo ora. E poi, non è cosa grave.... Queste donne si fanno
operare coll'indifferenza colla quale noi faremmo una passeggiata....
--Mi sembri pazzo....
--Te lo assicuro. Del resto, anche partendo, avrò notizie. Giorgio ha
promesso di telegrafare.
--E dici che non è cosa grave?
--Per, nulla. Tanto è vero, che qualche giorno dopo l'operazione,
Laura sarà in villa a Pallanza.--
I timori d'una catastrofe s'erano addormentati nel mio animo, dietro
le parole d'Ettore; ma all'annuncio presente, si risvegliavano e si
drizzavano come una turba di spettri.... Solo il cinismo del
Caccianimico poteva restare impassibile davanti alla tortura fisica
che Laura doveva subir l'indomani, considerandola facilissima e
naturalissima cosa. Io sentiva un orrore muto, un'apprensione
terribile, che avrei sentito forse anche senza gli egoistici disegni
d'amore, anche per Laura contemplata semplicemente come buona amica.
Una risata di Lidia mi trapassò in quel momento le orecchie quasi un
fischio stridulo. V'era al suo fianco una signora, la quale faceva
professione di spirito e di disinvoltura, dicendo molte sciocchezze
con tono rapido e sciolto; Lidia pareva gustarle profondamente.
Per quali diversi oceani veleggiavano le nostre anime! Io non vedeva
intorno a me persona più felice di Lidia; i suoi crucci erano piccole
angustie appena, e già aveva trovato a chi confidarle.... Non v'era di
comune fra noi che questo fatto: ella si riprometteva un lungo
soggiorno di Gian Luigi in campagna; io in campagna temeva di non
veder giungere Laura.... Perciò Lidia poteva ridere così gaiamente ed
io era in diritto di fremere a quelle risa.
Non avevo notato che presso Lidia mancava un'amica; significantissima
assenza della quale Ettore mi fece accorgere.
--Perchè non è venuta a salutarvi la signora Tintaro?--domandò.
--Credo,--mormorai sottovoce,--che non si vedrà più in casa nostra.
--Per ordine tuo?
--Anche, ma specialmente perchè Lidia non ama le intriganti e deve
averglielo scritto.--
Ettore non chiese oltre; io pensai d'aver fatto male a confidarmi con
lui; egli non aveva capito quanto m'urgesse di conoscere il vero stato
di Laura, dalle mie confidenze ipocrite e timorose.... Avrei voluto
pregarlo di non partire con noi, di trattenersi a Milano finchè ogni
pericolo fosse svanito per Laura: dieci volte in quel giorno mi
avvicinai ad Ettore per parlare, e dieci volte ebbi paura delle
conseguenze. Dovevo necessariamente confessargli quel ch'io sentiva
nell'animo, ed era così grave la confessione da farmi pentire d'aver
già detto troppo. S'io non avessi avuti dei sospetti su Gian Luigi,
avrei potuto confidarmi in lui, che pure si recava in casa Uglio; ma
se la certezza della sua indifferenza per Laura toglieva l'odiosità di
parlare d'una donna avuta in comune,--l'attitudine di Gian Luigi di
fronte a Lidia, mi respingeva da ogni intimità che potesse
giustificare o perdonare le intenzioni colpevoli dell'uomo.
Non furonvi se non gradazioni di pentimento nel mio animo, quel
giorno; dal pentimento assoluto di non aver sùbito corrisposto a
Laura, al pentimento meschino delle confidenze monche.
Per certo, Ettore non aveva nulla capito.
L'indomani egli arrivò alla stazione tranquillo, sorridente, colla sua
signora; non aperse bocca su Laura; dovetti io, mentre eravamo in
treno e Lidia cicalava con Clara,--dovetti io domandargli se nulla vi
fosse di nuovo.
--Ma no, caro,--egli rispose a bassa voce.--L'operazione è alle due;
ora è mezzogiorno.
--Potevi passar da casa e chiedere come si trovasse Laura.

--Col trambusto d'una partenza!--esclamò egli, alzando le spalle.--Ti
ripeto che non c'è niente di grave.
--Ne sei sicuro come ne son sicuro io!--dissi bruscamente, nauseato da
quell'indifferenza.
Il viaggio fu odioso. Delle campagne che il treno si lasciava ai
fianchi, io percepiva coll'occhio quanto rimaneva incorniciato nel
finestrino della carrozza; allontanare una tenda, o avanzare la testa,
mi pareva fatica superiore al vantaggio di riveder paesi cogniti e
alberi volgari.... Un mutismo feroce, s'era impadronito di me
onninamente, fino a rendermi insensibile; e dopo due o tre
interrogazioni cui avevo risposto a cenni del capo, Lidia, Clara ed
Ettore s'accomodarono a chiacchierar tra di loro, lasciandomi in una
vasta e indiana sonnolenza dello spirito.
A Laveno, il lago mi parve orrendo, quantunque soleggiato. Mentre io
poneva piede sul battello, il corpo di Laura Uglio doveva essere già
preda di ferri chirurgici; un viso bianco di dolore, un silenzio
triste per la camera, una positura forzata, un odor d'acido fenico, e
lunghe ore di spasimi quando il corpo, sottratto al ferro, ne
risentisse tuttavia l'impressione fra le carni violate....
A Pallanza, compresi che Laura Uglio non mi avrebbe raggiunto mai.
Perchè lo compresi? Lo compresi d'un tratto, per un risveglio d'idee
coordinanti e concludenti, sprofondate nell'anima e ricomparse a galla
con la viscida solennità di cadaveri.
I signori Folengo erano allo sbarco a incontrarci. Pietro m'accolse
assai freddo, in merito di quel viaggio che mi ostinavo a non
intraprendere se non quando mi fosse piaciuto. Osò anche farne accenno
in casa, ma io volsi le spalle, salendo alle camere destinateci. Ero
dominato dal violento impeto di togliermi a quei luoghi, dove le mie
orecchie, avvezze al romore della città, soffrivano del grande
silenzio bruto in cui la campagna era immersa.
Davanti al letto, nell'alcova che non aveva il mio specchio, il mio
lavabo, le mie fiale, il mio bagno, mi sentii infantilmente perduto,
solo e triste.
L'antipatia di quei particolari sarebbe stata così presto vinta, se
Laura ci avesse raggiunti! Perchè io l'amava ora, senza il menomo
dubbio. Non più il desiderio d'un'altra circolava nelle mie vene, ma
il desiderio preciso ed esclusivo di Laura Uglio, il cui busto io
voleva slacciar lentamente, con degli indugi, per baciarle la nuca e
le spalle.
Fu come una scoperta, a un tratto. Sì, io era un bambino, smarrendomi
così presto!... Se Laura non veniva a Pallanza, chi m'inchiodava là,
chi m'impediva d'andare a Laura? Un pretesto era facile a trovarsi;
poi non mi mancava il coraggio di partire anche senza pretesto.
La scoperta ingenua mi consolò tutto quel giorno, e il lavorìo
d'adattamento al luogo e alla casa venne compiendosi così felicemente,
ch'io non ebbi osservazioni a sollevare quando Lidia mi pregò di
condurla dopo pranzo alla villa Caccianimico.
Nè la notte fu tormentosa d'insonnia; nè l'indomani il paesaggio
sereno fu inquinato dalle mie impressioni soggettive. Mi staccai da
Pallanza con una barca, mi recai a Suna, remando adagio, in braccio a
sogni colpevoli d'un'infinita dolcezza, d'un carattere audacemente
ribelle, quali io poteva fare soltanto se la colpa era incarnata da
una donna come Laura Uglio....
Tornai per l'ora della colazione, ancora cullandomi nella lancia
graziosamente battuta alla prora da un soffio d'aria benigno.... Laura
Uglio mi amava, e a tutto il resto avrei pensato io....
Sul terrazzo della villa Folengo, Lidia mi aspettava.
--Hanno portato un telegramma per te,--ella mi annunciò dall'alto,
quando fui presso la darsena.
Avvicinai la barca in modo che fra essa e il muro del terrazzo non vi
fosse più spazio nè acqua.
--Gettamelo,--dissi ridendo.--Sei buona?--
Il foglietto giallo si librò un istante nell'aria, e mi cadde ai piedi
con maravigliosa perspicacia. Lo aprii e lessi:
«--Laura morta ieri. Funerali domattina alle dieci.--Gian Luigi.--»
Ripresi i remi e internai la barca nella darsena assicurandola al suo
anello, fra una gondola e una yole. Poscia salii in casa
tranquillamente, insensibile.


XVII.

Fermata una carrozza da nolo, dissi al cocchiere:
--In via Alessandro Manzoni, al numero quattro, c'è un funerale. Va
laggiù e tienti un po' discosto dalla folla; poi, quando il corteo si
muove mettiti alla coda e seguilo fino al cimitero. Hai capito?--
Il cocchiere affermò colla testa; io entrai nella carrozza, mi cacciai
in un angolo, dopo avere abbassate le tendine, e mentre la vettura
s'incamminava, chiusi gli occhi per non vedere la luce scialba.
Aveva piovuto violentemente quel mattino e il giorno era rimasto
grigio, torpido, stendendo ovunque un'angoscia inesprimibile, una
nausea d'azione. La città sonnacchiosa doveva pullular d'adulterî.
Appena fui accomodato sul sedile, una confusa ribellione mi penetrò
nell'animo. Io non voleva andare laggiù; era inutile e straziante,
superiore all'amara dolcezza di compiere un dovere. Tuttavia, quando
il cavallo partì al trotto cadenzato, il dubbio scomparve e l'energia
ebbe il sopravvento. Bisognava andare e soffrire fino all'ultimo; se
l'anima esisteva, quell'anima aveva d'uopo di non sentirsi dimenticata
per discendere serena nel sepolcro.
Intorno al feretro doveva esservi ben numeroso stuolo di gente; ma chi
aveva palpitato con colei che oggi era morta? chi l'aveva conosciuta
ed amata quanto ella desiderava?... Non sarebbero mancate le persone
che vanno a un funerale per mostrarsi forti di conoscenze cospicue; un
insieme obbrobrioso d'ipocrisie, un finto rimpiangere chi si è
dilaniato fino a ieri, uno sfoggio imbecille di lusso e di fiori e di
cavalli e di carrozze; e in mezzo, il povero e caro corpo, cogli occhi
serrati per sempre, inchiodato in una bara, la quale doveva infracidir
con lui....
Bisognava andare.
Da piazza del duomo a via Alessandro Manzoni, il tragitto non era
lungo, e, dopo alcuni minuti di trotto, il cavallo da nolo rallentò
(un carro attraversava la via), si fermò al luogo indicato.
Sùbito s'udì un brusìo di voci sommesse, che mi fece guardar vivamente
dall'altro lato della strada, per un vetro non difeso dalle tendine,
tra il sedile del cocchiere e lo sportello.
La scena era questa, semplice e spaventosa: davanti alla porta, un
carro funebre, dai cavalli con gualdrappa e pennacchi neri sulla
testa; un po' indietro, sopra una carrozza a quattro posti, scoperta,
infinite corone di fiori freschi, ricche di nastri e di dediche
affettuose; poi tre vetture a due cavalli, nere, dalla sagoma antica e
dal cocchiere in parrucca e in tricorno, quelle tetre vetture con le
molle ondeggianti che tentennano quasi navi in burrasca; poi uno
stuolo d'uomini e donne, ora in gruppo, che al momento opportuno si
sarebbe allungato come un nastro umano; raccolti e silenziosi varî
servi in livrea, portando i ceri; e distanziato da tutti un manipolo
di beghine e di prefiche venute per accattar la candela; in ultimo,
cinque o sei carrozze padronali e una dozzina da nolo....
Risultava da quell'insieme d'uomini e cose un'impressione profonda e
tragica, che mi guidò istintivamente colle mani allo sportello, come
per precipitarmi fuori; dovetti irrigidirmi contro il moto istintivo.
I becchini eran comparsi, fra il silenzio fattosi d'improvviso. Sulle
spalle avevano il feretro, col drappo funerario steso di già, ma
raccolto ai lati fra le mani dei portatori. E passando sull'asse
scorrevole del carro, il feretro diede un suono metallico e vibrante.
L'asse rientrò; il feretro fu accomodato, il drappo steso totalmente.
Alcuni servi porgevano le corone ai becchini: una fu messa alla testa,
coi nastri lunghi che scendevano dietro; altre posate per tutta la
lunghezza della cassa, altre all'intorno insieme a fiori sciolti; ma
rimanendone pur sempre in quantità notevole, anche la vettura da nolo
fu mandata alla coda per seguire il corteo. Quattro signore si
collocarono ai fianchi, i preti si misero innanzi, i dolenti (le donne
prima, gli uomini in séguito) si disposero in colonna e le carrozze
presero il loro posto.
La coorte luttuosa si mosse lentamente.
Il cocchiere seguiva il funerale a giusta distanza perchè la mia
carrozza non fosse notata.
Mi sembrava l'andatura del corteo,--eguale e tarda,--ancor troppo
veloce.... Costoro non sapevano che ad ogni passo la tomba
s'avvicinava? la tomba, la dissoluzione, l'eternità, vaste e
spaventevoli cose per un fragile corpo! Di che stavan per essere
preda, quella bocca, quegli occhi, quelle labbra che il male non aveva
potuto se non render più delicate! Perchè non dare il cadavere al
fuoco, perchè gettarlo nella fossa?
Vi fu un rallentare, poi una fermata. Il corteo era innanzi alla
chiesa parata a drappo nero e oro, con un gran cartello che indicava
un nome e due date. I dolenti entrarono; il feretro fu tolto dal carro
e portato in chiesa.
Lunghissimo tempo durò la funzione sacra.
S'eran fatte le cose con lusso e i curiosi s'urtavano formando ala
presso la porta; alcuni ridevano incoscienti, altri numeravan le
carrozze; parecchi s'eran avvicinati alle corone, e s'arrischiavano a
toccarne o a fiutarne i fiori. Questo mi diceva come insignificante
fosse il cessar d'una vita, nell'insolenza d'altre vite più volgari.
Avevo trasfusa l'anima nello sguardo, con una percezione lucida d'ogni
fatto, la quale pareva giovasse a farmi soffrir di meno.
Fra i primi a uscir dalla chiesa, notai Gian Luigi Sideri,
pallidissimo, coll'occhio smarrito e atono: sembrò cercare qualcuno in
mezzo alla folla, si diresse verso le carrozze da nolo ad interrogare
i cocchieri, e a pochi passi da me, tornò indietro, senza vedermi.
Giorgio Uglio vestito a lutto, impassibile, badava a dare ordini e a
sorvegliare che nulla fosse dimenticato di quanto prescriveva l'uso in
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