I rossi e i neri, vol. 1 - 26

--Sì,--soggiunse il Bello,--quando non avevo ancor fatto gli occhi.
Ma, a proposito d'occhi, dov'è il tuo innamorato, ch'io non lo vedo?
--Se li avete ora, cercatevelo! Io non l'ho mica in tasca.--Tra queste
chiacchiere, Maddalena aveva presentato al Bello il vassoio di ottone,
con suvvi il bicchiere e la mezza bottiglia di birra. Allo scoppio del
turacciolo che saltò in aria, parecchi spettatori si volsero, ma tra
quelle facce patibolari, il nostro eroe non riconobbe quella del
Guercio che andava cercando.
--Che non ci fosse!--diss'egli tra sè.--Per solito egli non manca mai.
Ho fatto male a dar la baia a Maddalena.--
Con questo pensiero in capo egli si volse alla femmina, porgendole il
bicchiere con atto di popolesca cortesia.
--Maddalena, bevete.
--Non ho sete, io.
--Bevete, via, non mi tenete il broncio.
--Io non l'ho con nessuno.
--Oh sì, l'avete con me, con un vecchio amico....
--Tutti amici ad un modo, quando mi pagano.
--Orbene, io vi pagherò la mezza per intiera, purchè facciamo la pace.
Suvvia, Maddalena; non vedete che ho fatto per celia? Ditemi, quando
sentiremo le denunzie nella chiesa dei Servi? Il Guercio vi ha pure
promesso di darvi presto l'anello!
--Oh, siete tutti d'una pasta, voi altri uomini! Così non avessi mai
dato retta ad alcuno! Non avrei logorata la mia giovinezza, e sarei
rispettata un pochino di più.
--Non pensate a queste sciocchezze, Maddalena; il Guercio vi vuol
bene. L'altro giorno ancora me lo diceva; se faccio tanto di
guadagnare certi quattrini, vo' metter su casa e sposarmi la Rossa.
--Non li guadagnerà mai,--rispose Maddalena rabbonita,--e non metterà
su casa, e non troverà mai il giorno nè l'ora di mantener le promesse.
--Voi vedete tutto nero; e se egli sapesse che voi ci avete così poca
fede....
--Ohè, da poppa!--tuonò improvvisamente una voce stentorea dalle prime
panche.--Fate silenzio!--
Una risata universale tenne dietro al comando. Maddalena confusa volse
le spalle, e andò a rincantucciarsi sollecita. Il Bello stette fermo,
come se non avessero detto a lui, e poichè non gli era dato saper
nulla di ciò che voleva, si fece a guardare la scena.
L'uditorio quella sera non era contento del Forte in gamba, perchè già
si era al secondo atto, e Barudda e Pippía non avevano ancora mostrato
il grugno. Questi erano tiri non infrequenti dell'accorto impresario,
il quale non amava spendere ogni sera i pregi singolari di quella
artistica coppia, e di tanto in tanto metteva fuori certi drammi, nei
quali Barudda e Pippía non avevano che una particina da nulla. Ma
allora l'uditorio, desideroso più che mai di sentirli, faceva baccano,
e per la sera seguente si era certi di averli in scena dal principio
alla fine del dramma.
Il Bello, come dicemmo, si fece a guardare la scena, dove Filippo II,
vestito con quello sfarzo che i lettori potranno argomentare, stava
dichiarando l'amor suo alla prima donna. La quale, non volendo saperne
di lui, e messa alle strette dalle troppo vivaci espressioni della sua
regia benevolenza, gli diceva:--scostatevi, sire; io sono un'ebrea.
--Un'ebrea!--gridava il re, che odorava il Sant'Uffizio. E non potendo
impallidire, poichè non glielo avrebbe consentito il colore ad olio,
nè la sovrapposta vernice, balzava indietro come uomo che si avveda di
aver posto il piede sulla coda d'un serpe.
Ma l'udienza, che non partecipava agli scrupoli nè alle paure del re,
gli dette apertamente dell'asino.
--E di che diamine avete paura, signor re?--gridava uno degli
spettatori.
--Ve' come gli è sbollita, a quel re!--soggiungeva un altro.
--Ce ne vorrebbe uno che conosco io; e vedere se si tirerebbe indietro
come lui!--
Questi ed altri consimili erano i discorsi; ma quinci e quindi
uscivano, al ricapito del povero Filippo II, altri suoni, che Dante si
sarebbe provato a descrivere con qualche vigorosa terzina, ma che noi
non ardiremo neanche accennare in un periodo di umilissima prosa.
Il monarca di quello Stato su cui non tramontava mai il sole (come fu
detto nello stile cortigiano del suo tempo) faceva intanto la più
trista figura del mondo. Voleva parlare, e le sue parole erano
soffocate dal tumulto popolare. Anche la prima donna era sgomentata, e
agitava le braccia verso la platea, quasi chiedendo, in nome del
rispetto dovuto al bel sesso, un po' di silenzio. Ma sì, altro che
silenzio; la burrasca ingrossava.
--Vada via il re, e venga Barudda!
--Sì, Barudda e Pippía!
--Signori, mi avete già rotte le scatole,--rispose dai cieli del
palcoscenico la voce dell'impresario.
--Le romperemo a te. Forte in gamba,--ribattè dalle prime panche della
platea un'altra voce, che fece rizzar la testa al Bello;--le romperemo
a te, se non ci dai Barudda e Pippía. Quelli sono amici che si può
starli a sentire, perchè non hanno tante fisime, come il tuo re, che
il diavolo lo porti.
--Guercio, un po' di pazienza!--disse il Forte in gamba, senza uscire
dal suo nascondiglio.
--La pazienza l'hanno i frati!
--Bravo! e Barudda, che è frate nel monastero di San Giusto, ha la
pazienza che manca a voi altri. Aspettate che la scena sia nel
convento, e lo vedrete.
--Fatecelo vedere fin d'ora,--interruppe dal suo posto il
Bello,--tanto da assicurarci che non l'avete messo in pegno per pagar
le tasse.
--Sì, benissimo detto, fatecelo vedere!--
Come i lettori intenderanno, l'attenzione dei tumultuanti s'era un
tratto rivolta al nuovo interlocutore. Era ciò ch'egli voleva, poichè
in quella occasione gli occhi, o, per dire più veramente, l'occhio
buono del Guercio si volse a lui e riconobbe l'amico. E l'amico gli
fece un cenno che voleva dire: son qua e mi occorre parlarvi.
Frattanto, a chetare il tumulto comparve Barudda al proscenio, e senza
riguardo alcuno per Filippo II e per la prima donna, salutò l'udienza
con uno dei soliti suoni, per vibrare i quali egli non aveva neppur
bisogno di farsi arco alle labbra col pollice e coll'indice tesi.
Quello era il __quos ego__ di Nettuno ai venti scatenati, e bastò a
ricomporre ogni cosa. Un applauso universale accolse il prediletto
personaggio, che si affacciava alla ribalta in tonaca da frate; poi fu
un silenzio, universale del pari, per starlo ad udire.
Noi non abbiamo la sciocca presunzione di metter qui la predica di
Barudda in tutta la sua nativa energia; che a far tanto ci vorrebbero
molte cose; verbigrazia la facoltà di scrivere in vernacolo, con tutti
i traslati, con tutte le licenze del gergo, con tutte le esorbitanti
libertà del trivio, e la potestà di condire ogni frase coi larghi
partiti dell'armonia imitativa, che è propria alla maschera di
Barudda. I lettori discreti si contentino di un pallido compendio.
--Mascalzoni! screanzati! feccia di furfanti! Non rispettate dunque
più nulla? nemmeno il __Sire__, che si è scomodato pei vostri grugni?
Badate a voi, __buone voglie__, pendagli da forca! Se la va
nell'orecchio all'assessore, vi manda tutti in galera senza processo.
Belle cose, bravissimi! Io me ne stavo tranquillo a dire il
breviario....
--In cantina,--interruppe una voce dalla platea.
--Ah! mangiate la foglia, birbe matricolate? Orbene, sì, stavo a berne
un __nitro__ in cantina, e mi avete fatto perdere il filo del salmo.
--E Pippía?--domandò un altro.
--Pippía sta in cucina, presso i fornelli, a picchiarsi il petto e a
pregare per la dannazione delle anime vostre. Il cuoco ha fatto una
salsa nella quale vorrei cuocervi tutti, quanti siete, figli di
galeotti, nipoti di impiccati, che mastro Nicola abbia presto a darvi
la pedata anche a voi! Mi avete visto, ora? mi avete sentito? Andate
in vostra malora; quando verrà il mio giro, mi vedrete da capo.
__Sire__, Lei continui a dire le sue, e se fanno un'altra volta
baccano, faccia calare il sipario. Addio, dunque, mascalzoni! Vi
voglio bene. Amo meglio i morti che i vivi.
--__Ovvva__!--sclamò una voce dalle quinte, che fu tosto riconosciuto
esser quella del socio Pippía.
Barudda diè fine alla predica con un altro e più romoroso de' suoi
amabili suoni, al quale uno spettatore rispose per tutti: «buon pro'
vi faccia!» e se ne andò pe' fatti suoi.
Così ebbe fine l'episodio, o, come dicono in Parlamento, __fu chiuso
l'incidente__. Intanto il Guercio aveva saltato le panche, ed era
venuto di costa al Garasso, che lo aspettava.
--Oh, eccovi qui, buona lana!--disse il Bello.
--Presente!--rispose l'altro.--Volete che andiamo a bagnarci il becco?
--S'intende. Ho da parlarvi a lungo.
--E anch'io, perdinci!
--Che ve ne pare?--disse il Bello.--Andiamo dalla Piccina? Laggiù ci
si sta come papi.
--No, non ho tempo da perdere. Andremo qui presso, a dare una scorsa
all'Acquasola. Tanto, per me la è tutta strada. E poi, lassù non
avremo cattivi vicini. Che cosa ne dite?--
Il Bello, sulle prime, aveva arricciato il naso a quella proposta del
Guercio. Ma egli aveva anche posto la mano sulla tasca, come per
tastare qualcosa che v'era dentro, e il buon esito della sua ispezione
lo aveva raffidato; però rispose al compagno:
--Come vorrete, amicone. Andiamo all'Acquasola.--Sull'uscio della
stamberga trovarono Maddalena, a cui il Guercio, passando rasente,
diede con garbo popolesco un colpo di spalla.
--Socia, vi saluto.
--Ed io vi contraccambio;--rispose asciutto la femmina.
--Che cosa avete, stasera?--chiese il Guercio, fermandosi sui due
piedi.
--Andate là, che siete un bell'arnese!--disse Maddalena.--Mi avevate
promesso di venire a casa, e andate già coi compagni.
--Nena, vi ho promesso, ma l'uomo propone e il diavolo dispone. Ho una
faccenda per le mani, che mi preme.... e il Bello vi dirà.....
--Sì, sì, il vostro compare bugiardo.... Voi altri uomini vi sapete
spalleggiare come va. Una mano lava l'altra....
--E tuttedue lavano il viso;--soggiunse il Bello ridendo.--State di
buon animo, Maddalena; quando avremo dato sesto alle cose nostre, il
Bastiano vi sposerà, ed io verrò alle nozze.--
Bastiano era il nome del Guercio. Maddalena non rispose altrimenti che
con una crollata di spalle, la quale voleva dire: «se dessi retta a
voi altri, dovrei credere che adesso è giorno chiaro».
I due compari non istettero più oltre a disputare con lei, ed
infilarono le scale. Noi terremo dietro a costoro, poichè da Barudda e
Pippía abbiamo spremuto quel tanto che si poteva, e colla ganza del
Guercio non abbiamo nulla a strigare.


XXXIII.
Nel quale è dimostrato che una ne pensa il ghiotto e un'altra il
tavernaio.

Il Guercio era un coso smilzo smilzo, che parea fatto a posta per
uscir da ogni fesso, a guisa delle lucertole. Aveva la faccia scura e
di poca apparenza, come un fico d'inverno, i capegli neri, ruvidi e
corti, come le poche setole che gli ombreggiavano le labbra sottili.
Il segreto della sua età era custodito dalle membra segaligne assai
meglio che non lo custodiscano alle signore donne i cosmetici, le
polveri e tutte le altre diavolerie che si mettono addosso. Lo
chiamavano il Guercio, perchè nel dialetto genovese dicendosi guercio
non già a chi ha gli occhi torti, ma a chi vede da un solo, egli per
l'appunto ci vedeva solamente dall'occhio destro, e l'altro, il
sinistro, era imperlato d'una maglia bianchiccia, la quale pur troppo
non gli aggiungeva in bellezza quello che gli toglieva in potenza
visiva. Cionondimeno, bisognerà soggiungere che il fratello superstite
gli facesse un doppio servizio, perchè dov'egli adocchiava, le mani
correvano spedite e sicure.
Era questi il peggiore ribaldo che si potesse immaginare. Adolescente,
aveva bazzicato più assai nell'ergastolo che non nelle scuole; per
contro, sapeva leggere, scrivere, e far d'abbaco, poi, come un
provetto ragioniere. Nei ritagli di tempo che gli avanzavano dalle sue
faccende, il Guercio leggeva volentieri, e mai di politica. I suoi
libri prediletti erano i melodrammi del Metastasio, l'__Aristodemo__
del Monti, le favole del Pignotti, e tutti i romanzi pastorali e
cavallereschi che si vendono sui muricciuoli. Tanto per darsi aria di
guadagnare onestamente il suo pane, aveva un mestiere visibile,
innocentissimo, diremo anzi bucolico; faceva il pollaiuolo. Il vino
non gli dispiaceva punto; ma sapeva esser sobrio, come tutti gli
uomini che hanno un alto disegno da proseguire, un gran concetto da
far trionfare sulla terra.
Ma siccome non c'è niente di perfetto in questo basso mondo, così
neanche il Guercio era perfetto, e ci aveva egli pure il suo lato
debole come tutti i figli d'Adamo. Ora il lato debole del Guercio era
il cuore; il cuore che si sentiva palpitare in seno, ogniqualvolta
pensasse (e ciò gli occorreva sovente) ad una modesta casetta sui
Gioghi, dove sarebbero bastati al suo bisogno i più famosi alimenti
bucolici, mele, ballotte e latte rappreso; una casetta, insomma, un
poderetto, nel quale avrebbe potuto ridursi a finire i suoi giorni con
Maddalena; con Maddalena, avvizzita, scaduta, ma che lo aveva amato,
lui Guercio, per la sua smilza persona, non già per i suoi quattrini,
come tante altre; con Maddalena che non chiedeva nulla; con Maddalena
che egli percuoteva talvolta, ma che s'era assuefatto a vedere e ad
amare. Frattanto, aspettando il giorno che l'avrebbe tirata a stare
con sè, stava tranquillamente con lei. La qual cosa non parrà che
faccia un gran divario dall'altra; ma noi raccontiamo le cose come
sono, senza togliere nè aggiungere un ette.
Nel suo mestiere nascosto (del visibile non rileva parlarne) non aveva
ancora fatto roba abbastanza. Da giovine era stato disgraziato, come
abbiam detto, e aveva salutato frequentemente il sole a quadrelli;
oltre di che, non aveva saputo tener conto del fatto suo, se pure è
lecito di chiamar fatto suo il frutto della rapina. Ora egli
s'industriava a guadagnare il tempo perduto, ed aspettava molto da un
certo colpo che a lui e a cinque compagni avesse dato modo di
acciuffar la fortuna.
Ma non ci perdiamo in chiacchiere. I nostri eroi sono giunti presso le
porte degli Archi, e barattando alcune parole di nessun conto, sono
saliti, per l'erta di Santo Stefano, alla spianata dell'Acquasola,
dove non hanno altri testimoni che i radi lampioni a gas confusi tra i
filari delle robinie e dei platani, e non sono turbati da altro rumore
che quello della vasca, il cui largo zampillo canta assiduamente nel
mezzo.
--Eccoci giunti, Garasso!--esclamò il Guercio fermandosi prudentemente
presso la siepe della vasca anzidetta, dove il frastuono dell'acqua
spegneva la sonorità della voce.--Che cosa avete a dirmi di nuovo?
--Di nuovo, nulla; abbiamo da intenderci chiaramente su quello che
sapete. Il colpo è per domani, alle dieci di sera, e bisogna che io
possa contare su voi.
--Non dubitate; il Bastiano è puntuale come il banco Parodi. A
proposito, e voi, come state a memoria?
--Che cosa volete dire? Ho io dimenticato qualcosa?
--Ma.... mi par bene. __I cum quibus__.
--__I cum quibus__ ci sono.
--Sta bene, ma quanti? Io li amo molto, i __cum quibus__!
--Anch'io;--rispose il Bello, ridendo.
--Appunto perchè so che li amate voi pure,--soggiunse il
Guercio,--vorrei vederli e contarli, prima di fare il colpo.
--Non vi fidate di me?--chiese il Bello.
--Sì e no;--rispose Bastiano.--E non credo già di farvi torto. Vedete,
io non mi fido neanche delle mie mani, perchè le conosco, e sto per
dire che se potessero, le ingrate, ruberebbero perfino a chi le
mantiene da trentacinque anni.... salvo errore.
--Quand'è così,--ripigliò il Bello,--non dico altro. Ma vi ho già
raccontato l'altro giorno che l'amico non dà fuori i quattrini se non
a colpo fatto.--
Il Guercio crollò il capo, a queste parole, e messe le labbra in moto
per masticarsi la saliva.
--Che diamine, Bastiano? Voi non ragionate più, ora!--soggiunse il
Garasso.
--Intendiamoci;--rispose l'altro, dopo un po' di silenzio.--Io ci ho
gusto a quel giuoco, e già ve l'ho detto. Indossar l'onorata divisa,
figuratevi! questa fortuna non capiterà mica ogni giorno....
--E notate che non c'è risico;--interruppe il Bello.--Avrete da
vestirvi nella casa medesima, al primo piano, di guisa che non ci sarà
da uscire per via, nè da esser veduti da alcuno. Là, in casa, non
avrete da fare con altri che colla ragazza e col servitore, se pure ci
sarà. E per questa fatica di salire e di scendere, vi buscate mille
lire....
--Ma....--entrò a dire quell'altro, dandogli sulla voce,--e chi mi
guarentisce che il danaro verrà?
--Oh bella! vi guarentirà la cassettina che vi ho detto e che dovrete
portar via dal cassettone. Da una mano sporgerete la cassettina,
dall'altra riceverete le mille lire. E notate che il cofanetto,
sebbene non contenga nessuna cosa di prezzo per voi, potrebbe
inuzzolirvi; ma noi non abbiamo tante paure, ci fidiamo di voi.
--Grazie!--rispose il Guercio ironicamente.--Dunque, dicevamo, duemila
lire?'
--Che duemila? Volevate dir mille....
--Scusate, avevo inteso duemila. E siccome sono un po' duro di
comprendonio, così, quando una cosa m'è entrata in testa, non c'è più
verso a cavarnela. Ora io ho inteso duemila, e, duro come sono, non mi
voglio dar torto.
--Lo avete, Bastiano;--ripigliò il Bello.--Queste cose bisognava
dirmele subito, quando mi sono aperto con voi. Ho combinato per mille,
e come volete che torniamo da capo?
--Siamo sei, Garasso, non lo dimenticate. Inoltre, perdiamo una
giornata di lavoro....
--O che? Sareste uomo da voler fare le parti giuste?
--Come voi, Garasso, come voi!--ribattè il Guercio, ghignando.
--Sentite, Bastiano;--disse il Bello, facendo le mostre di non averlo
udito.--Facciamo un po' d'abbaco.
--È il mio passatempo! facciamo d'abbaco.
--Mille lire,--proseguì il Bello,--divise per sei, quanto danno?
--Ho già fatto questo conto più volte,--rispose il Guercio
gravemente,--e mi torna sempre centosessantasei lire, sessantasei
centesimi, e il resto divisibile all'infinito.
--Male, male! e dove avete lasciato le regole della nuova divisione?
--Della nuova?
--Cioè, nuova no, ma diversa! parlo di quella d'Arlecchino.
--E come divideva Arlecchino?
--Eccovi qui; faceva tanti mucchietti, l'uno daccanto all'altro e
contava: questo a me--questo a te--questo a me. Poi si fermava e
tornava a contare: questo a me--questo a te--questo a me; poi....
--Basta, basta, ho capito. Ma anche col vostro conto, io non piglierei
più di cinquecento lire. Ora nella mia aritmetica c'è scritto che io
debba intascare mille lire, innanzi di mettere le altre mille in
divisione. Voi vedete che Arlecchino a petto mio, può mettersi la sua
aritmetica in tasca. Volete che vi parli da avvocato? Qui c'è un
contratto bilaterale; voi vi servite di me, io mi servo di voi.
Ragioniamo dunque di duemila lire; la base più larga fa l'edifizio più
saldo.
--Non si può;--disse il Bello, che difendeva la sua preda coll'unghie
e coi denti;--ho sempre parlato di mille lire, e su mille siamo
rimasti. Che cosa direbbe l'amico de' fatti miei, se gli barattassi le
carte in tavola?
--Oh, se non c'è che questo di rotto, mio buon Garasso, ve l'accomodo
io!--rispose il Guercio.--Ci ho tutto quello che fa al caso vostro.
--Che cosa?--domandò il Bello, tremando. Gli spedienti del Guercio lo
facevano sudar freddo.
--Fatemi parlare col principale, e lo capacito io. Eccellenza, gli
dico, il Bello non ci ha colpa; sono io, io, il furfante, che dimando
le duemila lire. Non mi ero legato nè per mille, nè per cento; mi dia
quello che mi occorre, e la servo da buon compare. Sono un galantuomo:
il Bello potrà farne testimonianza, e dirle che quando il Guercio ha
promesso di fare una cosa, venisse anco il Padre eterno a
scongiurarlo, a caricarlo d'oro, sta fermo come un muro maestro. Fede
per fede, e qua le duemila lire! Che ve ne pare, collega? non sarebbe
un parlar bene?
--Voi capirete che non si può,--disse il Bello, nicchiando;--il
principale ha le sue buone ragioni per non darsi a riconoscere.
--Ed altri,--disse il Guercio di rimando,--ci ha le sue per non darmi
che la metà.
--Guercio!
--Ohe!
--Voi non ricordate più che io ci ho tanto da farvi andare in galera.
--Accompagnandomi, s'intende!--soggiunse prontamente il briccone.--Ah!
il micio mette fuori le unghie? Bravo! questa è l'amicizia? alla
larga! Ma voi dovreste sapere, Garasso, che io vi conosco, e a me non
l'appioppate di certo. E conoscendovi, ho fatto tra me questo
discorso: egli mi offre, per conto d'altri, una lasagna bianca, mille
lire. Quant'altre ne sgraffia? Altrettante. Vedete che sono modesto
nei calcoli, e forse, chi sa? vi faccio anche onore a credervi meno
ladro di quello che sarete. Io sono un galantuomo; potrei sincerarmi
del fatto, che forse avrete già il metallo in saccoccia; ma non lo
voglio.--
In questo dire il Guercio fece balenare la lama di un coltellaccio che
aveva cavato fuori pian piano.
--V'ingannereste, Guercio,--rispose il Bello, balzando rapidamente un
passo indietro,--io non ho in tasca altro metallo che questo.... a
doppio scatto.--
E trasse fuori, appuntandone le sei canne giranti di acciaio al petto
del Guercio, una di quelle rivoltine inglesi che paiono fatte per
capire nel pugno.
Il Guercio non si mosse, ne altrimenti mostrò di esser turbato, o
maravigliato, da quella novità. Sorrise, in cambio, e disse
placidamente al Garasso:
--Ah, ah! la carezzavate tanto, venendo quassù, che finalmente non
avete potuto tenervi dal mostrarla agli amici! È belloccia, in fede
mia, ma troppo chiassosa. Credete a me; voi non siete altro che un
principiante. Arma bianca, arma buona; non fa strepito, ma buco.
--Sarà,--notò il Bello, senza riporre l'arnese,--ma confessate che
questa fa buon servizio, quando s'è disposti a risicare ogni cosa.
--Perchè risicare?--proseguì l'altro.--Io, per esempio, senza risicar
nulla, con un po' di nero sul bianco, vi mando il negozio in malora.
--Che cosa intendete di dire?
--Intendami chi può, che m'intend'io.
--Siete un furfante di tre cotte.
--Come voi, Garasso, come voi, e non per niente ho imparato a
scrivere. Buona notte, dunque, e chi avrà miglior filo farà miglior
tela.
--Ve n'andate?--chiese il Bello confuso.
--Oh bella! se m'interrompete quando parlo.... Orvia, capisco che qui
s'ha da fare la pace. Ripigliamo il discorso dove l'avevamo lasciato.
Noi dunque dicevamo due mila lire.--
Il Bello mise un lungo sospiro, che fu un ultimo vale a quella lasagna
bianca (stile del Guercio) che voleva mettersi in tasca.
--Bisognerà passare per dove volete voi!--soggiunse egli.--Non siete
un amico.
--Anche gli innocenti vanno alla forca!--rispose il Guercio con aria
di compunzione.--Io non sono vostro amico? E quando mi avete voi mai
veduto mancare alle promesse? Non vi buscate la miglior parte nei
guadagni che faccio? Mi servo io d'altri, per rivendere quel che ho
comprato.... coi miei sudori? Andate là, siete un ingrato, e
meritereste che non vi volessi più bene.
--Sì, datemi per giunta la baia! Io frattanto dovrò far come l'asino,
che porta il vino e beve l'acqua.
--Oh, questo non sarà detto mai, fino a tanto che ci sarò
io;--ripigliò il Guercio sul medesimo metro.--Andiamo subito a bere, e
sia del migliore che ci ha la Piccina.
--No, grazie, ora non bevo più. A domani, dunque?
--Alle nove sarò coi colleghi al ritrovo; e voi colle due lasagne....
--A colpo fatto.
--Sta bene; se no, vi ammanettiamo come un cane, e vi portiamo in
caserma.--
Con queste ed altre ciarle di minor conto, i due compari si
accomiatarono scambievolmente. Il Bello rifece i suoi passi verso
Santo Stefano, bestemmiando in cuor suo il destino che gli guastava
tutti i suoi conti, e lo faceva rimanere colle sole cinquecento lire a
lui promesse, come suo beveraggio, dal padre Bonaventura. Ma egli
aveva peccato di ghiottoneria, e ben gli stava doverla pagar cara.
Già, il proverbio l'ha posto in sodo: una ne pensa il ghiotto e
l'altra il tavernaio.
Il Guercio se ne andò dal canto suo, zufolando, verso la Villetta Di
Negro. La notte buia, a cagione delle nuvole addensate nell'aria, le
quali impedivano alla luna di mostrar le corna, come pure avrebbe
dovuto, essendo ella allora ai cominciamenti del primo suo quarto. Ma
di ciò non si dava pensiero il Guercio, che conosceva la strada, e che
ci vedeva da un occhio, al buio, come gli altri, al chiaro, con tutti
e due.
Quello che non vedeva, nè sapeva, era l'ora; imperocchè, tra per lo
svago del teatro e il lungo conversare fatto col Bello, egli non
veniva più a capo di misurare il tempo perduto.
--Che ora sarà?--andava egli pensando, in quella che infilava il ponte
davanti al Teatro Diurno, per salire verso i Cappuccini.--Non ho
nemmeno la __cipolla__ in tasca. Se passa qualcheduno, vo' pigliarne
una ad imprestito.--
Cipolla (i lettori l'avranno già argomentato) nella lingua furbesca, è
sinonimo di orologio.
Giunto colà, dove il bastione della Villetta svolta sulla salita delle
Battistine, il nostro eroe udì un mutar frettoloso di passi che
venivano in su, e insieme coi passi, alcuni sbrendoli d'una romanza da
teatro.
--To'--disse il Guercio,--il cacio sui maccheroni! E come canta col
tremolo, il signorino!--
Il viandante, che era già a mezza salita, cantava per modo da lasciare
intendere com'egli avesse bisogno di compagnia. Veniva su, a passi
brevi ma veloci, belando in falsetto una melodia del __Trovatore__.
--Ah.... che la mor....te o....gnor
È.... tar....da nel ve....nir....--
Intanto il Guercio non era stato tardo a scendere e a mettersi in
agguato a piè del bastione. E il viandante, già vicino al luogo
dov'egli era nascosto nell'ombra, continuava:
--A.... chi de....sia
A chi de....sia mo....o....rir
Leono....ra add....io add....i....o.
--Che bel tremolo!--disse il Guercio in cuor suo.--Se ti sente
l'impresario Sanguineti, hai fatta la tua fortuna!--
E come il viandante gli fu giunto a pari, il nostro eroe si spiccò dal
muro.
L'altro vide quell'ombra nera e trasaltò; fu per voltar le calcagna,
ma il sangue gli si era gelato nelle vene, e le gambe gli ricusarono
il loro ufficio.
--Niente paura, signor tenore!--disse il Guercio.--Sono un povero
diavolo....
--Che cosa volete?--dimandò l'altro, più morto che vivo.
--Scusi, lustrissimo; vorrei sapere che ora è.
--Io non so.... saranno le undici.... cioè, le dieci.... a un
dipresso....
--Vo' saper l'ora precisa, io, perchè ho da mettere l'orologio a
segno. Via, non si scomodi, farò io.--
Così dicendo, gli aveva già posto le mani al panciotto; e quelle mani,
sicure del fatto loro, non pure avevano cavato fuori l'orologio dal
taschino, ma spiccata ancora la catenella dall'occhiello.
--Ah, vedo che bisognerà aprirlo, perchè ci ha il coperchio d'oro.
Basta, non ho tempo; vedrò poi,--proseguì il furfante, riponendo in
una tasca dei suoi calzoni orologio e catenella.--Trecento lire
dell'orologio, e forse cencinquanta del resto; sono dunque
quattrocento cinquanta lire che io metto in salvo per Lei. O come
porta di questi arnesi addosso, dovendo star fuori di notte?
--Ma voi....--si provò a dire il derubato.
Silenzio, se no ti faccio freddo!--interruppe il Guercio, mostrandogli,
uscito a mezzo fuor della manica, il suo coltellaccio.--Tu non hai cura
del tuo metallo, e il primo mascalzone che passa potrebbe rubartelo.
Dammi il portamonete, il borsellino, o quel diavolo che sarà. Te lo
custodirò io.
--E accompagnando gli atti colle parole, mezzo si fe' dare mezzo si
pigliò colle sue mani, il portamonete del malcapitato.
--Benone! E adesso, ara diritto, senza voltarti indietro.--
Quell'altro non se lo fece dire due volte, e pigliò l'abbrivo,
parendogli d'uscirne a buon patto. Ma, per quanto si fosse affrettato