I rossi e i neri, vol. 2 - 20

esploratore dal Collini, nella mattina seguente. Aloise pensava alla
scadenza delle cambiali come si pensa alla fame, al freddo, quando il
corpo sente gli stimoli dell'una e l'impressione dell'altro, cioè a
dire per mera necessità del suo stato. Del resto egli non aveva altro
pensiero che quello di dar sesto a tutte le sue faccende, di ardere i
suoi manoscritti, le sue carte, ogni nonnulla che di lui potesse
rimanere ai superstiti, e di andarsene alla Montalda, dove aveva fatto
conto di finirsi.
Però, già colto dall'ansia febbrile de' suoi ultimi apparecchi, già
invaso da quello spirito feroce che fa considerar la morte come un
bene, non diè neppur retta al Pietrasanta, quando questi venne da lui
per dirgli che aveva una speranza, che avrebbe fatto capo a
qualcheduno per trovare la somma bisognevole, e che più tardi sarebbe
tornato a dargliene novelle.
Per la prima volta dacchè erano amici, Aloise fu lieto di vedere il
Pietrasanta andarsene via. Libero finalmente d'ogni molestia di
discorso, si diede tutto alla sua opera di distruzione; la quale egli
non interruppe nemmeno, allorquando venne il servitore a portargli una
lettera.--Deponila sul tavolino;--gli disse, e continuò il suo lavoro.
Poco stante, vuotata e rassettata la scrivania, vide la lettera, e la
prese tra mani. La rivoltò, e pose gli occhi al suggello; ma lo stemma
che vi scorse impresso in ceralacca turchina, non gli ricordò nessuno
di sua conoscenza. Allora chiamò il servitore.
--Chi ha portato questa lettera?
--Un servo in mezza livrea; perciò non ho capito di che famiglia
fosse.
--Sta bene; vattene.--
E mentre il servitore se ne partiva, aperse la sopraccarta. Ma in
quella che ne cavava un foglio di carta inglese vergata, scapparono
fuori quattro foglietti più sottili e più brevi sparpagliandosi sul
pavimento. Aloise si chinò per raccoglierli; erano quattro cambiali,
quelle medesime cambiali che portavano a tergo la sua girata, e che
dovevano esser pagate il giorno seguente.
Non istaremo a descrivere la meraviglia, o, per dire più veramente, lo
stupore di Aloise. Deposte le cambiali sulla scrivania corse cogli
occhi allo scritto; ed ecco ciò che egli lesse:
«Di casa, il 14 ottobre 1857.
«Signor Marchese,
«La S. V. non vorrà, io spero, togliere in mala parte che un ignoto si
pigli arbitrio di mandarle queste quattro cambiali. Esse gli vennero
in mano mentre egli, udito che la S. V. aveva in animo di vendere un
castello che ha nome dalla nobil casata dei Montalto, si disponeva a
profferirsi compratore, e a pregarla di accennargli i suoi patti.
«Ora, se la S. V. è davvero in questo proposito, voglia ritenere
queste cambiali a conto di quella maggior somma che Le parrà
conveniente di indicare, come prezzo della Montalda, e assegnare il
giorno e l'ora per firmare il contratto con chi si reca a gran pregio
di potersi profferire della S. V. divotissimo
«IL DUCA DI FEIRA.»
Lo stupore di Aloise si accrebbe (e non poteva essere altrimenti) dopo
quella lettura. Il duca di Feira! Quel nome gli era noto, perchè da
qualche tempo, nelle conversazioni, nelle veglie, in ogni ritrovo
della signoril compagnia, era un gran discorrere di quel Portoghese,
Americano, o Indiano che fosse, il quale era ricco sfondato come un
principe delle __Mille e una notte__, e viveva solitario nella sua
opulenza, alieno da ogni maniera di passatempi e da tutto quanto
potesse dare alla curiosità universale l'appiglio d'una conoscenza più
prossima. Solo il sindaco della città aveva posto piede nel suo
salotto, e ciò perchè egli s'era recato a debito di ringraziare il
nobile forestiero di uno splendido presente fatto al museo Civico e
d'una ragguardevole offerta ad un istituto di carità cittadina.
Accolto dallo straniero in quel modo che si conveniva al primo
magistrato della città, il sindaco non avea parole per lodarsi di quel
magnifico gentiluomo in guisa degna di lui. La visita era stata
ricambiata il giorno seguente, e le relazioni estere dello straniero
erano rimaste a quel punto. Alcuni giorni dopo, egli era partito da
Genova e dicevasi per una gita di parecchie settimane in Toscana.
Diffatti, il suo palazzo era rimasto aperto; le mute della sua rimessa
uscivano regolamente ogni giorno per tenere in moto i cavalli, e
l'intendente faceva le sue corse in carrozza, seduto al posto del
duca.
Fino dal primo apparire di quel ricco signore, la gente curiosa s'era
fatta a pigliar lingua qua e là, dovunque potesse cavar notizie del
misterioso personaggio. E presto aveva dovuto capacitarsi che di
misterioso non c'era nulla fuorchè l'apparenza. Il duca di Feira era
un duca autentico, padrone di una miniera aurifera nel Brasile,
dov'era tenuto in gran conto, ma dove da molti anni si vedeva di rado,
essendo egli un gran viaggiatore nel cospetto di Dio. Questo si era
saputo dai banchieri, presso i quali il duca di Feira era
larghissimamente accreditato. Nè andò molto che fu noto ancora come
l'imperator del Brasile avesse profferta al duca la sua ambasciata
presso la corte di Torino, od altra che più gli tornasse a grado, e
come egli avesse ricusato quell'alto onore per ragioni di salute.
Viaggiava l'Italia, dopo aver visitato l'Asia e il settentrione
d'Europa; a Genova gli era parso confacente il clima, e faceva conto
di rimanervi più a lungo; non amava la compagnia, perciò usciva
solitario. Tutto ciò era naturale, e nessuno poteva trovarci a ridire.
Ma non sembrò naturale del pari ad Aloise quella intromissione dello
straniero nelle sue cose domestiche. Bene intendeva egli come il duca
di Feira avesse voluto fargli servizio; ma perchè, poi? Come era
venuto in chiaro delle sue strettezze? E in che modo aveva potuto
metter la mano sulle cambiali, il giorno innanzi la scadenza?
A tutte quelle domande, che lo tennero a lungo dubbioso, recò una
risposta, o a dire più veramente gli recò il modo di trovarla di per
sè, l'amico Pietrasanta, tornato da lui dopo due ore d'assenza. Enrico
aveva veduto, due giorni innanzi, il Giuliani; si erano intrattenuti a
lungo sul caso di Aloise, e il Giuliani aveva suggerito ad Enrico di
tentare la prova presso il duca di Feira, che gli era noto come un
compìto gentiluomo, e dispostissimo, per la bontà somma dell'animo, a
far servizio altrui. Certo era arditezza grande il presentarsi al
duca, senza conoscerlo; ma il Giuliani, che avrebbe parlato volentieri
egli stesso al duca se non avesse reputato di correr troppo alla
leggera, non essendo col marchese di Montalto in molta dimestichezza,
offriva al Pietrasanta di dargli un suo biglietto di visita che lo
introducesse presso il duca e gli agevolasse il suo compito. Enrico
era rimasto perplesso: ma avendogli detto il Giuliani saper egli di
buon luogo che gli strozzini avevano fatto mettere ad Aloise la girata
su cambiali false, tanto per condurlo ad un tristo passo, aveva veduto
esser quella l'unica via di salvezza, e senza dirne nulla ad Aloise,
era andato dal duca; ma non lo aveva trovato in casa, con suo grande
rammarico; nè certo avrebbe raccontato di quei suoi infruttuosi
negoziati ad Aloise, se non avesse vedute le cambiali e la lettera del
duca, la quale gli dimostrava che il Giuliani, dato il consiglio,
aveva stimato più acconcio mettere i fatti di costa alle parole, e,
più fortunato di lui, aveva potuto parlare col duca.
Un brivido corse per l'ossa ad Aloise, e stille di sudor freddo gli
bagnarono la fronte, allorquando dal racconto dell'amico udì il
pericolo che aveva corso. Acerbi erano i dolori dell'anima sua, e tali
da fargli considerare gran ventura la morte; ma i suoi tormenti non
erano stati inaspriti dal pensiero dell'infamia. Certo, una così
scellerata trama non era di volgari usurai; ed egli tremò, pensando a
quel laccio che era stato teso al suo onore, e dal quale egli si era
inconsapevolmente salvato, mercè l'operoso affetto del Giuliani, di un
amico recente.
Come si fu riavuto da quel colpo, ringraziò il Pietrasanta, benedisse
al Giuliani, e spremuto dal cuore quell'ultimo avanzo di alterigia che
pochi istanti prima lo avrebbe forse condotto a ricusare il servigio
dello straniero nel modo in cui gli era offerto, prese la penna e
scrisse questo biglietto al duca di Feira:
«Signor Duca,
«Grazie! che vi dirò io di più? Grazie, e dal profondo del cuore.
«Abbiatevi la Montalda, della quale io non posso chiedervi più di
quello che v'è costato il riscatto delle cambiali. Voi certamente le
avete riscattate per farmi servizio, e quello che è giunto or ora al
mio orecchio, e mi confonde tuttavia di sgomento e di vergogna, me ne
fa testimonianza certissima.
«Oggi stesso, a quell'ora che vi torni più a grado, sarò dal notaio
Marinasco, per sottoscrivere il contratto.
«Vostro per la vita
«ALOISE DI MONTALTO.»
--Non gli prometto molto!--disse Aloise tra sè, in quella che scriveva
quel «vostro per la vita».
E suggellata la lettera, la mandò prontamente al duca di Feira.


XXVI.
Come Bonaventura trovasse impedimento tra l'uovo e il sale.

Nel pomeriggio di quel medesimo giorno, 14 ottobre, pochi minuti dopo
il desinare, ch'egli aveva a mala pena assaggiato, Bonaventura
Gallegos era nella sua camera di studio. Quel dì gli era venuto in
uggia il terrazzo, dove soleva recarsi a fare la sua digestione; i
tristi pensieri, che gli giravano per la fantasia, richiedevano il
raccoglimento della solitudine. Ancora non sapeva di ciò che avesse
fatto il Collini, che in quel punto doveva essere tuttavia a colloquio
col Salati; non aveva altro sopraccapo che i suoi brutti
presentimenti; ma ce n'era d'avanzo per occupargli lo spirito.
Da pochi minuti, come abbiam detto, egli era là chiuso, seduto nel suo
seggiolone, assorto nelle sue meditazioni, allorquando venne a
rompergliene il filo una scampanellata all'uscio, e poco stante la
signora Marianna gli porgeva una lettera, recata da un servo della
marchesa di Priamar.
Un foglio di Lilla! Che voleva dir ciò? Quella sera medesima egli
aveva fatto conto di andare da lei, ed essa lo aspettava certamente.
Perchè quella lettera di lei? di lei, che non gli aveva mai scritto?
Bonaventura pigliò la lettera, chiedendo alla governante se il
servitore aspettasse risposta; la signora Marianna gli disse di no,
perchè il servitore se n'era andato senz'altro aspettare; egli allora
congedò la signora Marianna, e ruppe il suggello della sopraccarta.
Nel foglio della marchesa erano pochissimi versi. Lilla desiderava
vederlo, per dargli ragguaglio d'alcune cose sue. E ciò gli parve
assai poco. In quella vece gli parve soverchio un «Padre
reverendissimo» col quale era cominciata la lettera, e il battere le
labbra in atto sdegnoso, com'egli fece, avrebbe potuto mostrare come
quelle due parole gli dessero maledettamente sui nervi. Al cospetto di
quella donna gli pesava il suo stato chiesastico, e gli cuoceva
sentirselo ricordare da lei. Perchè dargli quel titolo di rispettosa
cerimonia, ella che, conversando con lui, soleva chiamarlo col nome di
amico? Sempre la stessa! pensò. E non avrà da mutarsi mai? Non sente
ella ancora d'essere in mio potere?
In quel mezzo, l'orologio a pendolo che stava nell'anticamera, suonò
le quattro. Allora, pensando che se la marchesa aveva bisogno di
vederlo tre o quattr'ore prima del tempo, gli era certo per cosa di
rilievo, si mosse per uscire, e vestitosi in fretta, chiuso
accuratamente l'armadio dov'erano riposte le opere di sant'Agostino e
la famosa cassettina d'ebano, partì, dicendo alla signora Marianna che
sarebbe tornato sulle dieci.
Il suo apparire sulla strada fu notato da un tale, che era appostato
sulla cantonata del palazzo Verde. Costui, che all'arnese pareva uno
spazzaturaio, o alcun che di somigliante, lo seguitò chetamente fino
alla via del Campo, e vistolo entrare nel portone di casa Priamar,
rifece speditamente i suoi passi, infilò le scale del palazzo Vivaldi
e andò a battere all'uscio di Bonaventura tre colpi cabalistici, i
quali, come l'«__Apriti, Sesamo__» di Ali Babà, ebbero la virtù di
schiudere prontamente la porta, coll'aiuto, s'intende, della signora
Marianna che tirava il catenaccio.
--Siete ben certo che non torni indietro?--chiese la femmina al suo
niente misterioso visitatore.
--L'ho veduto io stesso entrare in casa Priamar; non abbiate timore! E
adesso, non perdiamo tempo, colombella mia; in dieci minuti ha da
esser fatta ogni cosa.
--Ah, Michele! La faccio grossa!--esclamò la signora Marianna, alzando
gli occhi al cielo.
--Ma non avrete a pentirvene;--soggiunse Michele.--Vedrete che bella
casetta; ci staremo da principi. Animo, dunque; non mi fate la
scrupolosa; se no, come dice lo stornello, «Se mai v'incontro per la
strada a caso,--Sia maledetto se vi guardo in viso».
--Ah sì, omaccione? Così parlate adesso?--gridò con un piglio tra il
dolce e l'amaro la signora Marianna.--Tutti d'una pasta, questi
uomini! Quando hanno da ottenere qualcosa, pregano, piangono,
s'inginocchiano; poi....
--Via, Mariannuccia, via!--disse Michele, dandole sulla voce;--ho
detto per celia. Sapete pure che vi voglio un gran bene, e che tra un
mese, tra quindici dì, se ci sarà tempo a farci gridare in chiesa,
saremo marito e moglie, benedetti come due ceri pasquali. Ma non ci
perdiamo in chiacchiere, e lavoriamo di fine, se vogliamo guadagnarci
il paradiso.--
Poco prima che questi discorsi, promettitori di pronte opere, si
facessero in casa di Bonaventura, questi era già entrato in casa
Priamar, e squadrava con occhi da inquisitore la faccia abbronzata di
un servo che gli aveva aperta la porta, ben diverso da quello che era
solito di vedere in anticamera.
--Chi siete voi?--domandò col suo piglio imperioso il gesuita.
--Il valletto della signora marchesa.
--Da quanto tempo?
--Da stamattina.
--Siete forestiero?--chiese Bonaventura, che aveva notato l'accento
esotico del servo.
--Sissignore.
--E in che casa servivate, prima di venir qua?
--In casa di Sua Eccellenza il duca di Feira.--
Bonaventura conosceva di nome quel duca, come tutti lo conoscevano da
qualche tempo in città. Ma quel nome non gli diede alcun sospetto; nè
certo avrebbe potuto dargliene, nuovo com'era. Il gesuita si fermò in
quella vece a chieder tra sè per qual ragione la marchesa Lilla avesse
mandato via l'altro servitore, uomo di sua confidenza, che egli stesso
aveva collocato presso di lei.
--Annunziate il signor Gallegos!--diss'egli, ponendo fine a
quell'inutile interrogatorio.
--Il padre Gallegos! La signora marchesa lo aspetta per l'appunto.--
E così dicendo, il servitore corse sollecito innanzi al gesuita, e
spalancò la portiera del salotto, per richiuderla dietro di lui.
Bonaventura s'inoltrò accigliato verso quell'angolo della sala,
dov'era il ridotto della signora. La marchesa Lilla era appunto colà,
seduta sul suo piccolo sofà; il cuore le palpitò forte nel petto,
all'avvicinarsi del gesuita; ma il suo volto, composto ad espressione
di calma, se non per avventura di serenità, non tradì l'interno
sussulto.
--Lilla, buona sera!--disse il Gallegos, facendosi
avanti.
--Buona sera!--rispose ella dolcemente.
--Avete cangiato di servitore, quest'oggi?--chiese Bonaventura,
innanzi di sedersi, com'ella gli aveva accennato col gesto.
--Sì.
--Perchè?
--Perchè l'altro non mi serviva a dovere.
--L'avevo collocato io nella vostra casa, e mi
pare....--
Bonaventura aveva meditato quella reticenza, facendo assegnamento su
d'una pronta risposta. Ma la signora si tacque. Egli la guardò
stupefatto; indi, mutato argomento, proseguì:
--Mi avete scritto di venire da voi. Avevate qualcosa a dirmi?
--Sì;--rispose ella con un fil di voce, mentre il suo cuore, sentendo
avvicinarsi il gran punto, si gonfiava per la commozione.
--Della fanciulla, forse?--chiese il gesuita.
--Sì.
--Come va ella?
--Oh, molto meglio!
--Ne godo;--disse Bonaventura, col medesimo severo accento con cui
avrebbe detto: me ne duole.--E finalmente si sarà piegata ad accettare
il partito che le avete profferto.
--No, padre.
--No? è male, assai male!--tuonò Bonaventura.--Ma voi. Lilla, ne son
certo....
--Io,--si affrettò a dire la marchesa, che non poteva più sostenere la
battaglia a monosillabi,--l'ho tratta ieri dal monastero.--
Un fulmine scoppiato a' suoi piedi non avrebbe fatto più colpo
sull'animo del Gallegos, di quello che gli fece la risposta, buttata
là a precipizio, della marchesa di Priamar.
--Voi!--esclamò egli, balzando dalla scranna.--Voi avete fatto ciò?
--Io, sì!--proruppe la marchesa;--io, che non potevo resistere più
oltre allo strazio di quella povera creatura.
--Siete voi pazza?
--Sono madre!
--Ah sì, lo avevo dimenticato!--ringhiò con accento di profonda
amarezza il gesuita.
E senza badare alle buone creanze, si diede a passeggiare concitato
nel salotto, collo sguardo basso, i denti stretti e i pugni chiusi sul
petto, come un lottatore che si prepari alla riscossa. Ma veramente
egli non sapeva come avrebbe potuto rifarsi; mille pensieri gli
turbinavano confusi pel capo; il sangue gli gonfiava le vene pel collo
toroso, e gli martellava alle tempie.
Passeggiò a lungo in quel modo; indi, come un uomo che abbia preso una
deliberazione, mosse impetuoso verso la signora, e si piantò dinanzi a
lei con un piglio feroce che la fece dar indietro sbigottita, e con un
accento da cui trapelava tutta la rabbia ond'era invaso, le dimandò:
--Dove è ora, la figlia di Paris Montalto?
--In casa mia;--rispose con voce spenta, ma ferma, la marchesa di
Priamar.
Bonaventura stette silenzioso un tratto, squadrandola con occhi
fiammanti, quasi volesse incenerirla collo sguardo; quindi proseguì:
--E che cos'avete in animo di fare?
--Nulla.
--Badate a voi, Lilla! Non irritate il leone, poichè esso vi ridurrà
in brani. Rispondetemi; che avete in mente di fare di quella
fanciulla?
--Tutto ciò che ella vorrà;--gridò la marchesa, togliendo l'ardimento
dalle medesime difficoltà di quel dialogo;--credete voi che non sia
tempo di finirla? Ho sofferto; ho trangugiato mille amarezze; ho
assistito immobile ai pianti di quella povera creatura; ho cercato di
soffocare la voce del sangue, ma invano; essa ha gridato dal profondo
del cuore. Sono madre; non intendete voi? sono madre!
--Sarete infamata!
--Da chi? chi ardirà infamare una madre?
--Io,--rispose Bonaventura,--io che vi ho amata, stolto, io che sono
stato condannato da voi alla più triste vita che uomo possa durare
sulla terra, io disdegnato, io deriso da voi.
--Non vi ho disdegnato, non vi derido; l'amor vostro io non l'ho
chiesto, non l'ho lusingato mai. Lilla non ha rimorsi; una colpa ha
macchiato la sua vita; ma non sta a voi ricercarla.
--La farò palese ad ognuno; diverrete la favola di quanti vi
conoscono; vi segneranno a dito i viandanti; vi chiuderanno l'uscio
sul viso le vostre pari; vi negheranno il saluto gli amici. Badate,
marchesa; io non ho mai fallito alle mie promesse, mai, dacchè vivo.
Quanto più siete stata in alto finora, tanto più cadrete in basso; ve
ne fo giuramento per l'odio più terribile che sia, per l'odio che
nasce dall'amore spregiato.
--E sia;--gridò balzando in piedi la marchesa, al colmo
dell'esaltazione,--ma io avrò salvato mia figlia. Perderò il mio buon
nome, sacrificherò le consuetudini tutte del mio vivere; ma ella non
avrà da morire maledicendo; ma ella, così a lungo sventurata, vivrà
giorni più lieti, e finalmente libera, godrà di quei puri gaudii della
famiglia, che non arrisero alla sua povera madre. Che m'importa del
mondo, innanzi al debito sacro di far felice mia figlia? Voi, ministro
di Dio, del Dio che perdona, siete stato l'implacabile sacerdote della
vendetta, il beffardo scovatore d'una colpa ignorata ed espiata, per
rinfacciarmela, per farmi arrossire, per farmi scendere più in basso
che non fossi caduta in un giorno di aberrazione fatale. Voi, ministro
del Dio che comanda di passar sopra ad ogni umano rispetto, pur di
seguire la sua legge d'amore, voi avete ravvivato nel mio cuore,
scaldato, rinvigorito un falso concetto, una falsa vergogna, una falsa
dignità; pregiudizio, superbia, egoismo, a danno d'una innocente
creatura. Andate, ho aperto gli occhi; ho veduta la mia povera figlia
moribonda, prigioniera per me, sepolta per me in una cella di
monastero.... E parlate di cuore, voi, che avete potuto consigliarmi
in tal guisa? E chiedete gratitudine, chiedete obbedienza, voi che
avete potuto chiedermi un delitto? Andate, Bonaventura; sapiente
conoscitore d'uomini, voi non avete saputo intendere un cuore di
donna, un cuore di madre. Mia figlia è libera; io l'avevo condotta là
dentro; io l'ho tratta di là, e nessuno la strapperà più dal mio
fianco. Pronta ad ogni sacrifizio di me medesima, non temo l'obbrobrio
che mi è minacciato da voi.--
Ciò detto. Lilla come chi si senta liberato da un grave peso, da una
penosa oppressura, e ansante, trafelata, ma raggiante di sublime
entusiasmo, ricadde sul sofà, in quella che coll'indice teso gli
accennava di uscire.
Bonaventura era fuori di sè, tanto più furibondo, quanto ella, così
animata e fiammeggiante nel volto, appariva più bella a' suoi sguardi.
--Qualcheduno è stato qui dentro!--sclamò.--Vedo qui la sua traccia.
Uomo, o demonio, lo conoscerò; dovessi anco strapparvi il suo nome dal
cuore.--
E fece per avventarsi sulla marchesa, che istintivamente si fece
schermo delle braccia contro quella belva umana.
Ma in quel punto si sollevarono le pieghe d'una portiera di damasco, e
un terzo personaggio comparve nel salotto.
--Non tanta pena, padre Gallegos! Uomo, o demonio, egli è dinanzi a
voi; guardatelo a vostro bell'agio.--
A quella voce Bonaventura si volse, e rimase di sasso, come se avesse
veduto la testa di Medusa. Egli non conosceva quell'uomo.
--E anzitutto,--proseguì lo sconosciuto, avanzandosi in mezzo alla
sala,--rispettate le donne. Non era ella una donna, la madre vostra?--
Il Gallegos non rispose parola. Guardava esterrefatto quell'uomo, e
chiedeva a sè stesso chi fosse egli mai, quel vivente simulacro del
fato, che veniva così in mal punto a rompere la trama sudata delle sue
vendette. Lo sconosciuto era di bell'aspetto, ma severo; tutta la sua
persona spirava la dignità e la forza. I capegli aveva bianchi; ma il
volto abbronzato, i lineamenti ricisi, le membra poderose, additavano
una gagliardia virile; i muscoli delle sopracciglia, contratti sulle
orbite dei grand'occhi azzurri che mandavano lampi, accennavano
com'egli fosse uomo da metterla in opera. Quell'uomo gli aveva fatto,
dicemmo, l'impressione della testa di Medusa; ma, più attentamente
guardato, era Giove punitore, col pugno armato di fulmini.
Bonaventura vide in quel punto tutta l'orridezza del suo stato, e
l'ignominia degli atti a cui era trascorso. Una vampa gli salì alla
fronte; vampa di vergogna insieme e di rabbia; e non sapendo come
uscire dal ronco, andò con mentita audacia incontro al nemico.
--Chi siete voi?--dimandò.
--Son tale,--rispose l'altro senza muovere un passo,--che vi potrebbe
far misurare l'altezza di quella finestra, senza aiuto di servitori.--
A quella minaccia il Gallegos si rannicchiò contro la parete, pronto a
vender cara la vita.
Un sorriso di sprezzo sfiorò le labbra dello sconosciuto:
--Bravo, il mio uomo!--proseguì egli beffardo.--Eravamo dunque in via
di far paura ad una donna? E siete spagnuolo? Vergognatevi! La Spagna
fu mai sempre nazione di cavalieri, i quali non usarono inferocire se
non contro gli uomini, e alle donne consacrarono rispetto,
venerazione, come cosa divina. Per esse il Cid Campeador non faceva
vituperii, ma prodigi d'alto valore. Onta su voi, tralignato! Ma che?
avete forse patria, voi altri, falsi seguaci di quell'Inigo Loyola che
condusse tant'oltre la cavalleria da voler essere il cavaliere della
Vergine?--
Tutti quei colpi andavano diritti a flagellare il viso del Gallegos. E
al cospetto d'una donna! Della donna che egli aveva amata!
--Capisco queste prodezze da eroe di Cervantes,--rispose egli con
accento sarcastico,--quando chi parla è l'amante di Dulcinea. Non è
egli vero, marchesa del Toboso?--
Queste ultime parole erano rivolte a Lilla, che si nascose il volto
tra le palme.
--Vigliacco!--gridò lo sconosciuto.
E avanzandosi minaccioso contro Bonaventura, alzò il braccio sopra
di lui. Il gesuita vide la mano in alto, la sentì scendere, rombare
nell'aria. Strinse le pugna, ma senza ardire di respingere
l'assalto; tutte le sue forze erano intese a sostenere lo sguardo
dell'avversario, il cui volto, infiammato dallo sdegno, era una
spanna dal suo. E la mano discese, rovinò sulla spalla del gesuita,
facendolo vacillar sulle ginocchia, per la forza del colpo.
--Rettile!--aggiunse lo sconosciuto, mentre con quella istessa mano lo
spingeva sdegnosamente contro la parete.
Un singhiozzo della marchesa, che era rimasta spettatrice di quella
scena, richiamò ad altre cure il suo difensore.
--Perdonate, signora!--diss'egli, volgendosi a lei con voce di repente
mutata.--Per cagione di questo signore, dimenticavo di dirvi che
vostra figlia ha bisogno di voi. Degnatevi di accettare il mio
braccio.--
E aiutata cortesemente la marchesa ad alzarsi dal sofà, sul quale era
rimasta accasciata, l'accompagnò, confusa, smarrita, fino a
quell'uscio, dal quale gli era comparso pur dianzi nel salotto.
Bonaventura si mosse a sua volta, anzi spiccò un salto verso l'uscio
che metteva all'anticamera. E già egli era per girar la maniglia,
allorquando l'altro, che stava alzando la portiera per far passare la
signora nella Camera attigua, lo fermò con queste parole:
--Badate, padre Gallegos! C'è in anticamera un valletto che ha per
costume di lasciar entrare, ma non di lasciare uscire così facilmente,
come potreste creder voi ora. Il mio Sindi è fedele come un cane, ma
ci ha il vizio di mordere.--
Il gesuita tornò indietro scornato. L'altro, intanto, lasciato
ricadere il lembo della portiera, veniva alla sua volta, in mezzo alla
sala.
--Ah, il duca di Feira!--mormorò Bonaventura, che ricordava allora le
parole del nuovo valletto da lui interrogato in anticamera.
--Sì, padre, egli in persona, capitato a Genova in buon punto per
scompigliare i vostri disegni.
--Come c'entrate voi?--chiese il gesuita.
--È un mio segreto, ed io non ho la pretensione d'insegnare a voi che
i segreti si custodiscono gelosamente.--
Bonaventura si morse le labbra; egli padrone di tanti segreti, non
possedeva questo, che doveva essere dei più rilevanti, poichè aveva
condotto quell'uomo tra' suoi piedi, a guastargli un'impresa così bene
avviata.
--Son prigioniero qui dentro?--diss'egli, dopo un istante di pausa.
--No, in fede mia;--rispose il duca di Feira.--Che cosa farei d'una
vipera come voi? Un farmacista se ne gioverebbe per le sue infusioni;
io, che non ho infermi da risanare, ma soltanto amici da custodire
contro i vostri morsi avvelenati, non vi terrò oltre il tempo
bisognevole per istrapparvi i denti.
--Che cosa intendete di dire?
--Eccovi un altro segreto; ma questo lo indovinerete voi stesso tra
breve. Ragioniamo un tratto, e sedete senza timore. Sono più forte di
voi; posso stritolarvi con queste mani, ma non abuserò della mia
forza.--
Così dicendo il duca di Feira si assise egli stesso, ma in guisa da
aver gli occhi verso l'entrata del salotto.
--Avete vinto;--bufonchiò il gesuita.--Che volete ancora da me?
--Una cosa da nulla; che mi diciate che cosa farete quando sarete
uscito di qui.--
L'inchiesta sarebbe parsa fanciullesca a Bonaventura, se egli non
avesse pensato che chi la faceva era il duca di Feira, il suo
fortunato avversario, il suo vincitore. Essa, per verità, gli parve