Il Designato: Romanzo - 06

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sarebbe lo stesso non partire, non viaggiare....
--Allora, non partiamo, e non viaggiamo!--fece Lidia in tono
secco.--Io sto bene qui.--
S'alzò dalla sedia e si mise a passeggiare pel salotto. Ella aveva
indossata una vestaglia verde-cupo, che aveva la vita brevissima, e
dal petto giù fino ai piedi, serbava una linea rigida e severa, appena
interrotta a metà da un nastro fissato ai fianchi e incrociato sul
davanti; somigliava così, Lidia, a una scultoria figura bizantina.
Cominciai dal gettarle un'occhiata d'ammirazione, senza muovermi dal
mio posto: quindi risposi:
--Allora, non partiamo e non viaggiamo!--
Lidia si fermò di botto; poi mi si avvicinò.
--Perchè dici questo?--ella chiese con voce calma.
--Perchè credo sia il tuo desiderio....
--Ah, no, no! Non è per questo che parli in tal modo, Sergio; io ti
conosco, ormai.--
Le parole furono dette quasi con benevolenza. La donna si passò una
mano sulla fronte, perchè dovevan presentarsele più argomenti d'eguale
importanza, che voleva tutti enunciare, in bell'ordine; e all'uopo,
sedette di nuovo innanzi alla scrivania, donde mi riusciva quasi di
faccia.
Ma mi alzai io dalla poltrona.
--Ebbene,--dissi un po' seccato.--Non si parte, perchè partire o
rimanere è affatto indifferente, come tutto il resto.--
E mi diressi, verso l'uscita, e raggiuntala senz'opposizione da parte
di Lidia, mi ritirai nel mio studio.


VIII.

Mi occupai sùbito a stabilire la gravità di quanto avveniva e a capire
il significato d'una recrudescenza di sogni che supponevo decisamente
snebbiati dal mio animo e invece eran ricomparsi cogliendo la prima
occasione favorevole.
I due termini estremi della situazione eran chiari per quanto
dolorosi: un lasso di sei mesi aveva trasformato Gian Luigi Sideri in
un uomo che ambiva alla fama e dilatava la propria personalità
utilmente; un lasso eguale di tempo nella mia vita non aveva concluso
che a mutarmi da scapolo in marito.
L'enorme abisso fra l'una condizion di cose e l'altra, era appena
intravedibile e perciò tanto più capace d'impressionarmi. Gian Luigi
ed io, avevamo nel medesimo tempo, nel medesimo giorno forse,
spalancate due porte sulla nostra via; lui dirigendosi a lotte
d'intelligenza, a febbri di concezione, a godimenti e ad amarezze non
comuni, e tali da raffinarlo e da toglierlo alla greggia umana; io
sottoscrivendo al mio volgarissimo avvenire, rinunciando a sogni
smisurati, collo sposare una fanciulla, che amavo indubbiamente, ma
che ancor dopo sei mesi d'intimità non sapevo se fosse quella la quale
m'abbisognava.
Intuivo di questo fatto le conseguenze. Un matrimonio non è mai stato
barriera al lavoro intellettuale, ma per me, pel mio bizzarro
carattere, assumeva l'aspetto d'una barriera insuperabile; anzi, come
altri aveva bisogno della famiglia per lavorare, io aveva invece
necessità della vita libera, capricciosa, retta dal mio solo arbitrio.
Le angustie derivate dalla casa, gli obblighi assunti, le convenzioni
tacite che il matrimonio chiudeva in sè numerosissime, formavano il
veleno più potente, più letale, più immedicabile alla mia attività,
anche senza tener conto delle obiezioni e dell'atteggiamento ostile
che nel mio caso speciale poteva assumere Lidia per un tentativo,
molto problematico, di darmi finalmente alla letteratura.
No; se v'era stata ancora speranza a qualche cosa, se il destino aveva
riserbata nel mio animo una miracolosa potenzialità di scuotermi e
d'agire,--io aveva distrutta quella speranza, avevo stremata quella
potenzialità, fatalmente, il giorno in cui m'ero legato a Lidia.
L'avevo guastato io, il mio destino, come al più degli uomini succede;
e m'ero scelto l'avvenire del buon padre di famiglia, quand'era forse
pronto per me l'avvenire d'un artista!
Chi m'aveva tratto in inganno? Lidia, colla sua fresca bellezza? i
parenti di lei, colle loro cortesie? Nessuno: una succession di casi,
una forza sottile d'attrazione al pericolo.
Onde, non avevo contro chi volgere il mio malcontento e l'angoscia
della delusione; gli altri, eran vittime; io era vittima; eravamo
vittime tutti quanti di quelle leggi necessarie e assurde, che ad
ottener Lidia corpo ed anima m'avevan vincolato a lei per l'esistenza
intera.
Nel mio studio, l'ombra del pomeriggio calava rapida fra scrosci di
pioggia; a momenti non ci si vedeva più, ma non sapevo muovermi dalla
poltrona, nè deporre il libro che avevo mandato a comperare e che
tenevo ancora intonso fra le mani, come un testimonio vivo e
straziante di quanto si poteva fare e di quanto non avevo fatto.
Dalla camera attigua mi veniva il romor dei passi di Lidia, e mi
figuravo la donna pensosa, a testa china, le mani entro le tasche
della vestaglia, passeggiando come un automa pel salotto.
Lidia era tutto il mio destino; io doveva cooperare a renderla felice,
e raccogliere in questo còmpito non facile ogni facoltà dello spirito;
inutile guardare di là da simile stretta cerchia, oltre la famiglia e
la casa.
A poco a poco, il romor di quei passi mi divenne intollerabile; forse
Lidia piangeva per il modo brusco e inusato con cui m'ero sottratto a
quanto ella voleva dirmi.... A che stava pensando, ora? Alla triste
scoperta della mia indole, a' miei torti, alle sue speranze di quiete,
inutili.... Giovane, elegante, bella, voleva ben più attente cure di
quelle che io non le prestassi; poteva ben dolersi de' miei sogni
ridicoli i quali creavano una rivalità inafferrabile per lei.... Ma
intanto, quei passi mi causavano un rimbombo doloroso nel cervello; il
fruscìo della veste m'irritava; il contegno silenziosamente
corrucciato di Lidia mi pareva un rimprovero sproporzionato alla
colpa....
Gettai il libro di Gian Luigi, d'un tratto; mi levai, mi diressi
all'uscio che metteva nel salotto: volevo pregar la donna di non più
tormentarmi.... Di non più tormentarmi? Ella m'avrebbe giudicato
pazzo; che tormento mi dava?...
Restai così un attimo innanzi all'uscio, studiando la frase meno
incomprensibile; e non trovandola, e temendo di veder per davvero le
lagrime supposte di Lidia, ritornai alla poltrona, ma l'oscurità era
ormai densa nella camera, e non interrotta se non dallo spiraglio di
luce che appariva alla bocca della stufa.
Come le sei suonavano all'orologio della chiesa vicina, mi recai nel
tinello, ove rimasi stupito vedendo preparata la tavola con una sola
posata.
Geltrude--la cameriera che aveva lasciati i signori Folengo per
passare al nostro servizio--accendeva il candelabro a gas, nel mezzo
del soffitto; e allo stropiccìo de' miei passi si volse, dicendomi:
--La signora è indisposta e prega il signore a voler pranzare da
solo.--
Credo che così male io non abbia pranzato mai, in tutta la mia vita.
Un'ira sorda m'aveva preso contro Lidia e la sua indisposizione
pretestata; il far partecipe la servitù di quanto avveniva tra noi, mi
pareva l'atto più stupidamente borghese che Lidia potesse commettere,
e rivestiva a' miei occhi un carattere d'ostilità assoluta poichè la
donna conosceva benissimo le mie opinioni in proposito.
Neppure un istante mi balenò alla mente il pensiero ch'ella avesse
sperato in una mia sollecitudine per il suo malessere, in una mia
comparsa nella camera da letto ov'ella rimaneva.
A Geltrude non chiesi spiegazioni; pranzai male, ma pranzai, col
giornale spiegato innanzi a me; poscia accesi un sigaro e mi accomodai
sul divano a fianco del caminetto, studiando con enorme attenzione i
ricami della fiamma sulle legna.
Verso le nove, uscii di casa; io non m'accorgeva d'agire non per
volontà mia, ma per fare meccanicamente ciò che avevo visto fare agli
altri in simili casi: gli altri si divertivano o cercavano divertirsi;
io entrai al teatro Dal Verme, ove un Circo equestre attirava folla
discreta.
Nell'atrio scansai tre o quattro conoscenze: un marito con seimila
lire di rendita, nient'affatto sorpreso che la moglie ne spendesse
diecimila per la casa; un vedovo in procinto di sposare sua cognata,
quantunque la sapesse, come la sorella, già condannata per etica dai
medici; uno scapolo, che manteneva una ragazza della quale si
vergognava e per la quale ostentava la massima indifferenza; ed altri,
che mi riuscivano stranamente antipatici a un tratto, mentre m'erano
appena indifferenti per lo passato.
Da quanti, invece, appressai fra i miei amici, ricevetti quella sera
un'accoglienza curiosa e significante; erano saluti e strette di mano
sincere, ma diverse dalle consuete; era un atteggiamento quasi grave
che costoro assumevano alla mia presenza; un gruppo di celibi, noto
pe' suoi discorsi pornologici, troncò una discussione, quand'io
l'avvicinai, e ne cominciò un'altra di politica.... Si aveva riguardo
per la mia mutata condizione, e pareva s'aspettasse di definirmi e di
classificarmi fra le diverse specie di mariti, prima di scegliere un
contegno deciso.
Fu l'ultimo colpo all'irritazione che mi ribolliva dentro; ero dunque
ben morto per quegli uomini, bene straniero ormai al loro consorzio,
se si trattenevano dal mostrarsi cinici e scapati quali erano, e
indossavano una cappa di convenienza, pesante a me più che a loro
medesimi?
Domandai di Gian Luigi Sideri. Era a Sestri a lavorare, solo.
--Com'è stato accolto il suo _Lastrico dell'Inferno_?--chiesi.
--Assai bene; ne hanno parlato anche all'estero,--mi si rispose.--Una
rivelazione!--
Me ne andai, verso le undici. Gli altri si recavano a cena.
--Tu non verrai, non è vero?--domandò uno.
--Grazie; vado a casa,--risposi dopo un lampo d'esitazione.
E negli augurî di «Buona notte!» che m'accompagnarono, volli trovare
ironia, invidia, rispetto comico per la fedeltà con cui osservavo i
miei doveri di sposo felice; e l'irritazione si riversò allora infine,
decisamente, contro costoro, contro la buaggine del mondo. Se si fosse
indovinato che già tra me e Lidia cominciavan gli screzî!... Screzî i
quali davan ragione alle ironie sottintese, e avrebbero fatto esultare
quei filosofi da marciapiede.... Ebbene, no!
Lidia era a letto; dormiva, quando rincasai. La scossi leggiermente,
la pregai di voler dimenticare, l'ottenni ben facile, e l'alba
dell'indomani sorse tranquillissima per noi, smemorata d'ogni
chiaroscuro spiacevole. Tornando, però, durante quella notte, al primo
malinteso che aveva prodotto il nostro broncio, Lidia espresse di
nuovo il desiderio di non partire; non aveva voglia di soffrire i
disagi di un viaggio lungo; voleva attendere la migliore stagione, e
nel frattempo occuparsi della sua casa, far visite e riceverne, andare
a teatro, godere del carnevale prossimo; tutto coll'impazienza della
donna nuova, che brucia dal desiderio di mostrare al mondo quale
splendida farfalla sia sbucata dalla crisalide.
Per non toglierle illusioni circa quei divertimenti che il suo nuovo
stato le permetteva, ascoltai il programma di Lidia con animo sereno e
mi compiacqui a far disegni sull'argomento. Nei giorni successivi la
presentai a quante famiglie conoscevo e mi parevan degne della sua
amicizia....
Spesso in quelle case, dov'io entrava una volta preceduto da
impaziente attesa e circondato da cortesie eccezionali, trovai
un'accoglienza compitissima e tuttavia diversa da quella del passato;
le madri mi serbavan qualche rancore per non aver fatta cader la mia
scelta sulla signorina, speranza e tormento della famiglia; ero per
esse una fresca tomba di illusioni.
Altrove, era la signorina che usava un po' d'astio contro Lidia e un
po' di sprezzo contro me; occhiate traducibili con un: «Tanto, non
avrei saputo che farmi di voi!»
Eran più schietti e cortesi gli uomini, quegli stessi uomini, i quali
diventavan terribili di satira e acuti di negazione non appena si
trovavano in crocchio, al teatro o al caffè.
Difficile stabilire il numero esatto di quelli che al veder Lidia si
proponevano di sedurla in otto giorni e stringendomi la mano si
rallegravan seco stessi d'aver io preparata una nuova preda per loro;
certo, dovevan essere molti e non tutti scapoli; certo, anche, Lidia
produceva comunemente un effetto d'ammirazione per la sua bellezza, e
di simpatia viva per un'ingenuità graziosa, per una semplicità pura di
modi, che alla bellezza eran fortissimi ausiliari.
E in grazia di tali ausiliari, le madri più arcigne e le fanciulle
deluse, dopo quindici giorni gareggiarono a diventar l'amica intima di
Lidia, come gli uomini tutti studiaron di farsi amici intimi miei; del
che ero meno lusingato.
Lidia aveva stabilito il martedì pe' suoi ricevimenti; io v'assisteva
sempre, quantunque i discorsi delle signore mi facessero sui nervi
l'effetto d'uno strider di lima e non fossi compensato se non dallo
spettacolo delle manovre tattiche ivi usate. La simulazione e la
dissimulazione vi giuocavano aspre battaglie; vedevo le nemiche
sorridersi, darsi la mano, baciarsi e lodarsi, con un'abilità che un
diplomatico avrebbe pagata un occhio; ascoltavo le più calunniose
insinuazioni fatte col più idilliaco dei sorrisi; notavo la gara
tacita e accanita di soverchiarsi in eleganza, in bellezza, in
ispirito, e rilevavo come le più maligne parlassero sempre della
malignità altrui, dichiarandosi aliene da ogni vanità umana e
inorridite dalla maldicenza, la quale pur troppo non rispetta alcuno.
Io mi diceva frattanto che se si fosse scoperto ch'io era adultero,
giuocatore od ubbriacone, tutte le amiche di Lidia avrebbero esultato,
in omaggio all'amicizia femminile.
Avevan trovato, quelle eleganti femmine, un tema che si prestava
mirabile a piccoli colpi, a punture di spillo, a ferocie squisitamente
melate; ed era, il tema, l'infecondità di Lidia. Non poteva ella avere
un'emicrania, un malessere passeggero, un pallor più accentuato, o una
leggierissima tinta azzurra sotto gli occhi, senza che le amiche vi
trovassero qualche significato riposto, qualche preavviso della venuta
di un bimbo; di quel bimbo, il quale, secondo loro, era indispensabile
al coronamento della nostra unione, mentre io non vi aveva manco
pensato.
E poichè il bimbo pareva farsi aspettare, le osservazioni s'inoltravan
più ardite:
--«Lei, dunque, non si tedia mai?
--«Mai, cara signora.
--«Ciò è stranissimo.
--«Perchè?...
--«Sempre così soli, senza una testolina bionda da accarezzare, senza
le cure deliziose per un innocente....»--
Le parole non producevano in Lidia alcun effetto doloroso; ella non
aveva nè propensione nè repulsione per la maternità; forse non ne
aveva una chiara idea, e ciò faceva sì ch'ella rispondesse colla sua
ingenuità quieta alle sollecite visitatrici, frustrando in loro ogni
speranza d'esser riuscite ad amareggiarla.
--Assolutamente, si vuol vedere un frutto del nostro amore,--dissi una
volta a Lidia.--Se non ci riusciamo, bisognerà adottare un trovatello
per far piacere agli amici.--
Lidia scoppiò a ridere, e mi tolse ogni inquietudine circa l'esito
sortito da quelle insinuazioni.
Più di quanto io non m'aspettassi, era ella abile a giudicar le
persone e a sottrarsi da ogni influenza. Una vecchia signora, assidua
ai martedì, s'era proposta una tutela gratuita su di noi; voleva
insegnarci a vivere, e s'interessava della servitù, dell'andamento
della casa, dando consigli non cercati perfin sulla disposizione dei
mobili.
Lidia non era in questo affatto indulgente, e un giorno in cui la
signora si lamentava perchè avevamo licenziata la cuoca, Lidia le fece
capire che sarebbe stata ottima cosa non si fosse più fatta vedere, nè
ai martedì, nè in altri giorni della settimana.
Era donna, Lidia oramai; così donna da inquietarmi un poco per la
seduzione inconscia ch'ella esercitava sui miei amici. Io non poteva
più contar quelli che la desideravano; erano tutti, giovani e vecchi,
ammogliati e celibi; gli ammogliati non m'avrebbero ceduta volentieri
e per un lasso di tempo indeterminato, la loro sposa fedele in cambio
della mia? Sì, certo; son cose che si fanno, salvando naturalmente le
apparenze.
Dovevo essere odiato quanto era desiderata Lidia, da costoro.
La mia presenza immancabile li urtava come un'offesa personale;
entravan nel salotto strisciando, la schiena curva, il sorriso
rutilante; trovavan Lidia, coi piedini sulla proda del caminetto, un
libro pesante alla mano; fuori c'era l'aria grigia di dicembre; un
complesso di cose molto propizie a discorsi sentimentali, a
preliminari d'attacco.
Ma se domandavano:
--«E Sergio, il nostro caro Sergio, come sta?»--e si sentivan
rispondere da Lidia:
--«Bene, grazie. È nello studio; ora lo faccio chiamare,»--
addio speranze, addio preliminari e discorsi sentimentali!...
Però, quando compariva io, le strette di mano eran così calorose come
tornassi da un viaggio di circumnavigazione.
Io mi meravigliava di una cosa sola: che quei furbi seduttori, quegli
esperti ladri onorabili, non s'accorgessero, nella loro furberia, come
la mia presenza fosse affatto superflua a sventar le loro arti; come
Lidia, anche sola, anche triste, anche corrucciata contro di me, non
fosse donna da cascar fra le loro braccia.
Ma essi mi trovavan troppo brutto al loro confronto, per ammettere
simile verità; non so chi, aveva loro insegnato che necessariamente
una donna deve cadere; oggi, domani, fra un mese o fra un anno, la
caduta avviene; e nell'aspettazione, essi frequentavano la mia casa, e
si sedevano alla mia mensa, come già io aveva fatto con Giorgio Uglio.
Nessuno di quei visitatori, per altro, aveva ancor preso un
atteggiamento perspicuo; venivano ai martedì, a qualche pranzo, a
qualche festa che dava Lidia. Nessuno aveva ancor trovata l'occasione
di scriverle un biglietto o d'inviarle un libro o d'addentrarla nella
conoscenza dei buoni autori contemporanei; ma io non mi nascondeva che
fra la turba doveva trovarsi già l'audace, e mi chiedevo con una certa
ansia se avrei potuto io stesso scoprirlo.
Il concetto che avevo dell'intuizion dei mariti, non era ottimo, per
vecchia esperienza. Ora, io era un marito, dopo tutto, e tanto marito
da pensare e da ragionare perfettamente all'opposto di quanto
ragionavo e pensavo un giorno. Sarei stato marito anche nel sospetto?
Anch'io come gli altri, sarei andato a investigar le cose più assurde
e a dubitar dell'amico sincero, quando ad ogni istante avrei avuto
sott'occhio il nemico? Era un dubbio affatto indipendente dalla
gelosia per Lidia; era un dubbio che il mio amor proprio sentiva
crescere con immenso dolore, perchè avvalorato da un piccolo falso
allarme recentissimo.
Mi veniva per casa un giovanetto di diciannove anni, poeta: alto,
magro, biondo, lezioso; stabilito a Roma colla famiglia, si tratteneva
però volentieri a Milano; portando un bel nome, aveva molte
conoscenze; corteggiava le signore con arte precoce e con sonetti così
lacrimosi da farlo creder Geremia redivivo. Mi era anche antipatico;
sentivo in lui una certa forza di seduzione la quale, non apparendo
giustificata da alcuna dote particolare, se non da quei diciannove
anni, che eran dote troppo caduca,--m'inquietava.
Di Lidia non sembrava affatto curarsi, pel senso pericoloso ch'io
intendeva; ma era verso di lei insinuantissimo, e così sobrio nella
lode e nell'ammirazione, da ottener con poche parole effetto doppio di
quello che gli altri ottenevan con molte.
Io cominciai a sorvegliarlo, a studiare il modo di non lasciargli dire
nè molte parole nè poche all'indirizzo di Lidia; se abitualmente ero
vigile, del poeta sentimentale divenni accortissimo e sospettoso, da
un giorno all'altro aspettandomi qualche volume de' suoi versi con
opportuna dedica a Lidia, e poi un viglietto, e poi una visita nelle
ore in cui ero assente. Una sera che, al teatro aveva aiutata Lidia a
togliersi la pelliccia, quelle sue mani presso il collo della donna,
quel gesto di lui che pareva volesse abbracciarla, mi diedero una
fitta al cuore, mi svelarono che là stava il pericolo imminente.
Invece, all'improvviso, il poeta partì, raggiunse la famiglia a Roma,
ed io fui stranamente sorpreso venendo a sapere com'egli si
trattenesse a Milano per amor d'una vedova, alla quale non offriva
sonetti ma denari con sì lieta prodigalità, che i suoi lo avevan
richiamato al più presto.
Non saprei dire se da questo episodio io ritraessi piacere o
malcontento; senza dubbio, ne uscii molto umiliato per la mia
intelligenza, ch'era in altri tempi soddisfacentissima; e verso il
poeta serbai un atroce rancore, quasi m'avesse schernito nel modo più
villano.
Dicembre si chiuse per noi col ritorno dei signori Folengo da
Pallanza. Io dimenticava sempre che Pietro e donna Teresa facevan
parte della mia nuova famiglia, e perciò l'idea di festeggiar con loro
il Natale non mi parve eccessivamente allegra; avrei preferito restare
in casa, dove la presenza di Lidia mi confortava, e non m'infastidiva
l'assenza di quel bambino biondo che m'auguravano i conoscenti.
Donna Teresa lodò la figlia per la sua decisione di non partire,
quantunque osservasse che sarebbe stato bene continuare il viaggio per
rispetto alle abitudini generali; poi, ella e Pietro ci annunciaron la
novità già accennata nelle loro lettere.
Una casa commerciale importantissima offriva a Pietro l'impiego di
direttore e di procuratore, con lauto stipendio e partecipazione ai
vantaggi dell'azienda. Simile offerta si doveva a un amico di Pietro,
deputato, fatto Ministro in quei giorni, il quale curava poco il
benessere d'Italia, ma sufficientemente il proprio, quel dei congiunti
e degli amici; il che gli giungeva anche troppo grave soma.
Quando sentii che la casa commerciale era stabilita al Cairo, mi
dichiarai avverso a tale disegno, ma fui stupito notando come Lidia
l'avversasse molto meno di me, e cedesse alle ragioni esposte da
Pietro.
--In ogni modo,--concluse questi,--è cosa che avverrebbe fra qualche
tempo.--
Mentre ritornavamo a casa, domandai a Lidia:
--Perchè non ti sei opposta a quella pazza idea?
--Non so,--ella rispose.--Così!...--
E poichè ella non agiva talora per ragioni più convincenti, io mi
trattenni dal chiedere altro.


IX.

Fu l'abito che indossava? o furono le sue braccia, che le maniche
scopriron fin quasi al gomito, nell'atto in cui ella s'appoggiava al
cassettone? o fu il suo viso, dai lineamenti un po' stanchi? o non fu,
piuttosto, la volontà del caso, il quale aveva stabilito che di là
cominciassi a soffrire?
Fatto è, che potei d'un tratto afferrare un'impressione, e definirla
colla rapidità del lampo.
Veniva spesso nella mia camera, Lidia, dopo le cure dell'abbigliarsi e
prima della colazione; mi chiedeva che cosa si sarebbe fatto nella
giornata, se ci saremmo occupati delle visite, se a teatro v'era
qualche spettacolo interessante; anche, mi chiedeva s'io l'amassi
ancora, come nei primi tempi.
Ella cominciò, stavolta, dopo il saluto:
--Credi ci convenga render la visita ai signori Cortalancia?--
S'era appoggiata al cassettone col semplice scopo d'ammirarsi nello
specchio. Io, di fianco a lei in una poltrona, mi dimenticai
d'osservare se quello scopo era giustificato da qualche vestaglia
nuova, da qualche bizzarra acconciatura dei capelli. Risposi:
--Perchè non si dovrebbe render la visita? I Cortalancia sono persone
rispettabilissime.--
Lidia chinò la testa a guardarsi le dita bianche e magre; si tolse e
si rimise un anello.
--Mi parevano molto noiosi,--disse.
--Non sei ancora abituata a sopportar le persone noiose?--domandai.
Quindi mi morsi le labbra; il momento che noi attraversavamo rendeva
la domanda piena di pericoli.
--Sono abituata!--fece Lidia, continuando ad ammirarsi nello
specchio.--E non è inutile aumentare il numero?
--Ogni persona che si trascura, diventa un nemico,--sentenziai.
Lidia sospirò, passandosi la mano dietro la nuca a lisciarsi dei
capelli che supponeva scomposti; ma come non si decideva a togliersi
dalla sua positura, me le avvicinai, le tenni le mani per l'estremità
delle dita, e fissandola in viso:
--Làsciati ammirare!--dissi.
Aveva realmente una vestaglia nuova, alla Pompadour, con fiori sul
petto; un nastro azzurro le girava attorno alla testa, pettinata
secondo la foggia greca. Sentii le sue dita fredde, vidi le braccia
scoperte, il viso bianco dagli occhi mavì; in uno sguardo, riassunsi
tutta la venustà di quel corpo giovanile.
E afferrai l'impressione di lunga stanchezza che quel corpo giovanile
mi produceva.
--Piaccio?--Lidia domandò con frase solita, ma con insolita freddezza.
--Piaci,--risposi, lasciandola
Ritornammo al nostro posto.
--Se si potesse ricevere in veste da camera, sarebbe una buona
cosa,--osservò Lidia, sorridendosi nello specchio.--Credo d'esser più
bella!
--Ah!... Ce n'è bisogno?...--
Un fiore, dal petto passò nelle mani della donna, che cominciò a
sfogliarlo e a pelarlo con molta cura.
--Non c'è un bisogno pressante,--ella rispose,--ma la vanità è senza
limiti. Dunque, renderemo la visita ai Cortalancia. Stasera c'è
teatro?
--Non ho ancora i giornali. Anche a teatro vorresti andare in veste da
camera?
--Oh, lì!--ella fece, con un gesto di trionfo.--Abbiamo gli abiti
scollati, per la Scala!
--Nessuno t'impedisce di ricevere pure in abito scollato!--
Lidia modulò una risatina di sprezzo pel mio suggerimento che credeva
serio, e se ne andò, alzando le spalle e dimenticando di chiuder la
porta.
Era certo; la stanchezza cominciava a proiettar la sua ombra nelle
nostre anime. Era anche logico; tutti gli amori finiscono, come cosa
mortale, e il nostro non poteva già trovar nella legge, oltre la
tutela, l'eternità; bensì, era la legge assurda, che prestava la prima
e fingeva credere alla seconda.
L'abitudine aveva avvelenata la sorgente del piacere; l'idea piatta di
rappresentar noi una simmetria legale con uno scopo determinato
illanguidiva e smagava tutto quanto era spontaneità; impendeva sui
nostri cuori, ne regolava i battiti, non ci lasciava la freschezza
dell'improvviso. La legge era tra noi, coprendoci; mezzana stranissima
che scemava le forze a luogo d'eccitarle.
Quale amarezza in fondo ai nostri baci! Un'amarezza; non dolore, non
uggia irreverente; una delusione fisica e morale, pesantissima, che
avrebbe rotto in lacrime, se tal linguaggio di sentimento ci fosse
stato possibile.
Soffrivamo ambedue, Lidia ed io; ella, non arrivando a capire
ciò che provava; io, arrivandovi troppo; ella, tormentata
dall'indeterminatezza del mistero; io, da impeti subitanei. Se
m'arrivava d'un tratto, acuto, inesorabile, il pensiero di poter
io pretendere da lei e imporle l'amore che in altra donna avrei
meritato per elezione,--il mio abbraccio si snodava, il suo
corpo mi pareva cosa, non esempio di giovane bellezza. L'avrei
respinta, Lidia, con brutalità, perchè incarnava il dovere e il
diritto, il principio e la tradizione, la valvola di sicurezza
della società mostruosa fatta per la massa.
Lidia sentiva così bene tutto questo, da non maravigliar di nulla.
Aveva lasciata la sua casa ed era entrata nella mia.... con
entusiasmo? con gioia irrefrenabile? No; con amore e illusioni, morte
le quali, restavale in animo una congerie di teorie ridicole
insegnatele da' suoi; teorie di cui intuiva la falsità non meno che il
pericolo d'ammetterla. Assisteva allo svolgersi di teorie nuove,
sentiva il rombo di nuove idee soffiate dal secolo morente, e
considerando la nostra simmetria decrepita, s'impauriva di
rappresentare ella medesima una di quelle idee agonizzanti, a
ringiovanir le quali non la sua bellezza, non la sua fresca età, non
il suo fascino raddoppiato mille volte, sarebbero bastati mai.
Per una crudele ventura, quello sboccio di desolanti sensazioni
combinò col folleggiar del carnevale, che un gruppo di volonterosi
aveva tentato richiamare alla gaiezza antica; e in tutta la mia vita
non trovo memoria d'allegria più funebre, di spigliatezza più voluta,
d'ipocrisia più sconfortevole che quelle dominanti allora per le vie e
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