I Moncalvo - 10

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Il professore Giacomo non potè a meno di abbandonare la sua neutralità.
— Ho detto che non me ne immischio; mi sembra però che in queste
beneficenze dovreste procurar di conformarvi ai probabili desiderii
della nostra cara defunta.... E non credo che ella avrebbe pensato
nè all'_Opera di Sant'Antonio_, nè alle _pericolanti_ di monsignor de
Luchi.
— Perchè, perchè? — gridarono a una voce la signora Rachele e la
Mariannina.
Ma il commendatore riconobbe che Giacomo aveva ragione.
— All'_Opera di Sant'Antonio_ e alle _pericolanti_ penseremo un altro
giorno, — egli disse in tono conciliativo. — Oggi occupiamoci delle
istituzioni che anche la Clara avrebbe amate.
Il professore lo ringraziò d'uno sguardo.


XII.
Uno strano appuntamento.

— Qui, qui, — disse Giorgio Moncalvo al garzone del fiorista che lo
seguiva. — Qui, su questa cassapanca, ove c'è ancora posto.
E il fattorino posò nel luogo indicato una bellissima corona di
sempreverdi, da cui pendeva un largo nastro di seta con queste parole
ricamate in argento: «Alla cara zia, il nipote Giorgio».
Mentre il professore si frugava nelle tasche per dar la mancia al
ragazzo, un uscio laterale si aperse e a fianco della miliardaria
miss May comparve la Mariannina Moncalvo. Vestiva tutta di nero; i
neri occhi sfavillavano sotto le lunghe ciglia arcuate; la bianchezza
marmorea del fronte spiccava sotto la massa opulenta dei bruni
capelli; sotto la stoffa greve dell'abito succinto e nella sua severità
elegantissimo si disegnavano mirabilmente le linee della persona che
Fidia non avrebbe sdegnato di prendere a modello.
— Oh Giorgio, — ella esclamò trattenendo con lo sguardo il cugino che
cercava di sgattajolare. — Hai voluto portare anche tu una ghirlanda
alla povera zia.... Vedi quante ne son venute.
Infatti ce n'eran d'ogni specie e misura, così da coprir quasi
interamente le pareti: la più grande, la più ricca era quella di miss
May.
— Ora ti presento alla mia amica, — soggiunse la Mariannina. — Il
professore Giorgio Moncalvo, mio cugino; miss Lizzie May.... È un po'
orso questo professore, ma si ammansa.... _Address him in english, my
dear. He can speak very well._
— _O indeed_? — disse miss May. E scambiò poche parole col giovine
professore, che aveva l'aria imbarazzata, confusa e si occupava appena
di lei, assorto com'era nella contemplazione dell'_altra_, tanto più
bella ed affascinante.
Nella superba sicurezza de' suoi milioni, l'americana non provò nè
dispetto, nè invidia; lasciò morire il colloquio con Giorgio e si
accommiatò verbosamente dalla Mariannina.
— Domattina ho una gran paura di non poter assistere ai funerali....
Se potessi seguire il trasporto in automobile?... _What do you think of
it_?... Che ne pensate?... Non conviene?... Eh, no, capisco anch'io che
non conviene.... E allora temo che non ci vedremo prima di lunedì....
Domani non avrò neanche il tempo di respirare.... Il servizio
divino, il sermone.... due conferenze.... un concerto.... il _five
o'clock_ al _Grand Hôtel_ ove ci sarà il vostro celebre romanziere
Vannoni.... E poi, per le otto, il pranzo all'ambasciata americana....
L'ambasciatrice vuol mostrarmi l'albero di Natale che sta preparando
per i bimbi della colonia.... Cara mia, questa Roma mi ammazza.... Ma
lunedì presto telefonerò.... No, no, non chiamate, è inutile.... Il
mio automobile dev'esser giù che m'aspetta.... _Good bye, darling_....
_How beautiful you are in black_! Come siete bella in vestito nero!...
_Good bye, sir_.... _Very pleased to have made your acquaintance_....
Lietissima d'aver fatta la sua conoscenza.
Giorgio, ch'era all'altro angolo della sala, chinato sopra una
ghirlanda di provenienza ignota, si scosse in sussulto, si avvicinò e
strinse macchinalmente la mano giojellata che miss May gli porgeva.
La Mariannina accompagnò l'amica fino sul pianerottolo; Giorgio tornò
a subir l'attrazione della ghirlanda misteriosa. Era più piccola delle
altre, tutta di viole, senza nastro.
— Chi l'ha mandata? — chiese il professore alla cugina, che dopo un
ultimo saluto a miss May richiudeva la porta.
— Quale?
— Questa.... la sola che non abbia l'indicazione del donatore.
La Mariannina aggrottò le ciglia.
— Che t'importa saperlo?
— È un segreto?
— No, — rispose alteramente la ragazza. — L'ha mandata don Cesarino
Oroboni.
Giorgio Moncalvo impallidì, una sofferenza acuta gli si dipinse sul
volto, gli spezzò, per un istante, la parola sul labbro.
La Mariannina, impassibile, lo dominava con gli occhi.
E intanto un ultimo raggio di sole entrava, obliquo, dalla grande
vetrata, strisciava sui sempreverdi, sui crisantemi, sulle orchidee,
sui lunghi nastri di seta tessuti in oro o in argento.
Moncalvo fece uno sforzo supremo.
— Bisogna ch'io ti parli, — egli disse.
La Mariannina non manifestò alcuna sorpresa di quella brusca richiesta.
— Parla.
— Non ora.
— Non ora, lo so.... È impossibile.
— Quando?
Ella si raccolse per pochi secondi; poi riprese:
— Stasera. Il babbo t'ha pregato di sorvegliare la restituzione delle
carte da visita a quelli che ci fecero avere le loro condoglianze.
Sarai dunque nel mezzanino con Fanoli e con i due scrivani della
_Banca Internazionale_.... Per mezzanotte il lavoro sarà finito, e,
in ogni modo, verso mezzanotte licenzia tutti.... Saranno beati di
andarsene.... Io, appena sarò sicura che tu sei solo, verrò.
— Tu.... verrai?... — egli chiese, stupito della prontezza con cui ella
assentiva alla sua domanda, e, più che di questo, dell'ora e del luogo
da lei scelti per il colloquio.
— Verrò.... Dovrei forse aver paura? — ella soggiunse con un gesto
sprezzante.
Il sole era scomparso, la breve giornata invernale finiva quasi senza
crepuscolo.
La Mariannina si accostò a una parete, girò una chiave, e, come per
incanto, cinque lampade elettriche si accesero al centro e agli angoli
della sala, piovendo la loro luce fredda sulle ghirlande, mettendo
in rilievo l'alta figura della giovinetta, che, nel bruno vestito
succinto, in mezzo a quei fiori di morte, aveva l'aria d'una fata
bellissima posta a custodir la soglia d'un cimitero.
— Mariannina! — balbettò Giorgio.
Ella si portò l'indice alla bocca.
— Zitto. Qualcuno può udirci. A stasera.
E lo lasciò solo, sgomentato all'idea dell'abboccamento ch'egli aveva
pur dianzi mostrato di desiderare. Perchè lo aveva desiderato? Che
avrebb'egli detto alla Mariannina? Che avrebb'ella detto a lui ch'egli
già non sapesse o non immaginasse?... A ogni modo, anche volendo, non
gli era più possibile di ritirarsi.
Quasi fosse d'accordo con la figliuola, lo zio Gabrio lo chiamò di lì a
poco e gli disse:
— Abbi pazienza, povero Giorgio.... Speravo di liberarti dalle
seccature, ma non c'è caso.... Stasera mi fai la cortesia di dare il
cambio a quel disgraziato Fanoli che da jer l'altro in poi non ha avuto
un momento di requie.... Resteranno ai tuoi ordini i due impiegati
dell'_Internazionale_.... Procura che spiccino quanto più lavoro
possono e allorchè li hai congedati chiudi il mezzanino e tieni la
chiave.... Me la consegnerai domattina.... prima della cerimonia.... Io
andrò a letto presto per aver domani la forza necessaria per seguire
il trasporto.... Tutti andremo a letto presto stasera, tutti siamo
affranti.... mia moglie, la Mariannina, tuo padre.... Egli poi a
maggior ragione degli altri.... Non è più un giovinotto, e ha voluto
far troppo.... Figùrati, ha voluto comporla nella cassa lui stesso....
Non lo sapevi?... Sì, sì, oggi alle tre.... con l'ajuto di Brulati....
Oh, io non avrei resistito.... Basta, ancora domani....
E sotto le frasi rotte, slegate di Gabrio Moncalvo s'indovinava una
specie d'intolleranza dello spettacolo di tristezza e di morte che
da vari giorni affliggeva la casa, una specie d'impazienza che tutto
finisse, che la vita riprendesse i suoi diritti e il suo impero.
Già per lui essa cominciava a riprenderli, e prima di pranzo desiderò
dar un'occhiata alle ultime lettere e agli ultimi telegrammi che
eran giunti e chiamò Fanoli per richiamargli alla memoria un certo
versamento di titoli che si doveva fare il lunedì alla Tesoreria
generale. Quindi, con lo stesso Fanoli, trattenuto a desinare, parlò
di un Sindacato ch'egli aveva in animo di promuovere per spingere il
prezzo della Rendita e agevolare la conversione. A tavola fu quasi solo
a discorrere, confortato dai monosillabi approvativi del segretario.
Discorreva di finanza, di politica, e anche d'edilizia romana, come uno
che vuole sviar la mente da pensieri importuni, distrarre l'orecchio da
suoni molesti. In fatti era in lui il ribrezzo della morte, della morte
ch'era entrata nella sua casa, che gli era tanto vicina.
Prima delle frutta, la signora Rachele, che aveva bevuto soltanto un
brodo ristretto e mangiato un'ala di pollo, accusò delle vertigini e
delle nausee strane e diede il segnale della partenza. La Mariannina
la seguì dopo aver augurato la buona notte a tutti. Parve a Giorgio
ch'ella lo salutasse in modo speciale, gli parve che gli occhi di lei
si fissassero nei suoi per ricordargli l'appuntamento. E gli salì una
fiamma al viso.
Indi a poco si alzò il professore Giacomo.
— Ti duole il capo? — gli chiese amorosamente il fratello.
Egli fece segno ch'era una cosa da nulla.
— Buona notte.
— Buona notte.
— Accompagno il babbo, — disse Giorgio.
— Sì, accompagnalo, — replicò lo zio. — E dopo torna qui.
— Era proprio inutile, — susurrò Giacomo appoggiandosi al braccio del
figliuolo.
Passarono davanti la camera della Clara. L'uscio n'era semplicemente
rabbattuto. Giacomo Moncalvo lo spinse ed entrò.
Il letto era disfatto, senza coperte, nè lenzuola, nè materassi, nudo
come uno scheletro. Appoggiata su due solidi cavalletti, la bara,
coperta d'un drappo nero, con frangie d'argento, teneva il mezzo della
stanza; quattro ceri le ardevano ai lati spargendo intorno una luce
gialla e fumosa or più or meno intensa, secondo che più o meno vivace
e frizzante penetrava l'aria per le imposte socchiuse. L'armadio
a specchio era quasi interamente mascherato da un'enorme ghirlanda
di foglie verdi e di bacche nere e lucenti sul cui largo nastro si
leggeva la scritta: «All'angelo della casa». Due donne d'aspetto
volgare, nè vecchie nè giovani, sedevano presso a un tavolino con le
gambe avviluppate in due grossi scialli di lana; avevano dinanzi a
sè un vassojo e sul vassojo un fiasco e due bicchieri; l'espressione
della loro fisonomia rivelava la suprema indifferenza acquistata
nell'adempimento professionale d'un triste ufficio.
All'apparire dei _signori_ le due donne si alzarono, offersero
ossequiosamente le loro sedie.
Giacomo Moncalvo fece segno che non occorreva e con un dito sulle
labbra impose silenzio.
Stettero qualche minuto, padre e figliuolo, con gli occhi fissi sul
feretro ove giaceva quella che ben a ragione era detta l'«angelo della
casa»; poi, taciti com'eran venuti, si dileguarono, senza badare
alle donne che, addossate alla tavola, si profondevano in inchini,
nascondendo, forse per un resto di pudore, il fiasco e i bicchieri,
compagni delle loro veglie.
Giorgio ricordava intanto le ultime parole che aveva raccolte dalla
bocca della moribonda: «Non pensare a lei». Monito vano. Egli non aveva
mai pensato a _lei_ così intensamente come ci pensava ora.


XIII.
La Sfinge.

Nel mezzanino, e precisamente nella stanza ch'era per solito occupata
dal cavaliere Fanoli, due lampadine elettriche portatili rischiaravano
il banco dietro a cui i due commessi dell'_Internazionale_ attendevano
al loro lavoro. Giorgio Moncalvo sedeva a un tavolino tutto ingombro di
carte, illuminato anch'esso da una lampada Edison.
Fanoli, prima di andarsene, gli aveva dato le indicazioni necessarie.
— Lì, in quel vassojo a sinistra, sono i biglietti già ricambiati....
Li ho controllati io.... Da questa parte son quelli ancora da
ricambiare.... Anche a quel mucchio di telegrammi fu risposto.... Agli
altri che sono sotto quel calcafogli risponderò io senza fretta.... Lì
sul canterale c'è una riserva di biglietti nostri in tanti pacchi da
cento.... E sul canterale sono pure trenta o quaranta avvisi mortuari
la cui spedizione fu ritardata, ma che partiranno stanotte.... Spinati
(era uno dei due commessi) che abita in vicinanza di San Silvestro,
quando esce di qui avrà la compiacenza di portare alla posta centrale
tutto quello ch'è pronto....
Ora Giorgio Moncalvo chiedeva a sè medesimo in che cosa consistesse
l'ufficio d'ispettore che gli era affidato. Quei due giovinotti intenti
a scrivere non mostravano d'avere alcun bisogno della sua guida; anzi
era certo che gl'indirizzi li sapevano far meglio di lui, perchè essi
avevano una magnifica calligrafia ed egli l'aveva pessima. Inoltre,
nello stato di febbrile inquietudine in cui egli si trovava, egli non
era in grado di esercitare alcun sindacato efficace, ed era già molto
se riusciva a nascondere la sua agitazione e a restar seduto al suo
posto. Di fronte a lui, sulla parete, l'orologio a muro col suo tic
tac uniforme rammentava il passare del tempo, e Giorgio seguiva con
l'occhio il movimento della lancetta sul quadrante.... Com'erano lunghi
i minuti! Fino alle undici e tre quarti, alle undici e mezzo al più
presto, egli non poteva rimaner solo.... E non erano ancora le dieci!
Quello dei due commessi che Fanoli aveva chiamato col nome di Spinati
gli disse:
— Ecco, signor professore, se lei volesse, potrebbe esaminare queste
cento soprascritte confrontandole coi biglietti a cui si risponde e che
abbiamo conservati qui.
Giorgio Moncalvo si scosse.
— Confrontare?... Ma lo credo perfettamente inutile.... Lascino che li
ajuti in qualche cosa che sappia fare anch'io.... Mi diano da attaccare
i francobolli.
— O signor professore, vuol prendersi lei questa briga?
— Che c'è di strano?
— E poi, scusi, — soggiunse Spinati maliziosamente, — ella non ha
esperienza.
— Come?
— Sicuro.... Ella si servirebbe dei vecchi metodi.... Invece....
E Spinati mostrò una macchinetta molto semplice e pratica con la quale
s'inumidivano i francobolli senza toccarli con la lingua.
— Ha ragione. È più comodo e più pratico, — disse Giorgio. — Ma
imparerei anch'io.
— Credo bene. E imparerebbe presto.... Ma non ne vale la pena.
— Allora, — riprese il professore, — mi passi un pacco di
quei biglietti di ringraziamento e li metterò nelle buste per
riconsegnarglieli dopo affinchè tra lei e il suo compagno facciano gli
indirizzi.
Spinati ubbidì con aria rassegnata.
Giorgio Moncalvo si accinse coscienziosamente all'opera, ma non potè
durare a lungo. Quelle buste e quei biglietti orlati di nero, esalanti
un odore acido d'inchiostro di stampa; tutti delle stesse dimensioni,
tutti con l'identica scritta: «La famiglia Moncalvo ringrazia»,
gl'irritavano i nervi, gli producevano una sensazione dolorosa agli
occhi, alla testa, alle dita. E poi l'immobilità continuata gli era
intollerabile.
— Li ammiro, — egli esclamò alzandosi bruscamente.
I due giovani lo guardarono meravigliati.
— Sì, — ripetè il professore, — ammiro la loro pazienza, la loro
calma.... Sono instancabili.
— Non sono occupazioni che stanchino, — osservò Spinati.
E l'altro che aveva taciuto fino allora soggiunse posando per un
momento la penna:
— Sarà accaduto anche a lei qualche volta di dover rimanere inchiodato
sulla seggiola per finire un lavoro che non poteva essere rimandato al
domani.
Se gli era accaduto? Sì, certo, e quante volte! Quanti giorni,
levatosi all'alba, la sera l'aveva sorpreso nel suo studiolo o in
un laboratorio, ora assorto nei libri, ora intento a scrutar con
la lente del microscopio il segreto degli esseri, a investigar nel
crogiuolo e nelle storte le trasformazioni della materia! Ma tutto
ciò gli pareva tanto lontano! Gli pareva adesso d'aver perduto ogni
facoltà d'attenzione e d'indagine; un fitto velo s'era calato fra lui
e il mondo del suo pensiero; egli si sentiva incapace di risolvere il
problema più semplice e di ripetere la formula più comune. Oh superbie
della scienza e dell'ingegno! In questo momento i due giovinotti che
scrivevano tranquillamente indirizzi con la sicurezza di non sbagliarli
erano di gran lunga superiori a lui. E forse avevano anch'essi per la
testa qualche leggiadra donnina, ma la loro Dulcinea non era di quelle
che fanno impazzire....
Giorgio si accostò al canterale ov'erano i pochi avvisi rimasti da
spedire; ne spiegò uno macchinalmente e lesse le parole sincere e
commosse dettate da suo padre:
«I fratelli Gabrio e Giacomo Moncalvo, la Cognata Rachele, i nipoti
Giorgio e Mariannina partecipano con profondo dolore la morte oggi
avvenuta della loro dilettissima Clara, donna esemplare per gentilezza
d'animo e dirittura di mente, vissuta cinquantacinque anni pensando
il bene, operando il giusto, sempre dimentica di sè per giovare agli
altri».
Com'era vero! Com'era vero! E come la zia Clara era degna di esser
ricordata ed amata! E pure, ella era ancora sopra la terra, ed egli
quasi la dimenticava e non aveva in cuore che la Mariannina, la quale
valeva tanto meno di lei!
Allorchè l'orologio segnò le 11.40 Giorgio Moncalvo disse ai due
giovani:
— Il più è fatto. Possono andarsene. Mi pare che il cavaliere Fanoli
avesse pregato uno di loro di portar tutto alla posta centrale.
-Oh, — rispose Spinati, — ci passiamo tutti e due dalla posta centrale.
Così dividiamo il peso.
— In fatti, — convenne Giorgio Moncalvo, — uno solo sarebbe imbarazzato.
-Oh, si dice per ridere.... D'inverno, col soprabito, ci son tante
tasche disponibili.
— Badino di non dimenticar nulla.
— Non dubiti. Buona notte, signor professore.
— Buona notte.
. . . . . . .
Giorgio era solo e l'aspettava ansioso. La Mariannina non gli aveva
dato altre indicazioni precise che quelle dell'ora, ma certo ella
sarebbe discesa dalla scaletta interna che riusciva appunto nella
stanza di Fanoli. Egli aperse la porticina, illuminando in tal modo un
tratto della scala a chiocciola. A mezzanotte udì, in alto, un lieve
rumore, e il sangue gli si rimescolò nelle vene.
— Chi è? — egli disse.
Ella era già dinanzi a lui.
— Sono io, — ella rispose col suo solito sorriso enigmatico. — Non mi
avevi chiesto un colloquio? Non ti avevo promesso di venire?
E gli si piantò davanti intrecciando le mani e appoggiandosi coi gomiti
alla spalliera d'una seggiola.
— Perchè stai ritta?
— Non sono stanca.... Parla, via....
Egli, così eloquente dalla sua cattedra, non trovava più nè idee, nè
parole.
— T'aiuterò io, — ella riprese con la sua calma superba. — Mi hai
chiesto un colloquio a proposito di quella corona di viole....
— Del principe Cesare Oroboni?
— Appunto.
— Il tuo fidanzato?
— Probabilmente.
— Ma tu, tu sei disposta a sposarlo?
— Sì.
— Sei franca almeno, — dichiarò Giorgio con immensa amarezza. — E lo
ami?
— Per ora no.... Niente impedisce ch'io lo ami più tardi.
— E cambi religione per cagion di questo matrimonio?
— Anche per questo.
— Anche per fede dunque?
— Ecco, pel momento, della fede ce n'è poca, ma monsignor de Luchi
m'istruisce con tanta pazienza che, presto o tardi, finirà col
convincermi.
— Oh Mariannina, Mariannina! — esclamò Giorgio Moncalvo alzando ambe
le braccia. — Ti sposi senz'amore, ti converti senza fede, e non hai
vergogna?
— Di che dovrei vergognarmi? Quante sono le ragazze che fanno
matrimoni d'amore, e quante fra quelle che praticano una religione
vi credono proprio sul serio?... Indovino ciò che vuoi dire.... Non
credere alla religione in cui si è nati non è la stessa cosa che
entrare in una religione nuova in cui si crede anche meno.... Ma chi
ti assicura che non crederò domani?... A ogni modo, le cerimonie del
cattolicismo mi piacciono.... E, in verità, tu dovresti essere l'ultimo
a scandalizzarti.... Non mi pare che tu abbia mai mostrato una gran
tenerezza per la cosidetta fede degli avi.
— E che significa questo? — replicò Giorgio. — Io non ho abbandonato
una superstizione per abbracciarne un'altra. Mio padre, ch'ebbe sempre
una condotta logica, m'insegnò con l'esempio che l'onestà della vita,
lo spirito di sacrifizio, l'amore del prossimo non hanno bisogno di
puntellarsi sui dogmi di nessuna Chiesa.
La Mariannina si strinse nelle spalle.
— Queste sono utopie.... Il mondo vorrà sempre una religione.... Quella
che fu nostra si sfascia da tutte le parti.... Prendiamo l'altra....
prendiamo la religione della maggioranza.
— Non la maggioranza dell'umanità, in ogni caso....
— O che me ne importa?... La maggioranza di questi paesi.... Se fossi
in Turchia mi farei turca.
— Come parli, Mariannina!... Come sei positiva, utilitaria, alla tua
età, col tuo ingegno che dovrebb'essere aperto a tutte le correnti
dell'avvenire! E tu invece ti volgi verso il passato....
— Chi sa che l'avvenire non sia proprio quello che tu chiami il passato.
— Ah no, — protestò energicamente Giorgio Moncalvo. — Il passato non
torna.... E tu, tu che sei ambiziosa....
Gli occhi della Mariannina sfavillarono.
— .... tu che sei ambiziosa, — ripetè Giorgio, — come sbagli strada!...
Se per te il matrimonio non è che un mezzo di brillare, di essere una
donna ammirata, potente, cerca il tuo compagno nella schiera di quelli
che si slanciano nella vita pubblica.... E ce ne sono d'intelligenti,
ce ne sono di titolati che diventeranno ambasciatori, ministri....
Quanti fra loro sarebbero felici di darti il loro nome!... Sei tanto
bella! Sei tanto ricca!
— Lo so, — rispose la ragazza, — che avrei potuto sposarmi in quel
modo.... Ma era troppo facile.... Ne ho avuti di quegli aspiranti a
cui tu alludi.... e li ho lasciati alle mie amiche.... Ce n'è una
appunto ch'è _secretaria_ d'ambasciata a Pietroburgo.... Un'altra
è _deputatessa_, e alla prossima crisi salirà di grado.... Suo
marito chiacchiera alla Camera, lavora negli uffizi (vedi che ho
pratica del linguaggio tecnico) e si conquisterà presto il suo bravo
portafoglio.... Bel gusto! Esser ministro in un paese ove i Gabinetti
durano pochi mesi e ove il primo mascalzone venuto può scagliarvi
addosso un sacco di vituperî.
— Ma è la vita, è la lotta, — gridò Giorgio.
— È un campo aperto a tutti gl'intriganti, — ribattè la Mariannina. —
Io voglio trionfare ove pochi trionfano.
— E ti attacchi a un cadavere?
— Un cadavere che non ha paura di decomposizione.... Ma pensa.... Io,
d'una razza che costoro sprezzano e abbominano, io salire al grado di
principessa romana! Vincere tutte le antipatie, tutti i pregiudizi....
— Non li vincerai, — interruppe violentemente Giorgio Moncalvo. — Sarai
sempre la reproba.
— Oh se vincerò! — ella rispose. — Oh, se saprò impormi! Tu non mi
conosci.
Così dicendo ella gli fissò in volto gli occhi superbi, i quali
parevano chiudere in sè tutto ciò che la donna può promettere e
minacciare.
E di nuovo egli provò innanzi a lei quello che aveva altre volte
provato, un sentimento strano fatto di sentimenti contrari,
d'attrazione e di ripugnanza, d'audacia e di pusillanimità, un bisogno
di afferrarla e di fuggirla, di dirle che l'odiava e di caderle ai
piedi adorandola.
— È vero, non ti conosco, — egli dichiarò con accento grave,
guardandola con un'espressione accorata della fisonomia. — Troppo tempo
siamo rimasti senza vederci.... Sett'anni fa, eri molto diversa.... Non
bella come sei oggi.... più buona.
— Sett'anni fa, sett'anni fa, — ripetè la Mariannina. E v'era nella sua
voce come un rimpianto del passato irrevocabile, e il lampo delle sue
pupille di domatrice si velò d'un'ombra di mestizia.... Ma ella scacciò
quell'ombra da sè con una mossa rapida della piccola testa. E chiese
sorridente: — Meno bella ero?... Ero poco più d'una bimba.... E pure a
qualcheduno piacevo.
Giorgio arrossì intensamente. E rivide la Mariannina in quel lontano
passato, la rivide al suo fianco per le vie e tra i monumenti di Roma,
disposta a riconoscere la superiorità di questo cugino maggiore, lieta
di strappargli una parola d'approvazione e di lode. Oggi, alla distanza
di sett'anni, dicendogli: «a qualcheduno piacevo», ella diceva senza
dubbio la verità.... Ma s'ingannava se credeva d'avergli, allora,
inspirato una passione.... Sett'anni addietro egli era uno studente
serio ed austero, infatuato della sua scienza, alieno da tutto ciò
che potesse distrarlo dai suoi sogni di gloria, deciso ad aprirsi una
strada nel mondo, a compensare con la sua buona riuscita le cure avute
da suo padre per lui. Quanto più savio allora d'adesso! Ed era appunto
per questo ch'egli aveva oggi arrossito all'allusione della Mariannina,
appunto perchè sentiva d'amarla adesso quand'egli avrebbe avuto il
dovere di scancellarla dalla sua mente, quand'ella meritava tanto meno
di essere amata.... Ma egli sentì anche, dal modo in cui ella parlava,
sentì che allora era lei che lo aveva amato, sentì che forse allora
s'egli avesse voluto, se avesse accondisceso alle offerte dello zio,
ell'avrebbe finito coll'esser sua.... Sarebbe stato felice? No, no;
gli restava abbastanza chiaroveggenza da intendere che c'era troppa
diversità tra i loro caratteri, i loro gusti, le loro aspirazioni,
perchè un'unione fra loro potesse esser felice.... Non importa, ella
gli avrebbe dato un'ora d'ebbrezza, ed egli, il rigido scienziato,
travolto da un vento di follia, chiedeva a se stesso se per avere
quest'ora non convenisse sacrificar tutta la vita.
— Mariannina, — egli disse a voce bassa e concitata accostandosi a lei,
— Mariannina, se anni fa le nostre anime eran così vicine, se poi le
circostanze le hanno divise, hanno eretta una barriera tra noi, credi
tu che quella barriera non potrebb'essere abbattuta?
Ella si strinse nelle spalle.
— Tu vaneggi.
Giorgio incalzò:
— Forse è una tavola di salvamento che ti offro.... Sei a un bivio
terribile della tua vita.... Tu stai per gettarti in un baratro di
viltà e di menzogna.... stai per comperare un misero blasone a prezzo
del tuo corpo e della tua anima.... E pur sei intelligente, e hai un
cuore che palpita, un cuore che ha bisogno d'amare.... Spezza l'incanto
malefico.... ubbidisci al tuo cuore.... al tuo cuore ch'è mio....
— Il mio cuore non è di nessuno, — ella replicò con alterigia, mentre
Giorgio, meravigliato egli stesso della frase che gli era sfuggita,
s'accorgeva d'esser giunto a quel limite estremo oltre il quale la
volontà e la ragione non governano più gli atti dell'uomo.
A fronte di lui, la Mariannina, interamente padrona di sè, continuava
calma e pacata, con quella sua voce ch'era una musica:
— Povero Giorgio! Tu vorresti salvarmi.... E non capisci che sono io
che ti salvo?... Non capisci che se ti dessi retta tu saresti domani il
più misero dei mortali?... Non vedi che la forza delle cose ci spinge
per vie affatto contrarie?... Che romanzi di tempi cavallereschi vai
architettando nel nostro secolo positivo! Non sett'anni, cent'anni
fa dovevamo incontrarci.... anzi prima ancora.... dovevamo crescere
accanto nella vecchia città di dove sono originarie le nostre famiglie,
entro il vecchio recinto che chiudeva la gente della nostra razza,
all'ombra delle nostre vecchie sinagoghe, isolati in un mondo ostile,
ristretti di ambizioni, d'idee, fidenti solo nella missione del nostro
popolo.... Allora sì avremmo potuto sposarci ed esser felici....
Oggi è impossibile.... La morte della zia Clara ci ha riuniti per un
istante.... Non ci vedremo più mai. Separiamoci senza rancore.
— E diventerai principessa Oroboni? — gridò Giorgio.
— Lo spero.
— O Mariannina, che Sfinge sei tu? Che impasto di contraddizioni?...
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