Gli eretici d'Italia, vol. III - 76
Il nono riguarda il principato civile del pontefice, e l'asserire
assolutamente che l'annullarlo gioverebbe alla Chiesa.
Il decimo colpisce quel liberalismo _odierno_, che non vuol più la
cattolica come unica religione dello Stato, ma pretende piena libertà di
culti; e vuole che il pontefice non solo possa, ma debba venir a
transazioni con siffatto liberalismo.
Il sinodo tridentino aveva raccolto tutti i dettati ereticali e
pronunziatone l'anatema, segnando la precisa linea fra la verità e
l'errore, senza transazioni nè compromessi. Altrettanto faceva il
sillabo in tanta nuova esitanza, combattendo il falso senza serbare
alcun legame con esso; colpendo l'eresia intellettuale del razionalismo
o panteismo, l'eresia sociale della statolatria, l'eresia religiosa di
separare la civiltà dalla rivelazione. Allora negavasi il papato
nell'ordine religioso, ora negasi nell'ordine della civiltà,
indietreggiando alle dottrine pagane: quello volle ravvivar la pietà e
la fede de' credenti, questo richiamar la civiltà cristiana
all'autorità, ridurre in armonia la scienza colla fede, la patria colla
Chiesa, la libertà colla legge, la vita con Cristo, e con ciò salvare
non men la Chiesa che la società, scassinate da quegli errori.
Non c'è vituperio che non siasi lanciato a questa enciclica e al
sillabo, più che nel secolo precedente alla bolla _Unigenitus_. Non
teologi, non moralisti, neppur uomini di Stato, ma le persone meno
competenti, e più passionate, giovani che non sanno il catechismo e
ancor meno perchè credergli, la sentenziarono d'eccessiva, se non altro
d'inopportuna; e che valea meglio tacere, e non suscitare nuovi, o
irritare vecchi nemici. In Francia i giornali la tradussero con istrane
alterazioni, che parevano d'insigne mala fede, sinchè fu dimostrato
ch'erano d'ignoranza. Non importa: le loro asserzioni vennero aggradite
dalla solita spensieratezza del pubblico, e tanto più che il Governo, il
quale ne permetteva la discussione non solo, ma fin l'adulterazione ai
giornalisti, vietò ai vescovi di pubblicarla.
In Italia s'accettò quella disapprovazione come tutto quanto arriva di
Francia, e senza prender cura neppur di leggerlo[650], si fe dire al
papa quel che mai non avea; s'interpretò a capriccio; se ne fece un
mostro che atterrisse i deboli e desse ridere ai capameni; e nel
frasario plateale restò come una «sfida alla civiltà, alla filosofia,
alla ragione».
Delle opportunità è giudice la Chiesa stessa; e se gli avversarj ne
tolsero pretesto a molestarla, n'avrebbero côlto un altro o fattolo
nascere. Non vedemmo anche nel Cinquecento imputarsi il papa delle
inimicizie che si suscitarono a lui, o ch'erano suscitate dall'averlo
abbandonato? Ben è notevole che, mentre in Francia fu proibito di
pubblicare il sillabo, e condannato per abuso il vescovo che lo
sostenesse, nel Belgio, nella Gran Bretagna, nell'America, in Germania
fu divulgato liberamente, combattuto, difeso, senza che ne pericolasse
lo Stato. E mentre i discorsi che i re pronunziano dal trono sono
discussi per un momento, poi dimenticati, questa parola rimase; fu
intesa dal mondo tutto, nel mondo tutto combattuta, eppure i secoli non
ne cancelleranno una proposizione[651].
Il sillabo non obbliga se non quei che gli credono; non adopra coazione:
siete voi così illiberali da impedire a me d'avergli fede? E il papa
potè pubblicarlo perchè libero: se fosse suddito poteasi impedirglielo,
come vorreste voi; voi abborrenti dalla libertà, mentre dal sillabo
nessuna libertà fu tolta in nessun luogo, nè rotta veruna istituzione
moderna. A cotesti freddi fanatici vorremmo chiedere se la Chiesa non
abbia tanto diritto di difendersi, quanto essi ne pretendono
d'assalirla. Tutti i giorni baldanzeggiano oltraggi contro ad essa, al
papa, a Cristo; si cospira alla Camera colla parola, alle Università
coll'insegnamento, ne' giornali colla sguajataggine, nei caffè colla
vulgarità, nei teatri colle rappresentazioni, colle armi fra le bande
cui non può frenare nè il ministero nè il re; i Governi non
indietreggiano da nessuna odiosità, da nessun ridicolo per regolamentare
una Chiesa, di cui o sconoscono o rinnegano le dottrine; fomentano la
diserzione del sacerdote e l'apostasia: stipendiano chi dalle cattedre
impugni Dio, l'anima, la ragione; dichiari immorale il vangelo,
superstizioso ogni culto, scimmia l'uomo, vera soltanto la materia,
cancro della religione e della società il pontefice; sono divulgati
dalla stampa e usufruttati dagli abili quanti irrompono voti sacrileghi,
sentimenti atroci; è applaudito ad ogni follia che si stampi, a ogni dio
che si inalzi, a ogni sètta che rinnovi il grandioso libertinaggio
dell'antico gnosticismo accoppiando il burlesco e il sublime. Quando mai
Cristo fu tanto esposto agli sputacchi della frenesia patrizia, della
ricca plebe, della ciurma scrivente? I principi che un tempo
tormentavano il papa in secreto, ora l'assalgono apertamente, volendo
esser Attila piuttosto che Carlomagno, e gli impongono urlando di
benedirli. La nazione più non fa risalir al cielo le sue prosperità e le
sue sventure, nè la preghiera attraversa più le lacrime di questa valle
per salire a Dio. Non credendo che in sè, bisogna giungere a non
obbedire che a sè, non preoccuparsi che de' bisogni fisici, degli
appetiti sensuali; non cercar l'intelligenza che per far crescere i
bisogni, ed eccitare a nuovi godimenti.
Ebbene! se un cristiano alza la voce, e denunzia questa rinnovata
barbarie alla pubblica coscienza, se una libera voce ne avverte i
fedeli, perchè dovrebbero esserne maledetti? Perchè scandolezzarsi
quando il papa e i vescovi si lagnano di tante ingiustizie; quando
proclamano che la società non dev'essere abbandonata all'arbitrio di una
persona o d'un parlamento: quando fra tanti disastri fisici compiangono
i morali? Presto si arriva a praticare i vizj che si cessa di biasimare,
e la Chiesa che ordina i fedeli al vero e al giusto, come può non
protestare contro la falsità e l'ingiustizia, contro gli errori del
pensiero che possono recar sì gravi disastri? Essa vuole l'inviolabilità
del diritto e del giuramento, la riverenza al potere, anzichè la
rivoluzione, la quale nasce dall'egoismo che fa preferire la volontà,
gl'interessi, la gloria propria all'altrui, e per rivendicarli
conculcare i diritti del prossimo. Dottrine contrarie corrompono; la
santa sede, guardiana delle massime sociali, non deve premunire? Essa
che fa predominare l'idea sopra i fatti, può non condannare la dottrina
de' fatti compiuti, la sovranità del fine, l'egoismo del non intervento,
la legittimità del pugnale, l'onnipotenza del numero, la ribellione come
unico rimedio al despotismo elevato sulla base della democrazia? Questi
errori sociali erano già combattuti da economisti, da filosofi, da
politici; quanto più lo doveano dalla Chiesa, stato perfetto, ideale
normale, che vuole il vero assoluto?
Che tutti siano raccolti «nell'unità della fede e nella conoscenza del
Figliuol di Dio»[652] è l'aspirazione della Chiesa: ma ciò le toglie
forse di correggere anche, come un padre cui spetta il dovere di
garantire i figliuoli dai proprj istinti o dalla seduzione? le toglie di
curarsi delle istituzioni civili, di metter le verità divine sopra gli
opinamenti umani? L'enciclica e il sillabo non fanno, nè domandano di
più: cercano la pace intellettuale e il rinascimento delle convinzioni.
Quando si volle sbandir dalle scuole i classici profani come tarlo della
società, prelati e dottori difesero i metodi antichi[653]. Così è della
filosofia pagana. V'è chi attenua le forze dell'uomo, o spingendosi coi
Luterani fino a negare il libero arbitrio, o fermandosi ad attaccare il
valore della ragione individuale, o dando all'atto umano spiegazioni che
pajono compromettere la libertà. Chi ammetteva non aver l'uomo
cognizioni se non per una rivelazione primitiva (_tradizionalisti_) non
potea riconoscere altra scienza che la divina, e perciò escludere la
filosofia. Ma nel 1855 essendo sorta una scuola che annichilava i titoli
della ragione, Pio IX proclamava l'accordo della ragione colla fede,
entrambi derivanti dalla stessa fonte immutabile di verità che è Dio, e
le prove razionali esser valevoli a dimostrarne l'esistenza, la
spiritualità dell'anima, il libero arbitrio; l'uso della ragione
preceder la fede; bene san Tommaso, san Bonaventura e altri scolastici
aver proclamato che la ragione umana è una tal quale partecipazione
della ragione divina, e aver messo le prove razionali come preamboli
della fede; il raziocinio dell'uomo non creare la verità, ma trovarla:
prima d'esser trovata esiste: quando la trovammo ci migliora[654]. Il
cristiano non crede prima di ragionare; obbedisce perchè crede, sicchè
l'obbedienza è atto di ragione come di fede.
Parimenti nel sillabo è difesa la ragione dai sofismi dell'identità de'
contrarj; è frenata quell'esorbitanza che giunge fino all'onnipotente
nulla di Feuerbach, fino a negar tutto, anche la fede. Pure molti
tennero ancora la filosofia in discredito; riguardando la ragione come
non affatto accecata dalla primitiva caduta, ma sì poco veggente che
nulla può aspettarsi da ciò ch'ella insegni. I savj non negano la
competenza della ragione nelle quistioni di cause prime e cause finali;
la rivelazione stessa presuppone una serie di certezze razionali, senza
di cui non si può nè stabilir la fede nè renderne conto.
Quando, dopo la rivoluzione del 1830, a Parigi pubblicavasi con buone
intenzioni _l'Avenir_, che proclamava la libertà dei culti e la
segregazione della Chiesa dallo Stato, Roma dichiarò che tali dottrine
non possono essere presentate da un cattolico come un bene desiderabile,
sebbene in alcune eventualità la prudenza esiga di tollerare pel minor
male. Chi applaudirebbe all'indifferentismo delle leggi fra il vero e il
falso? l'irresponsabilità morale dell'errore come si concilia colla
morale obbligazione di cercar il vero? Pure, se male è l'errore, può non
esser male la legge che lo tollera. Il soffrire gli acattolici, come Dio
fa levare il sole anche sopra l'empio, è prudenza civile, e Roma vi si
conforma. Oggi gli Stati ammettono che ciascuno professi la sua
religione con egual libertà, ed ottenga l'egual protezione pel suo
culto. Ne deriva maggior unità nel corpo sociale, perchè tutti gli
abitanti d'un paese, qualunque ne siano le credenze, son più interamente
cittadini della stessa patria; e la religione cattolica, cui virtù prima
è la carità, accetta questa condizione, massime dove il dissenso è già
entrato, perocchè dove tutti i cittadini fossero unanimi nel vero,
neppur bene relativo sarebbe il seminar lo scandalo e la discordia.
Altro però è l'ordine civile e temporale, altro lo spirituale e
religioso; tutte le credenze religiose restino eguali avanti alla legge,
ma non avanti alla verità, e il papa condannando l'indifferentismo, fa
distinzione tra la verità dottrinale e la possibilità pratica. Una volta
l'infedele, lo scomunicato era un ente maledetto, con cui non doveasi
cambiare parola: ora Gregorio XVI ricevette affettuosamente il capo
della Chiesa rutena, persecutore accannito della nostra: ma non per
questo si deve imporre come norma di civiltà l'anarchia delle
intelligenze, nè le necessità relative trasformare in pratiche assolute.
Il dichiarare che uno può giungere a salute in qualunque credenza purchè
osservi le leggi morali, e che ogni culto sia buono, è tolleranza che la
religione cattolica non può accettare, come il geometra non accetterebbe
che un quadrato possa esser il doppio d'un altro, come le accademie
repudiano chi propone il moto perpetuo, la quadratura del circolo, la
trisezione dell'angolo. L'uomo non ha l'arbitrio di credere quel che
vuole, bensì il dovere di credere la verità, e il diritto di giungervi
per mezzo della persuasione, non mai della violenza. Non è una strada su
cui, partendo da due estremi, si possa incontrarsi a mezzo: la verità è
indivisibile, nè si può abbandonarne una parte: suo carattere
costitutivo è l'esser una, immutabile, universale, indefettibile, e di
generar la certezza. Non può dunque transigere coll'errore, nè
riconoscer il diritto di professarlo, o accettare gli acconcimi
chimerici e funesti che altri gli propone nel solo scopo d'inimicarle
l'opinione plebea. Con ciò la Chiesa non s'arroga di giudicar le
coscienze o accorciare la misericordia di Dio: nè esclude dalla salute
quelli che stanno incolpabilmente nell'errore, oppure quanto all'arcane
disposizioni dell'animo e della Grazia ponno appartenere tuttavia al
regno interiore di Dio e alla Chiesa spirituale, che accoglie in seno
molti figliuoli non appartenenti alla sua comunione esteriore. Molto
meno gli esclude dalla carità, e dalla tolleranza civile che concede
l'esercizio di tutti i diritti anche ai seguaci d'altra religione: in
ciò la visione del diritto concorda coll'insegnamento evangelico. Il
meglio d'una società considerata umanamente può richiedere si lascino
praticare varj culti; ma l'impedire per ciò di considerar come religione
dello Stato la cattolica, è ciò che il sillabo riprova.
A questo documento applicando le norme più ovvie della buona
interpretazione, primamente bisognerà distinguere le proposizioni
assolute dalle relative, potendo talvolta esser falso in tesi quel ch'è
ammissibile in ipotesi. Alcuna delle proposizioni è condannata qualor si
prenda come universale e assoluta. Per esempio, chi «mette come
obbligatorio il principio del non intervento», condanna ogni
intromissione ne' conflitti altrui, mentre il farlo no, l'accorrer nella
casa del vicino quand'esso batte la moglie, il separare due che si
accoltellano, il disarmare l'assassino, se anche non fossero obblighi di
carità, sono regole di condotta, e questa può esser buona o cattiva,
savia o imprudente.
La condanna d'una proposizione falsa non implica necessariamente
l'affermazione della contraria, che potrebb'essere ella pure un errore.
Il negare che un corpo sia bianco non significa che è nero. Chi dice che
non è vero che in aprile piova sempre, non asserisce che faccia sempre
sereno. Il non ammettere che sia identico liberale e onest'uomo, non
esclude che il liberale possa essere onesto. Il sillabo appunta il dire
in forma assoluta che «è permesso ricusar obbedienza ai principi
legittimi»: ma non è necessaria illazione che in nessun caso ciò sia
permesso.
Talune proposizioni si condannano perchè equivoche o sconfinate, e sol
nel senso di chi le dice. Così alla sentenza che «la suprema sociale
perfezione e il progresso civile, _ætate hac nostra_, esigono
imperiosamente che la società umana sia costituita e governata senza
tener conto della religione, senza metter divario tra la vera e la
falsa», chi in tali termini si soscriverebbe? o al dire che nessuna
autorità ecclesiastica o civile deve a nessun cittadino restringere la
libertà illimitata (_omnimoda_) di manifestare e dichiarare i proprj
concetti, qualunque sieno, colla voce, colla stampa o in qualsiasi altro
modo?
È a riflettere inoltre che questo è un indice che dà i titoli, le
rubriche delle condanne, o piuttosto delle note, il cui vero tenore
esplicito bisogna ricavare dal documento proprio cui si riferisce; e che
esso indice nella sua concisione può sembrare esorbitante dove non l'è
il testo[655].
La logica impone ancora di pesare i termini delle proposizioni
condannate. In un atto sciaguratamente solenne si era detto che _il papa
può e deve riconciliarsi, transigere colla civiltà moderna_. Se lo deve
e nol fa, egli manca al suo dovere. Or donde a costoro il diritto di
sentenziar che il pontefice vien meno a ciò che deve? Poi transigere
vuol dire mutarsi, cedere alquanto del suo per mettersi d'accordo con un
altro. Ora la verità non può mutarsi, nè rimetter ombra de' suoi diritti
per accordarsi coll'errore. Dicendo papa, intendete non l'uomo o il
principe, sibbene la religione. Ma con ciò che la civiltà ha di bene,
certo non fa contrasto la religione, nè quindi ha duopo di transigere;
dovrebb'ella accordarsi con quel che ha di male? Dicono che essa non
camminò collo spirito moderno. Or bene, qual è la verità cattolica che
sia divenuta errore, o l'errore che sia divenuto verità? Iddio non dà
una legge a ciascun secolo. Se intendete per civiltà strade di ferro,
telegrafi, vapori, scienze, arti, Roma non solo non vi ripugna, ma n'è
attrice e promotrice. Essa è l'autorità che regola il progresso; ma non
per questo vi si incurva, non l'accetta quando presume abbatter tutto il
passato, rompere la tradizione della verità, confondere il bene e il
male, negar il sopranaturale e il dogma, proporre unico bene il
godimento attuale; quel progresso che è l'idolatria dell'io umano. Se
intendasi dei governi rappresentativi, delle elezioni popolari, della
discussione a voce o per iscritto, queste son forme che la Chiesa
praticò prima che i Governi; ma scaltrisce i popoli allorchè, sotto i
nomi speciosi di civiltà, di libertà, si mascherano errori religiosi,
intellettuali, morali, politici, sociali.
La Chiesa condanna gli abusi delle libertà politiche, e il voler di
queste far la regola assoluta di condotta, come condannò le tirannie
dispotiche[656]; ma non riprova le costituzioni, anzi le benedice col
permettere vi si presti giuramento. Acconciandosi alle necessità del
tempo e delle cose in cui vive, fa il ben possibile, pur reclamando il
bene desiderabile; irremovibile nei dogmi, cammina colla società quando
questa non ricalcitra alle idee, immutabili anch'esse, del diritto,
della giustizia e dell'autorità, dell'obbedienza, del vizio, della
virtù.
Ora che la voce di libertà è in così varj toni cantata dai cortigiani
della folla; che con essa ubriaca le passioni chi vuol salire in alto;
salito, trovasi incapace di resistere a nuovi sopraggiunti per la via
stessa, talchè trovandosi disarmato in faccia all'anarchia,
dall'indipendenza disordinata non sa che rifuggire alla dittatura
democratica, la quale, non potendo legittimarsi colle idee, si sorregge
colla pura forza, facendone stromento di universale depressione, e sol
concedendo l'arbitrio di tutto ciò che contamina il cuore e l'intelletto
delle moltitudini: ora che al dominio sfrenato si surroga il dominio
corrotto, togliendo ogni stima al Governo, ogni devozione all'autorità,
solleticando vergognosamente gl'interessi e l'avidità di godimenti vivi,
istantanei, incalzantisi; chiamando bene tutto ciò che serve, male tutto
ciò che resiste, la Chiesa sola dovea considerar inerte questo conflitto
della libertà che senza autorità è anarchia, e dell'autorità che senza
libertà è tirannide?[657]
La ragione, inorgoglita dei progressi che crede aver fatti senza la
Chiesa, e che affidò ai Governi, crede bastar da sola a raggiungere
qualunque verità, a governare il mondo secolarizzando la scienza, la
politica, il lavoro. Pretensioni opposte ha la Chiesa, e queste esprime
l'enciclica, che domanda alla ragione umana soltanto di non ribellarsi
alla ragione divina; domanda ai popoli non che rimpastino i loro codici,
o rineghino i principj decantati, ma solo che lascino la piena libertà
del bene, che non concedano all'errore i diritti che competono alla sola
verità, che non turbino colle loro ingerenze la famiglia, ultimo
ricovero della libertà e dignità morale. Essa protesta contro lo spirito
del secolo, tutto spedienti, freddo calcolo di utilità, ingordigia di
guadagno, e vuol che non credasi costretta a riconciliarsi coi vantati
progressi, bensì che essi si riconciliino col vangelo; che almeno ne'
paesi liberi non si imponga alla Chiesa di stare separata dallo Stato;
nè che l'autorità derivi dalla maggioranza delle teste, nè che il fine
giustifichi i mezzi, che la ingiustizia fortunata abolisca la santità
del diritto.
No: il cristianesimo non è un ascetismo, che deva tenersi lontano da
quanto si riferisce all'umano consorzio; esso è idea e vita, sistema e
spirito; e perciò è ingiustizia il segregarlo dallo Stato. Chi ammetta
che la Chiesa possiede essa sola la verità, e con questa i più puri
principj di giustizia, di saviezza e di tutte le virtù sociali, deve pur
credere che una società diretta da essa sarebbe, anche nell'ordine
temporale, la più perfetta e felice, e perciò la più desiderabile,
sebben non sempre possibile.
È artifizio della rivoluzione (lo ripetemmo) l'impadronirsi di alcune
idee dell'epoca, vantarsene inventrice, e volerle impiantare in onta
all'ordine. Così fece la Riforma; così la rivoluzione d'adesso, col
gridare alto le idee dell'89, la fratellanza, la libertà, l'eguaglianza
in faccia alla legge, i poteri elettivi, i governi parlamentari, i
congressi, tutti concetti che la società cristiana possedeva già, e che
mai non ha repudiato; essa che ha il vangelo per statuto, l'elezione per
applicarlo. Se alcuni si sbigottiscono di questa vertigine del mutare,
del sovvertire, del rinnegare il passato, e si angustiano nello
scrupoloso ribrezzo d'ogni novità, v'è cattolici che lealmente accettano
le istituzioni moderne, che rassegnandosi alla necessità degli scandali,
confidano nel progresso providenziale; avendo sempre visto la Chiesa
camminar alla testa della civiltà per rialzare tutto, tutto salvare,
tutto unire.
Il sillabo è il documento che continuo si rinfaccia al sommo pontefice,
accusandolo di sostenere la verità pura, mentre accusavasi di non badar
che al suo dominio temporale; accusandolo di avverso alla società,
mentre la difendeva contro gli errori più ad essa perniciosi. Perocchè
coloro che testè aveano detto «Crocifiggilo, non vogliam altro re che
Cesare», ormai annunziano apertamente, «Fra il tronco cattolico e
l'ascia democratica non resta che la corona». I lamenti del papa
attestano che non si può chiedergli accordi quando non gli si usano che
torti: eppure fra tante prove non mancano consolazioni a quei che si
sentono qualche fiamma nel cuore, qualche elevazione nello spirito, e la
più insigne è il vedere la concordia di tutti i vescovi del mondo col
pontefice: verso il quale, non spinti dall'obbedienza, ma attratti
dall'amore accorsero nel 1854 tutti, eccetto gl'italiani che non fossero
esuli: e tra le faccie irose e le bocche spumanti degli avversarj, che
lo minacciano eppur disperano, egli minacciato eppur sicuro e sereno,
ricordarsi che l'Uom Dio fu pure l'uom dei dolori, dell'ingratitudine,
delle calunnie, degli insulti, benedire alla intera cristianità, e
pregar Dio che non domandi troppo severo conto ai persecutori, nè le
pietre del diroccato Vaticano rotolino ad abbattere troni, case, tombe.
Ancor più magnifico fu il vedere, nel 1867, mentre voci autorizzate
intimavano che la fede è ita, che nessuno più crede alle storie vecchie,
alle vecchie Bibbie, mentre l'ostilità sorda o dichiarata de' Governi
scrollava quest'ultimo argine degli arbitrj, e il Governo più vicino
sconsacrava le chiese, disperdeva i monaci, carpiva i beni della carità,
e intimava a Dio «Vattene dal mio regno; ritirati nel tuo cielo»; a un
semplice desiderio di questo così bersagliato pontefice, accorrere da
tutte le parti del mondo i vescovi per santificare alcuni martiri del
Giappone[658], e celebrare il XVIII centenario del martirio di san
Pietro: accorrere su quel lembo di terra che ancor gli rimane, quasi ad
attestar novamente non solo la loro sommessione alla suprema autorità,
ma il bisogno che vi sia un paese indipendente da nazioni e da partiti,
ove la Chiesa non sia tollerata come ospite[659], ma tutte le nazioni
possano adunarsi come in casa propria: accorrere a riconoscere che,
mentre in diciotto secoli tutto il mondo cambiò, e tutto oggi è
sovvertimento e incertezza, sola immobile sta la pietra, sulla quale
Cristo edificò la sua Chiesa. Le feste del 29 giugno ricordavano il
concorso ai primi giubilei ne' secoli credenti, sicchè parve angusta la
basilica vaticana: ma ciò che più colpiva era la serena e fiduciosa
maestà del pontefice, che aveva una parola, un consiglio, un conforto
per ciascuno dei quattrocento vescovi accorsi, fra cui quelli d'Italia
che aveano sofferto, ma creduto, ammirato, sperato; per le innumerevoli
compagnie di preti; per le cento città d'Italia che rappresentate da
mille cinquecento cittadini, gli offersero ciascuna una raccolta di
disegni e cenventi pagine d'indirizzi e una limosina filiale, che
esprimessero la stabilità del papato e la devozione degli Italiani per
esso. In tutte le lingue si predicò, si orò, si attestò che la fede non
è morta, che l'unità non è scomposta, nè lo sarà fin alla consumazione
dei secoli; che la società può esser ancora salvata dall'autorità,
purchè non la demoliscano coloro che han maggiormente il dovere e il
bisogno d'appoggiarvisi. Poichè la grandezza sta nella semplicità,
racconteremo come l'ultimo giorno che il Santo Padre diede udienza ai
vescovi che gli presentarono l'indirizzo di adesione incondizionata,
mentre stava per dar loro la benedizione apostolica, si sentì suonare
l'_Angelus_. E il papa alzatosi, recitò la salutazione angelica, e vi
risposero i vescovi. Erano più della metà di quelli di tutto l'orbe
cattolico, sicchè mai alla Madre di Dio non era stata offerta così
solenne salutazione.
Immenso conforto ne dovette venire al cuore esulcerato del pontefice, il
quale ai vescovi congregati diceva: «Con letizia voi circondate i
sepolcri gloriosi de' beati apostoli Pietro e Paolo, e con somma
devozione li venerate. Siete in Roma, e quasi con un senso di novità
fissate lo sguardo nel sacerdote massimo, costituito sopra tutta la casa
di Dio, che vedete impavido al suo posto parlar a tutti con fiducia, e
tutti esortare all'integrità della fede e ad una inconcussa speranza,
sino a che giunga l'aspettato giudizio. Siete in Roma, e tenete in cuore
e vedete cogli occhi la solidità di quella pietra sopra la quale Cristo
ha edificato la Chiesa. Mentre i progetti dei popoli sono sparsi al
vento, i consultori della nequizia o cadono nella stoltezza, o sono
sradicati dalla terra; e i superbi capitani colpiti in guerra; e i
principi ingannatori confusi, questo edifizio sta fermo non per potenza
d'armi e di re; ma nella parola di Dio. Le nazioni ascendono a questa
Sionne dall'austro e dall'aquilone, dal mare e dal deserto, perchè
questa terra, benchè piccola, può essere abitata senza timore, nè la
spada oltrepassa i suoi confini: la pace e la sicurezza custodiscono le
porte della Città. Voi gioite pensando che sol per le dovizie della
bontà di Dio poteste convenire in questa santa Sionne; voi che poc'anzi
vi siete trovati in tante angustie, che avete sostenuto afflizioni,
obbrobrj, tribolazioni, carceri, e con pazienza avete sopportato la
rapina dei vostri beni, veduto i templi di Dio convertiti in spelonche
di ladroni: i tesori della casa di Dio mandati a distruzione e rapina: i
sacerdoti rimossi dall'altare e cacciati dalle abitazioni loro, e le
sacre vergini gementi e squallide. Ed ora confortate l'amarezza
dell'animo con una santa esultanza. A questa partecipando, noi ci
rallegriamo con voi, perchè avete ereditato gloria ed onore col patire,
ed alle mitre vostre aggiungeste la corona d'oro della fortezza. In
mezzo a tanta letizia dell'orbe cattolico, innalzate le preci al Signore
che può salvare; state confidenti, nè abbiate paura della moltitudine
de' nemici: non è abbreviata la mano del Signore, non è otturato il suo
orecchio. Egli esaudirà, ed apparirà vestito di giustizia e di vendetta;
snuderà la sua spada, e con essa percoterà le nazioni e i re che
ignorarono la giustizia, e i popoli che contristarono il suo Cristo.
Allora i giorni della tristezza e del lutto convertiransi in gaudio, e
colle vesti delle giocondità canterete un nuovo cantico a colui che ci
trasse dalle mani degli inimici; sederete, nella venustà della pace, nei
tabernacoli della fiducia e nell'opulenza del riposo». E ai
rappresentanti d'Italia rispondea: «Da questo giorno comincia l'ora
della misericordia. Han detto ch'io odio l'Italia. Deh se l'amai sempre!
ho desiderato la sua felicità, e sallo Iddio quanto pregai e prego per
questa infelice nazione. Non è unità quella che si fonda sull'egoismo.
Non è benedetta l'unità che distrugge la carità e la giustizia, che
conculca i diritti dei ministri di Dio, dei buoni fedeli, di tutti».
Come egli avea mostrato quanta fiducia metta nel voto de' vescovi suoi
fratelli col radunarli intrepidamente attorno a sè, una splendida
assolutamente che l'annullarlo gioverebbe alla Chiesa.
Il decimo colpisce quel liberalismo _odierno_, che non vuol più la
cattolica come unica religione dello Stato, ma pretende piena libertà di
culti; e vuole che il pontefice non solo possa, ma debba venir a
transazioni con siffatto liberalismo.
Il sinodo tridentino aveva raccolto tutti i dettati ereticali e
pronunziatone l'anatema, segnando la precisa linea fra la verità e
l'errore, senza transazioni nè compromessi. Altrettanto faceva il
sillabo in tanta nuova esitanza, combattendo il falso senza serbare
alcun legame con esso; colpendo l'eresia intellettuale del razionalismo
o panteismo, l'eresia sociale della statolatria, l'eresia religiosa di
separare la civiltà dalla rivelazione. Allora negavasi il papato
nell'ordine religioso, ora negasi nell'ordine della civiltà,
indietreggiando alle dottrine pagane: quello volle ravvivar la pietà e
la fede de' credenti, questo richiamar la civiltà cristiana
all'autorità, ridurre in armonia la scienza colla fede, la patria colla
Chiesa, la libertà colla legge, la vita con Cristo, e con ciò salvare
non men la Chiesa che la società, scassinate da quegli errori.
Non c'è vituperio che non siasi lanciato a questa enciclica e al
sillabo, più che nel secolo precedente alla bolla _Unigenitus_. Non
teologi, non moralisti, neppur uomini di Stato, ma le persone meno
competenti, e più passionate, giovani che non sanno il catechismo e
ancor meno perchè credergli, la sentenziarono d'eccessiva, se non altro
d'inopportuna; e che valea meglio tacere, e non suscitare nuovi, o
irritare vecchi nemici. In Francia i giornali la tradussero con istrane
alterazioni, che parevano d'insigne mala fede, sinchè fu dimostrato
ch'erano d'ignoranza. Non importa: le loro asserzioni vennero aggradite
dalla solita spensieratezza del pubblico, e tanto più che il Governo, il
quale ne permetteva la discussione non solo, ma fin l'adulterazione ai
giornalisti, vietò ai vescovi di pubblicarla.
In Italia s'accettò quella disapprovazione come tutto quanto arriva di
Francia, e senza prender cura neppur di leggerlo[650], si fe dire al
papa quel che mai non avea; s'interpretò a capriccio; se ne fece un
mostro che atterrisse i deboli e desse ridere ai capameni; e nel
frasario plateale restò come una «sfida alla civiltà, alla filosofia,
alla ragione».
Delle opportunità è giudice la Chiesa stessa; e se gli avversarj ne
tolsero pretesto a molestarla, n'avrebbero côlto un altro o fattolo
nascere. Non vedemmo anche nel Cinquecento imputarsi il papa delle
inimicizie che si suscitarono a lui, o ch'erano suscitate dall'averlo
abbandonato? Ben è notevole che, mentre in Francia fu proibito di
pubblicare il sillabo, e condannato per abuso il vescovo che lo
sostenesse, nel Belgio, nella Gran Bretagna, nell'America, in Germania
fu divulgato liberamente, combattuto, difeso, senza che ne pericolasse
lo Stato. E mentre i discorsi che i re pronunziano dal trono sono
discussi per un momento, poi dimenticati, questa parola rimase; fu
intesa dal mondo tutto, nel mondo tutto combattuta, eppure i secoli non
ne cancelleranno una proposizione[651].
Il sillabo non obbliga se non quei che gli credono; non adopra coazione:
siete voi così illiberali da impedire a me d'avergli fede? E il papa
potè pubblicarlo perchè libero: se fosse suddito poteasi impedirglielo,
come vorreste voi; voi abborrenti dalla libertà, mentre dal sillabo
nessuna libertà fu tolta in nessun luogo, nè rotta veruna istituzione
moderna. A cotesti freddi fanatici vorremmo chiedere se la Chiesa non
abbia tanto diritto di difendersi, quanto essi ne pretendono
d'assalirla. Tutti i giorni baldanzeggiano oltraggi contro ad essa, al
papa, a Cristo; si cospira alla Camera colla parola, alle Università
coll'insegnamento, ne' giornali colla sguajataggine, nei caffè colla
vulgarità, nei teatri colle rappresentazioni, colle armi fra le bande
cui non può frenare nè il ministero nè il re; i Governi non
indietreggiano da nessuna odiosità, da nessun ridicolo per regolamentare
una Chiesa, di cui o sconoscono o rinnegano le dottrine; fomentano la
diserzione del sacerdote e l'apostasia: stipendiano chi dalle cattedre
impugni Dio, l'anima, la ragione; dichiari immorale il vangelo,
superstizioso ogni culto, scimmia l'uomo, vera soltanto la materia,
cancro della religione e della società il pontefice; sono divulgati
dalla stampa e usufruttati dagli abili quanti irrompono voti sacrileghi,
sentimenti atroci; è applaudito ad ogni follia che si stampi, a ogni dio
che si inalzi, a ogni sètta che rinnovi il grandioso libertinaggio
dell'antico gnosticismo accoppiando il burlesco e il sublime. Quando mai
Cristo fu tanto esposto agli sputacchi della frenesia patrizia, della
ricca plebe, della ciurma scrivente? I principi che un tempo
tormentavano il papa in secreto, ora l'assalgono apertamente, volendo
esser Attila piuttosto che Carlomagno, e gli impongono urlando di
benedirli. La nazione più non fa risalir al cielo le sue prosperità e le
sue sventure, nè la preghiera attraversa più le lacrime di questa valle
per salire a Dio. Non credendo che in sè, bisogna giungere a non
obbedire che a sè, non preoccuparsi che de' bisogni fisici, degli
appetiti sensuali; non cercar l'intelligenza che per far crescere i
bisogni, ed eccitare a nuovi godimenti.
Ebbene! se un cristiano alza la voce, e denunzia questa rinnovata
barbarie alla pubblica coscienza, se una libera voce ne avverte i
fedeli, perchè dovrebbero esserne maledetti? Perchè scandolezzarsi
quando il papa e i vescovi si lagnano di tante ingiustizie; quando
proclamano che la società non dev'essere abbandonata all'arbitrio di una
persona o d'un parlamento: quando fra tanti disastri fisici compiangono
i morali? Presto si arriva a praticare i vizj che si cessa di biasimare,
e la Chiesa che ordina i fedeli al vero e al giusto, come può non
protestare contro la falsità e l'ingiustizia, contro gli errori del
pensiero che possono recar sì gravi disastri? Essa vuole l'inviolabilità
del diritto e del giuramento, la riverenza al potere, anzichè la
rivoluzione, la quale nasce dall'egoismo che fa preferire la volontà,
gl'interessi, la gloria propria all'altrui, e per rivendicarli
conculcare i diritti del prossimo. Dottrine contrarie corrompono; la
santa sede, guardiana delle massime sociali, non deve premunire? Essa
che fa predominare l'idea sopra i fatti, può non condannare la dottrina
de' fatti compiuti, la sovranità del fine, l'egoismo del non intervento,
la legittimità del pugnale, l'onnipotenza del numero, la ribellione come
unico rimedio al despotismo elevato sulla base della democrazia? Questi
errori sociali erano già combattuti da economisti, da filosofi, da
politici; quanto più lo doveano dalla Chiesa, stato perfetto, ideale
normale, che vuole il vero assoluto?
Che tutti siano raccolti «nell'unità della fede e nella conoscenza del
Figliuol di Dio»[652] è l'aspirazione della Chiesa: ma ciò le toglie
forse di correggere anche, come un padre cui spetta il dovere di
garantire i figliuoli dai proprj istinti o dalla seduzione? le toglie di
curarsi delle istituzioni civili, di metter le verità divine sopra gli
opinamenti umani? L'enciclica e il sillabo non fanno, nè domandano di
più: cercano la pace intellettuale e il rinascimento delle convinzioni.
Quando si volle sbandir dalle scuole i classici profani come tarlo della
società, prelati e dottori difesero i metodi antichi[653]. Così è della
filosofia pagana. V'è chi attenua le forze dell'uomo, o spingendosi coi
Luterani fino a negare il libero arbitrio, o fermandosi ad attaccare il
valore della ragione individuale, o dando all'atto umano spiegazioni che
pajono compromettere la libertà. Chi ammetteva non aver l'uomo
cognizioni se non per una rivelazione primitiva (_tradizionalisti_) non
potea riconoscere altra scienza che la divina, e perciò escludere la
filosofia. Ma nel 1855 essendo sorta una scuola che annichilava i titoli
della ragione, Pio IX proclamava l'accordo della ragione colla fede,
entrambi derivanti dalla stessa fonte immutabile di verità che è Dio, e
le prove razionali esser valevoli a dimostrarne l'esistenza, la
spiritualità dell'anima, il libero arbitrio; l'uso della ragione
preceder la fede; bene san Tommaso, san Bonaventura e altri scolastici
aver proclamato che la ragione umana è una tal quale partecipazione
della ragione divina, e aver messo le prove razionali come preamboli
della fede; il raziocinio dell'uomo non creare la verità, ma trovarla:
prima d'esser trovata esiste: quando la trovammo ci migliora[654]. Il
cristiano non crede prima di ragionare; obbedisce perchè crede, sicchè
l'obbedienza è atto di ragione come di fede.
Parimenti nel sillabo è difesa la ragione dai sofismi dell'identità de'
contrarj; è frenata quell'esorbitanza che giunge fino all'onnipotente
nulla di Feuerbach, fino a negar tutto, anche la fede. Pure molti
tennero ancora la filosofia in discredito; riguardando la ragione come
non affatto accecata dalla primitiva caduta, ma sì poco veggente che
nulla può aspettarsi da ciò ch'ella insegni. I savj non negano la
competenza della ragione nelle quistioni di cause prime e cause finali;
la rivelazione stessa presuppone una serie di certezze razionali, senza
di cui non si può nè stabilir la fede nè renderne conto.
Quando, dopo la rivoluzione del 1830, a Parigi pubblicavasi con buone
intenzioni _l'Avenir_, che proclamava la libertà dei culti e la
segregazione della Chiesa dallo Stato, Roma dichiarò che tali dottrine
non possono essere presentate da un cattolico come un bene desiderabile,
sebbene in alcune eventualità la prudenza esiga di tollerare pel minor
male. Chi applaudirebbe all'indifferentismo delle leggi fra il vero e il
falso? l'irresponsabilità morale dell'errore come si concilia colla
morale obbligazione di cercar il vero? Pure, se male è l'errore, può non
esser male la legge che lo tollera. Il soffrire gli acattolici, come Dio
fa levare il sole anche sopra l'empio, è prudenza civile, e Roma vi si
conforma. Oggi gli Stati ammettono che ciascuno professi la sua
religione con egual libertà, ed ottenga l'egual protezione pel suo
culto. Ne deriva maggior unità nel corpo sociale, perchè tutti gli
abitanti d'un paese, qualunque ne siano le credenze, son più interamente
cittadini della stessa patria; e la religione cattolica, cui virtù prima
è la carità, accetta questa condizione, massime dove il dissenso è già
entrato, perocchè dove tutti i cittadini fossero unanimi nel vero,
neppur bene relativo sarebbe il seminar lo scandalo e la discordia.
Altro però è l'ordine civile e temporale, altro lo spirituale e
religioso; tutte le credenze religiose restino eguali avanti alla legge,
ma non avanti alla verità, e il papa condannando l'indifferentismo, fa
distinzione tra la verità dottrinale e la possibilità pratica. Una volta
l'infedele, lo scomunicato era un ente maledetto, con cui non doveasi
cambiare parola: ora Gregorio XVI ricevette affettuosamente il capo
della Chiesa rutena, persecutore accannito della nostra: ma non per
questo si deve imporre come norma di civiltà l'anarchia delle
intelligenze, nè le necessità relative trasformare in pratiche assolute.
Il dichiarare che uno può giungere a salute in qualunque credenza purchè
osservi le leggi morali, e che ogni culto sia buono, è tolleranza che la
religione cattolica non può accettare, come il geometra non accetterebbe
che un quadrato possa esser il doppio d'un altro, come le accademie
repudiano chi propone il moto perpetuo, la quadratura del circolo, la
trisezione dell'angolo. L'uomo non ha l'arbitrio di credere quel che
vuole, bensì il dovere di credere la verità, e il diritto di giungervi
per mezzo della persuasione, non mai della violenza. Non è una strada su
cui, partendo da due estremi, si possa incontrarsi a mezzo: la verità è
indivisibile, nè si può abbandonarne una parte: suo carattere
costitutivo è l'esser una, immutabile, universale, indefettibile, e di
generar la certezza. Non può dunque transigere coll'errore, nè
riconoscer il diritto di professarlo, o accettare gli acconcimi
chimerici e funesti che altri gli propone nel solo scopo d'inimicarle
l'opinione plebea. Con ciò la Chiesa non s'arroga di giudicar le
coscienze o accorciare la misericordia di Dio: nè esclude dalla salute
quelli che stanno incolpabilmente nell'errore, oppure quanto all'arcane
disposizioni dell'animo e della Grazia ponno appartenere tuttavia al
regno interiore di Dio e alla Chiesa spirituale, che accoglie in seno
molti figliuoli non appartenenti alla sua comunione esteriore. Molto
meno gli esclude dalla carità, e dalla tolleranza civile che concede
l'esercizio di tutti i diritti anche ai seguaci d'altra religione: in
ciò la visione del diritto concorda coll'insegnamento evangelico. Il
meglio d'una società considerata umanamente può richiedere si lascino
praticare varj culti; ma l'impedire per ciò di considerar come religione
dello Stato la cattolica, è ciò che il sillabo riprova.
A questo documento applicando le norme più ovvie della buona
interpretazione, primamente bisognerà distinguere le proposizioni
assolute dalle relative, potendo talvolta esser falso in tesi quel ch'è
ammissibile in ipotesi. Alcuna delle proposizioni è condannata qualor si
prenda come universale e assoluta. Per esempio, chi «mette come
obbligatorio il principio del non intervento», condanna ogni
intromissione ne' conflitti altrui, mentre il farlo no, l'accorrer nella
casa del vicino quand'esso batte la moglie, il separare due che si
accoltellano, il disarmare l'assassino, se anche non fossero obblighi di
carità, sono regole di condotta, e questa può esser buona o cattiva,
savia o imprudente.
La condanna d'una proposizione falsa non implica necessariamente
l'affermazione della contraria, che potrebb'essere ella pure un errore.
Il negare che un corpo sia bianco non significa che è nero. Chi dice che
non è vero che in aprile piova sempre, non asserisce che faccia sempre
sereno. Il non ammettere che sia identico liberale e onest'uomo, non
esclude che il liberale possa essere onesto. Il sillabo appunta il dire
in forma assoluta che «è permesso ricusar obbedienza ai principi
legittimi»: ma non è necessaria illazione che in nessun caso ciò sia
permesso.
Talune proposizioni si condannano perchè equivoche o sconfinate, e sol
nel senso di chi le dice. Così alla sentenza che «la suprema sociale
perfezione e il progresso civile, _ætate hac nostra_, esigono
imperiosamente che la società umana sia costituita e governata senza
tener conto della religione, senza metter divario tra la vera e la
falsa», chi in tali termini si soscriverebbe? o al dire che nessuna
autorità ecclesiastica o civile deve a nessun cittadino restringere la
libertà illimitata (_omnimoda_) di manifestare e dichiarare i proprj
concetti, qualunque sieno, colla voce, colla stampa o in qualsiasi altro
modo?
È a riflettere inoltre che questo è un indice che dà i titoli, le
rubriche delle condanne, o piuttosto delle note, il cui vero tenore
esplicito bisogna ricavare dal documento proprio cui si riferisce; e che
esso indice nella sua concisione può sembrare esorbitante dove non l'è
il testo[655].
La logica impone ancora di pesare i termini delle proposizioni
condannate. In un atto sciaguratamente solenne si era detto che _il papa
può e deve riconciliarsi, transigere colla civiltà moderna_. Se lo deve
e nol fa, egli manca al suo dovere. Or donde a costoro il diritto di
sentenziar che il pontefice vien meno a ciò che deve? Poi transigere
vuol dire mutarsi, cedere alquanto del suo per mettersi d'accordo con un
altro. Ora la verità non può mutarsi, nè rimetter ombra de' suoi diritti
per accordarsi coll'errore. Dicendo papa, intendete non l'uomo o il
principe, sibbene la religione. Ma con ciò che la civiltà ha di bene,
certo non fa contrasto la religione, nè quindi ha duopo di transigere;
dovrebb'ella accordarsi con quel che ha di male? Dicono che essa non
camminò collo spirito moderno. Or bene, qual è la verità cattolica che
sia divenuta errore, o l'errore che sia divenuto verità? Iddio non dà
una legge a ciascun secolo. Se intendete per civiltà strade di ferro,
telegrafi, vapori, scienze, arti, Roma non solo non vi ripugna, ma n'è
attrice e promotrice. Essa è l'autorità che regola il progresso; ma non
per questo vi si incurva, non l'accetta quando presume abbatter tutto il
passato, rompere la tradizione della verità, confondere il bene e il
male, negar il sopranaturale e il dogma, proporre unico bene il
godimento attuale; quel progresso che è l'idolatria dell'io umano. Se
intendasi dei governi rappresentativi, delle elezioni popolari, della
discussione a voce o per iscritto, queste son forme che la Chiesa
praticò prima che i Governi; ma scaltrisce i popoli allorchè, sotto i
nomi speciosi di civiltà, di libertà, si mascherano errori religiosi,
intellettuali, morali, politici, sociali.
La Chiesa condanna gli abusi delle libertà politiche, e il voler di
queste far la regola assoluta di condotta, come condannò le tirannie
dispotiche[656]; ma non riprova le costituzioni, anzi le benedice col
permettere vi si presti giuramento. Acconciandosi alle necessità del
tempo e delle cose in cui vive, fa il ben possibile, pur reclamando il
bene desiderabile; irremovibile nei dogmi, cammina colla società quando
questa non ricalcitra alle idee, immutabili anch'esse, del diritto,
della giustizia e dell'autorità, dell'obbedienza, del vizio, della
virtù.
Ora che la voce di libertà è in così varj toni cantata dai cortigiani
della folla; che con essa ubriaca le passioni chi vuol salire in alto;
salito, trovasi incapace di resistere a nuovi sopraggiunti per la via
stessa, talchè trovandosi disarmato in faccia all'anarchia,
dall'indipendenza disordinata non sa che rifuggire alla dittatura
democratica, la quale, non potendo legittimarsi colle idee, si sorregge
colla pura forza, facendone stromento di universale depressione, e sol
concedendo l'arbitrio di tutto ciò che contamina il cuore e l'intelletto
delle moltitudini: ora che al dominio sfrenato si surroga il dominio
corrotto, togliendo ogni stima al Governo, ogni devozione all'autorità,
solleticando vergognosamente gl'interessi e l'avidità di godimenti vivi,
istantanei, incalzantisi; chiamando bene tutto ciò che serve, male tutto
ciò che resiste, la Chiesa sola dovea considerar inerte questo conflitto
della libertà che senza autorità è anarchia, e dell'autorità che senza
libertà è tirannide?[657]
La ragione, inorgoglita dei progressi che crede aver fatti senza la
Chiesa, e che affidò ai Governi, crede bastar da sola a raggiungere
qualunque verità, a governare il mondo secolarizzando la scienza, la
politica, il lavoro. Pretensioni opposte ha la Chiesa, e queste esprime
l'enciclica, che domanda alla ragione umana soltanto di non ribellarsi
alla ragione divina; domanda ai popoli non che rimpastino i loro codici,
o rineghino i principj decantati, ma solo che lascino la piena libertà
del bene, che non concedano all'errore i diritti che competono alla sola
verità, che non turbino colle loro ingerenze la famiglia, ultimo
ricovero della libertà e dignità morale. Essa protesta contro lo spirito
del secolo, tutto spedienti, freddo calcolo di utilità, ingordigia di
guadagno, e vuol che non credasi costretta a riconciliarsi coi vantati
progressi, bensì che essi si riconciliino col vangelo; che almeno ne'
paesi liberi non si imponga alla Chiesa di stare separata dallo Stato;
nè che l'autorità derivi dalla maggioranza delle teste, nè che il fine
giustifichi i mezzi, che la ingiustizia fortunata abolisca la santità
del diritto.
No: il cristianesimo non è un ascetismo, che deva tenersi lontano da
quanto si riferisce all'umano consorzio; esso è idea e vita, sistema e
spirito; e perciò è ingiustizia il segregarlo dallo Stato. Chi ammetta
che la Chiesa possiede essa sola la verità, e con questa i più puri
principj di giustizia, di saviezza e di tutte le virtù sociali, deve pur
credere che una società diretta da essa sarebbe, anche nell'ordine
temporale, la più perfetta e felice, e perciò la più desiderabile,
sebben non sempre possibile.
È artifizio della rivoluzione (lo ripetemmo) l'impadronirsi di alcune
idee dell'epoca, vantarsene inventrice, e volerle impiantare in onta
all'ordine. Così fece la Riforma; così la rivoluzione d'adesso, col
gridare alto le idee dell'89, la fratellanza, la libertà, l'eguaglianza
in faccia alla legge, i poteri elettivi, i governi parlamentari, i
congressi, tutti concetti che la società cristiana possedeva già, e che
mai non ha repudiato; essa che ha il vangelo per statuto, l'elezione per
applicarlo. Se alcuni si sbigottiscono di questa vertigine del mutare,
del sovvertire, del rinnegare il passato, e si angustiano nello
scrupoloso ribrezzo d'ogni novità, v'è cattolici che lealmente accettano
le istituzioni moderne, che rassegnandosi alla necessità degli scandali,
confidano nel progresso providenziale; avendo sempre visto la Chiesa
camminar alla testa della civiltà per rialzare tutto, tutto salvare,
tutto unire.
Il sillabo è il documento che continuo si rinfaccia al sommo pontefice,
accusandolo di sostenere la verità pura, mentre accusavasi di non badar
che al suo dominio temporale; accusandolo di avverso alla società,
mentre la difendeva contro gli errori più ad essa perniciosi. Perocchè
coloro che testè aveano detto «Crocifiggilo, non vogliam altro re che
Cesare», ormai annunziano apertamente, «Fra il tronco cattolico e
l'ascia democratica non resta che la corona». I lamenti del papa
attestano che non si può chiedergli accordi quando non gli si usano che
torti: eppure fra tante prove non mancano consolazioni a quei che si
sentono qualche fiamma nel cuore, qualche elevazione nello spirito, e la
più insigne è il vedere la concordia di tutti i vescovi del mondo col
pontefice: verso il quale, non spinti dall'obbedienza, ma attratti
dall'amore accorsero nel 1854 tutti, eccetto gl'italiani che non fossero
esuli: e tra le faccie irose e le bocche spumanti degli avversarj, che
lo minacciano eppur disperano, egli minacciato eppur sicuro e sereno,
ricordarsi che l'Uom Dio fu pure l'uom dei dolori, dell'ingratitudine,
delle calunnie, degli insulti, benedire alla intera cristianità, e
pregar Dio che non domandi troppo severo conto ai persecutori, nè le
pietre del diroccato Vaticano rotolino ad abbattere troni, case, tombe.
Ancor più magnifico fu il vedere, nel 1867, mentre voci autorizzate
intimavano che la fede è ita, che nessuno più crede alle storie vecchie,
alle vecchie Bibbie, mentre l'ostilità sorda o dichiarata de' Governi
scrollava quest'ultimo argine degli arbitrj, e il Governo più vicino
sconsacrava le chiese, disperdeva i monaci, carpiva i beni della carità,
e intimava a Dio «Vattene dal mio regno; ritirati nel tuo cielo»; a un
semplice desiderio di questo così bersagliato pontefice, accorrere da
tutte le parti del mondo i vescovi per santificare alcuni martiri del
Giappone[658], e celebrare il XVIII centenario del martirio di san
Pietro: accorrere su quel lembo di terra che ancor gli rimane, quasi ad
attestar novamente non solo la loro sommessione alla suprema autorità,
ma il bisogno che vi sia un paese indipendente da nazioni e da partiti,
ove la Chiesa non sia tollerata come ospite[659], ma tutte le nazioni
possano adunarsi come in casa propria: accorrere a riconoscere che,
mentre in diciotto secoli tutto il mondo cambiò, e tutto oggi è
sovvertimento e incertezza, sola immobile sta la pietra, sulla quale
Cristo edificò la sua Chiesa. Le feste del 29 giugno ricordavano il
concorso ai primi giubilei ne' secoli credenti, sicchè parve angusta la
basilica vaticana: ma ciò che più colpiva era la serena e fiduciosa
maestà del pontefice, che aveva una parola, un consiglio, un conforto
per ciascuno dei quattrocento vescovi accorsi, fra cui quelli d'Italia
che aveano sofferto, ma creduto, ammirato, sperato; per le innumerevoli
compagnie di preti; per le cento città d'Italia che rappresentate da
mille cinquecento cittadini, gli offersero ciascuna una raccolta di
disegni e cenventi pagine d'indirizzi e una limosina filiale, che
esprimessero la stabilità del papato e la devozione degli Italiani per
esso. In tutte le lingue si predicò, si orò, si attestò che la fede non
è morta, che l'unità non è scomposta, nè lo sarà fin alla consumazione
dei secoli; che la società può esser ancora salvata dall'autorità,
purchè non la demoliscano coloro che han maggiormente il dovere e il
bisogno d'appoggiarvisi. Poichè la grandezza sta nella semplicità,
racconteremo come l'ultimo giorno che il Santo Padre diede udienza ai
vescovi che gli presentarono l'indirizzo di adesione incondizionata,
mentre stava per dar loro la benedizione apostolica, si sentì suonare
l'_Angelus_. E il papa alzatosi, recitò la salutazione angelica, e vi
risposero i vescovi. Erano più della metà di quelli di tutto l'orbe
cattolico, sicchè mai alla Madre di Dio non era stata offerta così
solenne salutazione.
Immenso conforto ne dovette venire al cuore esulcerato del pontefice, il
quale ai vescovi congregati diceva: «Con letizia voi circondate i
sepolcri gloriosi de' beati apostoli Pietro e Paolo, e con somma
devozione li venerate. Siete in Roma, e quasi con un senso di novità
fissate lo sguardo nel sacerdote massimo, costituito sopra tutta la casa
di Dio, che vedete impavido al suo posto parlar a tutti con fiducia, e
tutti esortare all'integrità della fede e ad una inconcussa speranza,
sino a che giunga l'aspettato giudizio. Siete in Roma, e tenete in cuore
e vedete cogli occhi la solidità di quella pietra sopra la quale Cristo
ha edificato la Chiesa. Mentre i progetti dei popoli sono sparsi al
vento, i consultori della nequizia o cadono nella stoltezza, o sono
sradicati dalla terra; e i superbi capitani colpiti in guerra; e i
principi ingannatori confusi, questo edifizio sta fermo non per potenza
d'armi e di re; ma nella parola di Dio. Le nazioni ascendono a questa
Sionne dall'austro e dall'aquilone, dal mare e dal deserto, perchè
questa terra, benchè piccola, può essere abitata senza timore, nè la
spada oltrepassa i suoi confini: la pace e la sicurezza custodiscono le
porte della Città. Voi gioite pensando che sol per le dovizie della
bontà di Dio poteste convenire in questa santa Sionne; voi che poc'anzi
vi siete trovati in tante angustie, che avete sostenuto afflizioni,
obbrobrj, tribolazioni, carceri, e con pazienza avete sopportato la
rapina dei vostri beni, veduto i templi di Dio convertiti in spelonche
di ladroni: i tesori della casa di Dio mandati a distruzione e rapina: i
sacerdoti rimossi dall'altare e cacciati dalle abitazioni loro, e le
sacre vergini gementi e squallide. Ed ora confortate l'amarezza
dell'animo con una santa esultanza. A questa partecipando, noi ci
rallegriamo con voi, perchè avete ereditato gloria ed onore col patire,
ed alle mitre vostre aggiungeste la corona d'oro della fortezza. In
mezzo a tanta letizia dell'orbe cattolico, innalzate le preci al Signore
che può salvare; state confidenti, nè abbiate paura della moltitudine
de' nemici: non è abbreviata la mano del Signore, non è otturato il suo
orecchio. Egli esaudirà, ed apparirà vestito di giustizia e di vendetta;
snuderà la sua spada, e con essa percoterà le nazioni e i re che
ignorarono la giustizia, e i popoli che contristarono il suo Cristo.
Allora i giorni della tristezza e del lutto convertiransi in gaudio, e
colle vesti delle giocondità canterete un nuovo cantico a colui che ci
trasse dalle mani degli inimici; sederete, nella venustà della pace, nei
tabernacoli della fiducia e nell'opulenza del riposo». E ai
rappresentanti d'Italia rispondea: «Da questo giorno comincia l'ora
della misericordia. Han detto ch'io odio l'Italia. Deh se l'amai sempre!
ho desiderato la sua felicità, e sallo Iddio quanto pregai e prego per
questa infelice nazione. Non è unità quella che si fonda sull'egoismo.
Non è benedetta l'unità che distrugge la carità e la giustizia, che
conculca i diritti dei ministri di Dio, dei buoni fedeli, di tutti».
Come egli avea mostrato quanta fiducia metta nel voto de' vescovi suoi
fratelli col radunarli intrepidamente attorno a sè, una splendida
- Parts
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 01
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 02
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 03
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 04
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 05
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 06
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 07
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 08
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 09
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 10
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 11
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 12
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 13
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 14
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 15
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 16
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 17
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 18
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 19
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