I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 02

Total number of words is 4365
Total number of unique words is 1413
37.6 of words are in the 2000 most common words
54.6 of words are in the 5000 most common words
62.9 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
donna non può _intercedere_ o sia obbligarsi per altri. Può alienare
in favore altrui, può prendere obbligo diretto, contrarre un debito e
trasmettere il danaro ad altri; ma non può obbligarsi per un altro,
né garantirlo. La sua fragilità, secondo la mente del legislatore,
la lascia accorta abbastanza, per non farle con leggerezza assumere
obblighi diretti, né alienare i suoi beni; ma la espone ad assumere
facilmente obblighi lontani, indiretti, sebbene spesso non meno gravi.
Né con ciò le continue alterazioni della famiglia romana sono ancora
finite. Alle mille cagioni di mutamento se ne aggiunge una nuova col
Cristianesimo, che penetra nell'Impero, nella letteratura, nel diritto,
ed altera ogni cosa. Per esso l'uomo e la donna sono uguali; il padre e
la madre hanno diritti e doveri uguali verso i figli; tutto deve essere
ordinato nell'interesse di questi, quando invece nell'antica legge, i
diritti dei figli erano sottoposti all'interesse della famiglia. E cosí
un nuovo elemento entra nel diritto romano, alterandone il carattere,
già assai mutato dalla filosofia greca e dal dispotismo bizantino. Il
diritto canonico accetta i principi del romano, riconosce l'assoluto
regime dotale, e respinge l'unione dei beni. La donna rimane esclusa da
tutti gli uffici, che gli antichi chiamavano virili; non può obbligarsi
per altri, esercitare arbitrato, intentare un'accusa, né deporre in
giudizio; la sua testimonianza non è valida. Ma dall'altro lato il
diritto romano arriva inesorabilmente alla uguaglianza democratica,
all'equità naturale, ed all'assoluta prevalenza dello Stato. Il
potere pubblico toglie ogni avanzo d'autorità al potere domestico;
la famiglia, direi quasi, politica scomparisce, per riordinarsi
sul principio della reciproca affezione. L'ultimo suggello a queste
alterazioni, è posto dalla celebre legge di successione (Nov. 118 e
127) fatta da Giustiniano, negli anni 543 e 547, la quale, respingendo
ogni privilegio d'agnazione e di sesso, misura i diritti secondo il
grado di parentela, e vuole che sieno reciproci. Inoltre aumenta la
legittima, e alla dote corrisponde una _donatio propter nuptias_,
fatta dal marito, l'una e l'altra inalienabili a vantaggio dei figli.
Il marito non può toccar la dote, neppure col consenso della moglie;
esso ne è un semplice amministratore, e la reciprocità deve essere
perfetta. La moglie non solo è proprietaria della dote, ma ha ipoteca
generale, privilegio d'azione e rivendicazione sui beni del marito.
La madre ha col padre uguali diritti alla successione dei figli, dei
quali è divenuta tutrice legale. Anche il Senato-consulto Velleiano,
che impediva alla donna d'intercedere, viene modificato col medesimo
intento. Giustiniano è molto piú severo contro la intercessione di lei
a profitto del marito, per salvare cosí da ogni pericolo i beni della
donna; ma è invece assai piú indulgente per la intercessione a favore
dei terzi, la quale è valida, se dopo due anni viene rinnovata, se è
fatta per una cagione manifestamente giusta. Questa è anzi la forma
in cui troviamo quel Senato-consulto rispettato in tutto il Medio
Evo. Cosí la reciproca uguaglianza s'è raggiunta; ma l'antica unità
della famiglia s'è disciolta; il nucleo compatto, ferreo della società
romana, è ridotto in frantumi sotto l'azione continua, crescente
dello Stato. In tutte le sue istituzioni Roma poté giungere alla
democrazia ed all'uguaglianza, sacrificando però la piena libertà
individuale, lo svolgimento delle particolari associazioni e della vita
locale all'unità dello Stato. Conciliare questi due elementi, senza
distruggere l'uno a vantaggio dell'altro, sarà il problema d'un'era
novella e d'una civiltà nuova.
Per quanto si possa esaltare la meravigliosa e indisputabile grandezza
dell'opera dei legislatori e dei giureconsulti dell'Impero, raccolta
nel _Corpus iuris_ ai tempi di Giustiniano, è certo che l'antico
e primitivo carattere del diritto romano s'è in essa profondamente
alterato, e che il dispotismo dello Stato, sempre prevalente in Roma, è
divenuto enorme. Il Tocqueville ed altri con lui credono anzi, appunto
perciò, che la grande diffusione del diritto giustinianeo nei popoli
latini, sia stata piú di una volta dannosa alla libertà politica. A
molti una tale asserzione può parere assurda; ma, se è vero che tra il
diritto privato e pubblico v'è uno stretto legame, se è vero che le
ultime alterazioni nel diritto romano furono portate dall'azione del
crescente dispotismo dello Stato, l'asserzione dello scrittore francese
deve pure avere il suo valore.

V
Comunque sia di ciò, è certo che la famiglia, quale noi la troviamo
costituita, anzi indebolita nel diritto giustinianeo, non è tale da
potere, nei secoli di barbarie che si avvicinano, resistere all'urto
violento delle germaniche popolazioni che si avanzano, e molto meno
essere il nucleo ed il germe da cui potrà scaturire la nuova società
del Comune italiano. Negli Statuti, infatti, noi la troviamo assai
diversamente ordinata. L'agnazione ha ripreso il suo ascendente; la
donna è sotto una nuova specie di tutela; e sebbene il regime dotale
sia rigorosamente osservato, mille prescrizioni sono destinate a
mantenere o a far tornare la proprietà nelle famiglie, per serbare
intatta l'unità del patrimonio domestico. Sorge quindi una grave
disputa: questa nuova costituzione della famiglia, che si trova in
una stretta relazione col diritto pubblico dei Comuni, è dessa un
ritorno al diritto anti-giustinianeo, o pure è una conseguenza delle
istituzioni germaniche, del diritto longobardo, nel quale infatti noi
troviamo del pari preferita l'agnazione, e la famiglia piú saldamente
costituita? Gli scrittori italiani, massime gli antichi, seguirono
generalmente la prima opinione; la piú parte dei Tedeschi, che
trovarono imitatori recenti anche fra di noi, la seconda.[4] E cosí
si sono da un lato e dall'altro formulate, sulla costituzione della
famiglia italiana nel Medio Evo, teorie analoghe a quelle sulla origine
dei Comuni.
La persistenza del diritto romano nel Medio Evo, anche quando la
condizione degl'Italiani era piú misera, e tutto pareva sottoposto
alla legge longobarda, fu sostenuta con maravigliosa dottrina ed acume
nell'opera immortale del Savigny. Ed in vero il diritto pubblico, il
diritto penale potevano con qualche facilità totalmente mutarsi, sotto
il dominio dei conquistatori; ma il diritto civile, che era filtrato
per tanti secoli nei costumi, nel sangue romano, che aveva regolato
le molteplici relazioni d'un popolo civile, che soddisfaceva ai suoi
mille bisogni, non sembra che potesse svanire del tutto sotto la spada
dei barbari, che questi bisogni non conoscevano, che queste relazioni
non sempre intendevano. Essi non avevano assai spesso neppur potuto
menzionare nelle proprie leggi queste relazioni, le quali sfuggivano
all'azione di coloro ai quali rimanevano in gran parte ignote o
indifferenti. E quindi una parte di ciò che s'attiene ai matrimonî,
alle successioni, ai contratti dovette assai di frequente continuare
fra gl'Italiani, secondo le consuetudini antiche. E ciò riesce anche
piú facile ad intendersi, quando si pensi che, se il diritto romano
era stato il diritto di tutti nei paesi in cui la conquista romana
aveva messo profonde radici; le leggi barbariche, invece, secondo l'uso
germanico, serbarono sempre un carattere personale, procedevano cioè
col popolo in mezzo a cui erano nate, e non si comunicavano facilmente
agli altri. Infatti, quando per le successive invasioni, si trovarono
in uno stesso paese unite diverse stirpi germaniche, fra di loro
indipendenti, o anche le une sottoposte alle altre, ciascuna riteneva
l'uso della sua propria legge. Pei Romani, invece, il loro diritto
aveva un carattere universale, e però lo comunicavano, l'imponevano
a tutti. Esso era quasi il primo germe della grandezza e civiltà di
Roma, e il diffonderlo era perciò ritenuto come l'ufficio piú sacro del
popolo-re. Quindi è che anche sotto la piú dura oppressione barbarica,
il diritto privato degl'Italiani poteva continuare ad essere il diritto
romano, in tutti quei casi, e non furon pochi, in cui il germanico non
lo abrogò direttamente, non lo sostituí o non lo avvertí.
Ma la presenza di due legislazioni diverse, una imposta dalla forza,
l'altra mantenuta dalla consuetudine; le condizioni profondamente
mutate per la distruzione del vecchio Stato romano: la formazione
di una società nuova dovevano cominciare di necessità una vita, una
storia nuova del diritto italiano. Negli Statuti dei nostri Comuni noi
troviamo in presenza, e quasi in lotta, il diritto romano e il diritto
longobardo, ambedue alterati a vicenda l'uno dall'azione dell'altro.
Ma sotto quale delle mille forme che ha subite, il diritto romano si
trovava fra noi, quando venne come sopraffatto dal germanico? Era la
forma letteraria e filosofica del _Corpus iuris_ di Giustiniano, o
pure la forma anti-giustinianea, meno sistematica, ma pur meno alterata
dalle idee bizantine, e piú consuetudinaria?
Il Savigny dice chiaramente, che le _Pandette_ furono subito mandate
in Italia, e che non appena la potenza dei Goti fu dai Greci fiaccata,
Giustiniano non tardò ad emanare la Prammatica Sanzione (554), con
cui tutto il _Corpus iuris_ venne legalmente proclamato in Italia.
Quindi è, cosí egli prosegue, che le Pandette si trovavano allora
in ogni angolo d'Italia, e da quel momento vi furono accolte con
favore, il diritto giustinianeo essendo piú consentaneo ai bisogni
di questa contrada. E cosí parimente si spiega, secondo lui, perché i
primi comentatori o glossatori italiani si volsero tutti e solo allo
studio del _Corpus iuris_. Ma il lettore si può avveder facilmente,
che in questo punto il Savigny è andato troppo oltre nelle sue
deduzioni. Piú d'una volta, infatti, i documenti l'obbligano ad una
interpretazione forzata, per impedire che contraddicano alla sua tesi.
Egli trova nei documenti ravennati la mancipazione, ma in termini
che a lui sembrano esser solo la nuda e vuota terminologia d'una età
trascorsa. Alcuni atti di vendita lo costringono però a dire, che in
essi v'è realmente un qualche avanzo dell'antica mancipazione. La
_stipulatio_, la fiducia, le forme antiche del testamento sembrano
piú volte avvertirlo, che vi sono nel Medio Evo avanzi visibili d'un
diritto antigiustinianeo; ma egli si studia sempre piú di trovare in
tutto ciò solo i resti di forme antiquate. Molti nuovi documenti però
vennero pubblicati piú tardi, e la questione si ripresentò sempre con
la medesima insistenza. Tutto conduce a riconoscere, come di recente
osservò uno scrittore tedesco assai dotto in queste materie, che la
storia del diritto romano nel Medio Evo va divisa in due periodi ben
distinti.[5] Nel primo esso continuò per consuetudine, e sopravvissero
perciò molte forme anti-giustinianee; nel secondo, assai posteriore,
prevalse invece il diritto giustinianeo, favorito piú tardi dallo
studio letterario delle _Pandette_, per opera dei professori di
Bologna, e solo allora le piú antiche forme scomparvero affatto. Questa
opinione, che è confortata dai documenti, risponde anche all'indole dei
tempi, ai bisogni della società, e viene confermata dai nostri antichi
scrittori e dalle nostre tradizioni letterarie.
Invero, lo stesso Savigny esamina e riconosce tutta l'importanza delle
varie fonti del diritto anti-giustinianeo, diffuse nel Medio Evo. Il
Codice Teodosiano (438) che ebbe allora molta autorità, era appunto
compilazione di giurisprudenza antica. L'editto di Teodorico ostrogoto
(500) è anch'esso una compilazione di diritto romano anti-giustinianeo,
fatta per ordine di quel principe. E se guardiamo in esso alla
costituzione della famiglia, massime alla successione, la troviamo
quale era prima che gli editti imperiali l'avessero intralciata.[6]
Il Breviario di Alarico (_Lex romana Visigothorum_), e il cosí detto
Papiano (_Lex Romana Burgundionum_), posteriori al 500, sono del
pari compilazioni di diritto anti-giustinianeo, e si trovano diffusi
in varie provincie dell'Impero. La famosa _Lex Romana Utinensis,
seu Curiensis_, che sembra essere un rimpasto fatto col Breviario
d'Alarico nel IX secolo, per uso degl'Italiani, nei paesi già dominati
dai Longobardi, presenta i medesimi caratteri. È vero, che tutti
questi monumenti del dritto medioevale sono anteriori a Giustiniano,
ad eccezione della _Lex Romana Utinensis_, e che secondo l'ipotesi
del Savigny, il Breviario d'Alarico sarebbe stato in uso presso i
Franchi, che soli lo avrebbero portato in Italia, dopo la cacciata dei
Longobardi. Cosí stando le cose, noi troveremmo l'antico diritto in
uso fra di noi solamente prima e dopo dei Longobardi; sotto la loro
feroce oppressione, invece, non ne troveremmo nessuna traccia sicura.
Ma è assai difficile supporre, che l'antico diritto consuetudinario
si spegnesse quando appunto la consuetudine poteva salvarlo, e che la
legge romana pigliasse allora la forma piú letteraria giustinianea,
per poi tornar di nuovo a forme piú antiche. Una volta che il
diritto giustinianeo fosse stato davvero accettato nella sua forma
genuina, esso avrebbe dovuto, col progredire della cultura e sotto
il dominio assai meno duro dei Franchi, già piú vicini al viver
dei Latini, andare guadagnando terreno. Il fatto è che, in tutto il
Medio Evo, s'incontrano forme anti-giustinianee, ove piú ove meno
alterate, anche nelle stesse leggi longobarde.[7] E quanto al vedere
i glossatori ricorrere alle _Pandette_ ed a tutto il _Corpus iuris_,
ciò prova solamente che, col risorgere dei Comuni e delle lettere,
essi si rivolsero, come era naturale, alla fonte piú letteraria e piú
autorevole del diritto. Da quel tempo, infatti, non se ne ritrova piú
altra.[8]
Si pensi poi che, quando i Greci vennero in Italia a combattere i Goti,
vi trovarono l'antica consuetudine romana e l'Editto di Teodorico che
la sanzionava; che i Goti furono definitivamente disfatti nel 553;
che nel 568 al dominio dei Greci successe quello dei Longobardi; che
questi ridussero i loro rivali nell'Italia meridionale, donde furono
poi cacciati dai Normanni. Colà il corrotto dispotismo bizantino
riuscí non meno funesto di quello dei barbari, e forse fu la prima
cagione delle molte sventure e del lungo abbandono in cui caddero piú
tardi quelle provincie. Ma poteva un cosí breve ed incerto dominio
bastare a diffondere in Italia il diritto giustinianeo, in modo da
farlo non solo universalmente accettare, ma anche entrare per modo
nei costumi da poter continuare a vivere quando non era legalmente piú
riconosciuto dai barbari? Una tale ipotesi parrà anche meno sostenibile
in tutto ciò che s'attiene alla famiglia ed alla successione, se si
pensa che le riforme fatte in questa parte del diritto da Giustiniano,
a Costantinopoli, non rispondevano certo alle condizioni in cui si
trovava allora l'Italia. Per quanto la filosofia greca si fosse diffusa
tra di noi, lo spirito bizantino non era identico a quello di Roma,
e molto meno erano identiche ora le condizioni delle due società. A
Costantinopoli il dispotismo orientale corrompeva, soffocava la società
nel lusso ed in una cultura troppo raffinata; lo Stato, sostituendosi
a tutto, dava nuovo carattere alle leggi. In Italia, invece, la
società, non meno corrotta, si andava decomponendo, e già cadeva a
brani; l'antica unità, l'antica forza dello Stato s'infiacchivano
sempre piú, e si cedeva sempre piú dinanzi alle aggressioni barbariche.
Da un lato si aveva l'onnipotenza dello Stato, dall'altro invece
cominciava a mancare in esso ogni forza. Fra noi adunque le donne,
i deboli erano naturalmente spinti a cercare rifugio nelle private
associazioni, sopra tutto nel seno della famiglia. E se la forza
naturale delle cose doveva spingere da un qualche lato, determinare
una qualche nuova tendenza, questa non poteva di certo mirare a sempre
piú indebolire la famiglia, per sottometterla alla forza di uno Stato
che andava crollando; ma piuttosto mirare a rafforzarla, perché essa
era l'unica salvaguardia possibile, in mezzo alle rovine che da ogni
lato s'andavano accumulando. È infatti ciò che segue sempre nelle
società barbariche, nelle quali lo Stato non avendo forza, la difesa
dei deboli e la vendetta delle ingiurie restano affidate ai parenti.
E però tanto lo sgominarsi della società latina, quanto l'esempio dei
barbari concorrevano a presentare una forte resistenza alla diffusione
del diritto giustinianeo, massime quando le vecchie consuetudini romane
si trovavano piú consone ai nuovi e crescenti bisogni della società,
ed aiutavano a ricostituire con forza maggiore la famiglia, sempre piú
necessaria al comune benessere. Era questo il solo modo, che potesse
aprire una via a ricominciare da capo il lavoro sociale, avviare piú
tardi ad ordini e ad istituzioni nuove.
Né facciamo noi gran caso della Prammatica Sanzione, perché sappiamo
che tra la promulgazione d'una legge, specialmente per opera di
un governo temporaneo e debole, in una società che precipita nel
disordine, e la pratica attuazione di essa, il suo entrar nei costumi,
corre un grandissimo divario. Anche sotto la Repubblica romana o sotto
l'Impero, bandite che erano le nuove leggi, non perciò le antiche
sparivano a un tratto. E nelle stesse società moderne noi possiamo
osservare la lunga persistenza delle antiche consuetudini, quando esse
rispondono meglio alle condizioni dei tempi. I principî del Codice di
Napoleone furono banditi nelle nostre provincie meridionali durante
il dominio francese, riconfermati poi nelle legislazioni posteriori,
e la eredità doveva perciò esser divisa in parti eguali tra i figli.
Tuttavia nelle Calabrie ed in molte altre di quelle provincie, la
proprietà continua a rimanere anche ora concentrata nelle famiglie,
giacché, per mutuo consenso, uno solo dei maschi prende moglie, gli
altri restano celibi. E per le stesse ragioni, alle donne si dà il
meno possibile, né tutte si maritano, alcune di esse venendo spinte
o forzate a chiudersi in convento. Solo il progresso sociale farà
lentamente attuare davvero i principî della civile uguaglianza,
sanzionata nei codici.
Tutto adunque ci permette di concludere, che il diritto romano
sopravvisse fra di noi alla caduta dell'Impero d'Occidente, ritenendo
per consuetudine molte delle forme che aveva prima della compilazione
del _Corpus iuris_. In questo stato esso venne a contatto col diritto
germanico, e cominciarono le loro mutue alterazioni, per le quali
la famiglia italiana ne uscí costituita in una forma affatto nuova,
insieme col Comune. Fu una lenta trasformazione, con la quale le idee
e le tradizioni latine andarono sempre guadagnando terreno, e a poco
a poco smaltirono o distrussero le leggi e le istituzioni barbariche.
Proclamate finalmente le libertà comunali, incominciò una nuova
coltura, e con essa anche un nuovo periodo nella storia del diritto
romano. L'università di Bologna divenne il centro da cui partí la
cognizione e la diffusione delle _Pandette_, ed il _Corpus iuris_
fu ben presto ritenuto come la sorgente prima e perenne del diritto
comune fra di noi. La tradizione che narra delle _Pandette_ d'Amalfi,
rapite dai Pisani, che le avrebbero scoperte e fatte conoscere la prima
volta in Occidente, pone il fatto circa l'anno 1135, cioè nel secolo
appunto in cui sorsero i Comuni, ed in cui Irnerio, secondo un'altra
tradizione, per invito della contessa Matilde, fondò la scuola di
Bologna.[9] Cosí la storia, la leggenda e la logica vengono a sostegno
delle nostre conclusioni.

VI
Nel cominciare del Medio Evo, adunque, la famiglia dava in Italia
preferenza agli agnati, e, pel continuo indebolirsi dello Stato,
era costretta a cercare in sé stessa forza maggiore. Le irruzioni
barbariche portarono una diversa costituzione della famiglia, che non
poté gran fatto alterare la nostra, fino a quando i Longobardi non
fermarono stabilmente il loro dominio su di noi. Allora cominciò una
grande alterazione della società italiana, costretta dalla violenza
a prendere forma piú o meno barbarica. Importa quindi studiare la
famiglia longobarda, per vedere come e sino a qual punto essa poté
alterare la nostra.
La società longobarda, al pari d'ogni altra società barbarica, aveva
a suo fondamento la forza; essa era nella guerra strettamente unita
sotto un capo, e nella pace si scioglieva in gruppi, per mancanza di
forza nel potere centrale, e per eccesso d'indipendenza nei varî suoi
capi. Infatti, appena che i regni barbarici cominciarono a costituirsi
con qualche stabilità in Occidente, li troviamo subito divisi in
Marche, Ducati, in gruppi diversi, piú tardi ancora in feudi. E se
guardiamo i barbari nel loro stato primitivo, innanzi che vengano fra
di noi, troviamo che sono sparsi per la campagna; manca la città vera
e propria, manca il vero concetto dello Stato, che apparisce piuttosto
come una confederazione di gruppi secondarî. L'unità sociale barbarica
è nei villaggi, o anche nelle tribú, che sono associazioni derivate
forse in origine da una stessa famiglia. Lo Stato prende ovunque forme
famigliari; la forza sociale germanica apparisce piú visibile nei
gruppi minori, e quindi nella famiglia. Non deve perciò maravigliarci
il trovarla piú fortemente costituita che fra i Latini, i quali
l'avevano, già per molti secoli, alterata, decomposta sotto l'azione
crescente del potere politico.
In origine, la famiglia barbarica fu anch'essa, come era stata
quella di Roma, un'associazione consacrata dalla religione. Una Dea
presiedeva al focolare domestico, luogo sacro; il padre era sacerdote
e protettore della famiglia. A Roma, il potere era nelle mani d'un
solo, che stringeva il freno con ferrea autorità; in Germania, invece,
era in mano di tutti i forti, di tutti i membri atti alle armi. A Roma
la famiglia era una monarchia assoluta, ed il piú vecchio era sempre
il piú autorevole; in Germania era quasi una repubblica di forti,
e l'uomo incapace di portare le armi perdeva la sorgente principale
della sua autorità. Il consiglio di famiglia aiutava il padre romano e
ne temperava il duro dispotismo; in Germania il consiglio comandava e
concentrava in sé stesso una gran parte del potere della famiglia. Il
padre romano poteva spezzare a suo arbitrio ogni vincolo, mettere il
figlio fuori della famiglia, venderlo, ucciderlo; il figlio germanico,
invece, quando era atto alle armi e combatteva insieme col padre,
poteva separarsi, volendo, dalla famiglia, per andare a far parte anche
d'un'altra tribú. In Germania la forza, la proprietà comune e i vincoli
naturali del sangue costituivano la famiglia; in Roma era il concetto
stesso della famiglia quello che dominava su tutto, e la rendeva
autorevole e sacra. In Roma l'individuo scompariva nello Stato, il
figlio nel padre; nei popoli germanici, invece, la libertà individuale
era assai maggiore, e se lo Stato ci apparisce come una confederazione,
la famiglia sembra un'associazione di membri piú indipendenti, solidali
fra di loro. La vendetta, la colpa, la proprietà erano comuni a tutti;
se un membro della famiglia era offeso, toccava ai parenti vendicarlo
e fargli giustizia riparatrice. Alle vendite, alle donazioni, come
alle vendette, dovevano tutti consentire, perché la proprietà era di
tutta la famiglia, e doveva restare in essa: di qui la inutilità del
testamento, che i barbari non conoscevano. La proprietà era sacra,
costituiva la famiglia, conferiva diritti e doveri sociali, restava
principalmente nelle mani dei maschi.
In questa famiglia ed in questa società, che aveva a fondamento la
forza, la donna, incapace di portare le armi, restava naturalmente,
come tutti i deboli, affidata alla difesa dei parenti armati, e quindi
sotto la loro perpetua protezione (_manus, Munt_), sotto il _mundio_.
Questa tutela, costituita in conseguenza della debolezza e fragilità
del sesso, non poteva cessare come a Roma, dove era stata, invece,
costituita nel solo interesse della famiglia. Ma la donna germanica,
sebbene oppressa, sebbene potesse essere venduta, espropriata e fatta
schiava, trovavasi sotto un potere che, diviso fra molti, era piú
debole e meno dispotico del romano. Nel consiglio di famiglia, da
cui essa dipendeva, sedevano infatti il padre, i figli, i parenti
del padre, della madre, del marito e della moglie. La donna trovava
quindi assai facilmente un protettore. Incapace di fatto, per la
sua debolezza, non era poi ugualmente incapace in diritto. Poteva
presentarsi ai tribunali, o scegliere chi ve la rappresentasse;
possedere; succedere, sebbene in parte minore dei maschi. Essa era
religiosamente rispettata dall'uomo che ne seguiva i consigli; ma era
un rispetto dovuto al sesso piú debole, mentre che a Roma era invece
un rispetto dovuto alla madre, alla sposa, carattere sacro, che fu il
fondamento della famiglia, della grandezza romana.
Il diritto longobardo, essenzialmente germanico, ebbe in Italia una
lunghissima durata: anche nel secolo XIV si trovano tracce molto
visibili della sua esistenza. Ma esso perdette ben presto la nativa
e selvaggia sua originalità, piegandosi sotto l'azione piú forte
del romano. Basti notare, dice il Gans nella sua _Storia del diritto
di successione_, il fatto che, dopo la redazione storica di questo
diritto, ne fu compilata un'altra, che è sistematica, per convincersi
come il carattere piú disordinato, ma pure piú naturale, spontaneo
e vigoroso del diritto germanico, dovette restare alterato, quasi
cristallizzato in una forma, che è piú propria del romano. Pure questa
forma appunto contribuí non poco alla sua diffusione fra di noi.

VII
Come in tutti i popoli germanici, cosí anche presso i Longobardi, la
donna non era mai libera dal mundio, mai _selb-mundia_. Colui che la
voleva sposare, doveva prima di tutto pagare il prezzo del mundio,
che il matrimonio gli faceva acquistare sopra di essa; doveva inoltre
prometterle la _meta_, o sia una specie di dote, come osserva anche
Tacito, là dove dice che presso i Tedeschi, non la donna al marito,
ma questi portava la dote alla moglie. Alla meta, chiamata poi anche
_dotalitium, dos, sponsalicium_, ecc., si aggiungeva il _faderfium_,
che il padre soleva donare, a suo beneplacito, alla figlia. Il giorno
dopo le nozze, il marito faceva alla moglie un dono del mattino,
_morgengab_, e questo, secondo una interpetrazione, che è però assai
discutibile, in premio della verginità di lei. L'ammontare della meta
e del morgengabio fu, sotto l'azione crescente del diritto romano,
limitato. Anche il faderfio, che si trasformò piú tardi in dote, venne
nell'età dei Comuni limitato.
La meta, il faderfio, il morgengabio erano proprietà della moglie,
che poteva richiederli alla morte del marito. Ma, per un carattere
proprio del diritto germanico, interamente serbato anche presso i
Longobardi, non si ammetteva punto il regime dotale romano, col quale
si costituisce una proprietà separata e indipendente della donna: ciò
che è suo le viene invece dal marito. Il diritto germanico preferiva
generalmente la comunione dei beni. La donna fra di noi, cosí dice
il Gans, non ha bisogno, come presso i Romani, d'una proprietà, per
affermare la sua giuridica personalità, e provare che è uguale al
marito. Essa possiede ciò che il marito possiede, e la sua uguaglianza
è costituita dall'amore, nel quale ogni differenza scomparisce.
Il marito rappresentava in giudizio la moglie, che era sotto la
protezione della sua spada, ed egli poteva anche ucciderla, quando
l'avesse trovata in adulterio. Tutta la proprietà mobile e immobile
di lei, non esclusi i doni nuziali fatti da qualche amico, erano
proprietà del marito, il quale doveva solamente prevedere il caso in
cui, per morte, cessasse il matrimonio, e di qui la necessità della
meta e del donativo. Morendo la moglie senza figli, tutto ricadeva al
marito; morendo il marito, la moglie aveva diritto di far prelevare
la meta, e il donativo. In tutto il resto, essa era sottoposta alla
libera generosità del marito, il quale poté piú tardi lasciarle metà
dell'usufrutto delle proprie sostanze, e piú tardi ancora l'intero
usufrutto.
Se il matrimonio dei Longobardi è tanto diverso dal romano, neppure
il mundio può, come abbiam visto, andare confuso con la tutela, a
cui era, presso i Romani, sottoposta la donna. Avendo esso la sua
You have read 1 text from Italian literature.
Next - I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 03
  • Parts
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 01
    Total number of words is 4416
    Total number of unique words is 1467
    37.9 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    60.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 02
    Total number of words is 4365
    Total number of unique words is 1413
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    54.6 of words are in the 5000 most common words
    62.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 03
    Total number of words is 4410
    Total number of unique words is 1433
    39.8 of words are in the 2000 most common words
    55.4 of words are in the 5000 most common words
    64.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 04
    Total number of words is 4448
    Total number of unique words is 1405
    37.0 of words are in the 2000 most common words
    52.0 of words are in the 5000 most common words
    59.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 05
    Total number of words is 4431
    Total number of unique words is 1552
    40.0 of words are in the 2000 most common words
    57.2 of words are in the 5000 most common words
    66.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 06
    Total number of words is 4420
    Total number of unique words is 1448
    42.0 of words are in the 2000 most common words
    57.0 of words are in the 5000 most common words
    64.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 07
    Total number of words is 4469
    Total number of unique words is 1609
    41.3 of words are in the 2000 most common words
    59.1 of words are in the 5000 most common words
    68.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 08
    Total number of words is 4399
    Total number of unique words is 1564
    40.5 of words are in the 2000 most common words
    55.9 of words are in the 5000 most common words
    63.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 09
    Total number of words is 4511
    Total number of unique words is 1576
    42.2 of words are in the 2000 most common words
    58.2 of words are in the 5000 most common words
    66.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 10
    Total number of words is 4487
    Total number of unique words is 1483
    43.0 of words are in the 2000 most common words
    59.7 of words are in the 5000 most common words
    66.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 11
    Total number of words is 4418
    Total number of unique words is 1579
    43.5 of words are in the 2000 most common words
    59.8 of words are in the 5000 most common words
    67.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 12
    Total number of words is 4471
    Total number of unique words is 1642
    43.4 of words are in the 2000 most common words
    59.2 of words are in the 5000 most common words
    66.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 13
    Total number of words is 4681
    Total number of unique words is 1416
    34.1 of words are in the 2000 most common words
    44.4 of words are in the 5000 most common words
    50.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 14
    Total number of words is 4658
    Total number of unique words is 1446
    32.0 of words are in the 2000 most common words
    41.7 of words are in the 5000 most common words
    46.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 15
    Total number of words is 4633
    Total number of unique words is 1489
    30.7 of words are in the 2000 most common words
    39.7 of words are in the 5000 most common words
    44.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 16
    Total number of words is 4586
    Total number of unique words is 1486
    29.8 of words are in the 2000 most common words
    39.8 of words are in the 5000 most common words
    44.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 17
    Total number of words is 4475
    Total number of unique words is 1617
    35.4 of words are in the 2000 most common words
    44.5 of words are in the 5000 most common words
    49.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 18
    Total number of words is 4231
    Total number of unique words is 1288
    39.8 of words are in the 2000 most common words
    54.7 of words are in the 5000 most common words
    61.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 19
    Total number of words is 4116
    Total number of unique words is 1430
    42.2 of words are in the 2000 most common words
    56.0 of words are in the 5000 most common words
    61.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • I primi due secoli della storia di Firenze, v. 2 - 20
    Total number of words is 2189
    Total number of unique words is 857
    38.7 of words are in the 2000 most common words
    47.5 of words are in the 5000 most common words
    52.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.