I rossi e i neri, vol. 2 - 07

soporem in Adam: cumque obdormisset, tulit unam de costis eius, et
replevit carnem pro ea__.»
--Tutto benissimo, salvo l'ultima frase!--ripigliò a dire capitan
Dodero.--Il Signore aveva tolta la costa di Adamo ed era lì per farle
quell'uffizio che ci raccontò il Lorenzini, allorquando fu veduto
dalla volpe, che passava a caso da quella parte dell'Eden. Voi sapete
meglio di me che gli animali erano già creati, quel giorno, e
ciascheduno secondo la specie sua.
--Verissimo!--tornò a dire il Giuliani, che era forte di Sacra
Scrittura, come i suoi colleghi del __Cattolico__;--Ed eccovi il testo
che lo dice: «__Et fecit Deus bestias terrae juxta species suas, et
jumenta, et omne reptile terrae in genere suo. Et vidit Deus quod
esset bonum.__»
--Vuoi finirla. Giuliani, col tuo latino?--gridò Marcello Contini.
--Non mio, ma di san Gerolamo; del resto, ho
finito.
--Meno male; ora, continua tu, Dodero, che parli in genovese, come
Iddio comanda.
--E come difatti parlavano Adamo ed Eva, poichè la genovese è la prima
lingua del mondo;--disse gravemente Mauro Dodero, pettinandosi la
barba colle dita, come era suo costume.--Ora torno al racconto. La
volpe adocchiò la costoletta, e, spiccato un salto, vi pose il dente,
come se fosse roba sua, e il Signore non l'avesse tolta all'uomo se
non per farne un presente a lei. Fu per tal guisa, come vedete, la
prima costoletta mangiata a questo mondo.
--E allora?--dimandò il Lorenzini.
--Allora avvenne che messer Domineddio, volendo riavere la costoletta,
sporse la mano per afferrare la volpe; ma siccome la volpe fuggiva,
egli non fece in tempo a pigliarla pel collo, e non agguantò altro di
lei che la coda. E qui, tira lui per un verso, tira quella per
l'altro, accadde che al Signore rimase la coda in mano, e la volpe
sguizzò lontana da lui, portandosi la sua preda tra' denti.
--E allora? io torno a dimandartelo, e allora?
--Allora, messer Domineddio, rimasto con quel negozio in mano,
sorrise, e poichè di riavere il fatto suo non c'era neanche a pensare,
fece in tal guisa i suoi conti:--«Abbiamo già tolta all'uomo una
costa, e a levargliene un'altra gli si potrebbe recar troppo danno.
Ora, poichè non possiamo fare la donna ad immagine dell'uomo,
facciamola ad immagine della volpe». Detto, fatto; il Signore accostò
la coda della volpe alle labbra, soffiò, fece la donna....
--__Et vidit Deus quod esset bonum;__--soggiunse l'impenitente
latinista Giuliani.
--Questo non so;--proseguì capitan Dodero,--la variante non lo dice.
Questo so bene che essa ci chiarisce come e perchè la donna nascesse
molto più astuta dell'uomo, e come il serpente trovasse il terreno già
preparato, quando le entrò del negozio del pomo.
--È grossa, capitano, è grossa!--esclamò l'avvocato Emanuel.
--Che volete, amici? Non l'ho mica inventata io. Ve la racconteranno
tutti i contadini di Quinto, dai quali l'ho raccolta, e che forse
l'avranno avuta dal parroco.
--Fortuna per te, che non ci siano donne ad udirti!--gridò il
Lorenzini, copiando a suo modo una frase del Giuliani.
--Che! in fondo in fondo, possiamo esser d'accordo, poichè tutt'e due
ammettiamo il soffio di Dio. Quanto alle donne, esse potrebbero
risponderci che tra una coda di volpe e una costa d'uomo non c'è poi
quella gran differenza, da doversene dar briga.
--L'uomo è un brutto animale; non l'ho sempre detto io?--gridò il
giornalista.
--Parla per te, Giuliani!--disse di rimando il
Contini.
--Ah sì, scusate, dimenticavo.... l'Apollo del Belvedere,--prosegui il
Giuliani ridendo.--Ma, in fede mia, non avete notato voi altri che
nella specie umana occorre tutto il contrario delle bestie? Tra esse,
nessuna eccettuata, il maschio è più bello della femmina; uccello, ha
più varietà di colori nelle penne, ciuffo e coda più appariscenti;
leone, ha più criniera; tigre, ha più chiazze sul mantello, e va
dicendo. Solo nella nostra specie avviene che la femmina è più bella,
più graziosa ne' suoi contorni, più bianca nella sua carnagione, più
elegante nelle sue movenze, più gradevole insomma a vedersi....
--E a toccarsi;--aggiunse il Contini.
--Sicuro, a toccarsi; e qui, parlo proprio per me!--conchiuse il
Giuliani, tra le risa dell'uditorio.
Il Contini si disponeva a rispondere; ma in quel mentre capitan
Dodero, che era seduto in capo alla tavola, colla faccia rivolta
all'entrata, alzò la mano, in atto di trinciare una benedizione.
--Ah, ecco un renitente!--gridò l'avvocato Emanuel, volgendo gli occhi
all'uscio.
--Il figliuol prodigo!--soggiunse il Lorenzini.--Ammazziamo il vitello
grasso.
--Sul tardi mordono i mùggini!--disse il Giuliani, ripetendo un noto
proverbio genovese, tolto a prestanza dai pescatori.
--Vieni,--cantò Marcello Contini,
Vieni all'amplesso estremo
D'un genitor cadente;
Il giudice supremo
Ti mandi....
--Uno stuzzicadente!--interruppe l'Assereto, che era egli appunto il
nuovo venuto, accolto con tanta gazzarra, dai radunati.--Il verso
cresce, ma tu cali di mezzo tono, e i conti si pareggiano.
--Hai detto la verità, Assereto!--disse il Savioli.--Per te non c'è
più altro in tavola. Chi tardi arriva male alloggia.
--Non ho appetito, io! Sono venuto per salutarvi e ragionare di cose
gravi.... se si può.--


IX.
Dove si chiarisce la bontà del metodo induttivo.

--Se si può!--ripetè capitan Dodero.--Si può sempre, purchè se n'abbia
voglia.
--Anzitutto, bevi!--soggiunse il Contini, mescendogli nel suo
bicchiere.
--Le tue bellezze; grazie!--rispose l'Assereto, accostando il
bicchiere alle labbra.
--E raccontaci che cos'è avvenuto di te,--entrò a dire il
Lorenzini,--che non t'abbiamo più visto da due giorni.
--Lo saprete insieme colle cose gravi per le quali sono venuto
stanotte.
--Ah, gli è vero: parliamone dunque, e subito.
--__Paulo majora canamus!__--disse il Giuliani.--Eccoci ad
ascoltarti.--
Ed egli, e gli altri tutti, si raccolsero nel più profondo silenzio
per udire le cose gravi dell'amico Assereto. Questi non entrò subito
in materia, e, fosse per meglio disporre gli animi a prestargli
attenzione, o fosse per non dipartirsi da certe loro consuetudini di
conversazione, si trattenne in quella vece a fare alcune dimande, in
maniera d'esordio.
--Amici,--diss'egli gravemente,--siamo Templarii?
--Siamo!--risposero parecchi ad una voce.
--E da senno, s'intende, non già per modo di
celia?
--Da senno.
--Deliberati,--proseguì l'Assereto,--ad operar di concerto, ogni
qualvolta uno di noi abbia bisogno degli altri? Pronti a soccorrere i
deboli contro i prepotenti, a sventare i maneggi degli imbroglioni, a
romper le trame dei tristi, quando tornino a danno di noi, o degli
amici nostri?
--Perdio! e lo dimandi?--gridò il Lorenzini.--Pronti deliberati, col
senno e colla mano, in ogni caso, in ogni occorrenza.
--Orbene, qui abbiamo un caso, per l'appunto: il caso di una fanciulla
che è sparita da casa sua, non si sa come, ma certo per opera di
furfanti matricolati, e assai potenti per giunta, poichè i signori di
palazzo Ducale non vogliono darsene briga, certo per tema di scottarsi
le dita.
--Questo è pan pe' tuoi denti!--disse capitan Dodero, volgendosi al
Giuliani.--Due paroline sul giornale, e poi si provino a star
quatti!...
--No!--rispose il giornalista.--L'accusa sul giornale ha da lasciarsi
pei casi disperati. Vediamo in cambio se non si potesse far meglio.--
Il consiglio del Giuliani dovette parer buono, perchè i colleghi di
lui si fecero a chiedere all'Assereto che volesse raccontar loro per
filo e per segno ogni cosa, e stettero ad udirlo con molta attenzione.
L'ottimo Assereto parlò forse mezz'ora, senza essere interrotto,
narrando partitamente e minutamente tutto quel che sapeva; come il suo
e loro amico Salvani avesse avuto mano nei rimescolamenti politici de'
giorni innanzi; come avesse in casa sua una sorella adottiva; come
fosse stato custodito fino a quel tempo in una cassettina d'ebano il
segreto dei natali di lei; come un'apocrifa perquisizione rapisse la
cassettina appunto in quell'ora che il Salvani metteva a repentaglio
la vita e la libertà; come egli, fallito il colpo, si mettesse in
salvo, e come la fanciulla, in quella notte medesima, abbandonasse la
casa, tratta fuori da una dama sconosciuta che era andata a cercarla,
in compagnia d'un vecchio, congiunto, amico, o servitore che fosse.
Queste cose i nostri lettori le sanno, e non occorre ripeterle,
seguendo il filo del racconto di Giorgio Assereto ai Templari. Egli
narrò inoltre del servo Michele; e questo, che i lettori ignorano
tuttavia, faremo di spiegar loro in brevi parole.
Il povero servitore, sapendo anch'egli della congiura e della parte
che ci aveva il padrone, ma non volendo far contro a' suoi comandi con
lasciar sola in casa la giovinetta, segnatamente dopo quel guaio della
perquisizione, per un po' aveva roso il freno, misurando un centinaio
di volte, con passo irrequieto, lo spazio che correva dalla cucina
all'anticamera, e borbottando tra' denti qualche verso delle sue
canzoni spagnuole. In tal guisa passarono due ore, che gli parvero due
secoli; finalmente, non udendo mai nulla, nè una schioppettata, nè un
grido, commosso dalla ansietà della padroncina, ed aggiungendovi la
sua, che non era poca nè lieve, pensò di andar fuori a pigliar lingua
egli stesso, e uscire una volta da tanta inquietudine. E così fece,
consentendolo la signorina Maria, dopo aver pregato una vicina che
volesse andare a farle compagnia, per quella mezz'ora ch'egli sarebbe
rimasto fuori.
Da casa alla piazza Carlo Felice non erano stati che due salti. Ma
giunto in capo al vicolo della Casana, Michele aveva veduto una
compagnia di soldati; e rifatta la sua strada, era andato per le
scorciatoie fino alla Nunziata, Anche laggiù, soldati, carabinieri e
sergenti di polizia; di popolo, niente. Michele ebbe insomma a
confermarsi sempre più nella sua prima opinione, che il colpo fosse
andato fallito. Ma Lorenzo, dov'era? Il nostro veterano volle averne
l'intero; perciò mosse alla volta della Darsena. Ma non era anche
giunto nei pressi di Santa Sabina, che s'imbattè in un popolano suo
conoscente, appunto di quelli che dovevano menar le mani da quelle
parti là, il quale gli diede in poche parole ragguaglio d'ogni cosa;
tutto andato a monte; essi fuggiti in tempo e sparpagliatisi per la
città; il loro comandante uscito prima di loro per andare al quartier
generale; altro più non sapere di lui.
--Per Sant'Antonio!--esclamò Michele, che giurava volentieri nel nome
di quel santo, dopo il combattimento che ne portava il nome laggiù in
America;--il padrone è in salvo.--
E fattosi alquanto più tranquillo, se ne tornava a casa, pigliando la
strada più larga. Passò senza intoppo per via Nuovissima, e giunto al
quadrivio di San Francesco, stette perplesso un istante, se dovesse
proseguire per via Nuova, o discendere dalle Vigne. Quest'ultimo
consiglio la vinse; ma quel momento d'incertezza gli era tornato a
danno, perchè due sergenti di polizia, sbucati di là presso, si fecero
a domandargli con mal garbo dove andasse a quell'ora.
--Non lo so;--rispose asciutto Michele, a cui la vista di que' due
figuri aveva rimescolato nelle vene il suo sangue repubblicano.
--Non lo sapete? Venite con noi!--
Sulle prime, Michele aveva pensato a resistere; anzi, un moto delle
braccia che poteva rassomigliare assai bene ad un pugno, aveva
cominciato a far testimonianza del suo proposito. Ma in quel mezzo
aveva scorto due carabinieri, i quali salivano l'erta, rasentando il
palazzo Brignole, e, posto il caso si fosse liberato dai due sergenti,
gli avrebbero impedito ogni scampo. Però, trattenendo il pugno a mezza
rada, s'era contentato a protestare contro i modi delle guardie, e
aveva finito col dire: orbene, poichè vi piace tanto la mia compagnia,
vengo con voi.
Ed ecco per che modo il nostro Michele, in vece di andare a casa, era
andato a Sant'Andrea, del quale non era punto divoto.
La mattina seguente, il prigioniero era stato interrogato dal giudice.
Avendo imparato a sue spese, nella notte, a tener la lingua a segno,
rispose modestamente esser egli Michele Garaventa, servitore del
signor Salvani, che se ne andava tranquillamente a casa, dopo averne
bevuto un bicchiere, non intendendo nulla di tutto quel subbuglio di
__uomini d'arme__.
Il nome del Salvani non parve facesse alcuna impressione sul giudice.
Le autorità di palazzo Ducale, colte alla sprovveduta in quei giorni,
con tanta roba sulle braccia, molta se ne lasciavano cadere a terra,
senza pensare neanco a raccattarla. D'altra parte il nome del Salvani,
conosciuto per quel che valeva al comando militare, ma salvato dal più
grave pericolo mercè l'amichevole sollecitudine del capitano Nelli di
Rovereto, non era ancora, quella mattina, sulla lista del potere
civile, e non poteva, per conseguenza, esser noto al potere
giudiziario, il quale non aveva tra mani più di una trentina di
popolani, arrestati la più parte a caso, e tutti intesi a dichiarare
che non sapevano nulla.
Tornando a Michele, egli non era uomo da destar sospetto nell'anima
timorata del giudice istruttore, il quale s'impuntò solamente, e più
per consuetudine d'ufficio che non per altra ragione, a chiedergli il
perchè avesse risposto «non lo so» alla domanda delle guardie.
--Mi hanno colto all'impensata;--rispose Michele senza
turbarsi;--avevo anche un po' bevuto, come ho già detto a Vostra
Eccellenza.... Ella sa bene.... il vino impedisce lo __sviluppo delle
sillabe__.... E poi,--proseguì egli, vedendo le labbra del giudice
incresparsi, per trattenere il sorriso,--lo sapeva io, dove andassi?
Non potevo mica sapere che mi avrebbero portato in catorbia!--
Qui il magistrato aveva riso a dirittura, e, la sera di quel giorno
medesimo, il nostro Michele era posto in libertà. Corso a casa, aveva
trovato faccia di legno, come il Montalto, il Pietrasanta e
l'Assereto; però, dopo essere stato un pezzo a grattarsi la pera,
aveva deliberato di andare da quest'ultimo, per chiedergli se sapesse
nulla de' suoi amati padroni.
L'Assereto gli aveva narrato a sua volta tutto quel che sapeva di casa
Salvani. Non gli era molto, per verità. Ma la sparizione della
fanciulla, tanto più notevole in quanto che pareva essere spontanea,
messa a riscontro colla perquisizione, chiarita apocrifa, nella camera
del signor Lorenzo, fece gridar Michele e strapparsi i capegli come un
dannato.
--Sì certo!--andava egli borbottando negli intermezzi delle sue
furie.--Erano venuti soltanto per la cassettina d'ebano, quei
carabinieri di nuovo conio. Ah maledetta lingua!...--
E alle ripetute domande dell'Assereto che instava presso di lui per
avere la spiegazione di quelle parole, il povero servitore aveva
risposto un nome, quello del Bello, che era stato il suo Pilade, e
poteva dirsi con più ragione il suo Giuda. Ma non sarebbe andato
impunito, o non avrebbe avuto il tempo d'impiccarsi da sè, come
l'apostolo del fico; perchè egli, Michele, com'era vero Iddio, l'aveva
a freddare colle sue mani.
L'Assereto, che aveva durato molta fatica a cavargli i suoi sospetti
di bocca, così furente com'era, ne durò un'altra grandissima a
chetarlo. Finalmente (così narrava agli amici) gli aveva ingiunto, per
l'amore dei suoi padroni, di non muoversi di casa, fino al suo
ritorno, aspettando che egli avesse trovato il modo di porsi sulle
tracce della signorina Maria. Questo era l'essenziale; quanto alla
vendetta, sarebbe venuta poi; che intanto la era, giusta il proverbio
de' Côrsi, una vivanda da mangiarsi fredda.
Il racconto dell'Assereto fu ascoltato dagli amici Templarii con una
attenzione che mai la maggiore. E invero, quel tenebroso sviluppo di
casi, quella filatessa di malanni che s'era andata svolgendo così
assiduamente nel breve giro di pochi mesi, e seguendo la legge del
__motus in fine velocior__ su quella giovine coppia fraterna, appariva
tale da far pensare non poco, e da far credere che una possanza
occulta avesse vigilato l'intrigo, condotto lo svolgimento del dramma.
Chi volle andare al fondo di quella evidente macchinazione fu il
giornalista Giuliani, avvezzo per lunga e non lieta consuetudine del
suo ufficio, a scrutare i cuori e le reni, per ogni atto degli uomini
a metter sempre il naso nelle quinte, sul teatro della vita. Se Adamo
fosse stato giornalista, scommettiamo che non avrebbe mangiato così
alla leggiera il pomo della scienza, vogliam dire senza levargli la
buccia, e senza investigarne la polpa, giù giù, fino alle cellette del
torsolo. Epperò il Giuliani, mentre gli amici rimanevano come
trasognati, fu sollecito a cogliere il primo appiglio, per tentare il
suo lavoro a ritroso.
--Il Bello, hai detto? Chi è costui? Sarebbe per avventura un certo
Garasso?
--Sì, il servitore del Salvani me lo ha indicato anche con questo
nome. Lo conosci tu?
--Lo conosco. Molta gente conosco io, e di __diversa mena__, come ha
scritto Dante, pigliando il vocabolo da noi Genovesi. Amici,--proseguì
il Giuliani, voltandosi con piglio solenne ai Templarii,--qui
certamente occorre di far qualche cosa; l'Assereto non ci avrà, spero,
raccontata la sua storia per nulla.
--Sicuro; ma che fare?--dissero gli altri.
--Non lo so ancora, ma fare bisogna. Andiamo innanzi; troveremo,
strada facendo. Conoscete il metodo induttivo?
--Filosofia!--esclamò il Lorenzini.
--Sia pure; l'ha trovato la filosofia, ma è buono dappertutto, come il
prezzemolo. Chi lo ha tolto dal limbo, dove lo avevano cacciato i
dogmatici, non fu propriamente un filosofo, sibbene un gran pittore,
il quale s'intendeva di moltissime cose, Leonardo da Vinci. Un altro,
astronomo e filosofo, Galileo, gli diede forma scientifica; un altro
ancora, che fu un po' di tutto, anche un tristo, Bacone da Verulamio,
ne foggiò una fiaccola, e la portò a rischiarare tutte le ottenebrate
sorgenti dello scibile; noi, Templarii, secondo il nostro bisogno,
facciamone un'arma di combattimento.
--Parli come il Boccadoro; vediamo il tuo metodo alla prova.
--Eccolo. Mettiamo le fondamenta. Perchè questa guerra al Salvani? Che
nemici ha egli, giovine, modesto, quasi oscuro, come è? Lo sai tu,
Assereto?
--Credo non ne abbia alcuno, salvo il Collini, che lo tirò dapprima in
quel suo garbuglio che sapete, e poi, quando egli se ne cavò
valorosamente colle sue mani, gliene volle un mal di morte.
--Il Collini! Non mi basta;--sentenziò il Giuliani.--Costui è un
ambizioso; ma non è, non può essere altri che uno stromento in mano di
più ragguardevoli bricconi.
--D'altri non so, e non credo;--proseguì l'Assereto.--Il mio amico
Lorenzo se ne è vissuto sempre ne' suoi panni, lontano da ogni
briga....
--No, no, il Salvani non c'entra, o c'entra soltanto di sbieco. Qui
bisogna tener d'occhio il segreto domestico, la nascita della sua
sorella adottiva. Non vedete come tutto è riuscito ad un fine? La
perquisizione architettata da questo ignoto avversario, non mira ad
altro che ad agguantare la cassettina d'ebano. Dopo la perquisizione,
viene il tiro alla ragazza. A proposito, come nasce ella?
--Il segreto era appunto nella cassettina, e Lorenzo ne aveva
accennato nella sua lettera al marchese di Montalto.
--Perchè al marchese di Montalto?
--Perchè la fanciulla verrebbe ad essergli congiunta di sangue, come
figlia ad un zio paterno del signor Aloise, che è morto in esilio, or
fanno dodici anni.
--E la madre?
--Non lo so; Lorenzo ne ha letto il nome in un carteggio che era
chiuso nella cassettina, ma non ne ha detto nulla a me, nè al signor
Aloise.
--Bisognerà vederlo, e saper questo nome.
--Sicuro, e questo è anche il disegno del marchese di Montalto, le cui
ricerche si uniranno alle nostre.
--__Viribus unitis!__--disse il Giuliani;--va benissimo. Intanto
sappiamo che qui sotto c'è un vecchio peccato aristocratico, di cui
forse una madre vuol sottrarre le prove, od altri giovarsi per suoi
fini particolari. Questa seconda congettura mi pare anzi la più
ragionevole. C'è troppi congegni in questa trappola che hanno tesa,
troppo sforzo di molle!
--Hai ragione;--soggiunse il Savioli,--ma chi le ha foggiate, queste
molle? e questa trappola, chi l'avrà tesa?
--Oh, pezzi grossi, di certo! Questa gente che invigila una casa e
giunge a risapere d'un cofanetto così gelosamente custodito; questa
gente che sa di lunga mano i negozi del partito, in cui s'è gittato il
Salvani, e conosce così bene il giorno e l'ora di un tentativo
politico da cavarne profitto per sè, mandando lo scatto de' suoi
congegni di conserva collo scoppio della rivolta; questa gente che ci
ha i carabinieri apocrifi a' suoi comandi, e mentre vi maneggia i bari
da carte, i ladri notturni, così facilmente com'io questo bicchiere
vuoto, fa a fidanza con tutte le autorità costituite; questa gente che
ha modo di farvi uscire spontaneamente una virtuosa e severa fanciulla
dalla casa che ama; questa gente, dico io, è schiuma di neri, o ch'io
ho perduto l'ultima oncia di cervello. E chi sarà poi la dama che ha
condotto via la fanciulla?
--Sua madre;--entrò a dire l'avvocato Emanuel.
--Potrebbe darsi, quantunque non lo creda; ad ogni modo, una dama di
misericordia. La pietà è un'ottima bandiera per coprire ogni razza di
merce.
--E i falsi carabinieri?
--Furfanti di tre cotte; gente avvezza al furto con rottura, vecchie
pratiche della eccellentissima Corte, pensionati di Sant'Andrea;
cotesto s'intende a bella prima. A me importa piuttosto indagare chi
li ha guidati; e questi, già lo sapete dai sospetti del servitore, è
quella buona lana del Garasso. E chi conferisce a costui l'ardimento
di mettersi a questa impresa difficile? I pezzi grossi, sempre i pezzi
grossi. Notate infatti: all'udire di quel doppio tiro, che farebbe
rizzar i capegli in testa ad ogni fedel cristiano, la polizia non si
commuove, manda tre gentiluomini da Erode a Pilato....
--Ottimamente!--gridò il Savioli, che non aveva ancor detto la
sua.--Ma tutto ciò non ci chiarisce dove sarà la ragazza.
--Bravo! e dovrò dirtelo io? Ma dopo tutto, perchè no? In una casa
privata, no certo, che sarebbe poco prudente consiglio. E questo mi fa
pensare che la madre non c'entra, o soltanto (scusate la ripetizione)
di sbieco. La madre, che ha cercato di occultare per oltre
diciott'anni il suo peccato, non sarà diventata così audace ad un
tratto. Io mi attengo sempre alla dama di misericordia; e la dama di
misericordia mi chiama alla mente il monastero. La fanciulla è chiusa
in un monastero; metterei la mano sul fuoco. Ho detto.
--E ben detto, Giuliani!--soggiunse capitan
Dodero.
--Al primo avvocato fiscale che tira le cuoia, ti proporremo candidato
a quel ragguardevole uffizio. Ma ora, che si fa?
--Anche questo v'ho a dire? Orbene, mi provo. Due intenti abbiamo;
riavere le carte, e per questo occorre sapere chi le ha; riavere la
fanciulla, e per questo occorre sapere dov'è.
--Torniamo da capo!--disse il Contini.--Saper questo! sapere
quest'altro! Francava la spesa di ragionar tanto!
--Hai finito?--chiese il Giuliani.
--Io sì; e tu hai ancora da cominciare.
--Probabilmente, e tu mi darai una mano, venendo con me alla scoperta
di questo segreto.
--Adesso?
--Subito subito; genovese aguzzo, piglialo caldo.
--Possiamo venire anche noi, se c'è da scoprire qualcosa,--entrò a
dire l'Assereto.
--No; è un negozio delicato; due bastano, uno di più guasterebbe.
--Ma dove andate?--chiese Mauro Dodero.
--Nell'antro del lupo rapace. Hai fede in me. Contini?--proseguì il
Giuliani, volgendosi al compagno che aveva scelto.--Si fa un'impresa
da vecchi Templarii.
--Mi piaci più quando operi, che quando ragioni;--rispose romanamente
il Contini.
--Ingrato! Io t'amo anche quando canti; chi è il migliore, di noi due?
Ma lasciamo le chiacchiere, e mettiamo alla vela.
--Si potrebbe almeno sapere che cosa hai immaginato?--chiese
quell'ostinato di capitan Dodero.
--Ah, gli è il grande arcano; lo saprete tra due ore, se non vi dorrà
di aspettarci.
--Aspetteremo sicuramente!--gridò l'Assereto.--Ma dove?
--Sedetevi a consiglio sulle panche delle cavolaie, qui sulla piazza
di San Domenico; due ore, e siamo da voi.--
In questi discorsi s'erano alzati da tavola e scendevano, per la
scaletta, nella sala a pianterreno. Colaggiù non c'erano più
avventori, e il provvido tavoleggiante aveva già spento tre becchi
della lucerna a gasse, lasciando a mala pena uno spiraglio nel quarto,
per nutrire una scarsa fiammella, alla cui luce azzurrognola si poteva
scorgere l'ostessa, che sonnecchiava dietro il suo banco in mezzo alle
sue mostre di vivande, come un timoniere alla barra, in una notte di
calma.
All'udir scendere quella lieta brigata che la faceva pisolare ogni
notte a quel modo, la povera ostessa aperse gli occhi e mise un
sospiro.
--Sospira per me?--chiese il Contini, accostandosi al banco.
--Sì, per l'appunto;--rispose l'ostessa,--e penso che non vorrei esser
sua moglie per tutto l'oro del mondo.
--E perchè, di grazia?
--Perchè? Ma le par ora, questa, di andare a casa?
--Brava! appunto perchè non ci ho persona ad attendermi sulle celibi
piume. Se sapesse com'è triste a vedersi, il letto d'uno scapolo! Vuol
forse vederne uno?
--Vada là, vada là, buona lana!
--Non vuole? Ha torto. La cosa meriterebbe d'esser
veduta.--
E ridendo a crepapelle, il più matto dei Templarii seguitò l'amico
Giuliani, non senza aver stretto la mano agli altri colleghi e
ricevuti i loro augurii per la magna impresa fantasticata dal
giornalista.
Rimasti in due, tirarono diritto pel vicolo della Casana, e di là fino
a Campetto. S'intende che il Giuliani guidava, e il Contini teneva
dietro, non sapendo ancor nulla dei disegni dell'amico.


X.
Qui si dimostra che, per far la guerra a modo, ci vogliono alleati.

--E adesso mi spiegherai....--diss'egli, fermandosi alla svolta di
Scurreria.
--Certamente, ogni cosa; ma entriamo in questo andito.--E condotto
Marcello nel vano di un portone, il Giuliani si fece a indettarlo
sommessamente di ciò che aveva in animo di tentare.
--Sì, perdinci, stupenda pensata! Tu hai buona lingua; io, non fo per
dire, ho buone braccia, e se ardisce far l'omo, lo concio come va.
Bravo, Giuliani! Ma se lo dicevo io, che mi piaci più quando operi....
--Vuoi sentirti a ripetere che mi piace il tuo canto? Non lo sperare.
Contini! Ma andiamo, che il merlo non ci abbia a sfuggire.--
Abbiamo fede che i lettori discreti non ci chiederanno di condurre la
precisione del racconto fino al segno di spiattellar loro il numero
dell'uscio dove entrarono i nostri due personaggi. Era uno dei tanti
che sono nella via di Scurreria, o di Scutaria, come si diceva cinque
o seicent'anni fa, essendo in quella strada le officine degli scudai.
I due Templarii salirono, coll'aiuto di mezza scatoletta di
fiammiferi, sino al quarto piano, e colà fecero sosta dinanzi a un
uscio di modesta apparenza.
--Ecco il campanello!--disse a mezza voce il Contini, accennando la
corda di lana intrecciata che pendeva, colla sua nappa, lunghesso lo
stipite.
--No;--rispose il Giuliani;--se ella non ha smesso le antiche
consuetudini, questo è il picchio notturno che dovrà farci aprir
l'uscio.--
E mandando gli atti compagni alle parole, bussò quattro volte colle
nocche delle dita sopra uno dei battenti.
Lo strepito di una porta interna che si apriva e il fruscio d'una
veste sul pavimento, annunziarono poco stante che quella maniera di
picchio notturno non aveva punto perduto della sua efficacia. Il
Giuliani si volse con aria di trionfo a guardare il Contini; ma il
Contini non vide quell'atto, perchè appunto allora gittava lungi da sè
per le scale un rimasuglio di fiammifero, che gli scottava le dita.