Il Designato: Romanzo - 01


LUCIANO ZÙCCOLI
IL DESIGNATO
ROMANZO

NUOVA EDIZIONE
riveduta dall'autore

MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI
Ottavo migliaio.

PROPRIETÀ LETTERARIA.
_I diritti di riproduzione e di traduzione, sono riservati per tutti i
paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda._
Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera, dal 7,°
migliaio in avanti, che non porti il timbro a secco della Società
Italiana degli Autori.
Milano, Tip. Treves, 1920.


PREFAZIONE CRITICA
A QUESTA NUOVA EDIZIONE.
Il libro che vede ora la luce nella sua edizione definitiva, dopo che
l'autore vi ha arrecato notevoli e pazienti ritocchi, fu pubblicato la
prima volta a Milano nel 1894, presso una Casa editrice, che oggi non
esiste più. Se il primo romanzo di Luciano Zùccoli era subito parso
opera indipendente e originale, questo, che veniva a un anno dì
distanza da _I Lussuriosi_, diede a divedere che lo scrittore non
intendeva la letteratura come un dilettantismo giovanile, ma come
un'alta faticosa nobilissima arte, alla quale voleva dedicare tutto il
suo ingegno. E in realtà, ingrandendo la fama dell'autore e
confermando la speranza che il primo libro aveva fatto fiorire, _Il
designato_ decise dell'avvenire di Luciano Zùccoli.
Parve il libro d'un uomo che avesse lunga esperienza d'anni e di casi,
ed era il libro d'un giovanissimo; parve la critica implacabile d'un
malcontento marito, e l'autore era scapolo. Ma era uno scapolo e un
giovane che viveva a occhi aperti, in una grande città, precocemente;
era l'opera d'uno scrittore nato, che a una sensibilità eccezionale
accoppiava per istinto uno spirito d'osservazione fresco e sincero.
E in verità, chi volesse analizzare le qualità principali di questo
libro,--di questo, e osiamo dire di quasi tutta l'opera di Luciano
Zùccoli,--troverebbe ch'esse provengono dalla sincerità
dell'osservazione, dalla facoltà di sentire acutamente, dalla
precisione originale nell'interpretare i moti interni dell'animo e gli
avvenimenti cospicui della vita vissuta. L'autore afferra movimenti
psicologici non veduti da altri e li vivifica con uno spirito tra il
sentimentale e lo scettico, il quale è caratteristica di lui; rende
con brevi tòcchi le scene, di cui mette in rilievo i particolari che
sfuggono ai più e che vi lascian più duratura l'impressione; e
riflette nel giudizio delle cose e degli uomini una sua filosofia
malinconica e indulgente, lepida e disperata nel tempo stesso, che se
non ha stupito più nell'autore di _Farfui_ e del _L'amore di
Loredana,_ fece la maraviglia dei critici che nell'autore di _Il
designato_ dovevan giudicare, un giovane di ventiquattr'anni.
Si è, ripetiamo, che Luciano Zùccoli, prima ancor che uno scrittore, è
un uomo che ha vissuto e vive, e della vita, nonostante quella sua
filosofia, è amico e ammiratore.
Indipendente come tutti coloro,--e _tutti_ qui vuol dir _pochi_--i
quali hanno una personalità rilevante, egli ha sempre un'opinione sua
e una sua volontà; non per il piacere di contrasto, benchè un certo
qual gusto per la contraddizione gli si potrebbe a quando a quando
rimproverare, ma perchè non dice se non ciò che sa, che ha visto, che
ha constatato; non ha gli occhi, insomma, che alla vita e alla realtà.
Parrebbe che uno spirito così formato dovesse essere arido e freddo; e
sarebbe, se Luciano Zùccoli pretendesse troppo dalla realtà e dalla
vita e si disgustasse facilmente d'ogni cosa dolce per quel fondo
d'amaro che vi si trova quasi sempre alla fine. Ma in questo medesimo
libro il lettore può aver la prova della sensibilità che l'autore ha
saputo conservare fra le delusioni, la lotta, le tempeste della sua
non mai pacifica esistenza. Si leggano, ad esempio, il capitolo in cui
è descritta la prima notte di matrimonio, e l'altro in cui è ritratta
la protagonista tutta affaccendata nelle sue frivole compere, e quello
in cui si racconta della morte e dei funerali di Laura Uglio, e si
veda con qual delicatezza di tocco ha saputo lumeggiare, argomenti
gravi o teneri, leggeri o tristi, scabrosi o sentimentali. E si
confrontino con l'arguzia onde son delineati certi altri personaggi,
conn l'ironia di certe scene di famiglia, col senso di ribellione con
cui sono affermate o rapidamente esposte certe verità della vita
comune; e non ci si darà torto se diremo che lo studio del vero, quasi
istintivo nello Zùccoli, presta alla sua opera, una varietà mirabile.
Non è certamente un autore monocorde colui che vicino a questo può
allineare altri dieci volumi, in cui ciascun personaggio ha una figura
sua propria; dieci volumi nei quali sfilano i tipi di tutte le classi
sociali, dall'aristocrazia al popolo minuto, dal superbo patrizio del
_L'amore di Loredana_ ai ladri e ai teppisti della _Compagnia della
Leggera_, dalla candida fanciulla di certe sue novelle alla donna
ardente, volitiva, disdegnosa, che è la protagonista di _Farfui_, dal
bambino ingenuo al libertino inquieto e curioso, dal soldato fanfarone
e generoso al trionfatore freddo, taciturno e senza pietà. Mille sono
i tipi che lo Zùccoli ha animato della una arte, e quelli che popolano
_Il designato_ hanno un carattere di realtà e un rilievo
indimenticabili.
In lui la fantasia lotta di continuo con l'istinto d'osservazione e
con l'amore del vero; la sua fantasìa ricca, bizzarra, agilissima, lo
inviterebbe all'opera dì pura imaginazione; e non è detto che un
giorno non ci dia il libro «libero» senza freni, tutto fantastico. Già
nella _Roberta_ molte pagine segnano la vittoria di questa facoltà
poderosa d'imaginare e di staccarsi dal vero quotidiano per darci
sensazioni nuove. In questo, lo Zùccoli è un osservatore coscienzioso
e un artista calmo, che sa già la scaltrezza dell'arte sua, e che è
tuttavia sincero e ardito come sempre.
Il successo incontrato da questo volume fin dal suo primo apparire, ha
consigliato gli editori a farne la presente ristampa, che l'autore ha
riveduto attentamente e ritoccato in più parti; e noi siamo certi che
il favore del pubblico e della critica gli sarà nuovamente e più
largamente accordato, oggi in cui lo Zùccoli col trionfo dei suoi
ultimi volumi è entrato a far parte di quel ristretto numero di
scrittori che si ammirano più presto che non si discutano.
S. T.
Ottobre 1910.



IL DESIGNATO



PRIMA PARTE.


I.

Nel salotto non c'ero che io; io, in piedi, nell'atteggiamento
nervosissimo dell'aspettazione, guardando dei quadri di cui conoscevo
tutto, l'autore, il tema, il valore artistico, la provenienza, la data
in un angolo.
Geltrude, la cameriera, entrò dallo studio e mi disse:
--Il signore ha una visita; ma si sbrigherà sùbito, e la prega di
pazientare un istante.--
La cameriera attraversò la sala ed uscì dalla porta che metteva al
sèguito dell'appartamento: io mi posi a sedere sul divano color foglia
morta. Vecchio salotto, dove regnava un ordine insoffribile, quello
del signor Pietro Folengo! V'era lo scaffaletto da ninnoli, con dei
minerali preziosi e degli uccelli imbalsamati; v'era il piano, a coda;
v'era la tavola con dei mostri cinesi, degli albi di famiglia e dei
libri regalati dai giornali cui il signor Folengo era abbonato; v'eran
quegli oggetti e quei mobili volgari, che disposti in qualunque modo,
messi sotto qualunque luce, formano sempre un solo tipo di casa,
producono sempre una sola impressione. Tuttavia, dopo i quadri, io
passava in rivista accuratamente quelle cose notissime, rilevando la
maniera sciatta con cui le si eran collocate, e così ligia alle regole
di riscontro ch'io mi volsi per vedere se non vi fossero anche due
caminetti, l'uno di faccia all'altro.
Il gusto informatore della disposizione era indubitabilmente del
signor Pietro Folengo; e il visitatore meno atto all'osservazione
poteva giudicare che il padrone di casa doveva essere inclinato meglio
alle cifre che alla meditazione, meglio al commercio che all'arte; se
poi, di questo padrone si guardava il ritratto--attaccato alla parete
principale e naturalmente di fianco a quello della sua signora e, più
naturalmente, al disopra di quel di sua figlia,--il signor Pietro
Folengo appariva, senza speranza alcuna, ragioniere, amministratore;
uno di quei terribili uomini i quali vi parlan della Borsa, dei corsi
d'acqua, d'edilizia e di cambiali, allo scopo di divertirvi. Il signor
Folengo aveva una fisonomia senza significato, per natura e per arte;
poichè s'era lasciato crescere i favoriti, lunghi e bianchi, che lo
facevan rassomigliare a centinaia d'altri, servitori o ministri,
cocchieri del vecchio stampo o ambasciatori e plenipotenziarî: sulla
sua fronte, non troppo alta, ma levigata come di marmo, nessun
pensiero aveva fatta presa; la computisteria gli era stata leggiera;
egli ignorava perfettamente l'esistenza di Dante e di Raffaello.
Dallo studio venivan le voci del visitatore e del Folengo; la prima,
tenue come d'un implorante, la seconda, calma, con chiaroscuri
studiati, che indicavan gl'incisi dei quali il Folengo usava abbellire
il discorso; ad ora ad ora giungeva anche il fruscio di carte
spiegate; qualche colpo di tosse, che aveva un perchè; finalmente udii
che il visitatore si congedava, col solito: «Allora, siamo d'accordo;
io le farò avere i documenti....» La porta che dallo studio metteva
all'anticamera s'era chiusa dietro le spalle dell'incognito; la porta
che dallo studio metteva al salotto dov'io mi trovava, veniva aperta
per dare adito al signor Folengo.
Io m'era alzato. Il signor Pietro, basso e largo, severamente
abbigliato di nero, colla faccia illuminata da un sorriso breve, mi
veniva incontro a mani aperte.
--Caro signor Sergio!--egli disse.--Mi perdoni la lunga attesa: sa,
queste benedette faccende; l'amministrazione....
Così dicendo, sedette egli pure sul divano e mi fece accomodare presso
di lui.
--Ora, sono tutt'orecchi,--continuò.--Mi pare che nel suo viglietto di
ieri mi chiedesse udienza per affari, anch'ella....
--Per affari!--dissi, brutalmente colpito.--Per affari, no: per cose
di sommo rilievo, sì.
--Dunque, affari;--perseverò testardo il signor Folengo,--è question
di nomi. Sto a sentirla.--
M'avvidi ch'egli sapeva già di che cosa io volevo parlargli; ma, in
quel momento, io rappresentava un postulante, e per sistema, il signor
Pietro non faceva mai un passo verso questa categoria d'uomini. S'io
non avessi trovato sùbito le parole adatte, egli avrebbe aspettato
anche un quarto d'ora, con olimpica serenità, senz'offrirmi il modo
d'entrare in argomento.
Guardai fuori della finestra chiusa, riparata da tendine bianche;
oltre la quale si vedevan gli alberi del giardino, spogli di fronde,
sotto il cielo bigio d'ottobre; alcuni colombi selvatici s'erano
appollajati sui rami e tubavan malinconicamente. Non faceva ancor
freddo; ma il mese era assai triste, e l'ora--tra le cinque e le sei
del pomeriggio,--piena di memorie.
--Io non sono un grande oratore,--dissi sorridendo,--e per questo non
userò circonlocuzioni. Che cosa pensa ella di me, signor Folengo?--
Qui avevo deluse le aspettazioni del mio interlocutore, e me n'ero
accorto sùbito dall'impaccio in che la domanda l'aveva gettato. Il
signor Pietro pensava di me ogni bene, e per questo avevo osato
chiedergli la sua opinione; ma è sempre difficile dichiarare una
simpatia senza limiti a una persona, la quale è tutto il nostro
opposto per idee, per passato, per modo d'intender la vita; anche più
difficile era nel nostro caso, in quanto il signor Folengo sapeva
benissimo dov'io tendeva, ed era per ciò in obbligo d'esprimersi senza
frasi, senza generare in me il sospetto ch'egli dicesse per dire, per
cavarsela.
--Io non giudico--egli rispose--dalle parole, ma dai fatti. Certo, io
so come di lei si sia molto parlato in altri tempi e con diversi
criterî; e so pure come, se si volesse giudicarlo dalle sue
opinioni....
--Lei non mi farà torto--interruppi--di credere che le opinioni
espresse in un salotto o in un caffè sieno le mie....
--No,--disse gravemente il signor Folengo.--So appunto che la gioventù
nostra ha questo vezzo pericoloso di mettere innanzi delle idee che
nella pratica della vita non vorrebbe mai applicare. Perciò, io mi
tolgo affatto da questo campo e, come le dicevo, baso il mio giudizio
sulla vera essenza della sua indole, per quello ch'io ne ho
intravisto.
Respirò a lungo e proseguì:
--A rassicurarla immediatamente, le affermo che il mio giudizio su di
lei è ottimo.
Questa volta respirai io. La pomposità delle frasi che ascoltavo,
andava persuadendomi sempre più vero quanto io aveva presentito: il
signor Folengo sapeva lo scopo della mia visita; non solo, ma
aspettandosela da un giorno all'altro, aveva preso ragguaglio d'ogni
cosa che mi riguardava, del mio stato finanziario, de' miei amori
morti, delle mie abitudini, de' miei difetti; notavo quasi con
vergogna ch'io era vilissimo in quell'istante e che se il signor
Folengo m'avesse imposta l'abjura d'ogni credenza più antica, la
rinuncia ad ogni orgoglio più accarezzato, io avrei abjurato, io avrei
rinunciato, pur d'effettuare la mia speranza.
--È ottimo in questo senso,--riprese il Folengo;--che ella è di gran
lunga migliore di quanto vorrebbe sembrare; che ella ha dato troppo
peso a sciagure intime e ha troppo generalizzati i suoi casi,
scambiando l'uomo e il mondo per gli uomini e il mondo che le furono
d'attorno lunghi anni. Ora, questo non è; ella è assai giovane; ha
maniera di ricredersi, e nonostante certe sentenze scettiche delle
quali s'è imbevuto, ella a ricredersi volge ogni speranza, ogni forza
d'animo.
Io restava in silenzio, perchè intuivo che l'orazione del signor
Folengo non sarebbe così presto finita; mi pareva il discorso prendere
un atteggiamento troppo diplomatico, e aumentarmi le difficoltà non
piccole della mia domanda; ma riservavo un'interruzione che avrei
fatta non appena se ne fosse offerta l'opportunità.
--Si vorrebbe da lei,--continuò il mio giudice,--una maggior coerenza
fra le azioni e le parole, una schietta ribellione a tutti i dogmi che
l'infracidita società nostra va infiltrando nei giovani. Ma già,
questo vien dall'esperienza, dalla critica, è frutto dell'età più
vecchia.--
Pausa. Il signor Folengo,--la cui testa cominciava a entrar nella
penombra della camera, mentr'io rimaneva ancora in luce, colla
finestra di contro--si portò all'indietro col corpo, quasi prendesse
la rincorsa, e giunse inaspettatamente alla conclusione, per
esaurimento delle frasi magnifiche.
--Insomma, caro signor Sergio, io non ho che a finire come ho
cominciato. Ella è per me gentiluomo irreprovevole, al quale è onore
proferir dell'amicizia e dal quale è ambizione ottenerla.... Del
resto, io non so rendermi ragione di quest'inchiesta non aspettata;
sono sorpreso....
Notai che il signor Folengo s'era sorpreso un po' tardi, quando cioè
aveva comodamente espressi i pochi pensieri che la mia persona e la
mia vita gli suggerivano.
--Era necessario,--interruppi,--per ambedue; io la ringrazio assai del
concetto ch'ella nutre di me, e spero di poterne sempre esser
degno....
Guardai di nuovo fuor della finestra; i colombi selvatici erano
spariti dagli alberi. Udii la pendola sul caminetto suonar lentamente
le cinque ore e la mezza.
--Ora, al fatto,--disse il signor Folengo con uno sguardo scrutatore.
Ne' suoi occhi grigi lessi la sicurezza che la mia risposta doveva
essere la buona, e avvertii un impercettibile moto in lui, come di
preparazione.
--Il fatto è semplice e grave,--risposi.
Mi alzai, mi posi di fronte all'uomo, e dissi con voce quasi tremante:
--Ho l'onore, signor Folengo, di chiederle la mano della signorina
Lidia sua figlia....--
Vi fu un silenzio che giudicai spaventevole. Il signor Folengo si levò
adagio, sempre tenendo gli occhi fissi ne' miei, uscì dalla penombra,
e rispose:
--Una simile domanda fatta all'improvviso.... Io sono lusingato....--
Mi morsi le labbra; l'istinto vittorioso aveva costretto l'uomo a
trincerarsi e a guardarsi da una promessa immediata; le parole uscivan
dalla bocca del signor Folengo meccaniche; egli si dimenticava la sua
professione di fede in me; gli proponevo un affare, secondo lui, ed
egli mi trattava da uomo d'affari. Però, scorgendomi forse
impallidire, aggiunse tosto:
--Debbo dichiararle ch'io non ho nulla, nulla in contrario al suo
voto; anzi ho molta propensione a vederlo esaudito, e sono
commosso...--
Non era commosso per niente. Si allontanò alcun poco da me e premette
il campanello elettrico.
--Avvertite donna Teresa che ho bisogno di parlarle,--disse alla
cameriera sopraggiunta.--E portate la lampada.--
Mentre Geltrude usciva, il signor Folengo mi tornò vicino.
--Perchè meglio si persuada ch'io accolgo la sua domanda con viva
simpatia, voglio sùbito comunicarla alla mia signora,--fece con tono
affettuoso.
Io m'inchinai, ed essendo sopravvenuto un silenzio molesto, il Folengo
occupò quell'intervallo nell'accomodare e nello spostare alcuni
oggetti sulla tavola, che non ne avevano bisogno; alla prima ansia era
succeduta in me la riflessione e con essa la calma speranzosa; non
trovavo a' miei desideri alcun ostacolo degno di essere discusso.
Donna Teresa comparve, seguita dalla cameriera che posò la lampada sul
caminetto e si ritirò. Donna Teresa, allevata alla scuola del marito,
ebbe uno sguardo istintivo e ricostruì, evidentemente, a grandi
tratti, la conversazione avvenuta fra me e il signor Folengo.
Il salotto si riempiva di solennità. Donna Teresa mi venne incontro e
mi strinse la mano; la piccola e grassoccia signora non aveva
rinunciato a una certa eleganza; i suoi capelli eran tuttavia neri, e
la sua carnagione, eburneamente lumeggiata dalla lampada, appariva
senza rughe nè grinze; il color delle labbra era rinforzato da una
leggiera tinta di carmino abbastanza gradevole. Solo, nel suo corpo
difettava l'eleganza naturale, che l'assiduità allo specchio non
insegna mai; le forme tozze prorompevano, in odio alla fascetta
strettissima; attorno al collo l'adipe formava un monile, e sui
fianchi si espandeva con insolenza.
Noi ci eravamo seduti di nuovo. I coniugi Folengo occupavano il divano
ed io, di fronte a loro, in una poltrona bassa, aspettavo con
ritornata angoscia la ripresa della orazione.
--Ti ho fatto chiamare,--disse il signor Folengo,--perchè il signor
Sergio ci presenta l'opportunità di stringere assai notevolmente i
legami della nostra amicizia.--
Donna Teresa dimostrò con un cenno della testa che tale opportunità le
gradiva.
--Per esprimermi chiaramente, il signor Sergio mi ha domandata la mano
di Lidia.
Donna Teresa balzò dal divano con un'agilità imprevedibile e mi si
precipitò incontro, colla faccia trasformata dalla gioja.
Senz'aspettare un gesto di suo marito, e parlando per istinto, come
l'altro aveva per istinto tergiversato, esclamò:
--Grazie, signor Lacava! Mille volte grazie di simile onore! Lei
effettua la mia più cara speranza!--
Presi la mano di donna Teresa, toccato dall'effusione ingenua della
buona signora.
--Ella mi rinfranca,--dissi, alzandomi dalla poltrona.--Io mi sento
appoggiato dalla fiducia che le ispiro....
--Ma certo, ma certo!--rinforzò donna Teresa.--Forse mio marito non le
aveva espresso?... Forse ella temeva?...
--Vedi, cara amica,--mormorò il signor Folengo tranquillamente, senza
muoversi dal suo posto.--Vedi: io mi sono dichiarato assai favorevole;
ma io non sono il solo arbitro, e prima di me, e prima di te, c'è
Lidia, la cui volontà deve essere libera....
--Lidia!--esclamò donna Teresa con un'occhiata di trionfo.--Lidia! Non
ci son che le mamme per saper certe cose.... Io annuncerò
immediatamente la felice novella a Lidia....--
Stava per avvicinarsi al campanello elettrico, quando il signor
Folengo, levatosi dal divano, la fermò con un cenno.
--Tu vuoi?--disse.--Così, sùbito, senza prender tempo?...
--Ma certo, ma certo!--ripetè donna Teresa--non vedi com'è pallido
questo povero giovane? Io so quel che faccio.... È una tortura inutile
che noi infliggiamo _loro_.--
L'indice di donna Teresa si posò due volte sul bottone del campanello.
Il signor Folengo, vistasi levata la direzione diplomatica delle
trattative, riprese il suo posto, con un sospiro di sollievo.
--Sì, sì, forse è meglio!--disse come tra di sè.--Io sono contento.
--La signorina Lidia sùbito qui!--ordinò donna Teresa a Geltrude
comparsa.
Quindi, ripresemi le mani:
--Caro, caro figlio mio!--disse.--Non dubiti di nulla. Io so quel che
faccio!--
La signora Folengo assumeva un aspetto di franchezza che non le avevo
conosciuto prima; una leggiera onda sanguigna le aveva imporporato il
viso, e la commozione sollevava a ritmo il suo largo seno.
L'uscio fu toccato lievemente, poi girò sui cardini senza romore,
schiudendo il passaggio a Lidia. Io non dimenticherò mai com'ella
apparve in quell'istante, coi capelli biondi pettinati all'indietro,
in modo da scoprir la fronte pura. Lidia vestiva un abito grigio e
portava un grembiale nero; l'abito indicava forme così giovanili e
così recenti di maturanza da ispirar piuttosto sollecitudine tenera
che ammirazione; il suo viso era un po' pallido, ma freschissimo, e ne
aumentavan l'impressione di giovanezza rigogliosa gli occhi turchini,
la bocca dalle labbra rosse e ben delineate; aveva piccolo naso, con
narici rosee, e piccolissime orecchie; il collo, per quanto appariva
dall'abito, era d'una bianchezza alabastrina; il petto non troppo
esile nè povero; le mani magre, con dita affusolate.
L'espressione interrogativa ch'era sul viso della fanciulla all'entrar
nel salotto, sparve non appena Lidia mi scorse, e fu cancellata da un
tenue rossore.
--Buona sera, signor Lacava!--ella mi disse.
Per la prima volta dacchè ci conoscevamo, io le tesi la mano, ch'ella
strinse, gettando un'occhiata dubitosa a suo padre.
--Vieni!--le disse donna Teresa, avvicinandola a sè.--Vieni dalla tua
mamma.--
Lidia s'accostò alla poltrona, dove la madre s'era seduta; non so quel
che passasse allora nell'animo della giovane, ma certo l'insolita
accoglienza doveva assai turbarla. I suoi occhi andavan senza posa da
me a suo padre, e da suo padre alla signora Folengo. Questa la serrò
fra le braccia, e la fece sedere vicinissima a sè. Io solo rimaneva in
piedi, appoggiato al piano-forte.
--Che cosa avviene dunque?--domandò Lidia, non potendo trattenersi.
--Cara!--esclamò donna Teresa, prendendole la testa e baciandola sui
capelli.
--Noi ci siamo radunati qui,--cominciò il signor Folengo con voce
solenne,--per parlar del tuo avvenire.
--Stai bene oggi? Hai la mente lucida?--cominciò a sua volta la
signora.--Ti senti di poter rispondere e decidere con chiarezza?
--Ma sì, senza dubbio....--rispose Lidia, guardandomi come per
invocare il mio ajuto.
--Ebbene....--disse la signora Folengo con precipitazione,--ebbene il
signor Sergio Lacava ti ha chiesto in isposa, noi abbiamo
acconsentito, e aspettiamo la tua risposta.--
Alle prime parole, Lidia sobbalzò, mentre un rossore intenso le saliva
fino alla radice dei capelli; poi nascose la testa con rapidità sul
petto di sua madre.
--Oh mamma!--disse.
E scoppiò a piangere con una violenza nervosa irrefrenabile.
--Io credo--osservai--che la signorina: si trovi a disagio davanti a
me; sarebbe stato forse meglio....--
Donna Teresa mi troncò la parola con un moto del capo.
--Via,--fece poi a Lidia,--non essere bambina. Tu ci metti in pena....
Lo so; non eri preparata; è un assalto di nervi; andiamo, alza la
testa....
Lidia obbedì e prese dalle mani di sua madre il fazzoletto per
asciugarsi gli occhi; ella guardava con tanta fissità il viso di donna
Teresa, da svelar la paura d'incontrare i miei sguardi. L'attitudine
era cosi fanciullesca e così bella a un tempo, che i signori Folengo e
io sorridemmo insieme.
--Forse--disse il signor Folengo--noi esercitiamo su Lidia una
pressione involontaria. Vuoi prender tempo? Vuoi pensare prima?
--Oh no!--proruppe inavvertitamente la fanciulla, tenendosi immobile.
--Allora?
--Allora, è presto detto,--fece donna Teresa, volgendosi a me.--Lidia
è contraria a questo matrimonio....--
La fanciulla allungò le mani verso donna Teresa e tentò l'atto di
chiuderle la bocca.
--Ah!--esclamò ridendo la signora.--Dunque, vieni qui. Dunque, sì?
--Sì!--rispose Lidia, che aveva nascosto nuovamente il capo fra le
braccia della madre.
Io avventai alla fanciulla uno sguardo quasi violento di desiderio e
d'amore. Da quell'istante, ella era tutta mia.


II.

Il cielo prendeva un aspetto retorico, da melodramma. Sopra uno sfondo
potentemente azzurro, vagavan certe grosse nuvole bianche, fra cui la
luna ora si nascondeva, ora faceva capolino.
Dalla finestra della mia camera era, lo spettacolo, più curioso perchè
il giardino, al disotto, andava illuminandosi ed oscurandosi a seconda
della luna bizzarra. S'alternavan gradazioni di verde lucido e
gradazioni di nero opaco, ombre sul terreno scheletriche e
scarmigliate, indecisioni di contorno. Queste diverse imagini
s'imprimevano forte nel mio cervello non come percezioni chiare, ma
come sensazioni, che ricordo; perchè il momento era dei più difficili.
Noi ci eravamo ritirati da circa un'ora; gli amici, i parenti, avevano
abbandonata la casa con un'ultima stretta di mano, alcuni con un
sorriso. Lidia--mia moglie--s'era appartata nella sua camera,
accompagnatavi da donna Teresa, che l'aveva lasciata poi, baciandola
sulla fronte; pallide e commosse tutt'e due.
Io, in abito nero, sembravo una decorazione della mia stanza da letto,
nervosamente allegra, perchè al giuoco della notte indecisa vi faceva
robusto divario la luce artificiale; erano accesi i due bracci a
candela dell'armadio, le due lampade sul caminetto e la lampada
pensile nel mezzo. Poi, aleggiava un profumo acuto di fiori, raccolti
in coppe, morenti con furiose dispersioni d'ebrietà.
Appoggiato al davanzale della finestra, vedendo ma non osservando il
rimpiattino della luna, io meditava.
Era necessario lasciare scorrere un certo lasso di tempo affinchè
Lidia non credesse la mia un'intempestiva sorpresa, un'invasione da
barbaro. Il suo cuore doveva battere a martello; era necessario
lasciarlo calmare.
Io stesso aveva bisogno di guardare in faccia il fenomeno di questa
vergine lanciatami fra le braccia dalla legge, datami esultando da sua
madre, perchè la trasformassi in donna, con un mezzo che due giorni
avanti si sarebbe chiamato il disonore.
Con maravigliosa mutazione, pel semplice fatto che l'amore, così
insofferente di forme e di nomi, aveva preso nome e forma di
matrimonio, tutto quanto era proibito, condannato, scandaloso prima,
diventava lecito, onesto, doveroso adesso; un bacio, un abbraccio, una
notte, più notti, un giorno, più giorni d'intimità, erano cosa buona;
e se io avessi dato il bacio, tentato l'abbraccio, passata una notte
con Lidia, avanti ch'io avessi potuto chiamarmi suo marito, Lidia
sarebbe stata perduta, e suo padre avrebbe avuto il diritto
d'uccidermi e di farsi applaudire come un istrione alla ribalta.
Ciò non era logico, ma necessario, il che è ben diverso; tanto diverso
che la considerazione de' miei diritti improvvisi su Lidia mi dava un
umor chiaro, allegro, piacevole.
Sapevo il significato di quanto era per avvenire; significato di sì
grande rilievo che da esso dipendon quasi sempre le sorti di due
esistenze.
Mi richiamavo alla memoria delle letture fatte sull'argomento in altra
età, per una speranza di possibile eclettismo che mi servisse di
guida; ma mi sembravano ingenue o inadatte al paragone. L'unica mia
guida dovevo essere io medesimo e trovare nel mio passato quelle