Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2 - 12

Total number of words is 4616
Total number of unique words is 1471
32.5 of words are in the 2000 most common words
46.3 of words are in the 5000 most common words
53.4 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
quella dannazion dovere cadere, se di quello, che giá in tal colpa ha
commesso, non sodisfa con contrizione e penitenza a Colui, il quale
egli ha, peccando, offeso, cioè a Dio.


II
SENSO ALLEGORICO

«Cosí discesi del cerchio primaio», ecc. Mostrato che la ragione ha
il supplicio, il quale sostengono coloro, li quali senza essere stati
per lo lavacro del battesimo mondati dal peccato originale; procedendo
piú avanti con la meditazione, discende a dimostrargli la qualitá
delle colpe piú gravi, e quali sieno i tormenti, alli quali per la
divina giustizia dannati sieno coloro li quali in esse colpe morirono.
E fa due cose nel presente canto: primieramente in persona di Minos
gli dimostra la rigida e severa giustizia di Dio; appresso gli mostra
in questo cerchio secondo esser dannati queʼ peccatori, li quali,
oltre alla ragione, oltre ad ogni legge o buon costume, seguirono il
concupiscibile appetito nel vizio della lussuria, nominando di questi
cotali alquanti, accioché piú pienamente si comprenda la sua intenzione.
Dico adunque che primieramente la ragione ne dimostra qui, in persona
di Minos, la severitá della divina giustizia. Intorno alla qual
dimostrazione son da considerare due cose: la prima, perché piú in
questa parte, che piú su o piú giú, questa divina giustizia ne sia
dimostrata; la seconda, perché piú in persona di Minos che dʼun altro.
Dico che, perché la divina giustizia ne sia piú qui che in alcuna altra
parte dimostrata, può essere la ragion questa: è la giustizia virtú,
la quale, secondo i meriti, retribuisce a ciascheduno; e, quantunque
questa virtú strettamente usi il suo uficio intorno agli atti degli
uomini, nondimeno sono alcune cose operate per gli uomini, delle
quali ella del tutto è schifa dʼintramettersi, estimando ottimamente
fare il suo uficio quando quelle cotali cose pospone; in quanto non
le pare quelle cotali cose, o meritorie o non meritorie che sieno,
essere state causate da alcuna ordinata volontá, o da iniquitá di
malizia, o ancora da alcuna incontenenza, se non come sono le opere
degli animali, neʼ quali non è alcuna ragione. E queste cotali
operazioni son quelle deʼ furiosi e deʼ mentacatti e deʼ fanciulli
e deglʼignoranti; percioché in quelle cose, le quali questi cotali
fanno, non è potuta cadere alcuna debita elezione, come detto è: e,
dove elezione e volontá esser non può intorno allʼadoperare, non pare
che caggia né esaminazione né giudicio della giustizia. E di sopra a
questo luogo, se ben si riguarda, non sono puniti alcuni altri, se
non questi cotali, cioè mentacatti o furiosi o fanciulli o ignoranti,
come è dimostrato; intorno aʼ quali se la giustizia non sʼinterpone,
era di soperchio e mal conveniente averla tra loro, o di sopra a
loro, dimostrata, percioché, quanto a quegli, ella sarebbe stata
oziosa; il che la virtú non patisce. Ad averla piú giú che questo
luogo dimostrata, eʼ ne seguivano altri inconvenienti. Primieramente
pare che avessero potuto deʼ peccatori, che alle piú profonde parti
dello ʼnferno doveano discendere, sí come incerti di sé, rimanersi
nelle parti dellʼinferno che state fossero superiori al luogo dove
stata fosse posta la giustizia, e cosí non sarebbono stati secondo le
colpe commesse puniti; e, oltre a ciò, se vogliam dire essa medesima
giustizia, la quale gli fa pronti a trapassare la riviera dʼAcheronte,
similmente gli farebbe pronti a discendere infino lá dove ella fosse,
ne seguirebbe che quegli, che non son degni di scendere tanto giú
quanto ella fosse, vi scenderebbero alla esaminazione e al giudicio, e
cosí sentirebbono di quelle pene che essi non hanno meritate: il che è
contro agli effetti della giustizia. E però ottimamente in questa parte
la discrive lʼautore, nella quale niuna cosa deʼ superiori sʼimpaccia;
né hanno, quelli che neʼ cerchi piú alti esser debbono, a discender
giuso; né può alcuno stare in forse di sé; né ancora, sedendo ella in
su questa entrata, può trapassare alcuno o fuggirle degli occhi, che
non gli convenga venire alla sua esaminazione.
È nondimeno da intendere la giustizia di Dio essere in ogni parte, e
per tutto distribuire secondo che ciascuno ha meritato, né bisognarle
fare alcuna esaminazione o inquisizione deʼ nostri meriti o delle
nostre colpe, come alla giustizia deʼ mortali bisogna; percioché, nel
cospetto della giustizia di Dio, non solamente tutte le nostre opere
sono presenti e conosciute da lei, ma ella ancora vede e conosce e
discerne tutti i pensieri nostri, e da che cagion nascono, né gli si
possono per alcuna industria o sagacitá occultare: ma conviensi aʼ
nostri ingegni per alcuna sensata forma dimostrare gli spirituali
effetti della divinitá e di qualunque altra spiritual cosa.
Resta a vedere perché piú in persona di Minos che dʼalcun altro
ministro infernale ne sia dimostrata questa giustizia; [e con questo
è da vedere quello che lʼautore abbia voluto sentire in ciò che egli
fa a questo Minos, col ravvolgimento della coda dimostrare i suoi
giudíci. E avanti allʼaltre cose, pare,] richeggionsi neʼ ministri
della giustizia, e massimamente in questo luogo, cose assai, ma
singularmente tre, cioè prudenza, costanza e severitá. Conviene essere
prudente al ministro della giustizia, accioché egli per la prudenza
cognosca le qualitá delle persone, nelle quali ha a vedere quello che
di ragion si convenga; percioché altrimenti è da punire un uomo di
minore condizione che abbia offeso un principe, che un principe che
abbia offeso un uomo di minor condizione. Conviensi che egli conosca la
qualitá deʼ tempi; percioché altrimenti è da punire un uomo che muova o
susciti un romore neʼ tempi della guerra, quando gli stati delle cittá
stanno sospesi, che uno che quel medesimo commetta quando le cittá sono
in pace e in tranquillitá. Conviensi che egli conosca la qualitá deʼ
luoghi; percioché altrimenti pecca chi fa un eccesso in un tempio o
in una piazza comune, che chi fa quel medesimo in alcuna parte rimota
e non molto frequentata dallʼusanza degli uomini. Conviensi, per la
prudenza, che egli sappia discernere i movimenti di quegli che peccano,
di quegli che testificano, di quegli che accusano, e tutte simili
cose; e, dove queste cose non sapesse distinguere quel cotale che a
ciò posto fosse, non potrebbe essere idoneo esecutore della giustizia.
Conviengli, oltre a questo, esser costante, accioché da quello, che
conosciuto avrá convenirsi fare, nol rimuova alcuna affezione, non
priego, non amore, non odio, non prezzo, non lusinga o cose simili a
queste; percioché, dove da alcuna o da piú di queste mosso fosse, mai
giudicare non poría giustamente, e per conseguente non sarebbe atto
ministro della giustizia. Conviengli, oltre alle dette cose, esser
severo, e massimamente lá dove è tolto luogo alla gratificazione.
Puossi infraʼ processi, che usano nelle cose giudiciali i ministri
della giustizia, per diversi ma onesti accidenti, piú allʼuna parte
che allʼaltra esser grazioso; la qual cosa nelle cose e neʼ tempi
debiti non è vizio, ma è segno dʼequitá dʼanimo nel giudicante; fuori
deʼ tempi debiti, conviene nelle esecuzioni al giudice esser severo in
servare strettamente lʼordine della ragione, e di quello per cagione
alcuna non uscire; e massimamente neʼ giudici di Dio, il quale insino
allo estremo punto della nostra vita con le braccia aperte della sua
misericordia nʼaspetta, tempo prestandoci alla gratificazione, se
prender la vogliamo: ma, poi che a quella non ci siamo voluti volgere,
e, quasi a vile avendo la sua benignitá, ci siamo lasciati morire,
essendo la sua sentenza passata «in rem iudicatam», con ogni severitá
dee qui il ministro della sua giustizia quella mandare ad esecuzione.
Le quali tre cose essere pienamente state in Minos si possono conoscere
neʼ processi delle sue operazioni, e ancora nella oppenione avuta di
lui da coloro li quali qual fosse la sua vita conobbero. Che egli
fosse prudente, si può comprendere in ciò, che egli compose le leggi
aʼ popoli suoi, e quegli, che usi erano di vivere scapestratamente,
ridusse per sua industria a vivere sotto il giogo della giustizia. Che
egli fosse constante in non muoversi per alcuna affezione da quello
che la giustizia volesse, appare nella vittoria di Teseo, avuta del
Minotauro, al quale, quantunque nemico fosse, pienamente servò ciò
che giusto uomo dovesse servare, cioè di liberar lui e la sua cittá
della servitudine, sí come promesso avea. Oltre a ciò, apparve la sua
severitá in Scilla, figliuola di Niso, re deʼ megarensi, la quale, da
disonesta concupiscenza mossa, per venire nelle braccia sue, tradí il
padre, e fecel signor di Megara e a lui se nʼandò; per la qual cosa,
quantunque ella fosse nobile femmina e giovane e bella, e avesselo
fatto signore di Megara, da niuna di queste cose mosso, lei, sí come
ucciditrice del padre, fece gittare in mare, in quella forma che si
gettano i patricidi. E cosí li suoi comandamenti, come detto è, avendo
in leggi ridotti, quegli con tanta costanza e con tanta severitá servò,
che non solamente i suoi sudditi tenea contenti e in pace, ma egli
riempiè tutta Grecia della fama della sua giustizia; per la qual cosa,
dopo la sua morte, estimarono gli uomini, neʼ loro errori, lui essere
appo lʼanime dʼinferno eletto a quel medesimo ufficio esercitare tra
loro che in questa vita traʼ suoi esercitava, sí come nella esposizione
letterale si dimostrò.
Adunque assai convenientemente pare essere per la persona di Minos
in questo luogo figurata la divina giustizia. [Ma che questa divina
giustizia dimostri per lo ravvolgimento della coda di Minos, intorno
allʼesecuzione deʼ suoi giudíci, è da vedere. Certa cosa è la coda
essere lʼultimo membro e lʼultima parte del corpo di qualunque animale,
al quale la natura lʼha conceduta; e, quantunque ella serva a piú cose
gli animali che lʼhanno, alla presente materia non intende lʼautore
altro, secondo il mio giudicio, se non la strema e ultima parte della
vita nostra, secondo la qualitá della quale si forma il giudicio della
divina giustizia: percioché, quantunque lʼuomo sia scelleratamente
vivuto, se egli nello estremo della sua vita, pentendosi delle
malfatte cose, e con buona compunzione e con puro cuore, si rivolge
alla misericordia di Dio, senza alcun dubbio è ricevuto da essa e
giudicato degno di salvazione. Il che in molti esempli nʼè dimostrato
per la divina Scrittura, e massimamente in quello ladrone, il quale
col nostro signore Iesu Cristo fu crocifisso; il quale avendo tutti i
dí suoi menati male, e come peccatore riconosciuto poco avanti allʼora
della sua morte, con contrito cuore, non dicendo altro che:—«_Miserere
mei, Domine, cum veneris in regnum tuum_»,—il fece la misericordia
di Dio degno dʼudire dalla bocca di Cristo:—«Amen _dico tibi, hodie
mecum eris in Paradiso_»:—né è dubbio alcuno che a queste parole non
seguisse lʼeffetto; e cosí solamente allʼultima parte della vita,
cioè alla sua qualitá, fu dalla giustizia divina guardato. E cosí in
contrario, essendo Giuda Scariotto stato deʼ discepoli di Cristo, e
usato con lui, e avendo la sua dottrina udita, quantunque male poi
adoperato avesse vendendolo, nondimeno disperatosi della misericordia
di Dio, e col capestro messosi a finir la vita, col fine suo di se
medesimo dettò la sentenza alla divina giustizia, per la quale fu al
profondo dello ʼnferno a perpetue pene dannato. Ciascheduno adunque con
le colpe piú gravi, con le quali eʼ muore, del luogo il quale eʼ dee in
inferno avere, è dimostratore.]
[Nota: Lez. XXII]
Appresso le cose giá dette, resta a vedere la qualitá deʼ dannati
in questo secondo cerchio, e come alla qualitá della lor colpa sia
conforme il supplicio, il quale lʼautore ne dimostra essere lor dato
dalla divina giustizia.
Sono adunque dannati in questo cerchio, come assai fu dichiarato
leggendo la lettera, i lussuriosi. Intorno al vizio deʼ quali è da
sapere che la lussuria è vizio naturale, al quale la natura incita
ciascuno animale, il quale di maschio e femmina sí procrea; e ciò fa la
natura avvedutamente, accioché, per lʼatto del coito, ciascuno animale
generi simile a sé, e cosí si continui la spezie di quello; e, se
questa sollecitudine non fosse nella natura [delle cose], assai tosto
verrebber meno i generanti, e cosí rimarrebber vacui il cielo, la terra
e ʼl mare di possessori. È vero che ellʼha in ciascun altro animale,
che nellʼuomo, posto certo modo, accioché per lo soperchio coito non
perissono i maschi, li quali da alcun freno di ragione temperati né
raffrenati sono: e questo è non patire le femmine i congiugnimenti
deʼ maschi loro se non alcuna volta lʼanno, e questa non si prolunga
in molti dí, infraʼ quali le femmine si rendono benivole e amorevoli
alli loro maschi e loro si concedono; e, questo cotal tempo finito, o
come conoscono sé aver conceputo, piú lor dimestichezza non vogliono.
Ma negli uomini non pose la natura questa legge, percioché gli conobbe
animali razionali, e, per quello, dover conoscere quello e quando
e quanto sʼappartenesse di fare a dover ben vivere. Ma mai non mi
ricorda dʼaver letto che appo coloro, li quali mondanamente vivono,
alcuno, quello che la ragione vuole in questo atto, osservasse, che una
femmina: e questa fu una donna dʼArabia, reina deʼ palmireni, chiamata
Zenobia, della qual si legge mai ad Odenato, suo marito, essersi
voluta consentire per altro che per ingenerar figliuoli; servando in
ciò questo stile, che, essendo il marito giaciuto carnalmente con lei,
piú accostare nol si lasciava infino a tanto che ella non conosceva se
conceputo aveva o no: se conosceva non aver conceputo, gli si concedeva
unʼaltra volta; se conceputo aveva, mai infino alla purificazione dopo
ʼl parto, piú non gli si concedea. Ma come la laudevol contenenza di
questa reina, o come gli uomini in questo usino il giudicio della
ragione, gli occhi nostri medesimi ce ne son testimoni: percioché dove
essi, la ragion seguitando, dovrebber quel modo a se medesimi porre, il
quale essi veggiono la natura aver posto agli animali bruti, in ciò che
possono o sanno in contrario si sforzano.
Noi leggiamo che in Roma fu un giovane chiamato Spurima, il quale,
quantunque avesse tutta la persona bella, avea oltre ad ogni altro
mortale il viso bellissimo, in tanto che poche donne erano, che
di tanta costanza fossero, che, vedendolo, non si commovessono a
disiderare i suoi abbracciamenti: della qual cosa accorgendosi egli,
per non esser cagione che alcuna casta mente la sua onestá contaminasse
con appetito men che onesto, preso un coltello, tutto il bel viso si
guastò, rendendolo non meno con le fedite diforme che formoso fatto
lʼavessono le mani graziose della natura. In veritá laudevole cosa fu
questa e da doverla con perpetua commendazione gloriare. Ma i moderni
giovani fanno tutto il contrario: i costumi deʼ quali avere alquanto
morsi, non fia loro per avventura disutile, e potrá esser piacevole
ad altrui. E, accioché io non mi stenda troppo, mi piace di lasciare
stare la sollecitudine, la qual pongono gran parte del tempo perdendo
appo il barbiere in farsi pettinare la barba, in farla a forfecchina,
in levar questo peluzzo di quindi, in rivolger quellʼaltro altrove,
in far che alcuno del tutto non occupi la bocca, e in ispecchiarsi e
azzimarsi, allecchinarsi, scrinarsi i capelli, ora in forma barbarica
lasciandogli crescere, attrecciandogli, avvolgendosegli alla testa, e
talora soluti su per gli ómeri lasciandogli svolazzare, e ora in atto
chericile raccorciandogli. E similmente ristrignersi la persona, fare
epa del petto, non in suʼ lombi, ma in su le natiche cignendosi; [come
gatti mammoni], allacciarsi anzi legarsi, e aʼ calzamenti portare le
punte lunghissime, non altrimenti che se con quelle uncinar dovessono
le donne, e trarle neʼ lor piaceri; farsi le trombe alle maniche, e
di quelle non mani, ma branche piú tosto dʼorso cacciare. Né voʼ dire
deʼ cappuccini, coʼ quali o a babbuini o a scottobrinzi simiglianti
si fanno, né similmente della lascivia degli occhi, coʼ quali quasi
sempre quel vanno tentando, che essi poi non vorrebbero aver trovato.
E lascerò stare gli atti, gli andamenti, eʼ portamenti, il cantare,
il carolare, e cosí le promesse eʼ doni, deʼ quali si può però piú
tacere che dire, sí sono in cintola divenuti stretti; e a un solo
lor costume verrò, il quale, quantunque a loro prestantissimo paia,
percioché con gli occhi offuscati di caligine infernal si riguardano,
mi par tanto detestabile, tanto abominevole, tanto vituperevole, che
non che ad altrui, ma io credo che egli dispiaccia a colui, il quale
è di tutti i mali confortatore, e che a ciò gli sospigne: e questo
è, che portano i panni sí corti, e spezialmente nel cospetto delle
donne, che qualunque fosse quella che alla barba non se ne avvedesse,
guardandogli alle parti inferiori può assai agevolmente cognoscere che
egli è maschio; e, se la cosa procede come cominciato ha, non mi par da
dover dubitare che, infra poco tempo, non si tolga ancor via quel poco
di panno lino, il qual solamente vela il color della carne, e cosí non
sará da queʼ cotali differenza alcuna daʼ bruti animali. Ingegnossi la
natura, la quale è sommamente discreta, di nascondere in quelle parti
del corpo, le quali a lei piú occulte parvero, queʼ membri dei quali
mostrandogli ciascun si dee vergognare; e, oltre a ciò, lʼuso, della
vergogna nato, ci ha dimostrato (quantunque dalla natura, secondo che
ella puote, nascosti sieno) di velargli e ricoprirgli coʼ vestimenti,
e quantunque o necessitá o usanza lʼaltre parti del corpo scoperte
patisca, quelle in alcun modo è alcuno, fuor che i presenti giovani,
che scoperte le sofferí. Glʼindiani, gli etiopi, i garamanti e gli
altri popoli, i quali sotto caldissimo cielo abitano, quantunque
da soperchio caldo sforzati sieno dʼandare ignudi, quelle parti in
alcuna guisa non sostengono che scoperte si veggano. Ma che dichʼio
glʼindiani e gli etiopi, li quali hanno in sé alcuna umanitá e costume?
Quegli popoli, li quali abitano lʼisole ritrovate (gente, si può dire,
[fuori] del circúito della terra, e nella quale né loquela, né arte,
né costume alcuno è conforme a quegli di coloro li quali civilmente
vivono), di palme, delle quali abbondanti sono, non so se io dica
tessute o annodate piu tosto, fanno ostaculi, coʼ quali quelle parti
nascondono. I naufraghi ancora, ignudi da tempestoso mare gittati neʼ
liti, quantunque faticati e percossi dallʼonde sieno, nondimeno, non
curandosi di tutto lʼaltro corpo perché ignudo sia, quella parte, se
con altro non hanno, sʼingegnano di ricoprire con le mani. I poveri
uomini, aʼ quali mancano i vestimenti, quella parte non patiscono
che rimanga scoperta. I mentacatti eʼ furiosi e gli ebbri, mentre
che alquanto di sentimento hanno, si vergognano che queʼ membri in
aperto veduti sieno. Questi soli hanno posta giú ogni erubescenza,
ogni fronte, ogni onestá, e tanto si lasciano al bestiale appetito
e aʼ conforti del nemico dellʼumana generazione sospignere, che non
altramenti col viso levato procedono che se alcuna laudevole operazione
avesser fatta o facessono.
Allegano questi cotali, in difesa del lor vituperevole costume,
ragioni vie piú vituperevoli che non è il costume medesimo, dicendo
primieramente:—Noi seguiamo lʼusanze dellʼaltre nazioni: cosí fanno
glʼinghilesi, cosí i tedeschi, cosí i franceschi eʼ provenzali.—Non
sʼavveggono i miseri quello che essi in questa loro trascutata ragion
confessino. Solevano glʼitaliani, mentre che le troppe delicatezze
non gli effeminarono, dare le leggi, le fogge eʼ costumi eʼ modi del
vivere a tutto il mondo; nella qual cosa appariva la nostra nobilitá,
la nostra preeminenza, il dominio e la potenza; dovʼeʼ segue, se
dalle nazioni strane, da quelle che furon vinte e soggiogate da noi,
da quegli che furon nostri tributari, nostri vassalli, nostri servi,
dalle nazioni barbare, dalle quali alcuna umana vita non si servava,
né sapeva, né saprebbe, se non quanto daglʼitaliani fu lor dimostrata
(il che è assai chiaro), da loro riprendendo quel che dar solevamo,
confessiamo dʼesser noi i servi, dʼesser coloro che viver non sappiamo
se da loro non apprendiamo; e cosí dʼaver loro per maggiori e per piú
nobili e per piú costumati. O miseri! non sʼaccorgono questi cotali da
quanta gran viltá dʼanimo proceda che un italiano séguiti i costumi di
cosí fatte genti.
E in veritá, se alcuna altra onestá non dovesse da questo disonesto
costume tôrre i giovani, neʼ quali è il fervor del sangue e le forze,
eʼ dovrebbe esser la grandezza dellʼanimo, se non un giusto sdegno;
non solamente rimanere se ne dovrebbono, ma vergognarsi dʼaver mai
seguitato o seguire alcun costume di cosí fatte genti, e ogni cosa
adoperare, per la quale le nazion barbare gloriar non si potessono
dʼesser nelle lor brutte invenzioni deglʼitaliani imitate.
Seguitano, oltre a questo (nelli loro errori multiplicando), e dicono
che i vestimenti lunghi glʼimpedivano e non gli lasciavano nelle
cose opportune esser destri. O stoltissimo argomento vano e dʼogni
ragionevole sentimento vòto! Cosí parlan questi cotali, come se coloro,
li quali piú lunghi portano i vestimenti, non sapessono quali e quante
sieno le faccende di questi tarpati. E, se non che troppo sarebbe
lungo il sermone, io le racconterei in parte. Ma presupognamo che pure
alquante e opportune sieno, come hanno i passati nostri fatto coʼ panni
lunghi? come i romani, li quali in continue guerre, con lʼarme in dosso
ogni dí combattendo, tutto il mondo occuparono? Non mostra che a costor
facesser noia i panni lunghi, neʼ quali erano in continovi e grandi
esercizi. Ma forse diranno questi cotali non esser di necessitá agli
uomini, gli quali sono in fatti dʼarme, lʼavere i panni corti, come a
coloro che vanno vagheggiando, o, a voler dir piú proprio, a color che
vanno facendo la mostra alle femmine che son maschi e chʼegli hanno
le natiche tonde e grosse le cosce. O dissensati! Solevansi i giovani
vergognare seco medesimi degli occulti e disonesti lor pensieri, e
oggi, per somma gloria, vanno mostrando quel che le bestie, se esse
avessono con che, volentieri nasconderieno. Ma che? Dirá forse alcun
altro che i romani similmente gli portavano corti come essi fanno. E
nel vero di questo non mi darebbe il cuore di fare assai certa pruova
per scrittura che io abbia veduta: ma, in luogo di quella, le statue di
marmo e di bronzo a quegli tempi fatte, nelli quali essi discorrevano
il mondo, e delle quali si truovano ancora assai, ne mostrano quali
fossero i loro abiti, e come corti portassono i vestimenti; e di queste
io credo assai aver vedute, né mai alcuna né armata né disarmata ne
vidi, che, o daʼ vestimenti o dallʼarmadure, non fosse almeno infino
al ginocchio coperta. Per la qual cosa essendo a costor risposto assai
manifestamente, si vede che assai mal procede lʼargomento che i panni
lunghi impediscano.
E, accioché io non discorra per tutti, non ometterò però che io
unʼaltra delle lor savie ragioni non discriva, percioché estimano
quella, che dir debbono, essere efficacissima e dovergli dʼogni loro
disonestá render pienamente scusati. Dicono adunque che le donne
mostran loro con le poppe il petto, accioché piú nella concupiscenza
di loro gli accendano; e perciò, quasi in vendetta di ciò, essi
vogliono mostrar loro quelle parti, che debbano loro a quello appetito
medesimo incitare. Sarebbe questa ragione tra le bestie assai colorata,
dove ella è abominevole traʼ sensati. Ma non pensano i miseri quanto
scelleratamente essi adoperino? Essi, questo adoperando, caccian da sé
ogni reverenza materna, mostrando di credere che le madri tengan gli
occhi chiusi, o che esse non possano dalle oscene parti deʼ figliuoli
esser mosse, come lʼaltre femmine si muovono; conciosiacosaché la
natura, movitrice degli appetiti, non abbia alcun riguardo allʼonestá
della parentela. Nel vero io non lʼardirei affermare, quantunque
giá molte volte avvenuto sia, ma ardirò ben di dire che, se ciò
non avviene, esserne la lor costanza cagione, dove del contrario è
cagione il vituperevole costume deʼ figliuoli; né discrederò che, quel
che posson muovere i disonesti figliuoli, non si convenga talvolta
terminare con gli strani uomini. Appresso questo, non sʼaccorgono i
dissipiti, dove incitar credono le femmine, le quali alla lor libidine
disiderano di tirare, quello che essi nelle sorelle, nelle cognate
e nellʼaltre congiunte adoperino; le quali, quantunque spesse volte
caggiano neʼ lacciuoli scioccamente tesi da loro, rade volte avviene
che, da questo sospinte, non saltino negli abbracciamenti dʼuomini
non pensati da coloro, che a ciò con li loro disonesti portamenti le
sospingono. Né ancora considerano quanto di mal fabbrichino nelle
tenere menti delle figliuole, le quali la giovanetta etá continuamente
sospigne a dover prendere sperienza di ciò, che loro ancora non saria
di necessitá di conoscere: di che non una volta è avvenuto che,
lasciamo stare il porre dinanzi agli occhi loro quelle parti del corpo,
le quali con ogni ingegno si dovrien tôrre deʼ pensieri, ma le parole
men che oneste deʼ non cauti padri aver loro prima strupatore che
marito trovato.
Ma, ritornando alla folle ragion di costoro, dico che, quantunque
biasimevole sia molto alle donne mostrare con le poppe il petto, non
sono perciò le poppe deʼ membri osceni e che nascondere del tutto si
deano; percioché, se di quegli fossono, non lʼavrebbe la natura poste
in cosí aperta e patente parte del corpo come è il petto, anzi si
sarebbe ingegnata dʼoccultarle, come gli altri fece. Oltre a questo,
le poppe sono aʼ sani intelletti venerabili, conciossiacosaché elle
sieno quelle, onde noi prendiamo i primi nudrimenti. Appresso, quando
i nostri primi parenti peccarono e cognobbero la ignominia loro, non
nascose la nostra prima madre questa parte del corpo, anzi, sí come
Adam, fattesi copriture di frondi di fico, nascosero e occultarono
quelle parti del corpo, le quali costoro non si vergognano di
mostrare. Né avevano i nostri parenti di cui vergognarsi se non di
Dio, che creati gli avea, e di se medesimi; dove costoro né di Dio
si vergognano, né degli uomini. [Similmente, quando i predetti di
paradiso cacciati furono, i vestimenti, che da Domeneddio furon lor
fatti, non ricopersono le parti superiori, né per nasconder quelle
fatti furon da lui, ma per ricoprire le parti inferiori, delle quali,
partita da loro per lo peccato la luce della innocenza, essi di se
medesimi si vergognavano. E però potrebbono in contrario di questa loro
scostumaggine dir le donne:—Quello, che noi vi mostriamo, non fu nella
nostra prima madre ricoperto dal vestimento che Iddio ne fece; dove
quel, che voi mostrate a noi, fu ricoperto al primo nostro padre.—]
È vero che, quantunque il costume deʼ giovani nella parte mostrata
biasimevole sia e villano, non si scusa perciò la vanitá delle
donne, le quali dʼaltra parte, non potendo nascondere il fervore
inestinguibile della lor concupiscenza, con industria e arte
sʼingegnano, in ciò chʼelle possono, di quello adoperare che possa
provocar gli uomini con appetito piú caldo a disiderare i loro
congiugnimenti. Elle si dipingono, elle sʼadornano, elle si azzimano,
e con cento varietá di fogge sé ogni giorno trasformano; ballano,
cantano, lasciviscon con gli occhi, con atti e con le parole; dove
dovrebbono con onestá la lor bellezza in parte nascondere, e rifrenare
i costumi.
Di che assai manifestamente si può raccogliere che, dove questo vizio
solo si vince fuggendolo, per esser vinti da lui i giovani e le donne
il destano, il chiamano, e, se egli non volesse venire, il tirano; non
contenti solamente aʼ portamenti, ma con gli odori arabici, con le
cortecce, con le polveri, con le radici e con liquori orientali, con
vini e con le vivande e con le morbidezze e con gli ozi e con altre
cose assai lo sforzano; mostrandosi in lor danno e in lor vergogna
assai mal grati della liberalitá dalla natura usata verso di loro. [E
cosí miseramente nella lussuria, abominevole vizio, pervegnamo, la
quale scelleratamente seguita, ne trae della mente la notizia di Dio, e
contro allʼamor del prossimo ne sospigne ad operare; togliendoci ancora
di noi medesimi e delle nostre cose la debita sollecitudine, sí come
colei il cui esercizio diminuisce il cerebro, evacua lʼossa, guasta
lo stomaco, caccia la memoria, ingrossa lʼingegno, debilita il vedere
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2 - 13