I Moncalvo - 02

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— No, le considero spassionatamente, come tutti i riti, come tutti i
simboli in cui l'umanità ha messo una parte della sua anima.
— Ma come possono interessarci quelle storie di tremila, di quattromila
anni sono, dette in una lingua che nessuno capisce più?... Quei
patriarchi, quel passaggio del Mar Rosso, quel Mosè che scende dalla
montagna con le corna in fronte!
— Eh via, ci hanno fabbricato su anche l'edifizio della religione nuova.
— È un'altra cosa, è un'altra cosa, — protestò la signora. — A ogni
modo, per tornare a noi, i nonni erano rabbiosamente ortodossi; la
generazione venuta dopo faceva finta di credere, ma non credeva; noi
della terza generazione non potevamo crescere che come siamo cresciuti.
Il professore annuì.
— Sicuro, la vecchia fede moriva. Tanto più era necessario che ciascuno
di noi si assimilasse quello che vi è di permanente, d'indistruttibile
nelle religioni per dar forza alla legge morale che deve governare la
nostra vita.
— Ecco il tuo torto, — saltò a dire il commendatore. E respinse da
sè la _Tribuna_ che aveva preso in mano in quel momento. — Prima di
tutto a varie religioni corrisponde una varia morale.... quella dei
turchi, per esempio, che ha pure le sue attrattive.... Dunque convien
principiare con lo scegliere la religione di cui si vuol spremere il
sugo.... poi, questo sugo sei ben sicuro di conservarlo quando hai
gettato via il frutto?
— Tu mi hai frainteso.... Io non volevo dire che le religioni
siano la sola base della morale.... A formar questa entrano tanti
altri fattori che sono dati dalla razza, dai costumi, dal grado
di civiltà.... Anzi oggi, in alcuni paesi civili, la morale degli
uomini veramente virtuosi è superiore per parecchi rispetti a quella
che le religioni insegnano.... Ma è un fatto che, generalmente, le
religioni rappresentano il massimo sforzo dell'uomo verso un ideale
di perfezione, e che questo sforzo è per sè un elemento di grandezza
morale....
— Ah, lo confessi? — esclamò, trionfante, la signora Rachele.
— Non ho la minima difficoltà a confessarlo. Ciò non toglie che io
m'auguri prossimo il tempo in cui la morale possa reggersi da sola
come un monumento che si regga senza l'armatura. Vedi, la religione è
come il dizionario, ch'è sempre in arretrato quando lo si paragoni alla
lingua viva.
La signora Rachele accennò a replicare, ma il marito le fece segno di
non insistere.
— E qual'è l'opinione del nostro Brulati? — egli chiese rivolgendosi al
pittore che schizzava delle caricature in un album tascabile.
— Brulati non ha opinione, — rispose l'artista. — Non ho voglia di
torturarmi il cervello, io.
— Allora vediamo l'album.
— Non ne vale la pena.
E Brulati stava per riporre il libriccino nella tasca interna del
soprabito. Ma si pentì a mezzo e soggiunse:
— Se mi assicurano di non aversene a male....
Tutti gli furono intorno ridendo di cuore dell'abilità con cui Brulati
sapeva cogliere il lato comico d'una fisonomia.
Il più entusiasta era Gabrio Moncalvo, quantunque fosse il più
tartassato dal caricaturista.
— Insuperabile! Con due tratti quest'uomo vi ammazza.... E non c'è da
sbagliarsi.... Ci si riconoscerebbe fra mille.... l'ho sempre detto.
I quadri di Brulati hanno molto merito, ma ce ne son tanti altri come
i suoi.... Dove non ha rivali è nella caricatura.... In Francia, in
Germania, in Inghilterra, collaborando al _Journal pour rire_, ai
_Fliegende Blätter_ o al _Punch_, farebbe tesori. Noi siamo un popolo
di spiantati.
E il commendatore seguitava a confrontare le varie caricature.
— La mia è il capolavoro, non c'è dubbio. Ma anche tu, Rachele, sei ben
servita.
La signora Rachele sorrise con la bocca stretta.
— Non lo nego. È il genere che non mi piace.
— Hai torto.... Però (non è vero, Brulati?) non si può pretendere che
le belle donne siano contente di vedersi ridotte in questo stato.
— È il destino di tutte le cose belle d'esser messe in parodia, — disse
pronto Brulati.
— Non mi canzoni, — replicò la signora, ammansata dal complimento. — Io
sono ormai un rudero.
— Ce ne fossero di quei ruderi!
— Ed ecco qui mia sorella, — seguitò il banchiere. — È tutta lei....
E pure non c'è che un po' di naso e due puntini per gli occhi.... e
nient'altro.
La signora Clara, ch'era di umore gioviale, e non aveva mai avuto
pretese, disse in tuono scherzoso:
— E giusto.... Non c'è altro realmente.
— Anche Giacomo è tal quale, — ripigliò il commendatore seguitando
la sua rivista. — Un paio di lenti, un ciuffetto sul fronte, e ce n'è
d'avanzo.
— Dev'essere un bel passatempo per lei, — notò il professore
rivolgendosi a Brulati. — Se potessimo far lo stesso quando assistiamo
alle sedute dei Lincei!
— Oltre al professorone ha fatto anche il professorino? — domandò
la signora Rachele, che con questo accrescitivo e questo diminutivo
intendeva designare il cognato e il nipote.
— Già; la caricatura mia e di Giorgio non l'ha fatta? — soggiunse con
la sua petulanza la Mariannina, mentre, in punta di piedi, dietro le
spalle del padre, vedeva svolgersi le pagine dell'album.
— Sfido io! — ribattè Brulati. — Erano in ombra perfetta.
— Doveva dirci che ci mettessimo in luce.
— Nemmen per sogno.... Stavan troppo bene così.
Quest'era anche l'opinione di Giorgio, il quale tornò nel vano della
finestra, ove la Mariannina lo raggiunse subito.
Nonostante i suoi fieri proponimenti, il giovine scienziato subiva
il fascino della cugina bellissima che dopo sett'anni gli appariva
tanto diversa da quella d'un tempo. Come s'era aperto fulgido ed
orgoglioso il fiore ch'egli aveva visto nel boccio! Tutto in lei pareva
un incanto: il viso, la persona, la voce, perfino il profumo ch'ella
spargeva intorno a sè. Ed egli, l'austero giovine che, immerso nei
suoi studi, poco o nulla aveva concesso ai piaceri della sua età, oggi
pendeva inebbriato da quella bocca ammaliatrice, da quegli occhi accesi
a volte d'una sùbita fiamma, a volte velati da una dolce malinconia. E
la divina fanciulla gli dava del _tu_ ed egli dava del _tu_ a lei, ed
ella lo aiutava a rievocare il passato e lo ascoltava benevola quando
egli le parlava de' suoi disegni per l'avvenire.
— Le nostre passeggiate al Foro Romano, te ne rammenti?
— Altro! E quelle al Palatino?
— Ti rammenti? Ti rammenti?
— Sicuro.... E come mi confondevi con la tua erudizione! Il poco che so
di storia romana lo devo a te.
— Oh, io ero un pedante.... Noi, uomini di studio, siamo pedanti
tutti.... Avevi più ragione tu che, appunto al Palatino, mentre io
ti discorrevo di Augusto, di Caligola, di Tiberio, stavi incantata a
sentire il cinguettio allegro dei passeri nel folto degli alberi....
— Davvero? Che buona memoria hai!
— E ricordo anche che al Foro Romano i fiori di giaggiolo che
crescevano ai piedi del tempio di Saturno t'interessavano molto di più
delle mie dotte dissertazioni.
— Ero una bimba. Ma adesso la so lunga, dopo che al Foro Romano ho
avuto per guida nientemeno che Giacomo Boni.
— Brava!
La dimestichezza così presto ristabilita fra i cugini non dava ombra ai
coniugi Moncalvo, d'accordo ormai nell'aspirare a un gran matrimonio
per la loro figliuola, ma sicuri che la Mariannina non si sarebbe
scaldato il sangue per uno spiantato; un'inquietudine di diversa natura
turbava invece la signora Clara, che per interrompere il colloquio de'
due giovani rivolse una domanda al nipote:
— Dunque, Giorgio, quand'è che cominci le tue lezioni?
— Quando s'aprirà l'Università.... il mese venturo.... Intanto Salvieni
mi disse d'andar a lavorare nel suo gabinetto.
— Sei assistente di Salvieni? — disse il commendatore.
— Sì.
— Che ha la cattedra di.... di....?
Giorgio pronunziò una parola difficile.
— Già, già.... Non si capisce, ma poco importa. E che paga hai?
— Milleduecento lire.
— Per i sigari.
— Se non fumo! — obbiettò Giorgio.
— Per i minuti piaceri, insomma.... molto minuti....
— E poi mi preparerò i titoli per partecipare a un concorso.
— A qualche cattedra di ginnasio?
— D'Università.... spero.
— E riuscendo entreresti come professore straordinario?
— Naturalmente.
— Con tre mila lire l'anno?
— S'intende.
— Per diventar poi con comodo professore ordinario con cinquemila lire
di stipendio....
— Ci vuol tempo.
— Figùrati se non lo so.... Come ce n'è voluto a tuo padre, il quale
oggi con due quinquenni guadagna la bellezza di seimila lire, meno la
trattenuta. Dico bene?
Padre e figliuolo si misero a ridere.
— Sei meglio informato dell'agente delle tasse.
— Ho sempre tenuto d'occhio i miei stretti parenti, — rispose il
commendatore. — E in ogni modo, fin che viveva la povera Lisa, era lei
che ci ragguagliava di tutto.... Non è vero, Rachele?
Quest'allusione alla moglie e alla madre morta dispiacque al professore
Giacomo e a Giorgio. Essi non ignoravano che la _povera Lisa_ non s'era
mai adattata serenamente alla sua condizione economica appena modesta,
e se ne doleva nelle sue lettere alla cognata, dalla quale accettava, e
fors'anche sollecitava regali di qualche valore. E se fosse dipeso da
lei non avrebbe esitato un momento ad accogliere le offerte di Gabrio
che, avvezzo a maneggiar dei milioni e liberale per indole, sarebbe
venuto volentieri in aiuto del fratello. Ma guai a toccar questo tasto
con Giacomo! A badare a lui, la sua famiglia non aveva bisogno di
nulla.
— Voi siete filosofi, — riprese il commendatore, per mitigar l'effetto
delle parole pronunziate prima, — ed è una bella qualità ch'io
ammiro.... negli altri.... _Multa petentibus desunt multa_.... Non ho
dimenticato interamente il mio latino.
Il professore completò ridendo la citazione:
— _Bene est cui deus obtulit, parca, quod satis est, manu._ — E
soggiunse: — La Lisa era un angelo.... Aveva l'unico torto di non
voltarsi a guardar quelli che stanno peggio di noi.... Dio buono! Tra
la mia paga e il frutto della sua dote e di quel poco che avevo io,
abbiamo sempre avuto il modo di sbarcare il lunario anche quando io non
ero che un misero professorino di liceo.... Non siamo stati mai più di
tre, e allora Giorgio era un bimbo....
— Pure a non intaccare il capitale in quei primi anni sei stato bravo.
— Voglio esser sincero. L'ho intaccato due anni di seguito per portar
la Lisa e questo ragazzo in montagna.... Grazie al cielo, ho potuto
colmare il vuoto, e alla mia morte Giorgio avrà venticinquemila lire
da aggiungere ad altrettante ereditate da sua madre.... Sarà _quasi_
ricco.
— Non siete esigenti, — dichiarò il commendatore, scuotendo il
sigaro nel porta-cenere. — Ricco senza il _quasi_ egli sarebbe stato
accettando sett'anni fa la mia proposta.
La Mariannina intervenne con una frase che per lei non aveva
importanza, ma che produsse una viva impressione sul cugino:
— Se diventerà celebre si consolerà di non esser milionario. La gloria
vale la ricchezza.
— La gloria, la gloria! — borbottò il commendatore, — A ventanni tutti
la sognano.... quanti poi la raggiungono? A ogni modo, anche la gloria
ha le sue ingiustizie.... Perchè dev'essere riservata agli scienziati,
ai poeti, agli uomini di Stato, ai guerrieri?... Credete che ci voglia
meno ingegno a concepire e a condurre a buon fine le grandi operazioni
finanziarie che a fare una scoperta, o a scriver dei versi, o a
governare un paese, o a vincere una battaglia?... Uomini come Morgan,
come Carnegie....
— Io preferisco Marconi, — saltò su la ragazza.
In quella il domestico sollevò la portiera e introdusse un signore di
età matura, ma di bella presenza, nel quale Giorgio Moncalvo riconobbe
il cavaliere elegante ch'egli aveva visto a Villa Borghese in compagnia
della Mariannina.
— Come va, _donna_ Rachele? — chiese il nuovo arrivato chinandosi a
baciar la mano che la padrona di casa gli tendeva amichevolmente.
— Mio fratello Giacomo, mio nipote Giorgio, il conte Ugolini Ruschi,
— disse il commendatore Gabrio a modo di presentazione. — Ma forse con
Giacomo si sono già incontrati.
— Col signor professore?... Sicuro.... Qualche mese fa, — rispose il
conte.
— È professore in erba anche mio nipote, — soggiunse Gabrio Moncalvo.
— Malattia ereditaria.... Arriva fresco fresco da Berlino, ove ha
completato i suoi studi di fisiologia.... Ora è assistente di Salvieni.
— Berlino! — esclamò il conte. — Che città!.... Ci fui dieci anni
or sono per le nozze di mio cugino Wartenburg.... cugino in terzo
grado per parte di donne.... Non ha avuto occasione di frequentare i
Wartenburg?... No?... Gran famiglia.... famiglia che riceve....
— Oh, io vivevo così ritirato, — notò Giorgio.
— Dai miei parenti vanno molti professori, — riprese Ugolini. — E mio
cugino è una specialità in araldica. Sa anche benissimo l'italiano....
Si rivolse alla signora Moncalvo e soggiunse:
— Se mi permette, _donna_ Rachele, glielo farò conoscere la prima volta
che verrà a Roma per una seduta dell'Ordine.
Ugolini alludeva all'Ordine di Malta di cui era cavaliere anche lui.
— Sarà un onore, — balbettò tutta confusa la signora Rachele. — Ah,
quella loro villa sull'Aventino! E pensare che non ci vanno mai!... Se
l'avessi io!
— Ci torneremo, _donna_ Rachele. Ci torneremo quando sarà qui mio
cugino.
Il conte Ugolini Ruschi vi aveva un giorno accompagnato le due
Moncalvo, madre e figliuola, e la visita aveva lasciato, sopra
tutto nell'animo della madre, un'impressione profonda. Una specie
d'esaltazione mistica s'era impadronita di lei, mentre il cavaliere di
Malta la guidava tra le fitte siepi di bosso che limitano i sentieri
rettilinei del non ampio giardino, le mostrava nella chiesa le tombe
degli antichi Gran Maestri, le sedeva accanto nella splendida terrazza
a' cui piedi scorre il Tevere e da cui l'occhio abbraccia tanta parte
di Roma.
— San Pietro domina tutto, — aveva detto con enfasi il conte additando
la cupola di Michelangelo. — Tutto è piccolo al paragone.... E San
Pietro resterà. San Pietro continuerà a dominare su tutto.
Così, in mancanza di Turchi da combattere, il cavaliere della fede non
s'era lasciato sfuggir l'occasione di magnificare in cospetto delle
due reprobe le glorie del cattolicismo. E da allora in poi, anche per
ragioni d'indole diversa, le effusioni religiose del conte Ugolini
avevano trovato, specie da parte della signora Rachele, benevolo
ascolto.
— Beato lei che crede! — ella sospirava sovente.
E ne' suoi colloqui con la Mariannina levava a cielo il perfetto
gentiluomo che univa tanta grazia mondana a tanto fervore di pietà.
La Mariannina conveniva ch'era stata una fortuna l'aver conosciuto
Ugolini, per mezzo del quale ell'aveva potuto assistere alla
canonizzazione di due Santi ed esser ammessa a un ricevimento del
Pontefice che non aveva sdegnato di abbozzar sul suo capo d'eretica
un vago segno di benedizione. Tuttavia gli sdilinquimenti materni le
parevano eccessivi e richiamavano sul suo labbro un sorrisetto ironico
o una smorfia dispettosa.
Quella sera la prospettiva di tornar alla Villa sull'Aventino a fianco
di due cavalieri dell'Ordine entusiasmava addirittura la signora
Rachele.
— Ah Ugolini, com'è amabile, com'è gentile!... Hai sentito, Mariannina?
— Ho sentito, ho sentito, — replicò la ragazza con mal celata
impazienza. — Ma, a proposito, conte, ha rivisto miss May dopo la
nostra cavalcata di ier l'altro?
— Non l'ho rivista, ma mi ha scritto, mandandomi uno _chèque_ di cento
sterline per le nostre _pericolanti_.
— Appunto, sapevo che aveva quest'intenzione.
— Ha mandato fino da ieri, e come può credere ho risposto subito. È
d'una generosità quella signorina!
— Suo padre ha un miliardo, — borbottò il pittore Brulati.
— E lo fa fruttar bene, — soggiunse Gabrio Moncalvo.
— È permesso? — chiese dalla soglia una vocina insinuante.
E un pretino che aveva più di cinquant'anni ma ne mostrava assai meno
si avanzò nel salotto.
— Oh, monsignor de Luchi, — dissero in coro il commendatore e le donne.
— Che buon vento?
— Ecco, signora Rachele. Passavo di qui e vedendo le finestre
illuminate ho pensato fra me e me: I signori Moncalvo sono in casa.
Andiamo a salutarli.
— Bravo!
Non erano ancora finite le presentazioni e i saluti, che già entravano
altre persone, tutte in _frac_ e cravatta bianca; un segretario del
Ministero degl'interni, un deputato della maggioranza, un consigliere
d'una grande Società d'assicurazioni, un alto personaggio degli esteri.
Quest'ultimo cercò istintivamente con gli occhi la poltrona ov'egli
soleva fare il suo pisolo, e vedendola occupata rimase un momento
perplesso. Ma la vigile signora Clara ne spinse verso di lui una di
simile.
— Qui, qui, commendatore.
— Oh, signora Clara.... Mi crede proprio un sibarita, — disse il
diplomatico affrettandosi però a sdraiarsi nel comodo seggiolone. —
Ed ella crede anche ch'io dorma, — egli soggiunse. — Scommetto che lo
crede.
— Nemmeno per idea, — ribattè la signora. — Ella finge di dormire per
non lasciarsi scappare i segreti della Consulta.
— Proprio così, cara signora, proprio così.... Lei almeno capisce
a volo.... Non lasciarsi sfuggire i segreti propri e cercar di
sorprendere i segreti altrui, ecco l'alfa e l'omèga della nostra
professione....
Mentre il consigliere della Società assicuratrice discorreva d'affari
con Gabrio Moncalvo, il deputato della maggioranza e il segretario del
Ministero degl'interni si sforzavano di accaparrar l'attenzione della
Mariannina che li teneva a bada tutti e due senza trascurare il cugino
Giorgio. La signora Rachele intanto, seduta fra il conte Ugolini Buschi
e monsignor Paolo de Luchi, accoglieva con visibile compiacenza certe
comunicazioni fattele da quest'ultimo.
A un tratto ella non potè trattenersi dal chiamare sua figlia.
— Mariannina! Mariannina!
— Son qui.... Che cosa desideri?
La signora Rachele fece segno alla ragazza di avvicinarsi.
— Lo sai? — ella le disse piano. — Io firmerò il manifesto per la Fiera
di beneficenza subito dopo la principessa Oroboni.
— Che onore!... Del resto, sei quella che ha dato di più.
— Ma son l'unica che non abbia un nome patrizio.... E sono anche
l'unica.... mi intendi?...
— Sì, la gran macchia d'origine....
— Diceva poi il nostro don Paolo che nella settimana ventura potremo
andare insieme con lui a vedere il palazzo e il giardino.
— Oh, oh! Si degnano!
— I padroni non ci saranno.... Saranno a Loreto.
— Allora! — fece la Mariannina con un gesto sprezzante.
— Non entra nessuno nemmeno quando non ci sono in casa i padroni, —
spiegò monsignore. — Ho ottenuto io il permesso.... per loro....
— Ma sì, — riprese la signora Rachele. — È una preferenza della quale
dobbiamo esser grati.
Giacomo e Giorgio Moncalvo si alzarono.
— Di già? — chiese il commendatore.
— Siamo gente selvatica, — rispose il fratello, sorridendo.
— Vi aspettiamo presto.... A prima sera siamo sempre soli.
— Io voglio una visita tutta per me, — dichiarò la zia Clara al nipote.
— Da mezzogiorno alle quattro sei sicuro di trovarmi in casa.
— E se telefoni in tempo, trovi anche me, — soggiunse la Mariannina
accompagnando i parenti fino all'uscio. — Voglio mostrati i miei
acquarelli.
— Dipingi?
— Sicuro. Studio con Brulati.... Andiamo qualche volta insieme in
automobile nella campagna romana.... T'inviterò una mattina.
— Grazie.
Il professore Giacomo abbreviò i saluti.
— Buona sera. — Spìcciati, Giorgio.


III.
Due che non dormono.

— Ti sarai persuaso che non è ambiente per noi, — disse il professore
al figliuolo quando il portone del Palazzo Gandi si richiuse dietro a
loro.
Giorgio non diede una risposta decisa.
— È un fatto che non mi raccapezzo.... Sono sempre molto alla mano,
specie lo zio e la Mariannina, ma non sono più quelli di sette anni
fa.... Hanno mutato _orientazione_.
— Completamente.... Mio fratello era radicale, ora è conservatore; si
atteggiava a spirito forte, ora amoreggia coi preti.
— Ma come? Ma perchè?
— Eh, mio caro, ognuno ha i suoi difetti.... Gabriele....
— A proposito, oggi tutti lo chiamano Gabrio.
— È più _chic_.... Gabrio dunque è ambizioso.... Visto che non riusciva
da una parte, s'è voltato dall'altra.
— E s'illude d'aver l'appoggio dei clericali per entrare in Parlamento?
— Credo che abbia rinunziato alla politica.
— E allora che aspirazioni ha?
— Ha un poco le aspirazioni di sua moglie, ambiziosa anche lei, ma
come soglion essere le donne, che ci tengono più all'apparenza che alla
sostanza.... Entrare nei salotti più chiusi ed intransigenti, assistere
dalle tribune riservate alle funzioni di San Pietro, appartenere ai
Comitati di beneficenza ove prevalgono le dame dell'aristocrazia nera,
ecco i grandi ideali di tua zia.... Gabrio poi, ch'è un uomo positivo,
accarezza la prospettiva di partecipare per mezzo della sua Banca
internazionale a qualche operazione finanziaria col Vaticano.
— Sta a vedere che avremo lo spettacolo commovente d'una conversione!
— Non me ne meraviglierei.... Credo però che mio fratello ci penserà
due volte prima di tagliarsi dietro i ponti.... A lui giova avere un
piede anche nel campo liberale.
— In fatti, — notò Giorgio, — riceve una società molto mista.... Un
monsignore, un cavaliere di Malta, un deputato, un alto funzionario del
Ministero degli esteri, un segretario del Ministero degl'interni, che
mosaico!
— Ce n'è per tutti i gusti.
— E quel cavaliere che uomo è? — proseguì Giorgio. — Pare in grande
intimità con la famiglia.... Ieri mattina era a Villa Borghese con la
Mariannina e con le sue amiche americane.
Il professore tentennò la testa.
— Ma!... Io lo conosco poco.... Passa per aver molti debiti....
— E monsignore?
— Lo conosco anche meno.... Mi dà l'idea d'un pretino furbo,
inframmettente sotto la maschera della discrezione, punto sincero nelle
massime di tolleranza che ostenta per aver facile accesso anche nei
salotti meno ortodossi.
Dopo una pausa, Giorgio Moncalvo chiese, esitante:
— E della Mariannina che opinione hai?... A sentirla, si direbbe che
non le sian saliti fumi al cervello.
Inquieto, il professore Giacomo guardò suo figlio.
— Per carità, Giorgio, non te ne fidare.... Mio fratello e mia cognata
hanno il gran merito di mostrarsi quali sono; ed è la ragione per
la quale, pur non approvando le idee e la condotta di Gabrio, gli
voglio sempre un gran bene.... Ha, con tutte le sue debolezze, qualità
preziose d'ingegno e di cuore, e, dopo la Clara ch'è un angelo, è il
migliore capo della famiglia.... Ma, di fondo, non è cattiva neanche la
Rachele.
— Cattiva sarebbe soltanto la Mariannina, — ribattè il giovine con una
certa amarezza.
— Non esageriamo.... La Mariannina è quella che dev'essere fatalmente
una ragazza contenta in ogni suo capriccio, corteggiata, bellissima, e
con un milione di dote.... senza contar gli altri che le verranno alla
morte dei genitori.
— Però non ha l'aria d'aver il culto del danaro, — obbiettò Giorgio. —
Capisce il valore dell'intelligenza, della dottrina....
— Forse capisce la gloria, o.... piuttosto della gloria.... la fama,
che suona le sue mille trombe e richiama l'attenzione della folla
sopra un nome.... Sarebbe.... forse.... capace d'innamorarsi d'un
uomo celebre.... pel quarto d'ora che gli dura la celebrità.... Il
giorno in cui l'astro fosse offuscato da un altro più luminoso ella si
reputerebbe sciolta dai suoi impegni.... Non è donna che s'immolerebbe
al genio oscuro o al genio sfortunato.
— Sei severo.
— Son giusto.... Ma, in fine, perchè ci bisticciamo? Grazie al cielo,
tu non hai da sposarla.
— Io? — disse Giorgio con ostentata indifferenza. — Ci mancherebbe
altro!.... Mi meraviglio piuttosto che non si sia già sposata. Ha
diciannove anni....
— Non son molti.... A ogni modo, i partiti non le sarebbero mancati.
— E non ne ha trovato nessuno di suo aggradimento?
— Pare.
— Che vuole?... Un principe?
— Chi sa?
— Qui ce ne son tanti.... Ma le sue amiche americane le faranno
concorrenza. E hanno anche più danari di lei.
— Vero.... Ma i suoi danari son qui, alla mano; gli altri sono di là
dall'Oceano.
Così chiacchierando, padre e figliuolo erano giunti presso
all'imboccatura del tunnel del Quirinale. Un tram diretto ai Prati di
Castello si fermò accanto a loro per lasciar scendere qualcheduno.
— Si potrebbe salire, — propose il professore.
— Volentieri.
Senza parlare arrivarono, portati dal tram, fino in Piazza della
Libertà e percorsero a piedi, in silenzio, i quattro o cinquecento
metri che li dividevano da casa loro, in prossimità di Piazza Cavour.
— Siamo alloggiati con meno lusso dei nostri congiunti, — disse
scherzando il professore Giacomo dopo aver aperto la porta e acceso con
un fiammifero la candela ch'era posata per terra in un angolo.
— A Berlino ho sempre vissuto in una cameruccia da studente, la metà di
quella che ho qui, — dichiarò Giorgio.
E voleva prendere il lume di mano a suo padre, ma questi s'oppose.
— No, per oggi ti precedo io.... Ho più pratica.
— Buona notte, — soggiunse il professore quando, fatti centocinquanta
scalini, furono entrati nell'appartamento.
— La disposizione del nostro quartierino la sai.... La tua camera da
letto è lì.... Hai bisogno di nulla?... La nostra donna ha l'abitudine
di coricarsi presto.... Io preferisco di non farmi aspettare.... Però,
se tu vorrai....
— No, babbo, — rispose Giorgio, ricambiando la buona notte. — Perchè
dovrei aver più esigenze di te?
Nella sua camera, davanti alla scrivania, presso a una cassa di libri
non ancora interamente vuotata, Giorgio Moncalvo pensò a suo padre con
un'ammirazione mista di tenerezza e d'invidia. Era ormai conosciuto, in
patria e fuori, come uno de' maggiori matematici italiani, e conservava
immutata la semplicità dei gusti e dei modi, e i brevi e fuggevoli
contatti col fratello ricchissimo non servivano che a fargli amare
di più la vita sobria, le abitudini quasi claustrali, le aule della
sua scuola, le pareti silenziose del suo studio. Anch'egli, Giorgio
Moncalvo, a Berlino, imponendosi a modello il suo maestro Raucher, per
tanti rispetti simile al padre suo, aveva condotto nel presente, aveva
sognato per l'avvenire un'esistenza non turbata dalle passioni, non
distratta dai piaceri, non avvilita dalla sete dell'oro. Tutt'al più la
gentile adorazione di Frida gli molceva l'anima con la soavità di una
carezza, temperava con un soffio di poesia le rigide austerità della
scienza.
Ma oggi egli non riconosceva se stesso. Gli era bastato veder la
Mariannina, sfiorarne il vestito, toccarne la mano, udirne la voce,
aspirarne il profumo per sentir un altr'uomo dentro di sè, un uomo
simile a quelli ch'egli soleva guardare dall'alto come esseri di
una razza inferiore. Provava anch'egli quelle febbri del sangue che
gli eran parse fino allora uno stigma di bestialità; anch'egli era
distratto nelle sue meditazioni da pensieri profani, da immagini
lascive; oppure, in qualche momento, s'abbandonava alla duplice
illusione tante volte derisa di giunger più presto alla gloria per
mezzo dell'amore e di conquistar l'amore per mezzo della gloria. La
Mariannina non aveva ella detto che preferiva Guglielmo Marconi ad
Andrea Carnegie?
Senonchè, Giorgio Moncalvo era uno di quei pazzi che conoscono la
loro pazzia, e quella notte, curvo dinanzi al manoscritto d'un lavoro
scientifico ch'egli aveva cominciato a Berlino in tedesco e che
voleva rifar da capo in italiano per presentarlo all'Accademia dei
Lincei, fu colto ad un tratto da un riso amaro e spasmodico leggendo
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