I rossi e i neri, vol. 2 - 15

aggiunga qualcosa sul salario, me ne dice altrettanto.--
Il vecchio legnaiuolo s'era avviato a una porticina che dal fondo
della bottega metteva nell'andito delle scale, per salire al primo
piano della casa, dov'era il suo alloggiamento. Colassù, tutta
imbacuccata in un vecchio scialle, accoccolata su d'una vecchia
scranna presso la finestra, stava una femmina dal volto giallo,
malazzato, che doveva essere appunto quella tal brenna di cui aveva
detto nel suo soliloquio il nostro Pasquale.
--Siete voi?--diss'ella, voltandosi all'uscio, mentre egli compariva
nel vano.
--Son io, Tecla. Vi siete alzata da letto?
--Non ci stavo troppo bene, e sono venuta a cercare un po' di sole qui
presso.
--Chi c'è stato a cercarmi?
--Ah, sì, fate bene a rammentarmelo. C'è stato or fa mezz'ora il
garzone del panattiere. Quel lasagnone del vostro fattorino lo ha
fatto salire quassù, e io ho dovuto sentire l'antifona. M'ha detto che
il suo padrone non vuol più aspettare, e che domani, se non gli
saldate il conto, se ne va dove bisogna.
--S'incammini!--brontolò il legnaiuolo.
--Sì, bravo, perchè venga anche l'usciere, e crescano le spese! Io gli
ho detto invece che tornasse alle cinque, stasera, che ci sareste
stato voi.
--Bella trovata! E che gli dirò io stasera, che voi non poteste già
dirgli senza di me?
--Ma....--rispose la donna;--ho pensato che andando oggi dalle monache
a finire il vostro lavoro, vi avrebbero pagato il conto, e allora....
--Sì, me l'hanno proprio pagato!--interruppe Pasquale.--Non servo più
monache, io; vadano in malora le monache!
--Che diavolo dite, Pasquale?
--Dico,--rispose il legnaiuolo, sedendo a cavalcioni su d'una scranna,
coi gomiti puntellati sulla spalliera e il mento puntellato nelle
palme,--dico che l'ho mandate a quel paese, e non voglio più saperne.
Brutte bertucce! dar del gobbo a me! Dite su, voi, Tecla; m'avete
visto gobbo, quando v'ho dato l'anello?
--Che cos'è quest'altra novità? Avevate, sì, le
spalle tozze....
--Ma non ero gobbo?
--Questo no; ma perchè mi domandate queste cose?
--Perchè, vedete, quelle scioperatacce di San Silvestro m'hanno dato
del gobbo senza tante cerimonie.
--E per questo siete montato in bizza? Ci avreste ancora grilli in
capo?
--Che grilli e che cavallette d'Egitto! Statemi a sentire. Ho fatto
servizio a un amico. Che male c'era? Chi le ha cercate, loro! Nessuno
vuol frodare la gabella per quella brutta merce là. Ma quella povera
ragazza....
--E adesso che cosa m'andate voi borbottando, di ragazza, di gabelle e
di merci? Parlate chiaro, se volete essere inteso.
--Ho fatto servizio ad un amico;--ripigliò mastro Pasquale.--C'è là
dentro una povera ragazza che vogliono far monaca per forza. Orbene, i
suoi parenti ed amici, il fratello, l'innamorato, e che so io, quelli
insomma che ci hanno le loro ragioni per cavarla di là, com'ella ci ha
le sue per uscirne, volevano farle giungere una parola di conforto,
perchè stesse di buon animo, che non l'avrebbero abbandonata.
--E voi ve ne siete incaricato!
--To'! sicuro, che me ne sono incaricato; e con che gusto! Ma il
diavolo ci ha messa la coda. La fanciulla ha letto il foglio, un
foglio aperto (mi capite? aperto) ed è svenuta dalla contentezza. Il
foglio è stato veduto; e allora, addio roba!
--Ah, Pasquale, Pasquale!--esclamò la Tecla, crollando il capo in atto
di rimprovero.--Perchè andate a mettere il naso dove non ispetta a
voi? Sapete, la pentola di terra, quando l'andò a cozzare col paiuolo
di rame, che cosa le avvenne?
--Bella scoperta! s'è rotta.
--E anche voi, Pasquale, vi romperete le costole, a volervi mettere
co' più forti di voi. Vedete, intanto, avete perduto un pane sicuro,
il pane dei vostri figliuoli. Ne aveste a palate! Ma lo sapete meglio
di me, che il po' che guadagnate non basta a tenerci ritti. Le due
ragazze vanno alla sarta, senza buscare un soldo, ed è già molto che
imparino l'arte. I vostri due figli, tanti ne guadagnano, tanti ne
spendono, e li vedete appena all'ora del pasto; sanno venire a
prendere; ma per portare, aspettateli! E voi, per giunta alla derrata,
colla vostra esperienza, vecchio come Matusalemme, ne fate ancora di
queste!
--Tecla!
--E in un santo monastero!--proseguì, riscaldandosi, la donna.--In un
posto di confidenza come quello! Vi ricordate di quel che vi diceva il
Padre parroco di Castello, il mio santo confessore, offrendovi or
fanno i quindici anni, quel pane?--«Pasquale, badate a voi; dovete
esser cieco, sordo e muto, tutt'insieme; fare il vostro servizio e non
impacciarvi d'altro. Or come gli avete voi dato retta? Facendo il
procaccino alle novizie.
--Tecla! Tecla! Non mi fate perdere la tramontana! Quel che ho fatto,
l'ho fatto a buon fine, e non me ne pento.
--Bravo! Vedo i guadagni che n'abbiam fatti. Vo' che mi compriate uno
scialle di tartano con quei denari, poichè l'inverno è vicino, e
questo è ragnato così che pare una mestola bucherata.--
Pasquale era lì lì per rispondere a que' sarcasmi con qualche buona
sfuriata; quando s'udì la voce del garzone che gridava dal basso:
--Principale! principale!
--Che c'è?--dimandò il legnaiuolo, andando in fretta ad alzare il
saliscendi.
--Due signori che vi vogliono quaggiù,--rispose il
garzone.
--Ma se lo dicevo io, che non avrebbero tardato!--esclamò Pasquale,
rasserenandosi a un tratto.--E non sapevano mica che io dovessi
spicciarmi così presto lassù. Ero una bestia io, e un pochino anche
voi, Tecla, colle vostre intemerate.
--Grazie del complimento!
E qui mastro Pasquale, fattosi tutto zucchero, si avvicinò per farle
una carezza. Ma Tecla gli rispose con una alzata di spalle.
--Vedete che grazietta!--disse il vecchio legnaiuolo tra sè, in quella
che scendeva le scale.--Se la mi avesse fatto sempre così, non ci
sarebbero quattro mangiapani di più, senza contarne altri due, che,
poveretti, mangiano quello degli angioli. Basta, pigliamo quello che
Domineddio ci ha mandato.--
Con questa chiusa filosofica, mastro Pasquale giunse in bottega,
dov'era Michele ad attenderlo, e con Michele quell'altro delle
gazzette come lo chiamava il legnaiuolo, e che era (i lettori l'hanno
capita da un pezzo) il nostro bravo Giuliani.
--Buon giorno e buona sera, Pasquale!--disse il nostro Michele a mala
pena ebbe veduto il legnaiuolo.--Passavamo da queste parti, e siamo
entrati a vedere se per caso foste già di ritorno.
--Diffatti eccomi; quest'oggi mi sono sbrigato più
presto.
--Orbene?--gli chiese il Giuliani.
--Ho fatto ogni cosa.
--Da Senno?
--Sì;--disse Pasquale;--la ci ha avuto il foglio, e l'ha subito letto.
--Da bravo, raccontateci come.
--Volentieri; ma prima di tutto si accomodi. E tu che fai costì ritto,
a bocca aperta, bighellone?--
Quest'ultima frase, già i lettori indovinano, era rivolta al garzone,
che vedendo quei personaggi a colloquio col suo principale, si era
ficcato dentro anche lui, per esser quarto tra cotanto senno.
--Vedete che bel muso, da volersi mettere in riga colla gente a
modo!--prosegui il legnaiuolo.--Vattene!
--Dove?--chiese con aria melensa il garzone.
--Dove ti pare. To', per l'appunto, portami questa cornice
all'indoratore.
--In due salti, vado e torno;--disse il ragazzo, afferrando la
cornice.
--No, non occorre; vattene a dare una capatina all'Acquasola, e fa
anche il giro delle mura, da Santa Chiara alle Grazie; così ti
sgranchirai le gambe, mammalucco!
--Che stranezze son queste?--pensò il garzone, mentre, colla sua
cornice ad armacollo, saltava fuor di bottega.--Quando sto fuori
mezz'ora per giuocare alla lippa, mi sgrida; e adesso che sto in
bottega, mi manda a spasso.--
Come furono soli, incominciò il racconto del legnaiuolo. Il Giuliani
s'era adagiato sul banco; Michele gli stava di costa; Pasquale
chiacchierava e gestiva nel fondo, come un attore in scena. Quello
ch'ei raccontò non ripeteremo, che già i lettori lo sanno, e non vi
porrebbero certo quell'attenzione con cui il Giuliani e Michele
stettero ad udire il buon successo della loro intrapresa.
Lo ascoltarono, diciamo, con grande attenzione, quasi senza, batter
palpebra, e sebbene qua e là ci fossero ripieni, fioriture, lungherie
(chè il gobbo, come è noto, ci aveva una buona parlantina) non si
fecero con parole o con atti ad interromperlo mai. Solo quando egli fu
giunto alla fine, Michele, che s'era fortemente commosso all'udire
dello svenimento, non potè trattenersi dal gridare: «E come starà
ella, adesso, la mia povera padroncina?»
--Che?--disse il legnaiuolo.--Siete il suo servitore?--Pasquale non
aveva mai pensato che quell'uomo così lindamente vestito da vecchio
militare in ritiro, col suo cappello di feltro e il topazio alla
cravatta, potesse essere un servitore; Michele, dal canto suo, non
aveva avuto bisogno nè occasione di dirglielo. Neppure si vergognò di
averlo a confessare in quel punto; che a' suoi occhi, servire la
signorina Maria e il signor Lorenzo, valeva quanto il viver d'entrata.
Gli dolse in quella vece d'essersi lasciato sfuggire quelle parole di
bocca, perchè da alcuni mesi aveva imparato a sue spese che cosa
fruttasse il parlare a vanvera, e raccontare alla distesa i fatti
suoi.
A lui che taceva, facendo le mostre di non avere udita la domanda del
legnaiuolo, venne in aiuto il Giuliani.
--Servitore no; dite in cambio l'amico, il vecchio arnese, il ser
faccenda di casa. Voi siete un galantuomo, Pasquale; per farci
servizio vi siete guastato colle sacre vergini di San Silvestro; a voi
dunque bisogna dire ogni cosa. La fanciulla è orfana; Michele è il
vecchio compagno d'armi del padre di colui che la deve sposare.
--O non è forse Vossignoria, lo sposo?
--No; anch'io non sono altro che un amico di casa.
--To', ed io avrei giurato che fosse Lei!
--Non prendo moglie, io, caro Pasquale;--soggiunse il Giuliani
ridendo;--io voglio che si possa mettere sul mio cataletto una corona
di candidi fiori; poniamo anche artefatti, ma candidi.
--In fede mia, la pensa bene. Chi piglia donna, piglia una mala gatta
a pelare.
--Michele,--disse il Giuliani,--beccatevi questa, voi che meditate un
pateracchio __in facie Ecclesiae__. Eh via, non vi fate rosso; che
male c'è?
--Son vecchio!--rispose sospirando Michele.
--Baie! Vecchio è chi muore; non è vero, mastro Pasquale? Ma, non ci
dilunghiamo in chiacchiere; come la è finita? Per colpa nostra ci
avete perduta la clientela?
--Sicuro, e il pentolino per giunta, che ho
lasciato nell'orto.
--Lasciare il pentolino in mano al nemico, non fu mai disonore se non
pei Giannizzeri, i quali portavano le pentole in luogo di
bandiere;--sentenziò il giornalista.--Eccovi da comperarne un altro.--
Il legnaiuolo strabuzzò gli occhi e diede un sobbalzo, alla vista di
dieci marenghi che gli metteva dinanzi il Giuliani.
--Prendete, prendete! Questi vi consoleranno un poco della perdita che
avete fatta lassù. Notate inoltre che la zecca che gli ha coniati
lavora sempre, e ce ne saranno degli altri. L'amico Garaventa vi
chiamerà di questi giorni in un certo palazzo, dove troverete una
bella vigna da sfruttare, poichè il padrone fa casa nuova con
suppellettili fatte venire a bella posta da Parigi, tutte di legno
rosa, magaleppo, palissandra, madreperla, e a voi si darà l'incarico
di arredar la cucina ed il quartierino della gente di servizio.
--Certo, ha da essere la casa degli sposi?
--L'avete indovinata, Pasquale. Or dunque addio; __jam vale, generose
senex__, e grazie tante di ciò che avete fatto. Io non vi innalzerò
una statua, come è fama che facessero ad Esopo i Milesii; ma state
sicuro che io, col racconto della vostra impresa nobilissima, vi
tramanderò all'ammirazione dei posteri.
--Passati, presenti e futuri--aggiunse Michele, stringendo la mano al
più allegro dei gobbi.
Mastro Pasquale accompagnò il Giuliani sull'uscio con molti inchini, e
ricambiò a Michele un amorevole buffettone che questi gli avea dato
sulle spalle, a mo' di commiato.
--Gente allegra, coi soldi in tasca! Ha da guadagnarne molti colle sue
gazzette, costui: ma se li merita, in fede mia, perchè gli è buon
pagatore. E quest'altra vigna che m'ha accennata? Pasquale, qui
bisognerà farsi onore!--
Così, cogli avuti in tasca, e cogli sperati in testa, il gobbo
legnaiuolo si sentì leggero come una piuma. E certo assai più leggero
del solito, sebbene con cinque marenghi in una mano e cinque
nell'altra (tanto per non destar gelosie) pesasse molti grammi di più,
risalì la scala che metteva in casa. Spinse l'uscio colle spalle,
senza cavare i pugni dalle tasche ed entrato nella sala, con un piglio
da trionfatore romano, andò a piantarsi dinanzi alla moglie, che se ne
stava ancora rincantucciata presso la finestra, sebbene il sole fosse
sparito da un pezzo.
--Tecla,--entrò egli __ex abrupto__,--quanto credete abbia a costare
uno sciallo di tartano?
--Lasciatemi in pace. Che storie sono queste?
--Vi domando quanto credete abbia a costare uno scialle di tartano.
Parlo turco, forse?--
Tecla si voltò tra curiosa e stizzita a guardarlo.
--Siete diventato ricco in mezz'ora?--gli chiese ella a sua volta.
Pasquale non rispose, bensì risposero le tasche per lui, nelle quali
il legnaiuolo facea saltellare quelle dieci monete. Tecla, a
quell'armonico tintinnio, aperse tanto d'occhi e mutò la smorfia in
sorriso.
--Che so io, quant'abbia a costare?---diss'ella.--Dieci, quindici
lire.... sono tanti anni che non compro più nulla!
--Eccone venti!--soggiunse superbamente Pasquale. E cavata una mano di
tasca, gettò una moneta in grembo alla moglie, che fu pronta a
metterci addosso ambe le sue. Egli, allora ridendo, così prese ad
ammonirla:
--Tecla, Tecla, donna di poca fede, perchè avete voi dubitato? Vedete,
ce n'ho altri nove, di questi confetti; erano dieci, come i
comandamenti di Dio.
--Lasciate là i vostri paragoni, ereticaccio! Quella è roba di mal
acquisto.
--Di mal acquisto, Tecla? e perchè? Li ho forse rubati in saccoccia a
qualcuno? Li ho forse chiesti a patto d'una cattiva azione? M'hanno
detto: Pasquale, amicone, c'è una disgraziata figliuola nel monastero
dove andate voi a lavorare; bisogna che ci aiutiate a salvarla.--Che!
non me ne immischio, io.--E perchè? Non si tratta mica di far cosacce;
quella poverina è sola, in mano a gente che le vuol male, e la
costringe a farsi monaca, contro la sua volontà.--Oh, per questo, lo
credo, che l'ho veduta io, co' miei occhi, a piangere.--Orbene,
commetterete un gran peccato, a darle un biglietto?--Un biglietto? Io?
Per chi m'avete voi preso?--Ma, sapete? un biglietto aperto; lo
potrete leggere e vedrete che non ci sarà nulla di male; non si tratta
d'altro che di farle coraggio.--Sì veramente m'è parso che n'avesse
bisogno.--Or dunque, da bravo, Pasquale, fatelo per amor mio. Sapete,
inoltre; una mano lava l'altra.--E tutt'e due il viso, lo so; ma se
perdo il pane?--Che pane? avrete pane e vino ed ogni ben di Dio da
coloro che hanno a cuore quella disgraziata; ve ne sto mallevadore io,
non vi basta?--Così m'hanno parlato, ed hanno mantenuto più di quanto
m'avevano promesso. Roba di mal acquisto! E sia pure; qua l'altro
marengo che avete già messo in tasca; io lo metto di costa agli altri
nove, e li butterò tutti quanti nella cassetta delle anime, alla
parrocchia di Castello. L'ospedale farà limosina alla chiesa. La non
v'entra? Neanco a me; ma allora non mi state lì ingrugnata a cantare i
paternostri della bertuccia.--
E adesso, per non riuscire stucchevoli ai lettori, lasciamo Tecla e
Pasquale a finire il loro battibecco, che già volge all'accordo, per
seguire un tratto il Giuliani e Michele.
Il nostro Templario uscì contento come una pasqua dalla bottega del
legnaiuolo; non così Michele, a cui era rimasta una spina nel cuore.
--Maledetta lingua!--diss'egli.--Ho fatto male a lasciarmi sfuggire
quelle parole.
--Perchè?--dimandò il Giuliani.
--Perchè adesso, se quest'altro ci girasse nel manico.... Non si sa
mai....
--E quando pure girasse?
--Ma.... Ella mi capisce. Siccome quei furfanti verranno in cognizione
del tiro di Pasquale, andranno da lui, lo sobilleranno, gli caveranno
il segreto di corpo verranno a sapere che sono stato io....
--E poi?
--E poi.... Gli è vero! non sapranno niente più di quello che già era
scritto in quel foglio.
--Vedete dunque, Michele, che non c'è nulla di guasto. Vi siete fatto
sospettoso, da un pezzo in qua, diffidente come una lepre. E non
eravate mica così nel passato; che anzi....
--Ah, signor Giuliani! chi è stato scottato dall'acqua calda una
volta, ha paura della fredda. E dico questo a mo' di proverbio, che
per verità l'acqua m'è venuta a piacere, d'ingrata che m'era, e il
vino lo assaggio, ma non ne bevo mai più d'un sorso. Quello è un
briccone; ma gli ha finito di giuntarmi, di cavarmi i segreti di
bocca. Veda, signor Giuliani, io mi trovo certe volte a non aprire le
labbra, per timore che m'esca il fiato e vada negli orecchi di quella
brutta gente. Ora, mi scusi, veh! se batto sempre il medesimo chiodo;
ho una paura maledetta che vengano a indovinare....
--E che cosa, di grazia? Che la signorina Maria non poteva esser
dimenticata da Lorenzo Salvani? Che Lorenzo Salvani ci ha degli amici?
Che questi amici lo aiuteranno secondo il poter loro, a render pan per
focaccia? Ben sarebbero scemi d'intelletto, se non lo avessero
argomentato alle prime! Ora, che cosa potrebbero sapere di più? Il
filo che può condurli in questo labirinto s'interrompe qui; essi
avranno sentore d'una insidia, ma senza intendere dove ella sia tesa,
e in che modo. Questo è l'essenziale; ma questo non sapranno di certo.
Noi abbiamo il loro segreto; essi non hanno il nostro. State di buon
animo. Michele; fate il vostro dovere, io farò il mio; il nostro
__Deus ex machina__ farà il suo. E riderà bene chi riderà l'ultimo.
--Non ho ben capito che cosa Ella si voglia dire, colla sua
macchina;--soggiunse Michele;--ma le dico __amen__ dal profondo del
cuore.--


XX.
Nel quale si fa la conoscenza d'un nuovo personaggio, che non giungeva
altrimenti nuovo al Giuliani.

Per intendere la sicurezza del Giuliani, e come e perchè egli si
facesse agevole ogni cosa, egli che aveva dovuto sudar tanto e
stillarsi il cervello, solo per iscoprire un filo di quella trama
tenebrosa che circondava la casa dei Salvani, bisognerà tornare
parecchi giorni indietro, non senza aver prima rammemorato in succinto
le cose fatte dall'animoso Templario, e detta la ragione di certe
altre che sono passate dianzi sotto gli occhi dei lettori benevoli.
Qual parte avessero avuta i Templarii nel discoprimento di quella
macchinazione infernale, è noto. L'ascoso nemico era stato
rintracciato e scovato dal Giuliani, posto in sull'avviso dalle
confessioni di Michele. Il Garasso, l'anello di congiunzione tra casa
Salvani e i suoi coperti assalitori, era stato costretto a parlare, in
quel modo che tutti sanno, a spifferare il nome di Bonaventura
Gallegos, del fiero gesuita, del degno maestro del dottor Collini. La
cassettina d'ebano, innanzi che fosse involata, avea detto per fortuna
i suoi segreti a Lorenzo; e se non s'intendeva ancora per bene che
importanza potesse avere agli occhi del capitano dei neri, già s'era
capito che doveva averne, e non poca. Bonaventura ignorava che quella
cassettina fosse stata aperta; che anzi le confidenze fatte al Bello
dall'imprudente Michele, gli facevano argomentare che nè Lorenzo, nè
altri, ci avesse posto ancor gli occhi. Ora, non pure Lorenzo, ma con
esso lui Aloise di Montalto, l'Assereto e il Giuliani, erano a parte
del segreto, e poterono cavarne quanto bastava per venire in aiuto
alla sventurata Maria.
L'amicizia dell'Assereto e del Giuliani aveva procacciato a Lorenzo e
ad Aloise, involti ambedue nelle trame dei neri, l'alleanza dei
Templarii. Tutti quei rossi, d'ogni levatura e d'ogni ceto, avevano
fatto causa comune; ma il carico delle operazioni molteplici, l'ardua
malleveria del combattimento, strategìa, tattica, logistica, stato
maggiore, armi dotte, tutto perfino l'intendenza militare, era sulle
spalle d'un solo. Il marchese di Montalto, dopo aver detto agli amici
quello che aveva risaputo a caso dai Torre Vivaldi intorno alla nuova
ospite del monastero di San Silvestro, era stato tratto dai suoi fati
sulle orme della marchesa Ginevra; l'aveva seguita da Genova a Parigi,
da Parigi a Vienna, a Monaco, in Isvizzera, stazioni tutte d'un
viaggio che lo conduceva speditamente in rovina. Questo è come dire ai
lettori che l'innamorato Aloise non era un aiuto pe' suoi alleati, e,
già presso al naufragio, doveva aver bisogno di aiuto egli stesso.
L'Assereto aveva già fatto abbastanza, mettendo ogni cosa in mano ai
Templarii; del resto, costretto a guadagnarsi il pane in piazza de'
Banchi e sulle calate del porto, poco poteva aiutare gli amici, e rade
volte andare alla Montalda, per salutare il Salvani. Nè questi, pel
negozio della congiura, poteva muoversi dal suo nascondiglio; lo
avesse anche potuto e voluto, la sua infermità non glielo avrebbe più
consentito. C'era il Pietrasanta, l'allegro, lo spensierato
Pietrasanta, che non s'era mosso da Genova, vogliam dire dai dintorni,
poichè la Giulia Monterosso era in villeggiatura; ma che poteva far
egli? Volevano i suoi cavalli? Li avrebbe anche fatti crepare, per
comodo loro. C'era da dar la scalata al convento? L'impresa,
quantunque gravissima, non gli avrebbe fatto paura. Occorreva denaro?
Ne avrebbe dato, s'intende nella misura della sua borsa e del suo
credito presso la nobilissima classe degli strozzini. Altro aiuto non
c'era a sperare da lui; e ben lo intendeva il Giuliani, rimasto solo a
far disegni di guerra, quasi solo a mandarli ad effetto, poichè non
aveva altri con sè, tranne Michele, suo fidato scudiero.
Ma egli non si sgomentò, il nostro Giuliani: insieme colla malleveria
gli crebbe l'ardimento. Domandava consiglio ai notturni colleghi, ma
solo quando aveva cominciato a fare, e allora otteneva facilmente
quella dispensa che in istile forense è detta sanatoria, e __bill__
d'indennità in istile parlamentare. La sua prima invenzione, dopo
quella felicissima impresa col Bello, fece crollar mestamente il capo
a Lorenzo, quando egli ne fu ragguagliato, come quella che pareva
impossibile, ed anco se fosse stata possibile, menava assai per le
lunghe. Ma le vie lunghe sono spesso le più brevi; e l'esito aveva
dato ragione al Giuliani. Il suo scudiero, posto fin dagli ultimi
giorni di luglio all'assedio, penetrava ai primi di settembre nella
piazza, e non visto vi piantava lo stendardo della lega.
Questa vittoria ne chiamò un'altra assai presto. I lettori rammentano
come Michele celebrasse il suo giorno onomastico, origliando dal buco
d'una toppa il colloquio di Bonaventura col suo degno discepolo. Per
tal modo il Giuliani veniva in chiaro dei disegni dell'inimico, un'ora
dopo ch'erano stati fatti, e fin da quel punto aveva scorto il bisogno
di avvisar la fanciulla della nuova trama che si ordiva contro di lei.
Fin dagli ultimi giorni di giugno ella era stata chiusa, in veste di
postulante, nel monastero di San Silvestro; ma il postulato durava sei
mesi; c'erano adunque ancora tre mesi di tempo, innanzi che ella
riuscisse alle strette del noviziato. Di ciò bastava avvisarla;
tenesse fermo, non si smarrisse d'animo fino al segno d'accettare la
monacazione come un rifugio da quelle orribili nozze che le apprestava
il gesuita; fingesse di accettare la profferta; intanto sapesse che
non era abbandonata, che Lorenzo e gli amici suoi vigilavano,
l'avrebbero ad ogni costo salvata. E questo prometteva il Giuliani con
asseveranza; perchè, ove pure altri spedienti gli avessero fallito,
egli si sarebbe appigliato all'__ultima ratio__ della stampa,
divolgando l'iniquo tentativo, facendo insomma uno scandalo, che
avesse costretto la giustizia a mostrarsi degna del suo nome, aprendo
alla fanciulla le porte del carcere.
Ma innanzi di metter mano agl'ingegni, il nostro Templario volle
indettarsi con Lorenzo Salvani. Quel nuovo tiro di Bonaventura gli
parve tale da non lasciarlo ignorare neanche lo spazio d'un giorno
all'amico; epperò, non potendo più correre quella medesima sera alla
Montalda, fece disegno di andarvi la mattina vegnente. Intanto, memore
del detto d'Apelle: __nulla dies sine linea__, non lasciò passar
quella sera senza provvedimenti. Fin da quando avea saputo esser la
fanciulla nel monastero di San Silvestro, egli s'era industriato a
scoprire chi fossero i laici che per ragion d'uffizio entravano
colassù, e munito di quelle notizie, avea posto subito gli occhi
addosso al gobbo legnaiuolo. Il giorno susseguente. Michele, sotto
colore di certi lavori che voleva allogargli, entrava in dimestichezza
con mastro Pasquale; una settimana dopo erano già amici, andavano
d'accordo come le chiavi e il materozzolo; Michele passava tutti i
giorni un'oretta in bottega di Pasquale; la sera, poi, andavano dal
tavernaio a far la partita a tarocchi; Michele perdeva spesso,
guadagnava di rado; non beveva quasi mai; ma pagava sempre egli il
conto; e Pasquale n'aveva abbastanza. Or dunque, in quella medesima
sera, il Giuliani ordinò a Michele che tastasse il suo uomo;
occorrendo gli promettesse denari a larga mano, ed anco ne
snocciolasse, per averlo più arrendevole. Ma non ci fu bisogno di
tanto; Pasquale si dispose a fargli servizio, dicendogli che della
ricompensa avrebbero parlato a loro agio più tardi.
Questa lieta notizia aveva avuta il Giuliani prima d'andarsene a
letto, e la mattina seguente poteva recarla, insieme coll'altre,
all'amico Salvani.
Erano già suonate le dieci, quando egli giunse al palazzotto dei
Montalto. Affacciatosi appena sul piazzale, che, come i lettori
rammentano, era partito ad aiuole di giardino, e dava il suo
quotidiano tributo di fiori alla tomba della marchesa, gli venne
veduto il vecchio Antonio, intento, secondo il suo costume, a far
qualche cosa, per non istarsene colle mani alla cintola. Fattosi
allora innanzi, gli chiese del suo amico Salvani e del marchese di
Montalto, ch'egli aveva lasciato lassù, l'ultima volta che c'era stato
per salutare l'infermo. Aloise era partito da sei giorni, gli
rispondeva il vecchio servitore; Lorenzo, uscito di convalescenza,
aveva ripigliate le sue consuetudini, ed era per l'appunto da due ore
andato a fare la sua passeggiata pei greppi.
--Andrò dunque a rintracciarlo lassù;--disse il Giuliani, nell'atto di
tornarsene fuori.
--Non vuol fare colazione prima di andare?--gli chiese Antonio, che
conosceva il suo debito di cerimoniere.
--Più tardi, più tardi;--rispose il Giuliani.--Non ho ancora appetito.
--Vuole che l'accompagni?
--No, conosco la strada, se egli è andato al suo solito luogo.
--Oh, il signor Salvani non muta; sempre alla Bricca. Pigli la
viottola della costa, poi volti a diritta....
--Lo so, Antonio, lo so; grazie tante, e a
rivederci.--
Ciò detto e senza aspettare la sberrettata del vecchio gastaldo, il
Giuliani scese il poggio della Montalda, e giunto alla stradicciuola
campestre, tornò a salire su per la costiera, verso quella balza che
era la meta delle gite quotidiane dell'amico. La Bricca era un luogo
veramente selvaggio, la cui orridezza piaceva a Lorenzo, se pure può
dirsi che cosa alcuna gli piacesse, dacchè era uscito fuggiasco da
Genova. Su per quei greppi egli andava in compagnia de' suoi tristi
pensieri, senz'altro viatico che un libro, trascelto nei pochi e
polverosi volumi della Montalda, un vecchio Cicerone nel quale egli
leggeva per la quinta volta le stupende pagine __De Senectute__. Era
l'unico intermezzo ch'egli ponesse nelle sue dolorose meditazioni.
Quel trattatello di vera e sana filosofia, così serenamente
malinconico in quella che era così schiettamente elegante, se per
avventura non gli racconsolava lo spirito, certo lo disviava per