Il Designato: Romanzo - 05

vincere il bisogno di mancare in séguito.
Sulle prime, con Pietro io mi divertiva ad oppormi a tutte le sue
opinioni e ad inquietarlo con delle sentenze paradossali. Il buon
uomo, non trovando pronti argomenti, si smarriva o portava la
questione in un altro campo, dov'io lo raggiungeva tosto e
ricominciavo coi paradossi. Ma Lidia m'aveva pregato di non
tormentarlo oltre, ed io aveva finito per approvar le teorie di
Pietro, limitandomi a monosillabi, secchi ed eguali come battute di
pendolo.
Giorgio Uglio arrivò un mattino in casa, mentr'eravamo a colazione.
Splendeva d'una gioia intensa, e dopo i saluti, ci annunciò che Laura
sua moglie giungeva l'indomani.
--Domattina, col battello delle dieci,--egli disse.--Verranno a
salutarla? Ella ne avrà molto piacere. Anche lei, signora Lidia, è
vero, sarà a riceverla?
--Senza dubbio,--rispose Lidia con prontezza.--Ho tanto desiderato
rivederla!--
Quando Giorgio fu uscito, nella sala da pranzo seguì un breve
silenzio; poi, donna Teresa mormorò:
--Com'è felice! Si amano alla follia!...
--Si comprendono!--aggiunse Pietro.
Io guardai l'uno e l'altra e fui stupito dell'espressione calma e
grave ch'era sul loro viso. Avevan detto per davvero! Non sapevano che
Laura aveva tradito Giorgio quattro volte, a quanto s'era scoperto, ed
altre volte infinite, a quanto si poteva indovinare? I romori del
mondo svanivan dunque assolutamente sulla soglia di casa Folengo?
Sebbene io conoscessi quella famiglia e sebbene l'avessi frequentata
nel periodo del fidanzamento, non m'aspettava simile cecità; forse
l'assidua attenzione che raccoglievo allora su Lidia, m'aveva tolto di
giudicare a fondo i parenti di lei.
--Da dove torna la signora Laura?--chiesi.
--Non sai? Dalla Svizzera,--rispose Pietro Folengo.
--Con chi era laggiù?--ridomandai.
--Con dei congiunti,--fece donna Teresa.
--Ne sei sicura?--osservai.
--Deve fare un bel freddo in Isvizzera, ora!--concluse Pietro, senza
neanche rilevar la mia insinuazione.
E si parlò del freddo, che pel venuto ottobre doveva calare anche da
noi.
Appena fui solo con Lidia, quel giorno, le dissi:
--Andrò io a salutar la signora Uglio. Tu, rimani; troverò un pretesto
per iscusarti.
--Non vuoi ch'io ti accompagni?
--Lo credo inutile. I signori Uglio non sono simpatici nè a me, nè a
te; ce ne libereremo a poco a poco.
--Non vorrei che mamma mi rimproverasse,--mormorò Lidia.
--Perchè? Sei tu, sono io, che dobbiam fare la scelta dei nostri
amici; e ci sarà ben lecito aver dei gusti diversi da quelli di tua
madre.
--Naturale,--assentì Lidia.
Non uscii che alle dieci e un quarto l'indomani mattina e perciò,
mentre mi dirigevo al ponte di sbarco, vidi venirmi incontro Giorgio a
fianco di Laura, i Caccianimico, Angela Tintaro e qualche altro
conoscente. Li salutai, chiedendo venia del mio ritardo, e strinsi la
mano a Laura, che mi parve singolarmente bella.
--La tua signora?--domandò Giorgio, nell'atto ch'io mi poneva al suo
fianco e m'incamminavo con loro all'_Eden Hôtel_.
--Lidia è indisposta e vi prega di volerla scusare.--
Capii, dalla faccia contrariata di Giorgio, che, come avevo sperato,
il pretesto non era buono; ma nessuno si lasciò sfuggire l'occasione
di sorridere con qualche sottinteso.
--Già indisposta?--fece Laura, guardandomi di tra le ciglia socchiuse.
--Oh, una cosa molto semplice,--risposi.
Laura era alta, magra, degna del pallio o degli abiti con lungo
strascico. La testa, piccola ed animosa, pallida e notevole per una
capigliatura bruna e crespa, era capace di più espressioni violente e
la tranquillità vi si sarebbe male significata; dagli archi
sopraccigliari larghi e dagli occhi castagni, ma instabili
d'irradiazioni così che parevan neri, usciva un'energia lieta di
vivere, facile a trasmodar nell'ira e nell'odio, senza fermarsi in
graduali sentimenti; il naso aveva rettilineo e la bocca dalle labbra
carnose; le orecchie rosee, ben disegnate, nascondevano l'origine
plebea che si rimproverava alla donna; erano orecchie da patrizia e
non anse da schiava; la voce chiarissima, era nell'intimità un po'
velata, ma eguale.
Ettore Caccianimico, fiancheggiato dalla moglie e da Angela Tintaro,
ci seguiva portando la valigetta di Laura; io m'offersi di prendere
una piccola borsa di pelle che Laura aveva alla mano; ma la signora si
rifiutò, dicendomi:
--No, no. Questa non si tocca. C'è tutta la mia corrispondenza, qui
dentro.
--Di': tutta la nostra;--corresse Giorgio con un sorriso celestiale.
Ettore Caccianimico tossì.
Io pensai che Giorgio Uglio volesse beffarsi di noi. Non si poteva
ammettere ch'egli ostentasse la pace domestica con ingenuità così fuor
di proposito; e se tale ingenuità esisteva in lui, non sapeva egli che
io, fin dal primo riveder Laura, m'ero chiesto s'ella portasse ancora
le giarrettiere che nell'interno avevan ricamato il mio nome? o quale
altro nome chiudessero ora, dopo il soggiorno coi parenti?
Arrivati all'albergo, Giorgio lasciò Laura, il Caccianimico diede la
valigia ai servi accorsi; vi ebbe un istante in cui Laura ed io fummo
a viso a viso, discosti dagli altri.
--Vieni a trovarci,--ella sussurrò prestamente.--E di' a tua moglie
che non c'è bisogno di scuse perchè io la dispensi da ogni
visita....--
M'accomiatai, sottraendomi a un invito a colazione fattomi da Giorgio
con insistenza.
Quando Laura m'aveva dette quelle parole coll'audacia che le era
propria e che l'abitudine al tradimento aveva in lei perfezionata fino
alla temerità,--io era rimasto attonito. Mai, per tutto il tempo del
mio fidanzamento, Laura aveva fatto cenno al nostro passato,
quantunque non di rado la incontrassi in casa Folengo; mai s'era
curata del mio amore per Lidia.... Che cosa le frullava per la testa,
ora? Non potevo supporla così pazza da credere ch'io conservassi di
lei, non un desiderio, ma pur anco un ricordo.... Vedevo una sola cosa
buona ed utile in tutto questo: la persuasione di Laura che
un'amicizia tra lei e Lidia sarebbe stata assurda e mostruosa;
persuasione, espressa da Laura coll'altierezza sua caratteristica,
quasi lei e non Lidia rifiutasse le occasioni d'un incontro.
Chiarissima era in me l'idea dei doveri che m'ero assunti verso Lidia
e ferma la decisione di compierli, fors'anco pel sentimento egoistico
di pretendere altrettal rigida osservanza dalla donna.
La compagnia di Laura m'era quindi uggiosa; non riuscivo a comprendere
perchè in altri tempi mi fosse ella piaciuta. Osservandola bene,
durante il primo rivederci e nei giorni successivi, m'ero persuaso che
Laura era fibra da tradir uomini e donne colla stessa facilità con cui
avrebbe bevuto un bicchier d'acqua. Sul suo viso stava un'espressione
cinica, dura, spudorata, volubile; gli occhi avevano sguardi equivoci,
il sorriso non era aperto e cordiale, ma rapido, presto a mutarsi in
sogghigno, a scomparir d'un tratto perchè i lineamenti assumessero una
gravità altrettanto falsa.
L'eleganza di Laura Uglio era capricciosa, troppo spesso procace; se
le risa della donna mi giungevano alle orecchie, mi parevano alte e
sguaiate e m'irritavano contro Giorgio, ch'era così buono da permetter
simile contegno a chi portava il nome di lui.
Non sono ben certo delle impressioni che il mio atteggiamento
suscitava in Laura. Se non conoscessi l'acutezza femminile per
inarrivabile nell'avvertire e definire il fascino o la repulsione
prodotta in un uomo, sarei tratto a credere che Laura ignorasse il mio
mutamento a suo riguardo; così appariva tranquilla e sicura. Ero con
lei più riservato che cortese, più freddo che ostile, ma dovevo in
ogni modo rispecchiar l'antipatia per Laura, dal solo fatto che poco
prima del mio matrimonio, io la trattava come ogni altra conoscenza.
Noi ci vedevamo al Caffè Bolongaro d'Intra, ove mi recavo solo. In
quel momento, Laura aveva lungo corteo d'ammiratori, i quali
m'evitavan la noia di trovarmi isolato colla moglie di Giorgio e
impedivano a questa un possibile inopportuno richiamo al passato. Nel
tornare a Pallanza, Ettore Caccianimico dava di piglio al mandolino e
faceva da menestrello alla compagnia; io mi offriva compagno
costantemente ad Angela Tintaro, sebbene anch'ella mi ripugnasse per
le sue innaturali venture amorose. Nel susurro delle conversazioni,
fra le risate, sentivo Laura dominar gli altri, avventar motti
brucianti come labbra febbrili, aizzar quelli che l'accompagnavano; e
guardando Giorgio, trovavo sulla faccia di lui il consueto sorriso
celestiale. Mercè l'opera di Laura, la villa Caccianimico s'era
tramutata in una gran sala di divertimento; il giardino si popolava di
giovanotti e di signore attratti dai giuochi eleganti che Giorgio,
Ettore e Laura avevano organizzati; il pianoforte era tormentato di
notte fino a tarda ora e dalle finestre aperte prorompevan grida
ilari, schiamazzi, risate femminili; dopo il trattenimento, la
baraonda usciva per le strade a far serenate coi mandolini e le
chitarre, e di tutto Laura Uglio era l'anima informatrice....
Quanti diabolici intrighi aveva ella saputo aggrovigliare, nonostante
l'idillio col marito?
Io sarei giunto forse a calcolarli, se il freddo improvviso non
m'avesse indotto a vincer l'inerzia di quel soggiorno e a ritornare a
Milano, donde contavo riprendere il nostro viaggio.


VII.

Saliva dalla via una sonnolenza larga e morbida, che pareva scemar gli
stessi romori dei carri e delle carrozze, passanti sotto la pioggia a
rovescio. In qualche negozio, le lampade elettriche splendevano,
quantunque non fossero che le due del pomeriggio. Le signore, chiuse
nei mantelli, non trattenute dal tempo accidioso, affollavano il Corso
egualmente come nel più bel giorno d'autunno, si soffermavano alle
vetrine, trovavan la volontà di comperare e di discutere le compere
fatte.
Lidia apparteneva a questa categoria di signore instancabili nel
passare da un magazzino all'altro. Quando la pioggia era più violenta,
Lidia si faceva allegra. Calzava stivaletti alti serrati, indossava la
pelliccia, un piccolo cappello di feltro, guanti scuri, e usciva con
me a pellegrinare pei negozi di mode. Aveva un umore eccellente; mi
abbracciava ad ogni poco, prima d'andar fuori, e rideva ad ogni
occasione; sopratutto era abilissima nello scoprir la necessità degli
oggetti inutili, al punto che mentre credevo di doverci trattenere
solo un paio di giorni a Milano, ivi eravamo già da dieci e sembravamo
incamminati a rimanervene altrettanti.
S'era cominciato cogli acquisti di gran rilievo, rappresentati dagli
abiti di Lidia per la veniente stagione. Le stoffe offrivano due
motivi a pensieri gravissimi: la qualità ed il colore, o meglio la
combinazione dei colori, perchè con mia grande sorpresa, Lidia m'aveva
assicurato che una combinazione di colori falsi avrebbe distrutta la
sua fama di signora a modo.
Appena ella poneva piede nel negozio, la sua ilarità spariva e
un'ombra grave le si diffondeva sul viso bianco e fresco. Lidia
ascoltava le parole del commesso con molta diffidenza, e sottoponeva
l'uomo a un'analisi psicologica delle più accurate; non amava i
discorsi di quella gente; non aveva scrupolo alcuno di mettere a
soqquadro un magazzino intero, o d'andarsene senza comperare.
Mentr'ella tuffava con voluttà le piccole mani fra gli ammassi di
stoffe sciorinati sul banco, o confrontava gl'infiniti campioni dei
quali aveva zeppo il manicotto,--io mi sedeva presso di lei,
ascoltandola, e nei casi dubbi ella si rivolgeva a me.
--Che ne pensi, Sergio?--chiedeva, mostrandomi il velluto o la seta.
--Molto bene,--rispondevo.
--Ma no, ma no!--ella esclamava, con un sorriso.--Non si tratta di
lodare; non ho ancora scelto. Credi che questa guarnizione?...--
Io aveva cura di creder sempre quanto credeva ella medesima e di
fingermi anche più ignorante di quel che non fossi, perchè ella non
avesse a sospettar d'una certa mia esperienza di mode, acquisita in
diverse occasioni, le quali da Lidia non si dovevan conoscere.
--Se fosse qui la mamma, potrebbe consigliarmi!--diceva ella infine.
Faceva mandare a casa gl'involti voluminosi, ma quando ve n'era
qualcuno appena possibile a portarsi, ella stessa se ne impadroniva e
se lo metteva sotto l'ascella con una tenerezza materna delle più
ingenue.
Poi mi diceva:
--Spero che così andrà bene; quel mantello aveva assolutamente bisogno
della piuma, in basso; quest'anno la piuma si usa molto; purchè la
sarta non guasti!... Aspetta; devo entrar qui un istante....--
E si andava in un altro negozio, dove il commesso ricominciava le
chiacchiere, e Lidia l'analisi psicologica. Avevo occasione
d'osservare che tutte le signore facevan così, e che l'aria grave di
Lidia si ripeteva sui viso di quante entravano. In qualche magazzino,
il susurro femminile pareva un ronzìo d'api laboriose; colla
differenza che le api umane qui, scialavano invece di raccogliere;
alcune s'abbandonavano alla disperazione per non aver trovato quanto
desideravano; altre discutevan sul prezzo e mercanteggiavan per
abitudine; e tutto questo, alternato cogli sguardi rapidi, sintetici,
alle compagne, delle quali si valutavano in un baleno anche il veletto
e i guanti. Avvenivano incontri di amiche, sùbito unite in una lega
tacita contro il commesso; più sovente, s'incontravan delle nemiche,
riconoscibili alla ostentata cura dell'una di non sfiorar l'abito
dell'altra, squadrata con sovrano dispregio.
Potevo cogliere a volo dei piccoli dialoghi:
--«Sai, l'ho pagato quaranta lire; ma a Giuseppe dirò che mi costa
venti.
--«Naturale.
--«In un caso, citerò la tua testimonianza.
--«Còntaci pure; faccio anch'io lo stesso con Paolo.
--«Stavolta donna Mercedes è sbaragliata. Compro questa pelliccia,
ch'è adorabile.
--«Adorabile; somiglia alla mia, salvo che quella mi vien da
Parigi.»--
Se giungeva per caso una cortigiana in momentaneo favor del pubblico,
l'attenzione delle signore si raccoglieva totalmente su di lei; lì,
era la moda, un po' audace, ma espressiva. Forse, in qualche cuore di
donna onesta non sanguinava una piaga d'invidia, pensando che il bel
giovane presso la cortigiana dava lentamente la vita e il patrimonio
per lei; non tanto per quest'ultimo, quanto per la vita? (Dolce poter
dire, levando gli occhi languidi al soffitto: «Ahimè, povero ragazzo!
Se avessi saputo che sarebbe giunto a morirne.... Ma chi lo imaginava,
coll'ipocrisia della nostra gioventù?»)
Mi pareva di respirare aria più libera, all'uscir da quei negozî,
mentre Lidia rilevava con immenso sconforto che per la giornata non
aveva altre compere in vista. Si consolava però sùbito a casa,
trovando accatastati gl'involti nella sua camera; li apriva,
considerava ancora gli acquisti, aspettava la sera per giudicarli alla
luce artificiale; qualche volta li rimandava o li mutava, dopo i
consigli della sarta.
Questa aveva libero adito in casa nostra, a qualunque ora del giorno.
Era una signora alta, magra, con un neo posticcio sulla guancia
destra; compariva,--eccezionalmente e solo per Lidia condiscendeva a
muoversi dalla sua officina--seguìta da una commessa che portava i
giornali di moda, quei giornali di moda i quali rappresentavan per lei
il limite a cui l'umana intelligenza può giungere e donde è affatto
inutile si spinga innanzi. Apertili, con suprema delicatezza quasi
porte di tabernacolo, Lidia e la sarta si curvavano sul figurino,
v'appuntavan l'indice, facevan lunghi calcoli non meno di due generali
alla vigilia d'un attacco decisivo.
I consigli di quella signora eran semplicemente infernali; dovevan
partir forse dal principio che ogni cosa bella ne ammette una
migliore, e per questo principio indicava lei medesima le stoffe, i
colori, le guarnizioni, le fodere più opportune, spiegando a me,
sottilmente, come la bellezza di Lidia volesse un'eleganza raffinata e
aristocratica, ma senza possibili confronti.
Ella aveva pure intuito che nessun momento della vita coniugale meglio
del nostro, si prestava a comporre e a radunare un corredo muliebre
così vantaggioso per Lidia, quanto, in altro senso, per lei; e ciò
spiegava l'attenzion matematica, l'accuratezza con cui gli abiti erano
ideati, fatti e finiti, in un giro di tempo relativamente assai breve
e con approvazioni entusiastiche da parte di Lidia.
Quei capolavori di buon gusto ammaliavano Lidia, la quale si sentiva
diventar donna forse più per merito loro che per merito mio; sembravan
contener fra il raso, il velluto, la seta, un universo d'insidie,
d'invidie, di frivolezze, di cattiverie, di seduzioni, di sottintesi
che ancora mancavano a Lidia per poterla considerare un'adorabile
signora della buona società.
L'intervento della sarta aveva portato un ritardo nella nostra
partenza. Ottobre era già venuto al termine e novembre,--in quell'anno
rimasto memorabile per la sua rigidezza,--si presentava carico di
nebbioni e assai minaccioso. Al comparir dell'ultimo abbigliamento,
respirai: ora saremmo infine partiti.
Ma Lidia, con un'infinità di moine graziosissime,--dove l'aveva
imparate?--mi pregò d'aspettare qualche giorno, perchè v'eran altre
piccole compere a fare, di cui voleva sbrigarsi al più presto. Pensai
rapidamente che le compere avevano un incalcolabile peso sulla nostra
felicità: mai, come in quei giorni, Lidia raggiava di salute fisica e
spirituale; era un lumeggiar continuo di sorrisi, un brillamento
d'occhi, un accondiscendere a tutto quanto dicessi e anche a quanto
stessi per dire,--senza precedenti nel nostro breve passato intimo.
In séguito a tale considerazione, credetti il premio adeguato alla
fatica di trattenerci qualche giorno ancora a Milano; e ricominciammo
il pellegrinaggio nei negozî, non più di stoffe, ma di gingilli.
Stavolta le compere eran d'un'inutilità sorprendente, e Lidia non
aveva nemmeno il coraggio d'assumere l'aria grave di circostanza; ma
quegli acquisti parevan più necessarî a lei, più fatalmente agognati,
che la stilla d'acqua alla gola riarsa d'Epulone.
Si perdeva e s'estasiava davanti agli oggettini da salotto nei quali
la diabolica scaltrezza dell'artefice aveva sudato a raggiunger la
perfezione; e per l'impaccio della scelta, non sapendo Lidia decidersi
fra due balocchi egualmente leggiadri, finiva collo sceglierli....
ambedue; e poichè l'intuizion già notata nella sarta, sembrava
ripetersi in tutt'i negozianti ai quali facevamo capo, a bella posta
essi mettevan troppo di frequente Lidia in quell'impaccio della
scelta, così disastroso per le sue conseguenze.
In casa, meglio che in ogni altro luogo, la superfluità delle nostre
compere strideva maledettamente; le camere eran già ricche di
decorazioni e d'ornamenti, ed ogni angolo aveva un mondo di gingilli;
inoltre, poichè l'appartamento nostro era stato arredato col consenso
di Lidia e colla sua approvazione, io non riusciva a comprendere
com'ella vedesse tanti e così spaventosi vuoti là, dove alcuni mesi
prima tutto le pareva giusto, appropriato, ben messo.
Eppure, ella trovava modo di fare spazio, bastante non solo per ciò
che aveva comperato, ma anche per ciò che doveva comperare, e innanzi
alle sue acrobatiche sovrapposizioni, s'entusiasmava vie più a
cominciar da capo l'indomani.
Tutto questo m'annoiava d'una noia grigia e vasta; io voleva partire.
Lidia mi pareva una bimba, ma la sua infantilità si prolungava oltre
misura, e s'io non avessi avuta in fondo al cuore un'eco di quella
tenerezza che ci aveva presi ambedue, al ritorno, nel riveder la
nostra camera nuziale, sarei scattato d'improvviso.
In un giorno, dunque, pieno di sonnolenza larga e morbida, che
attutiva anche il romor dei carri e delle carrozze, sotto la pioggia
sferzante, noi eravamo usciti come di solito.
Poco prima, Lidia s'era messa alla scrivania per mandare una lettera a
donna Teresa; ma dopo aver contemplata la carta colle cifre in
carattere antico, ella m'aveva chiamato:
--Sergio!--
Dal tono di voce, era chiara una supplica.
--Sergio, non ti sembra che questa carta sia sovranamente funebre?
Quelle cifre in nero.... anche il formato?...
--L'hai scelta tu, cara, se non m'inganno.
--Sì, è vero.... Ma ho sbagliato.... Che cosa dirà mamma, ricevendola?
Lei, così attenta a ogni cosa?...--
Pausa, di meditazione; poi, chiudendo l'asse scorrevole della
scrivania:
--Sergio!
--Lidia?
--Se io ti pregassi.... di cambiarla?
--Cambiarla?... colle tue cifre?... Bisognerà comperarne dell'altra; è
più spiccia....
--E tu, non te ne avresti a male?
--Di che? Se l'avessi fabbricata io, questa....
--Allora, Sergio.... Allora usciamo, sùbito? Piove: una bellissima
corsa, mi butto in ispalla la pelliccia, e in un minuto sono in
ordine....--
E in un minuto era stata in ordine veramente, senz'aiuto di cameriera,
infilandosi i guanti sulle scale, come se la casa dietro noi si fosse
incendiata e minacciasse un crollo. E perciò noi eravamo usciti, a
piedi, in mezzo al fango e all'accidia invernale.
Pareva una ragazzina scappata di scuola, Lidia, colle mani ricoverate
nel manicotto, appoggiandosi al mio braccio, tuffata nella pelliccia,
il cui bavero alto le riparava le orecchie dall'aria pungente.
La carta fu scelta, senza cifre, ma benchè Lidia ne fosse ammirata e
secondo il solito se ne portasse la scatola tra il seno e il manicotto
con materna sollecitudine,--io osservai ch'era di gran lunga migliore
quell'altra.
--No, no, t'inganni,--rispose Lidia.
In fondo, ella si curava pochissimo delle mie obiezioni: aveva la più
illimitata presunzione del proprio buon gusto....
--Aspetta,--diss'io, fermandola innanzi al negozio d'un libraio.
Mentre passavo, m'era parso di veder sulla copertina d'un elegante
volume, un nome che in quel posto era stranissimo.
--Gian Luigi Sideri,--lessi.--_Il lastrico dell'inferno, romanzo!_
Come è possibile?
--È un tuo amico?--domandò Lidia.
--Ma senza dubbio, un mio caro amico. È inesplicabile questo
risveglio....
--È inesplicabile che abbia scritto un romanzo? Perchè? Non avrà avuto
di meglio a fare....--
E Lidia, con un movimento del braccio mi accennò che desiderava
andarsene.
Dove mai Gian Luigi Sideri aveva trovata l'energia necessaria a far
qualche cosa?--io pensava, riprendendo con Lidia il cammino verso
casa.--Come mai era riuscito a darmi questa lezione di buona volontà?
Che cosa sentiva io perciò? Era invidia? No: era amarezza, malinconia,
per la dispersion di forze che caratterizzava la mia vita.... E
sorpresa anche, perchè fra quanti avrebbero potuto fermarsi sulla via
inutile, certo io non ascriveva Gian Luigi Sideri.
La nostra amicizia contava parecchi anni d'esistenza. Ci eravamo
conosciuti al teatro Manzoni, dove il conte Gian Luigi ed io avevamo
le poltrone fianco a fianco, e la mia attenzione era stata attirata
dall'irrequietezza nervosa di Gian Luigi, a pena contenuta per
l'abitudine ai salotti; durante gl'intermezzi, egli si rifugiava
nell'atrio compensandosi dell'immobilità forzata con delle evoluzioni
pel lungo e pel largo, a passo celere.
Fra un'armonia di gusti e un senso estetico squisitissimo, una
facilità a comprendere ogni cosa bella e originale, Gian Luigi portava
talvolta una nota così discorde, così strana, da non lasciar capire
come avesse potuto nascere in lui.
Le sue carrozze, per esempio, eran di forme e di colori detestabili
quanto la livrea della sua casa, e non gliele avevo perdonate se non
come effetto d'un certo disequilibrio di facoltà critiche.
Al contrario, la sua mente era piena di concetti e di visioni
graziose, sfumate; Gian Luigi aveva una cultura tutta d'apparenza, la
quale sussidiata da un acume non volgare, gli dava maggiori vantaggi
che non la mia, pesantissima; buon musicista, Gian Luigi componeva
ballabili e romanze, di colore azzurrino, su parole proprie, ma
un'ammirazione esagerata per tutto quanto veniva da Parigi, lo
costringeva a scriver francese; egli conosceva questa lingua forse
meglio della propria e la parlava volentieri, con accento
irreprensibile.
In fatto di letteratura, Gian Luigi s'era limitato sempre a imaginare
argomenti da romanzo o da novella, nei quali si poteva sùbito
rintracciar la sua tendenza per le cose un po' indeterminate, e per
gli acquerelli di piccole dimensioni; sfuggiva il dramma o lo decorava
di particolari arguti, che l'avvolgevan quasi in una nube e gli
toglievano i bagliori sinistri.... Questi argomenti, creati,
modificati, accarezzati nella fantasia, rappresentavano per Gian Luigi
altrettante lontane possibilità di lavoro, a cui pensava qualche volta
con rammarico, lamentandosi d'essere incapace di un'occupazione lunga
e abnegativa.
Quanto all'animo di lui, io non era tuttavia riuscito a definirlo con
esattezza. Era scettico, Gian Luigi, o indifferente, o fatuo, o
innamorato di qualche cosa o di qualcuno? Probabilmente, colla
instabilità sua particolare, egli era a vicenda tutto questo, ma un
certo riserbo lo salvava dal dimostrarlo. Senza dubbio, conosceva il
mondo, e in trent'anni di vita aveva corse le vicende istruttive degli
uomini liberi; senza dubbio, anche, era un sognatore, ma non un
sognatore classico, il quale attraversa doloroso l'esistenza in cerca
di sensazioni inaudite; bensì, un sognatore calmo, sorridente,
eclettico, il quale coglie il buono dove s'incontra e lo paragona alle
proprie aspettative.
Era un ammiratore di Laura Uglio, donna che per la sua beffarda
filosofia della vita, doveva singolarmente confarsi allo spirito di
Gian Luigi; forse, egli ne era stato anche l'amante, perchè in un
certo periodo, noi ci guardavamo con curiosità, stimolati dal
desiderio di farci una domanda e incapaci a formularla; ond'era fra
noi due rimasta quella specie di punto interrogativo, non mai
soddisfatto.
Laura, Gian Luigi, ed io, conoscevamo così profondamente i doveri ed i
diritti di ciascun di noi, che non amavamo affrontarci, preferendo un
fatto dubbio, larvato di convenienza, a una risposta secca e
noiosa.... Certo, nel calendario d'amanti che la società affibbiava a
Laura, il nome di Gian Luigi non era comparso; ma questo provava ben
poco, perchè non era comparso neppure il mio....
Ora, Gian Luigi,--scettico, indifferente, fatuo o innamorato, che
importava?--aveva d'un tratto raccolte le sue forze, aveva lavorato,
aveva dato alla luce un volume, un grosso volume, a quanto si vedeva,
che gli era costato almeno sei mesi de fatiche, i sei mesi del mio
matrimonio.
L'avvenimento era così straordinario, ch'io giunsi a casa senz'aprir
più bocca: salii le scale dietro Lidia, a testa bassa; mi ficcai nella
poltrona, presso Lidia, in salotto, dimenticando di guardar nel mio
studio se fosse arrivata la posta; e rimasi in quell'attitudine, colle
braccia incrociate, a pensare.
--Ah questa sì, va bene!--esclamò Lidia, sciogliendo l'involto della
carta da lettera.
Si mise innanzi allo scrittoio, dispose i fogli, prese la penna, mi si
rivolse:
--Che cosa debbo scrivere a mamma?--
E il libro di Gian Luigi--mi domandavo--quale esito aveva avuto? Un
buon esito, certamente, perchè Gian Luigi doveva aver gusto, l'istinto
della misura, che non s'insegna....
--Sergio!--chiamò Lidia, sorpresa.--Non hai udito: come debbo scrivere
a mamma?--
--Mandale i miei saluti,--risposi;--annunciale la nostra partenza....
--La nostra partenza!--ripetè Lidia con un sospiro.--Per quando, per
dove?
--Per quando vuoi, per dove vuoi....--
Ma ero stato un imbecille a non comperar sùbito il romanzo di Gian
Luigi: bisognava leggerlo, avevo urgenza di quel libro: volevo
stabilire immediatamente....
--È proprio necessario partire?--domandò Lidia, abbassando la testa
sul foglio di carta.
--Necessario?--esclamai.--Che domanda! C'è qualche cosa di necessario,
al mondo?
--Oh, Sergio!
--Ma sì; non c'è nulla di necessario, cara amica. Si parte, si
viaggia, perchè ciò è nelle abitudini, nelle tradizioni, e perchè