I rossi e i neri, vol. 1 - 15

--So quello che dico. E prima che io perda a dirittura la bussola,
voglio dirvene una, col cuore in mano. Ma sapete, Garasso, che voi
siete un vero amico? Quando dicevano che di voi non c'era da
fidarsene!--
Il Bello si turbò fortemente a quelle parole; ma Michele, già alticcio
com'era, sebbene non avesse bevuto i venti bicchieri che diceva, non
si addiede punto del senso che le sue parole avevano fatto sul
compagno.
--Chi ha detto ciò?--proruppe il Bello, aggrottando le ciglia.
--Non date retta;--si affrettò a dire Michele, battendo amorevolmente
della mano sul braccio del Bello;--non date retta! sono i soliti
invidiosi; perchè vi vedono scialarla nella bucolica e andar vestito
come un signore.--
Il Bello respirò, e tanto più largamente, quanto più forte ed
improvviso era stato il timore che alcuna delle sue malizie fosse
trapelata.
--A dirvela schietta. Michele,--rispose egli allora,--io non giudico
gli uomini dai cenci che hanno dattorno, come è costume dei cani.
Sotto le vecchie ciarpe c'è quasi sempre un uomo dabbene....
--Certo!--interruppe Michele.--Bandiera vecchia fa buon brodo....
Cioè, piglio un granchio a secco; volevo dire gallina vecchia onor di
capitano.
--Che guazzabuglio fate voi ora?
--No, non volevo dire nemmeno cotesto. Ma dove diamine ho il capo?
Insomma, dicevamo che i cenci....
--Sono rispettabili, Michele mio;--ripigliò il Bello,--ma i cenci
vanno a finire a Voltri nelle cartiere; e quando si può farne senza,
non intendo il perchè non s'abbia a vestir pulito ed avere i buoni
bocconi in quel concetto che si meritano. Spendo forse qualcosa
d'altri? Oh, Michele, guardate un po'! La vita politica è piena di
amarezze. Coloro che vi gridano la croce addosso saranno poi certuni
per i quali vi sarete cavato, sto per dire, la camicia!...
--Può darsi anche questo!--rispose Michele.--Costoro vi pettinavano
con le unghie, ed aggiungevano ancora, come un grosso delitto, che
andavate a giuocare nelle bische. Ma io v'ho difeso, veh! Ce ne va
tanti a sdanaiarsi in que' luoghi, senza che s'abbia a dirne corna! È
un guaio, lo so; ma alla stretta de' conti non è la morte Domini.
--E poi, giuoco così poco!--soggiunse il Bello,--Non si sa che fare,
in queste lunghe serate. I compagni vi tirano, e voi sapete che in
compagnia anco il prete prende moglie. Ma vi so dir io che non mi ci
colgono più, dopo che m'hanno strinato in modo da non poter più fare
servizio a un amico come voi!
--Garasso, sentite una cosa!--disse Michele.--Oramai vi ho conosciuto;
e chi ardirà sfringuellare sui fatti vostri l'avrà a fare con me.
Michele, il veterano, il legionario d'America, si sente ancora in
gambe, come a venticinque anni, e giurammio?...
--Proviamole dunque un tantino, le vostre gambe!--soggiunse il Bello,
levandosi da sedere.--È ora di andarcene.
--E perchè mo'?
--Non vedete? Si chiude la bettola. È già il tocco dopo la mezzanotte,
e se passano i sergenti della Questura, pigliano l'ostessa in
contravvenzione ai regolamenti.
--Peccato!--rispose Michele, senza muoversi ancora.--Si stava così
bene! Maledetti regolamenti! Ma che cosa ha da farsene la Questura,
che la gente ne beva un gotto di più? La si occupi dei ladri, lei, e
lasci stare i galantuomini a far la digestione!
--I sergenti della Questura,--disse il Bello,--vogliono andarsene a
dormire, e bisogna pure contentarli.
--Ah, quando è così, non parlo più. Un ultimo bicchiere almeno, alla
salute di Oreste e Come diamine si chiama quell'altro?
--Pilade.
--Sì, alla salute di Oreste e Pilade. Benedetto vino! L'ultima goccia
è sempre migliore della prima. Basta, leviamo la seduta; ed ora vi
farò vedere come vado ritto al banco della padrona.--
Ciò detto, il nostro Michele si mosse; ma per quanto si studiasse di
tenersi ritto, le gambe, che forse si erano avvedute di un peso
soverchio, lo portavano a sghimbescio contro la parete.
--Ah! Michele! Giuochiamo forse a mosca cieca? Badate al muro.
--Avete ragione; le gambe mi fanno fico. Per fortuna la testa è salda.
--Venite qua a braccetto; Oreste e Pilade non usavano fare diverso in
simili casi.
--Credete? Allora son qua. E a proposito abbiamo pagato il conto?
--Non ve ne date pensiero; qui faccio a credenza.
E così, tolto Michele a braccetto, il Bello lo condusse all'aria
aperta; nè ebbe a sudar poco per metterlo all'uscio di casa.
--Bravo Garasso! ottimo amico!--andava balbettando Michele.--Non so
che diamine io ci abbia nelle gambe, che non vogliono star ritte. Ma
tant'è, vi voglio bene. Siamo Oreste e.... aiutatemi a direi Questo
benedetto nome non vuole mai venirmi in mente. Oreste e.... Oreste
e....
--E pilastro!--soggiunse ridendo il Bello.--Eccovi infatti a casa
vostra.
--Sì, è proprio casa mia! Cioè.... di mastro Ceretti. Se fosse mia,
l'avrei già venduta.... per pagar la pigione.... Ma, a proposito, e
quella faccenda?... Mi avete promesso.... Sapete pure!...
--Non dubitate. Domattina andrò dall'amico. Alle due vi aspetto sotto
i portici del teatro Carlo Felice, per darvi la risposta. Andate
dunque, da bravo!
--Sotto i portici?... Sta bene;--proseguì Michele con quella
cascaggine di discorso e di gesti che è propria degli ubbriachi.--Vi
aspetterò sotto i portici, accanto al primo pilastro. Pilastro! A
proposito. Oreste e Pilastro, non è egli vero? Pilastro, sicuro; amici
come Oreste e Pilastro. Bravo Garasso! Vi voglio un gran bene.--
Al Bello ci volle di molto per liberarsi dalle strette di Michele; e
certo, se non era il ricordo di tutte le cose che gli aveva cavate di
bocca e la speranza di cavargliene ancora, quello squassaforche
avrebbe perduto la pazienza e avrebbe mandato il suo Pilade a quel
paese.
--Andate, suvvia, andate, e soprattutto badate a non dar del naso per
le scale. Tenetevi al muro!
--Oh, non dubitate. Non sono mica ubbriaco, io. Ho le gambe un pochino
impacciate.... ma la testa è salda, la testa! Bravo Garasso! Amicone!
Buona notte, e il cielo vi guardi dalle cattive disgrazie.
--Sì, state sano; buona notte!--
E così dicendo, il Garasso, per non aver più tempo a perdere con
Michele, se ne andò via difilato verso Soziglia.
Michele si provò a dargli ancora la buona notte; ma, non udendo
risposta, si inerpicò al buio fino all'ultimo piano; viaggio che durò
una buona mezz'ora, con tutte le fermate, con tutte le peripezie dei
viaggi, e con un monologo scucito per giunta alla derrata.
Come fu all'ultimo piano, il nostro Michele trovò faccia di Legno.
Stette un po' come smemorato, ora tastando l'uscio per cercare la
corda del campanello, che pure ci aveva ad essere, ora le tasche della
giubba, per cercare la chiave, che non c'era per fermo; finalmente,
traendo una giustissima conseguenza da due premesse ignote, uscì in
queste parole:
--Non c'è che dire; sono un po' brillo.--
Dalla confessione alla penitenza non c'era altro che un passo. E
Michele, per fare la penitenza, si lasciò andare sul pavimento, si
accoccolò alla meglio col capo sulla soglia di casa, e non passarono
cinque minuti che egli aveva già legato l'asino a buona caviglia.


XXI.
La dimani d'una brutta giornata.

Ognuno s'immagina come avesse a stare delle membra e dell'animo il
nostro Michele la mattina vegnente.
Soltanto il cane, quando ne ha fatto qualcheduna delle sue e nella sua
testolina da bestia più ragionevole di tante altre accorgendosi di
aver meritate le busse, mette la coda fra le gambe e non trova un
angolo abbastanza buio per nascondersi, soltanto il cane, diciamo,
potrebbe darci un'immagine di quello che fu il povero veterano
d'America, quando i primi raggi del sole furono venuti a svegliarlo.
Intirizzito dal freddo, indolenzito per tutte le giunture, si alzò sui
gomiti e, guardatosi dattorno, si avvide di aver dormito sul
pianerottolo di casa. Sulle prime non voleva aggiustar fede a' suoi
occhi; però, credendo di sognare, se li stropicciò più e più volte con
le ruvide dita. Ma non c'era verso che lo spettacolo mutasse: egli era
proprio sul pianerottolo, e lì presso al suo capo era l'uscio di casa.
--Che diamine!...--esclamò egli allora, cercando di richiamare i suoi
pensieri a capitolo, come tanti canonici.
E i pensieri vennero, e il nostro Michele allora si risovvenne di
tutto, e perfino della corda del campanello ch'egli aveva inutilmente
cercata.
Corda del malanno! Essa era là, pendente dalla girella, con le sue
fila di lana intrecciata, colla sua nappa in fondo, grazioso lavoro
della signorina Maria, e pareva beffarsi del povero Michele.
Egli la guardò un pezzo, come trasognato, e stropicciandosi gli occhi
da capo, disse tra sè, ma a voce alta e con piglio malinconico:
--Dovevo esser proprio ubbriaco fradicio, per non ritrovarla!--
Michele era di buon conto a stomaco digiuno, e chiamava le cose pel
loro nome, senza rigiri o dimezzature. La sera innanzi ammetteva di
essere un po' brillo; ma la mattina dopo diceva apertamente: ubbriaco,
mettendoci anche di costa l'epiteto.
--E adesso come si fa ad entrare?--seguitò egli a dire.
--Che cosa penseranno de' fatti miei?--
La vergogna di Michele era grande; e fu più grande ancora, quando gli
risovvenne di tutti i discorsi fatti col Bello nell'osteria __degli
Amici__.
Le sue ciarle e le faccende domestiche spiattellate al Garasso, non
gli parevano la cosa più bella del mondo. Egli non sapeva perchè, ma
in fondo al cuore gli doleva di aver detto tanto, e, come dicono a
Genova, gli prudeva la coscienza.
--Alle strette,--disse egli, dopo aver meditato un pezzo,--ho parlato
a fin di bene. Il Bello è dei nostri, sta come pane e cacio con tutti
gli amici, e pel signor Lorenzo si butterebbe nel fuoco. Che male c'è
a dirgli come stanno le cose? Oggi intanto avrò i denari della
pigione. To', se non avessi cantato, i fringuelli non sarebbero
calati.--
I fringuelli di Michele erano quelle dugento lire che aspettava dal
Bello. Questo pensiero gli rimesse il sangue nelle vene; ond'egli si
fece animo a tirare, sebbene dolcemente, la corda del campanello.
Poco stante un leggiero mutar di passi e il fruscìo di una gonna lo
avvisarono dell'avvicinarsi della signorina Maria. La chiave girò
adagino, adagino nella toppa e, apertosi l'uscio, comparve la
giovinetta che teneva un dito sulle labbra, per fargli cenno che non
parlasse troppo forte.
--Siete voi, Michele?--bisbigliò la fanciulla.
--Oh, signorina!--rispose egli, arrossendo.
--Zitto, zitto, per carità, che Lorenzo non v'abbia a sentire!--
Così dicendo. Maria fece entrare il servitore e richiuse l'uscio con
le stesse precauzioni: poi precedette Michele, camminando sulla punta
dei piedi, fino all'andito della cucina.
--Orbene, Michele,--disse ella, come furono giunti,--dove siete andato
stanotte?
--Oh, signorina!--rispose tutto turbato il nostro Michele.--La mi
perdoni.... Anzi no, la mi bastoni, che lo merito. Un amico....
--Vi ha fatto passar la notte fuori,--soggiunse la fanciulla, per
compire la frase.
--Oh no, la notte fuori. Ho dormito sul pianerottolo.
--Bravo! E perchè non avete suonato?
--Non ho ardito.... anzi, a dirla schietta, non ho potuto. Ho cercato
un pezzo la corda del campanello, e non ne sono venuto a capo. Ero un
po'.... mi capisce?
--Sì, vi capisco. Andatevene a letto, povero Michele. Lorenzo non si è
avveduto di nulla.
--Andate a letto? No, certo, padroncina. Ho da andare per la spesa.
--Che! avete tempo più tardi, e busserò io all'uscio per risvegliarvi
tra un paio d'ore. Andate, Michele, da bravo! Avete gli occhi così
gonfi!--
Michele, tra spinte e sponte, se ne andò su per la scaletta fino al
soppalco del tetto, dov'era la sua cameruccia, e si pose a letto. Ma
non gli venne fatto di prender sonno. Il rammarico di avere alzato un
po' troppo il gomito, il rimorso di aver chiacchierato e l'ansietà di
andare al convegno del Bello per le dugento lire, non gli lasciarono
chiuder occhio.
Però egli udì Lorenzo alzarsi dal letto, e più tardi uscire di casa.
Suonavano appunto le dieci all'orologio delle Vigne. Allora egli, che,
se non aveva dormito, s'era almeno levato il freddo dalle ossa, balzò
dal letto a sua volta, e volle uscire per la spesa consueta.
La padroncina era più contenta quando egli discese, e si fece anzi a
dargli cortesemente la baia per la sua scappatella notturna; la qual
cosa gli parve di buon augurio e gli fece andar fuori del capo tutta
la malinconia.
--Rida, rida, la mia buona padroncina!--diceva egli in cuor suo.--Ella
sarà due volte più allegra quando tornerò a casa coi denari della
pigione, e li snocciolerò sulla tavola. Ma che dico sulla tavola? O
non sarebbe meglio portarli a dirittura giù a quel brutto muso del
padrone di casa? Gli ha già sentito il peso delle mie dieci dita, e
non sarà forse male che io gli metta fuori un marenghino per dito, a
mo' di consolazione. Sì, certo, farò così; se non gli garba, mi
rincari il fitto, che intanto non s'ha voglia di rimanerci molto,
nella sua casa!--
Questi pensieri lo tennero in aria fino alle due dopo il mezzodì. Era
quella, se i lettori rammentano, l'ora del ritrovo col Bello; e il
nostro Michele, per non far aspettare l'amico, s'era andato ad
appostare mezz'ora prima sotto i portici del teatro Carlo Felice.
Ma aspetta, aspetta, il Bello non veniva. Michele ad ogni tratto si
affacciava alla invetriata della bottega da caffè del Teatro per
misurare sull'orologio, che era presso il banco della padrona, il
cammino del vecchio alato che ha la falce e la clessidra in mano. Il
tempo passava; erano già le due e un quarto, e l'amico non si vedeva
spuntare da nessun lato.
Aspettare e non venire è una cosa da morire; così dice il proverbio.
Ora, se Michele non moriva, certo era in agonia, e se non mandava pel
prete, si votava per contro a tutti i diavoli dell'inferno. Vennero le
due e mezzo, ed egli era ancora a recitare sotto i portici il
paternostro della bertuccia. Ma allora andò fuori dei gangheri, e dopo
aver dubitato dell'amicizia in genere e perfino di quella
esemplarissima di Oreste e.... e aiutatelo a dire, si mosse per
tornarsene a casa. Se egli avesse saputo dove stava di casa il Bello,
sarebbe andato a cercarlo; ma non sapendone nulla, pensava di
ricattarsi la sera in qualche sala da biliardo, o in qualche osteria,
dove bazzicava l'amico.
Il nostro Michele non si sarebbe doluto tanto di non vedere il Bello,
se avesse saputo perchè la sua padroncina era contenta, quando egli
s'era alzato da letto.
Abbiamo narrato nel capitolo precedente che Lorenzo Salvani, uscendo
di casa, era andato a' Banchi per salutare l'Assereto. Quello non era
un amico dei soliti, un amico del buon tempo, e Lorenzo poteva dire di
lui come Beatrice di Dante: «__l'amico mio e non della ventura__».
L'Assereto aveva notata la tristezza di Lorenzo, e lo aveva tanto
incalzato di affettuose domande, che questi gliene aveva detta
finalmente la cagione.
L'amico non era ricco; ci correva anzi di molto! Sudava le intiere
giornate per tirarla innanzi onestamente, e non aveva i gruzzoli di
monete, da far comodo altrui. Ma egli era, come i lettori sanno, un
ottimo giovanotto ed aveva molti e schietti amici, in quella classe
dove abbondano gli onest'uomini, i cuori larghi tanto, sebbene il nome
di mercatanti, di gente da traffichi, sia quasi tolto in mala parte
dagli ignari delle costumanze del mondo.
Ad uno di questi amici pensò l'Assereto di chiedere a prestanza il
denaro che poteva occorrere a Lorenzo, e frattanto lo confortò a star
di buon animo, che la mattina vegnente egli avrebbe accomodato ogni
cosa.
E tenne la promessa. Aveva avute nella sera trecento lire, e quando
Lorenzo tornò a' Banchi nella mattina, il buon Assereto si procacciò
la consolazione di far da banchiere all'amico.
Le cose narrate spiegano il perchè Maria apparisse tanto gaia a
Michele, quando egli scese dalla sua cameretta. Lorenzo, prima di
uscire di casa per andare a prendere il danaro, aveva narrato alla
sorella del cortese aiuto proffertogli dall'Assereto; e la buona Maria
s'era dimenticata di tutti i suoi dolori, per partecipare alla
contentezza del giovine. Essa non gli aveva detto nulla dell'insolenza
del Ceretti e de' suoi ardimenti ingiuriosi. Però il Salvani, appena
fu tornato dalla piazza de' Banchi, salì tranquillamente al primo
piano, in casa Ceretti.
Il biondo Arturo era seduto alla sua scrivania, in mezzo a fasci di
carte bollate e non bollate, scritte di locazione, atti di citazione,
conti di capomastri e va dicendo. Impallidì, come vide Lorenzo entrar
nella camera, e pensò che fosse venuto a chiedergli ragione della
scena del giorno innanzi; laonde stette con l'animo sospeso,
aspettando che parlasse.
--Signor Ceretti,--disse Lorenzo,--vengo a pagarle la pigione. Ella
vorrà tenermi per iscusato, se l'ho fatto aspettare.--
Il biondo Arturo rispose con un cenno del capo che pareva significasse
una cortese condiscendenza, e non era altro che effetto del suo
turbamento.
--Che egli non sappia nulla?--chiese tra sè, cominciando a ricogliere
il fiato.
--Ecco dunque le dugento lire; che a tanto ascende il mio debito, se
non m'inganno.
--Sta bene!--rispose il Ceretti, e si fece a contare il denaro, che
Lorenzo gli aveva posto dinanzi.
Ma lo contava con le dita, e la sua mente non vigilava il conto. Egli
infatti temeva che, saldato il debito, Lorenzo Salvani uscisse fuori
con qualche sfuriata, e a questo pensiero i polsi gli davano le
battute doppie.
La commozione non gli impedì tuttavia di notare che Lorenzo Salvani,
quello spiantato, com'egli lo chiamava, ci aveva le sue brave monete
d'oro (usavano ancora, a que' tempi!) e dopo aver date a lui le dieci
che entravano nel conto della pigione, gliene rimanevano ancora
parecchie nel cavo della mano. Ora notar questa cosa e sapergli male
fu tutt'uno.
Ma gliene sapesse male, o no, il denaro della pigione era lì sulla
scrivania, e il biondo Arturo non potea farci un bel nulla, salvo la
ricevuta, che infatti egli scrisse e diede a Lorenzo senza aggiunger
parola.
Egli s'aspettava sempre che dopo il pagamento venisse la sfuriata. Ma
Lorenzo, messa in tasca la ricevuta, si congedò dal Ceretti, dopo
avergli stesa la mano, che questi si affrettò a stringere, più turbato
che mai.
--Non ne sa nulla!--disse il Don Giovanni tra sè, appena Lorenzo fu
uscito.--Tanto meglio. È stato un brutto quarto d'ora. Per buona sorte
l'innocentina non ha parlato. Ma, tant'è, mi debbo vendicare di
costoro.--
Vendicarsi! Era presto detto; ma in che modo? Qui stava il busilli.
Così pensando, Arturo s'era alzato dal banco e passeggiava per la
camera, con le mani raccolte dietro le spalle e contando con gli occhi
i quadrelli del pavimento. Ma i quadrelli non gli insegnavano nulla.
Lo spediente di mettere quello spiantato fuori di casa gli era parso
il più acconcio; ma era anche l'unico al quale egli avesse potuto
appigliarsi. Intanto quello spiantato era venuto fuori col denaro; la
pigione era pagata fino all'ultimo giorno di giugno, e non c'era
neanche da fare assegnamento sulla disdetta, perchè il contratto di
locazione andava fino all'ultimo di settembre.
Mentre egli stava, o, per dir meglio, andava ruminando a quel modo,
senza poter cavare un costrutto da' suoi proponimenti feroci, udì un
timido picchiar di nocche nella invetriata che gli teneva luogo
d'uscio nelle ore di giorno.
--Avanti!--diss'egli, non senza un po' di dispetto per quella
improvvisa seccatura.
L'invetriata si aperse, e gli si parò davanti un giovinotto biondo,
che i lettori conoscono.
--È qui il signor Ceretti?--chiese costui.
--Per l'appunto. Ceretti padre e figlio. Chi cerca dei due?
--Il figlio. E sarà Vossignoria....
--Sì, sono io. In che cosa posso servirvi?
--Ho da dirle due parole a quattr'occhi. Posso parlarle?
--Parli pure; qui non c'è altri. Ma chi è Lei?
--Oh!--rispose il nuovo venuto;--il mio nome importa poco. Vengo da
parte del signor Bonaventura Gallegos.
--Io non conosco questo signore!--soggiunse il Ceretti.
--Lo so,--si affrettò a dire quell'altro,--e appunto per ciò il signor
Bonaventura mi ha incaricato di dirle queste due paroline
all'orecchio.--
E si accostò al biondo Arturo, il quale, incerto com'era, lo lasciò
fare. Ma appena quelle paroline gli furono bisbigliate, il Ceretti
rizzò il capo, e arrossendo esclamò:
--Ma chi è questo signore? Come sa egli?...
--È un signore che sa molte cose,--rispose l'altro,--e che può
aiutarla ne' suoi disegni. Egli dimora in via Nuova, palazzo Torre
Vivaldi, ultimo piano, e l'aspetta in casa fino alle otto.
--Sta bene, ci andrò.--
Ciò detto, Arturo si diede da capo a passeggiare. L'altro se ne andò
via, dopo avergli fatto un inchino.
--Che cosa vorrà da me questo signore? Il nome mi sa di forestiero.
Sarà forse qualche usuraio, il quale avrà delle cambiali del Salvani,
e penserà di appiopparmele! Ma in che modo ha egli da sapere i fatti
miei? __Vendicarvi del Salvani__! Sono parole magiche, e cascano
proprio in taglio. Andiamo dunque, e vedremo di che si tratta.--
Intanto che il biondo Arturo si disponeva ad andare in casa del padre
Bonaventura, il messaggero scendeva le scale sollecito. Pareva non
vedesse l'ora di esserne fuori.
Ma eccoti, in quella che era per mettere il piede dalla soglia sulla
strada, s'imbattè nel nostro Michele, che aveva già alzato il suo
dalla strada alla soglia.
--Michele!--esclamò il primo, con aria d'ingrata meraviglia.
--Garasso!--esclamò l'altro.--Ed io che vi ho aspettato finora sotto i
portici del Teatro!--
Per andare dal Ceretti a far l'ambasciata del padre Bonaventura, il
Bello aveva scelto appunto quell'ora ch'egli aveva stabilita pel suo
ritrovo con Michele, sotto i portici del Teatro. Egli era sicuro per
tal modo che Michele non lo avrebbe incontrato.
Infatti Michele, che stava ad aspettarlo, non lo aveva veduto entrare:
e il Bello era per farla netta, quando nell'uscire dal portone di
casa, s'imbattè nell'unico uomo che avrebbe voluto non trovarsi tra'
piedi.
Se Michele odorava la trappola, il Bello potea dire per fermo d'aver
rotte l'ova in sull'uscio. Ma Michele non poteva aver sospetto di
nulla, e l'amico non era uomo da affogare in un bicchier d'acqua.
Egli però, correggendo il suo primo atto d'uomo colto sul fatto, si
fece ad esclamare:
--To'! cercavo appunto di voi.
--O come?--rispose Michele, fresco ancora della sua aspettazione e de'
suoi paternostri.
--Sì; che volete?--soggiunse il Bello.--Ero un po' in cimberli,
iersera, e questa mane non son venuto a capo di ricordarmi dove
diamine vi avessi dato appuntamento.
--Anche voi?--disse Michele.--Dovevate esser proprio più fradicio di
me, poichè io non ho dimenticato nè le due dopo il mezzodì, nè il
primo pilastro dei portici del Teatro.
--Ah, per Diana! L'avrei giurato io, che s'aveva a vederci sotto i
portici; ma quel maledetto Monferrato m'aveva messo il cervello a
soqquadro.
--Ed ora,--ripigliò Michele,--venivate a cercarmi?
--Sì, ma giunto all'ultimo piano, e mentre stavo lì per dare una
strappata al campanello, ho pensato che non era prudente farmi
scorgere dai vostri padroni. Il signor Lorenzo poteva vedermi, e voler
forse sapere che negozi io ci abbia con voi.
--E non avete suonato?
--No. Garasso, dissi tra me, non facciamo sciocchezze! Scendiamo in
istrada, ed aspettiamo Michele. È un uomo casalingo; se è fuori per
cercare di noi, non istarà molto a ritornare.--
Michele non poteva trovar nulla a ridire nel discorso del suo Oreste.
Egli trovava il Bello nella sua scala, e questo era segno che l'amico
non lo aveva punto dimenticato. Il vino gli aveva fatto uscir di mente
il luogo del ritrovo: ma che perciò? Quel liquido malaugurato aveva
pure impedito a lui di trovare la corda del campanello!
--Avete ragione;--diss'egli adunque.--Ritorno infatti dal luogo che mi
diceste ier sera. Perdonatemi ora, se ho pensato un po' male di voi.
--Oh, Michele!--esclamò l'altro, con aria dolente.--potevate voi
credere che dimenticassi l'amico?
--L'ho creduto, ho fatto male, e vi prego di perdonarmi. Ma veniamo al
buono; i cum quibus?...
--Ho fatto l'impossibile per averli e portarveli; ma la m'è andata
male. Giornata infame, caro Michele, giornata maledetta! Già, dicano
pure che è una superstizione; ma in martedì non s'avrebbe mai da far
nulla, perchè tutto va alla peggio.
--Ahi! ahi!--disse Michele, facendo il muso più lungo della
quaresima.--Siamo fritti, dunque?
--No, no; quello che non s'è fatto oggi può farsi domani. C'è un tale
a cui ho fatto capo, il quale mi ha detto che tornassi domani, e
m'avrebbe dato la risposta. In quanto all'altro, sul quale facevo
assegnamento, m'ha girato nel manico. Oh, Michele! che mondo! Come son
fatti gli uomini! Tutti per sè, tutti fradici d'egoismo.
--Piove sul bagnato!--rispose Michele, il quale era filosofo in certi
casi.--Sono storie che io so a menadito. Ma se domani gira nel manico
anche l'altro?...
--Oh, non voglio crederlo! E poi, c'industrieremo tanto, che troveremo
quel che vi occorre. La vedremo, perdio! Vedremo se due galantuomini
come voi ed io, hanno a limosinare dugento lire e non trovarle da
nessuna banda. Io (vedete, Michele?) fo già conto di averle in
saccoccia.
--Amen!--conchiuse Michele.--A domani, dunque. E dove ci vedremo?
--Nello stesso luogo. Oggi son sano, e non lo dimenticherò certamente.
Ma, a proposito, non andiamo a bere un bicchierino?
--Acquavite? No!--rispose Michele, aggrottando le ciglia.--Nè
acquavite, nè altro. Ho deliberato di non ber più altro che acqua di
pozzo, fino a tanto non sia condotto a fine questo negozio.
--Michele, badate! L'acqua rovina i ponti. Per buona sorte il vostro
voto non ha da durare se non ventiquattr'ore.
--Diceste il vero! Ed io vi prometto per domani di far con voi a chi
beve di più.
--E birba chi manca!--rispose il Bello, stringendogli la mano.--
Poco dopo questo dialogo di Michele col Garasso, Arturo Ceretti andava
dal padre Bonaventura.
Costoro s'intesero per bene, quantunque il primo non sapesse le
ragioni del secondo. Il padre Bonaventura non era uomo da lasciarsi
leggere nell'animo; e il Collini medesimo, tanto più addentro di ogni
altro nelle segrete cose, era a mala pena al frontispizio.
Arturo, del resto, non cercava d'indovinar nulla. Aveva capito che
c'era uno, il quale voleva male al Salvani, e non gli premeva punto di
sapere il perchè, sebbene quest'uno sapesse il suo. Di questo modo si
accordarono presto.
Il padre Bonaventura, messo al chiaro di ogni cosa dai racconti
solleciti del Bello, aveva veduto d'un subito il gran profitto che si
poteva cavare da un Don Giovanni scornato e picchiato, desideroso di
vendetta e corto d'ingegno per giunta. Poi che lo ebbe giudicato di
veduta, si raffermò nel proposito, e in quella che l'altro si lasciava
andare a lui come la biscia all'incanto, nacque in mente al padre
Bonaventura quel disegno infernale che vedremo uscir fuori tra breve.
In quanto ai denari che Michele chiedeva a prestanza dal Bello, questi
avrebbe pure voluto darglieli subito. Ma il padre Bonaventura, anco
ammettendo, giusta il parere del Bello, che quell'imprestito gli
avrebbe reso Michele più maneggevole, aveva saviamente notato che i
denari potevano migliorare lo stato di casa Salvani, e che anzitutto
occorreva abboccarsi col Ceretti. Aspettasse dunque, e facesse aver
pazienza a Michele.
Ma dopo aver parlato col biondo Arturo, entrava anche meno nei disegni
del gesuita di metter fuori le dugento lire. La pigione era stata
pagata; nè Arturo, ne il padre Bonaventura, per quanto si stillassero
il cervello, potevano indovinare donde fosse caduta a Lorenzo Salvani
quella pioggia di Danae.


XXII.