Il Designato: Romanzo - 07

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le piazze di Milano.
Sotto i nostri balconi, sul Corso Venezia, passavano i carri
stranamente mascherati da una fantasia stanca, talvolta dolorosa nelle
sue allusioni; e carrozze piene d'ubbriachi, e musiche di straziante
festività, e una folla muta, ostile, che non amava i coriandoli e
s'atteggiava a compassione dei falsi gaudenti. Dopo il passaggio d'un
carro mascherato, l'odore acre del gesso rimaneva, e della polvere;
arrivavan sui nostri balconi palate di coriandoli, nembi di confetti,
attràttivi dalla presenza di Lidia e d'altre signore; due volte, una
mano di cavalieri eleganti lanciò una colluvie di fiori, e furon, sul
balcone, braccia levate in alto ad afferrarli, risa discrete per il
vano tentativo. Le donne sole, con quell'inscienza che han del
bambino, poteron forse divertirsi.
Lidia, il viso riparato da sottile e forte veletto e il corpo da un
abito chiuso e bianco, pareva agire per febbre; intorno a lei, i
sacchi di coriandoli si vuotavan magicamente; il suo braccio, fragile
e vigoroso, lanciava quel gesso con maestria sulla folla stupida,
contro i carri che la mala sorte obbligava a fermarsi.
Le amiche, pure in abiti bianchi e difesa la faccia, imitavan Lidia,
animandosi, impazientendosi delle lacune fra l'un carro e l'altro.
Verso le cinque, i coriandoli arrivavan per entro le finestre,
ingolfandosi nelle camere con violenza; alcune signore dovettero
cedere il posto.
Lidia resisteva; irriconoscibile, tanto era soffusa di polvere. Io,
dietro di lei, passandole, sul morir del giorno, i fiori dopo i
coriandoli, l'osservava con inesplicabile tristezza; ella gettava i
fiori febbrilmente, con un sorriso rigido sulle labbra.
A un tratto, mi porse ancora le mani, senza guardarmi, perchè vi
mettessi altri fiori, e indugiando io, Lidia si rivolse, vide i sacchi
e le ceste vuote:
--Finito!--ella esclamò, scrutandomi negli occhi.
--Finito!--risposi.
Sorridemmo ambedue; ma la parola aveva un senso largo d'angoscia.
Non v'erano tra noi se non queste allusioni; perchè così fresco era il
ricordo di gaudî e di sogni, che l'aria ne pareva piena e ospite la
casa; quella casa la quale, nel medesimo tempo, vicino ai ricordi
conservava tutta la storia delle modificazioni sopravvenute a sfatare
i gaudî e a corrompere i sogni.
Il carnevale, nonostante numerosi inviti a feste, era scorso per noi
monotono. Lidia si schermiva con ostinazione dal prender parte a
divertimenti serali; aveva ricevute più visite della sarta, la signora
alta e magra col neo posticcio, la quale sperava di ottener molte
commissioni, di ripetere il periodo felice dei capolavori di seta e di
raso; ma neppur la dialettica della sarta era riuscita a smuover Lidia
dal suo proposito, sebbene i tentatori giornali di mode le
presentassero dei figurini superbi, che chiamavano un breve lampo
negli occhi di lei.
Continuavano i martedì; qualche pranzo agli intimi, donna Teresa e
Pietro; qualche sera al teatro; e nella settimana grassa, Lidia aveva
voluto gettare i coriandoli forse per soddisfare ad un desiderio delle
amiche meglio che ad uno proprio.
Ciò era riuscito strano e molesto a Pietro Folengo.
--Ma, figlia mia,--egli diceva,--questo non si usa. Due sposi novelli
devon farsi vedere, devon prendere viva parte ai trattenimenti della
stagione.
--Perchè?--domandava Lidia.
--Perchè questo si usa, perchè tutto il mondo ha sempre fatto
così....--
Lidia aveva allora il suo piccolo riso di sprezzo, che importunava
Pietro; le ragioni addotte eran per costui insuperabili; non gli
pareva umana cosa il sottrarsi a ciò che si usa, a ciò che il mondo ha
sempre fatto; mentre Lidia, assai più moderna, si rideva bellamente
degli usi e costumi che non le quadravano.
Veniva poi donna Teresa, la quale illuminava il proprio tramonto di
tutti i belletti e di tutte le pomate cognite in Europa e fuori; e si
stringeva vie più nel busto, e studiava metodi arguti per distruggere
l'adipe senile. I suoi consigli erano sospirosi.
--Se fossi io al tuo posto, cara Lidia, con quei tuoi vent'anni!
Perchè non vai al ballo di casa Cortalancia? Ma è possibile che non ti
sorrida un gran trionfo? Non c'è nessuna delle tue amiche, elegante e
bella come te; hai qualche dispiacere?--
Lidia scoteva il capo, e da quelle insistenze usciva sempre più
testarda a vivere fra le quattro pareti di casa.
Un piccolo malessere di Lidia aveva servito a darmi un'idea delle
straordinarie mutazioni che la verità può subire, conservando la
propria forma.
Il medico aveva detto:
--La signora è un po' delicata e deve guardarsi dalla malaria che
domina la città; c'è nella signora qualche accenno d'anemia, facile a
combattersi.--
Lidia s'era impadronita trionfalmente di quelle due frasi e non le
aveva mutate d'una parola; ma ripetendole ad ogni occasione, aveva
dato loro un significato di minaccia quasi simbolico. Non si poteva
aprire una finestra, senza che la donna si portasse il fazzoletto alla
bocca per salvarsi dalla malaria; nè avveniva mai che Lidia si
guardasse nello specchio senz'accagionare all'anemia il pallore del
viso, e la striscia azzurrognola sotto gli occhi.
Ciò era grazioso, dapprima, rendendola quasi più fragile nel mio
concetto; poi, divenne meno grazioso; e infine non fu grazioso per
niente, quando l'anemia e la malaria furono usate da Lidia ad ogni
scopo, e presero vita e consistenza di spettri che passavano
instancabili ne' suoi discorsi e parevano essersi collocati
stabilmente a guardia della sua alcova.
Gli amici avevano accolta la diagnosi del medico quasi come una
notizia gravissima; raddoppiavan di cortesie verso Lidia e mi
guardavano con profondo significato per inculcarmi che da me dipendeva
la vita di lei. Le amiche erano state indulgenti, perchè tutte avevano
alla lor volta qualche indisposizione civettuola di cui si servivano
con impareggiabile maestria e che probabilmente ponevano esse pure a
guardia dell'alcova. Gustavano la rinuncia di Lidia ai trattenimenti
mondani; una signora, assidua frequentatrice di balli, di teatri, di
concerti e perfino di conferenze, aveva applaudita Lidia caldamente,
assicurandole che non v'era nulla più doloroso di quanto si chiama
piacere; e guardando la faccia di suo marito, io me n'era sùbito
persuaso.
Ma fui veramente sorpreso quando, il sabato grasso, Lidia accettò un
invito dei signori Caccianimico.
--Faccio un'eccezione per loro,--ella disse.--È vero, Sergio, che
faremo un'eccezione?...
--È verissimo,--risposi, nascondendo alla meglio il mio stupore.
Appena Clara ed Ettore Caccianimico partirono, domandai a Lidia:
--Tu intendi veramente andare a quel ballo?
--Ma che!--rispose Lidia.--Non avrei nemmeno un abito decente....
--E allora?...
--Sai,--disse la donna con aria esperta;--rifiutar sempre è noioso,
diventa quasi una parola d'ordine; ho accettato per far cosa nuova;
stasera scriverò un viglietto, pretestando un'indisposizione!--
Bisognava punirla; assolutamente, questa donna mi credeva condannato a
seguire i suoi capricci, senza tener conto de' miei; accettava e
declinava gl'inviti, li faceva accettare e declinare da me con
un'indifferenza da bambina, come fosse identica missione accompagnarla
al ballo o tenerle compagnia presso il caminetto. Bisognava punirla,
immediatamente.
--Bella idea!--esclamai.
--Non ti pare?--fece Lidia, senza rilevar l'inflessione ironica delle
mie parole.
La sera medesima, verso le dieci, mi ritirai in camera colla scusa di
rispondere a qualche lettera.
--Mandami Andrea. Lo incaricherò di portare un viglietto ai
Caccianimico,--disse Lidia.
--Andrea serve a me per il momento,--risposi.--Lo manderai più tardi;
così il pretesto sembrerà meno studiato.--
Andrea, il domestico, aveva disposto nella mia camera l'abito di
società, e gli oggetti per un minuzioso abbigliamento. Dal giorno del
mio matrimonio non avevo più indossato l'abito nero, e, scoperto che
questo può servire anche in occasioni allegre, ero divenuto gaio,
d'improvviso, attendendo colla maggior cura a farmi elegante.
Alle undici, seguito da Andrea colla mia pelliccia aperta fra le mani,
ricomparvi nel salotto di Lidia.
--È inutile mandare il viglietto,--dissi.--Porterò io le tue scuse.--
Lidia alzò il capo, e impallidì nel vedermi.
--Che cosa fate voi, lì?--domandò ella al domestico.
--Tiene la pelliccia,--spiegai.--Guarda, cara, se questa cravatta è
messa bene.
--Benissimo,--rispose la donna, levando gli occhi al soffitto.--Vai in
casa Caccianimico?--
--Certo. Non m'hai obbligato a promettere che si sarebbe fatta
un'eccezione per loro?--
Infilai la pelliccia, misi il cappello e uscii, dopo avere stretta la
mano di Lidia, che aveva senza dubbio moltissime cose interessanti a
dirmi.
Fui così sùbito, così largamente punito della mia piccola vendetta, da
credere a una giustizia invisibile e sicura. Perchè, non appena
entrato nella sala ove Ettore Caccianimico e la sua signora apparivano
circondati da una folla elegante,--sentii che i varî profumi ivi
sparsi mi facevan male; un male strano, che si sarebbe detto
risvegliasse la mia sensualità.
La vista di donne scollate, ingemmate, ostentatrici di bellezze che
avevano un padrone e ne cercavano un altro, mi atterrì con questa
scoperta: io aveva bisogno d'una di quelle donne; d'una qualunque,
purchè non fosse Lidia, non le somigliasse in nulla; avevo bisogno
d'una donna della quale ignorassi e il sorriso e la voce e il corpo.
Finalmente, alla presenza di femmine nuove l'angoscia che mi circolava
da un pezzo nelle vene come una malattia, scoppiò e prese il suo vero
aspetto: io m'irritava di Lidia non perchè rappresentasse la legge o
il principio o la tradizione; ma perchè io la sapeva tutta, dal gesto
insignificante all'ultimo anelito. Mai la poligamia mi parve più
saggia cosa e più sana che allora.
Conscio di simile rivelazione e messomi in avviso, provai ad avvicinar
quelle signore e ad analizzare il senso ispiratomi; notai che le brune
mi piacevan meglio, e le audaci e le esperte; quelle, infine, le quali
eran tutto l'opposto fisico e morale di Lidia; notai pure che,
sull'istante, avrei commessa una follia per conquistarne una, e al
domani poco mi sarebbe importato di non più vederla e di saperla
morta.
Era la grave, dolorosa necessità di cambiare, che m'invadeva con forma
così assorbente e mi disponeva l'animo a una passione per la prima
venuta; io trovava nel mio stato il perchè di certi adulterî che
m'eran parsi altre volte decisamente inesplicabili.
Uscii da quel ballo uno degli ultimi, conservando ancora in tutta la
persona un residuo di profumo avvelenatore, e nel cervello vivissima
l'impressione dei corpi femminili ignorati.
Albeggiava lividamente e faceva un terribile freddo.
Non avevo bisogno di guardarmi intorno per sapere come agissero gli
uomini che avevano avuta la mia rivelazione, tosto o tardi. Alcuni si
mettevano le mani nei capelli, si torcevano il cuore, e tradivano;
altri dubitavano sulla scelta, la determinavano con pertinacia, e
tradivano; molti non dubitavan punto, si fermavano alla cameriera, e
tradivano. Io era fratello di tutti costoro, in quella notte; ma non
sarei stato loro fratello nella conclusione.
Io avrei mantenute le promesse fino all'ultima, avrei compiuto il mio
dovere fino allo strazio; perchè volevo altrettanto ed esigevo fino
allo strazio i miei diritti.
Ma dunque, se il bisogno di cambiare era assoluto, anche Lidia
soffriva le torture cui ero in preda? Ecco perchè non aveva voluto
ella recarsi alle feste; a me era stata necessaria la prova; a lei era
bastato l'istinto, il fiuto inestimabile della donna--per sentire il
pericolo.
Rientrato in casa, un barlume di luce proveniente dalla mia camera,
m'inquietò, credendo avessi dimenticata accesa la lucerna o i bracci
dell'armadio, fin dalla sera prima; apersi la porta, e mi fermai sulla
soglia d'un tratto.
Lidia era là, addormentata, vinta dalla stanchezza; s'era seduta in
una poltrona, reclinando la testa sui guanciali, e come io aveva quel
mattino una curiosa tendenza a ricostruire sensazioni e fatti, riuscii
a indovinare quant'era avvenuto. Lidia, assai probabilmente, aveva
tentato di coricarsi e di dormire; poi, non potendo reggere al bisogno
di dirmi le cose interessanti che la sera prima aveva dovuto tacere
per la presenza del domestico,--s'era avvolta nell'accappatoio ed era
venuta nella mia camera.
La stufa spenta lasciava il luogo assai freddo; la lampada quasi
esausta, l'illuminava imperfettamente; e quella donna rannicchiata
nella poltrona, coi capelli sparsi, gli occhi chiusi, la faccia
pallida, il corpo tutto come piegato da una violenta angoscia,--pareva
la superstite d'una cupa tragedia.
Inoltrai cautamente; levai la lucerna dal cassettone e la posai sulla
tavola; mi tolsi il soprabito, il cappello, e gettai i guanti per
terra; cominciavo a snodarmi la cravatta, quando un lieve romore mi
fece volger la testa. Lidia, appoggiato un gomito sul letto e
stringendo coll'altra mano un bracciuolo della poltrona, mi guardava
fissa da qualche istante.
--Buon giorno!--le dissi.--Sono rientrato ora.
--Lo so,--rispose Lidia con voce velata.--E io ti aspetto qui da
mezzanotte.
--Ti sono gratissimo di questa sorpresa,--mormorai.--Ma potevi
coricarti; non prendere freddo; coricarti nel mio letto.
--Nel tuo letto?--esclamò Lidia, balzando in piedi.--Che cosa credi,
dunque!--
C'è sempre stato in me un istinto che io suppongo derivato dalle mie
tendenze letterarie; un istinto a vedere il quadro e la plastica in
ogni cosa; guardai Lidia perciò con sincera compiacenza; ella pareva
una leonessa ferita, dritta nel fondo della camera, gli occhi pieni di
sdegno; bellissima.
--Perchè fingi, Sergio?--ella disse.--Perchè fingi di non capire quel
che ho sofferto?
--Che hai sofferto?--ripetei, colpito dalla voce tremante.--Io non
poteva imaginare....
--Ah, non potevi imaginare,--esclamò Lidia, avvicinandosi.--Non potevi
imaginare che trattandomi peggio d'una cameriera, mi avresti fatto
male...?--
Notavo con dolore che le nostre voci si udivano squillanti nella calma
del mattino.
--Ti prego di moderarti,--osservai.--Tutto si può dire con pacatezza.
--Voglio ch'Ella mi risponda,--fece Lidia.--Voglio mi dia ragione
della sua condotta.--
Lidia, usando quel tono freddo e straniero sapeva d'irritarmi quanto
le era possibile; perciò scattai:
--Non ho ragioni a dare; non le darei, nemmeno se la mia condotta
fosse meno onesta di quel che è!--
Lanciata la frase, non mi restò che pentirmene allorchè Lidia piegò
quasi sotto un gran colpo e cadde di nuovo nella poltrona. Vi fu un
lampo d'intervallo; quindi sentii i singhiozzi della donna, e la vidi
nascondere il viso tra le mani.
--Ah, è troppo!--ella diceva a frasi rotte.--Non l'ho meritato! Io
fuggirò da questa casa.
--Via,--feci appressandomi e mettendo una mano sulla spalla di
Lidia.--Ti ripeto che non avrei supposta simile interpretazione d'un
fatto innocentissimo. Sono andato dai Caccianimico, perchè tu avevi
promesso di andarvi, e mi doleva mancare verso un buon amico qual'è
Ettore per me. Una volta là, non ho potuto non trattenermi fin
tardi.--
In quell'istante, mentr'ero curvo su di Lidia e le mie labbra toccavan
quasi la ricca massa de' suoi capelli,--mi passò innanzi agli occhi
rapidissima una visione informe e tronca di quelle donne che avevo
incontrate al ballo; parevano riunite in gruppo e perciò non riuscivo
a distinguer l'una dall'altra, ma vedevo capelli bruni, occhi neri,
busti scollati e ritti; serrai le palpebre e la visione passò.
--Non sa dunque Ella,--rispose Lidia, guardandomi colle pupille
improvvisamente asciutte,--non sa dunque Ella che talvolta basta una
parola gentile a persuadere una donna? Se m'avesse detto che Lei
desiderava recarsi da quei signori, non avrei pensato a fare
un'obiezione. Ma Lei ha voluto prendersi giuoco di me, andandosene
d'un tratto, senz'avvisarmi, schernendomi perfino col dire che avrebbe
mandato Andrea più tardi a portare il mio viglietto.--
L'idea che Lidia aveva scritto un viglietto malizioso e grazioso
rimasto ignorato sulla tavola per la mia cattiveria, mi colpì
stranamente; provai un irresistibile bisogno di ridere e una tenerezza
da fanciullo.
--Già, ho fatto male,--dissi.--Lo riconosco. Basta riconoscere il
proprio torto?--
Lidia s'era alzata, cercando il fazzoletto; io lo raccattai da terra,
e presi posto nella poltrona rimasta libera.
--Basta riconoscere il proprio torto?--ripetei, prendendo Lidia per le
braccia e cercando di attirarla sulle ginocchia.
--No! No! No!--ella esclamò con veemenza. Io ho passata un'orribile
notte, per Lei, e non l'ho passata dormendo, com'Ella potrebbe
credere; mi sono addormentata sull'ultimo, per la stanchezza....
--E come l'hai passata, dunque?--domandai senza resistere allo strappo
cui ricorse Lidia per togliersi alla mia stretta.
--L'ho passata meditando!--rispose la donna, mentre s'allontanava e si
raggiustava l'accappatoio.
La frase mi turbò, e mi trasse alle labbra la risposta, che
trattenni a forza. Anch'io aveva meditato; Lidia nell'angoscia
dell'aspettazione, io nell'angoscia della folla.... E ambedue
sopra un istesso argomento? Forse; ma Lidia non me l'avrebbe mai
confessato, non avrebbe forse trovate le parole....
Ella si riprometteva certo una mia domanda; perchè dopo essersi
guardata nello specchio, girò la testa verso di me.
--Non ho più nulla da dire,--mormorai.--Se non basta riconoscere un
errore, non so che altro si possa attendere.--
Lidia proruppe nella sua risatina di sprezzo.
--Comodi, i signori uomini!--ella disse, prendendo a camminare per la
camera.--Si levano i loro capricci, e poi riconoscono d'aver fatto
male; con tale sistema pretendono il perdono. E se facessimo noi
altrettanto?--
Sentivo che c'incamminavamo verso i paradossi femminili e non fiatai.
--Se facessimo noi altrettanto?--continuò Lidia.--Sarebbe una
catastrofe, una vergogna, il finimondo, perchè non si ammette la
possibilità d'un capriccio in noi.... Siamo fatte per la casa,
diavolo! Pupattole eleganti, decorazioni da salotto, mummie senza
nervi nè vibrazioni....
--Vi prego d'espormi i capricci che io vi ho proibiti,--interruppi.
--Ah certo!--disse Lidia con accento ironico.--Io posso comperare
tutto quanto m'accomoda, vestirmi come mi piace, rimaner qui, o
viaggiare.... E Lei crede che la vita d'una donna finisca lì?
--Non oso supporre che finisca altrove,--osservai.--Volete forse uscir
sola di sera, andar sola a teatro, avere un appartamento da scapolo,
tirar di scherma e correre lo _steeplechase_?--
Lidia si fermò, quasi sotto una staffilata; allungò l'indice della
destra verso di me, e disse in tono minaccioso:
--Ricordati questo, Sergio: che tu ti pentirai delle tue parole e dei
capricci di stanotte.--
Si diresse verso la porta. Ebbi la tentazione fugace di correre a
Lidia e di fermarla; ma nell'atto che m'alzavo, dal mio abito salì
quel profumo avvelenatore di che s'era impregnato alla festa; il
profumo di dieci donne, le quali non erano Lidia, non le
assomigliavano in nulla, non m'eran cognite se non nell'apparenza
mondana.
E lasciai uscir Lidia.
Dalla via sorgevano i romori della città laboriosa. Tacitamente
salutai i forti che trovavan l'opportunità di lavorare anche nella
domenica di quaresima; chiusi le imposte, e mi coricai, più freddo e
più tranquillo di quanto non avessi osato sperare.


X.

Il romanzo di Gian Luigi Sideri era rimasto intonso alcuni giorni sul
mio tavolino da lavoro; poi, nel cumulo di lettere e di giornali che
quotidianamente vi si deponevano, io non l'aveva più trovato,
senz'inquietarmene, poichè mi rammentava una delle prime cause di
broncio con Lidia e temevo che, leggendolo, rinascessero i sogni e i
rimorsi, or di nuovo snebbiati.
Fui quindi assai perplesso allorchè Gian Luigi Sideri comparve ad uno
dei nostri martedì. Io non aveva conoscenza delle frasi vaghe, usate
per un autore dagli ammiratori che non hanno letti i suoi libri; e se
anche tal vocabolario mi fosse stato familiare, mi mancava il coraggio
d'adoperarlo, non sapendo se Gian Luigi se ne sarebbe contentato o se
non, piuttosto, avrebbe volute le impressioni particolari delle varie
scene e dei caratteri descritti.
Gian Luigi tornava dalla Riviera Ligure, ove la leggenda lo figurava
occupato in nuovi lavori; ma l'aspetto sano, la tinta viva, l'occhio
limpido, il sorriso tranquillo che vi aveva acquistati, mi sembravan
resultare da un larghissimo ozio, meglio che dal lavorio
intellettuale.
S'inchinò due volte innanzi a Lidia; una volta innanzi alle altre
signore; delibò compiacente le lodi degli amici e si divertì a
lasciarsi osservare come persona assicurata ai posteri; finì
coll'accomodarsi sul divano, di fianco a Lidia.
Gian Luigi aveva una statura più bassa della media; ma non era tozzo e
non produceva effetto sgradevole; anzi, la esiguità delle forme gli
prestava un che di svelto e d'arguto, certamente simpatico. Bruno,
dagli occhi grigi; testa proporzionata, fronte alta, significante
capacità d'intelletto; labbra sensuali e colorite, indicatrici di
tendenze epicuree; baffi ritti e puntuti, a cagion della moda. Egli
vestiva con gusto e senza la cura minuziosa dell'uomo incapace ad
altro; come dissonanza inevitabile in ogni cosa sua, portava quel
giorno una cravatta gialla, di foggia molto discutibile.
Fugacemente notai che, seduto a fianco di Lidia, Gian Luigi si trovava
in posizione svantaggiosa, perchè appariva più piccolo della donna.
Io era tuttavia sotto l'impressione della festa di ballo e delle sue
conseguenze con Lidia; rispondevo male alle interrogazioni che mi si
facevano e se non fosse stata la visita di Gian Luigi avrei raggiunte
le mie camere al primo pretesto.
Guardavo le donne.
Ero in quel tremendo periodo di studio muto e desideroso, che non ho
dimenticato mai, che si prolungò oltre misura e che mi stampò nel
cervello così lucide imagini femminili, da poterle evocare nuovamente
oggi, a distanza d'anni, direi quasi con un semplice corrugar di
ciglia. Esse balzan luminose nella steppa grigia del passato.
Guardavo le donne, raccolte intorno a Lidia, e specialmente quelle le
quali avrebbero potuto essere belle e non lo erano; voglio dire, le
non riuscite. Avevano occhi piacevoli e brutta bocca; o bocca
espressiva e naso lungo; o naso esatto, bocca deliziosa, occhi
loquaci, e mancavan d'ovale al viso, o di capelli ricchi, o di statura
elegante, o di seno giusto. Io sentiva per queste il rincrescimento
d'un artista che lo scalpello ha tradito.
E mi volgevo alle altre,--poche, tre o quattro,--nelle quali v'era
armonia e disposizion di forme da sostenere un'analisi, dopo aver
soddisfatta la sintesi. Ancora, per esse non avevo alcuna tenerezza;
forse m'erano spiritualmente antipatiche, e certo, non valevano Lidia;
ma tutte, a una, a una, rappresentavano l'altra, l'incognita, la donna
su cui non avevo diritto alcuno; e le guardavo perciò, e mentre mi
lasciavano il cuore vuoto, dominavano il mio pensiero.
Mi sarei irritato se una di costoro avesse creduto di poter prendere
il posto di Lidia; e,--ammettendo per un istante una concessione al
potente bisogno di cambiare,--sentivo che avrei avuto il cattivo
coraggio di spiegare tal bisogno e di respingere, nella donna che mi
si fosse data, ogni speranza di stabilità nella nostra colpa. Infine,
io sarei stato capace di dire: «Vi voglio, non già perchè siete voi;
ma perchè non siete Lidia».
Formola così vera, che mi toglieva speranza di trovar la donna atta ad
apprezzarla.
Non potevo sopportare le bionde, in quel periodo; la sola vicinanza
loro mi dava la sensazione tattile dei capelli lunghi, serpentini, di
Lidia e la visione del suo corpo; eran le brune che preferivo
studiare, provando certi curiosi impeti d'afferrarle alle spalle e di
rovesciar loro la testa all'indietro, per baciarne la gola bianca.
Nessuno in quel salotto avrebbe imaginati i galoppi della mia mente;
perchè gli uomini e le donne, dopo aver tentennato a lungo per definir
me, Lidia, il nostro matrimonio, e collocarci in una delle categorie
prestabilite dal mondo,--avevan finalmente trovate e la definizione e
la categoria, mettendoci con un gemito fra gli «esemplari»; quel
giorno stesso in cui mi gravava sullo spirito il peso enorme
dell'esemplarità.
La fiamma d'un robusto fuoco nel caminetto gettava sul viso d'una di
quelle brune agognate larghi sprazzi di luce che salivan dalle
ginocchia al busto, dal busto alla testa, e le passavan dietro gli
omeri a formarle uno sfondo mobile, saltellante, corrusco. Ammiravo di
costei, sopra ogni altra cosa, la dolcezza del ridere, che non era
contrazion di muscoli, ma lene conquista d'espressione, di cui la
bocca era la sorgente e gli occhi la foce per cui si trasmetteva agli
altri.
La bruna stava presso il caminetto, volgendogli il fianco sinistro, e
di fronte a me, ch'ero all'altro lato; ma ella teneva il capo rivolto
a destra, verso il divano. Mi ricordò così, indirettamente, che a Gian
Luigi Sideri eran dovute le maggiori cortesie, come ad ospite quasi
celebre; e quando mi levai, vidi gli altri tutti intenti ad ascoltar
Lidia e Gian Luigi.
Parlavano di letteratura.
--Il suo romanzo mi ha veramente entusiasmata,--diceva Lidia a Gian
Luigi.--Tutto vi è nuovo; dal titolo al pensiero che vi domina fino
alla chiusa. L'ho letto due volte.--
Io non sapeva fin allora quale dovesse essere la vendetta che Lidia mi
aveva minacciata; ma ero stato tranquillo, pensando che forse non la
sapeva nemmen lei. Avevo osservato semplicemente, da quella notte di
sabato al martedì, una durezza insolita nelle parole della donna,
qualche sarcasmo su tutto quanto la circondava, e sebbene io non fossi
personalmente attaccato, indovinavo che il sarcasmo e la durezza eran
per me e non avrebbero tardato a trovare il loro indirizzo preciso.
Nel veder Lidia così cortese verso Gian Luigi, mi si delineo alla
mente, chiara ed innegabile, l'essenza della vendetta promessa; e ne
sorrisi, trovando ch'era un po' vecchia. Lidia si riprometteva
d'eccitar la mia gelosia, come aveva imparato assistendo alle commedie
d'antico repertorio; non le negavo la capacità a fingere la sua parte
con maravigliosa intuizione; bensì, negavo a' suoi sforzi l'esito
ch'ella ne sperava.
Io non sarei stato geloso di simpatie volute; ella, dopo la sua
rappresentazione, avrebbe semplicemente ottenuto di allontanarmi da
lei, e di farsi considerare piuttosto volgaruccia nelle sue trovate.
--Ho scritto _come dettava dentro_,--rispose Gian Luigi.
--Secondo il sistema di Dante Alighieri,--notai, sorridendo.--È ancora
discreto. Io non ho letto il tuo romanzo, perchè sono....--
Stavo per dire: _occupatissimo_, il che avrebbe servito a confermar la
definizione di marito esemplare; ma mi corressi a tempo, e continuai:
--Perchè sono un po' impaurito da quel tremendo titolo: _Il lastrico
dell'Inferno!_ Ci ho pensato, e mi è parso conveniente sentir prima le
impressioni di mia moglie.
Mi accorgevo d'aver detto un mucchio di sciocchezze, secondo la
fatalità di chi sbaglia dal principio; e non mi restava che sperare in
un aiuto di Lidia. L'aiuto venne così:
--Tua moglie,--disse Lidia con quell'ombra di sarcasmo che rimaneva
tra me e lei,--tua moglie ti ha consigliato più volte a leggere quel
bellissimo romanzo. È tutto imperniato sull'adagio: _di buone
intenzioni è lastricato l'inferno_; e pieno di sapore filosofico.--
Lidia non m'aveva mai parlato di quel libro; non solo; io ignorava
perfino lo avesse letto.
Ella non poteva quindi mentire con maggiore impudenza e con fine più
crudele; fui preso da una terribile vertigine di smascherarla, ma non
soccorrendomi sùbito una frase elegante e velenosa, che rimanesse tra
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