Gli eretici d'Italia, vol. III - 72

accosta al simbolo massonico più che le religioni odierne; e la
massoneria ebbe salutevoli ingerenze coll'osteggiare il cattolicismo».
Trattasi dunque se devano primeggiare san Pietro o Nerone.
Come già vedemmo nel secolo passato, alla irreligione progredisce
compagna la teurgia, sotto la forma di tavole giranti, di spiriti
battenti, insomma di comunicazione tra i viventi e i trapassati, fondata
sulla rincarnazione degli spiriti. Molti proseliti acquistò per le
consolazioni che procaccia il confabulare con persone care perdute. Ne
abbiamo altrove ragionato (Vol. II, p. 394), e lo spiritismo, screditato
da indubitabili ciarlatanerie, si appiglia al nostro soggetto in grazia
delle dottrine che fa rivelare dagli evocati, impugnando le credenze
comuni, e pareggiando tutti i culti per quanto diversi; non doversi
urtare le convinzioni di chicchessia, ma lasciar che ciascuno sia libero
e responsale delle proprie credenze religiose; lo spiritismo, non
brigandosi di dogmi o forme particolari, costituisce una religione
sociale, santifica tutti gli uomini di mente sana e cuor retto, a
qualunque fede appartengano. A chi domandava se sia bene seguir questa o
quest'altra, lo spirito rispose «Se credete che la vostra coscienza vi
sia invitata, fatelo»[615]. Si procede fra la metempsicosi e il
panteismo, facendo p. e. il sole fonte primitiva della vita, al quale,
dopo pellegrinato di pianeta in pianeta, le anime singole ritorneranno
per far parte dell'anima universale, dalla quale furono disgiunte quando
vennero in terra[616].
Niceforo Filalete che dirige _Gli Annali dello Spiritismo in Italia_,
scrive che «lo spiritismo è divinamente sublime; è il vincolo che
riunisce gli uomini, divisi per le credenze e i pregiudizj mondani, e
atterrerà la più forte barriera che separa i popoli, l'antagonismo
religioso. Egli si volge a tutti i culti... È un terreno neutro, sul
quale tutte le opinioni possono incontrarsi e darsi la mano; le
quistioni morali, le sole importanti, sono di tutte le religioni e di
tutti i paesi»[617]. Porta dunque esso pure all'indifferenza, la quale
sempre si traduce in ostilità alla religione stabilita.
Ma dove questa ostilità si scopre senza reticenze è nella più segnalata
personificazione della rivoluzione italiana e la più sincera così ne'
fatti come ne' concetti. Giuseppe Garibaldi nizzardo, elevatosi
coll'ostinazione de' suoi propositi fra gente meticolosa e fiacca, e con
un disinteresse che, a petto all'ambizione e all'avidità degli altri
caporioni, fu giudicato miracoloso come le imprese sue da coloro che i
miracoli sbeffeggiano; con un'attività che ha bisogno d'esercitarsi qui
o fuori, per la patria o per gli estranei, parve attribuirsi la missione
speciale d'abbattere il papato. Vi si adoperò colle armi nel 1849, ma
respinto da Roma, respintone di nuovo con una fucilata nel 1862, non per
questo cessò di gridare contro il cattolicismo e il sacerdozio, zelando
un culto solo, quel della santa carabina: alle donne milanesi
raccomandava la tenessero appesa al capoletto: il giorno
dell'inaugurazione dei tiri a segno fosse surrogato alla festa della
natività di Maria; i villani vadan se vogliono a messa, ma adorino la
santa carabina.
Non potendosi in lui supporre le artefatte menzogne de' giornalisti,
bisogna ritenerlo di buona fede quando attribuisce alla Chiesa quanto di
male e d'odioso avviene: furono i preti che vendettero Nizza: furono
trame d'ecclesiastici che procurarono le vergogne di Custoza e di Lissa:
ai frati sono dovute l'insurrezione di Palermo, questa oscena sconcordia
d'Italia, l'odierna voragine delle finanze, fin i disastri naturali che
aggravano le sventure d'un popolo, abbeverato d'odio dai giornalisti, e
che anima e salute consuma in desiderj e decezioni. Dal quale
staccandosi, egli uom del popolo, per iscusare o assecondare i
dominanti, concentra ogni ira contro la santa bottega, contro il cancro,
contro il verme, la tabe, la rogna d'Italia: incita a dar l'ultimo
calcio alla canaglia che la infesta, a rovesciar nella polve quel
tabernacolo d'idolatria e d'impostura che s'attraversa in ogni modo e in
tutte le vie al progresso umano, quella religione del prete che divide
la famiglia umana, e ne condanna la maggior parte a perdizione eterna.
Alle società operaje di Napoli diceva: «Faremmo un sacrilegio se
durassimo nella religione dei preti di Roma. Fuori dalla nostra terra
questa sètta contagiosa e perversa». E all'assemblea unitaria di
Palermo: «Noi non siamo per la religione del papa. Papa, cardinali,
vescovi cambiino bottega, e vadan il più possibile lontano dall'Italia».
E come la Convenzione avea tirannicamente intimato «Fraternità o morte»,
così egli fe ripetere all'Italia «Roma o morte», conculcando e la
coscienza dell'umanità e la libertà delle credenze.
Singolarmente nel 1867, essendosi il ministero proposto di venir ad
accordi con Roma, e per riuscirvi avendo sciolta la Camera, Garibaldi
uscì dal suo ricovero, e girò l'Italia inveendo contro papa e preti e
Cristo, battezzando fanciulli, aizzando le plebi contro un ordine intero
della società, senza che l'autorità e la legge avesse o voglia o forza
di opporsegli, e sempre gridando: «Roma è nostra: neppure il diavolo può
torcela. Non mandate al parlamento deputati che patteggino coi
clericali, i quali c'impediscono d'andare a Roma. I milioni che si danno
alla Chiesa s'adoprino per fare armi e per dar pane a chi non n'ha: ai
prelati bastano quaranta centesimi il giorno: i Paolotti il diavolo se
li porti». E fin dogmatizzando annunziava: «Noi siamo nella religione
del vero, e la sostituiremo a quella del prete che è la menzogna.
Libertà della ragione è la bandiera che opponiamo al cattolicesimo, il
quale ha per tanti secoli abbrutito la creatura umana». E al tempestoso
congresso della pace di Ginevra proferiva: «V'è cosa più terribile della
guerra, il mostro che chiamasi papato, le cui emanazioni pestilenziali
innondano il mondo, e arrestano l'umanità sulla via della civiltà. I
vostri avi ebbero primi il coraggio d'affrontarle: compite l'opera
quando noi daremo al mostro gli ultimi colpi, e abbatteremo il
sacerdozio dell'ignoranza per adottare sola la religione di Dio
(_sic_)». E ora appunto (ottobre 1867) spinge i suoi armati contro gli
ultimi resti del dominio papale, a «crollar il tabernacolo
dell'idolatria, dell'impostura, delle vergogne italiane, il piedestallo
di tutte le tirannidi».
Invano, come si ispirò sgomento per Mazzini, si vuole spargere il
ridicolo sopra Garibaldi. Mito piuttosto che persona, stupendo agente di
decomposizione sociale; ammirato pel dono di ispirar la gioventù e
spingerla al sacrifizio, riprovato perchè si fa superiore alla legge: se
non destarono stupore le iperboliche ovazioni fattegli a Londra fra una
plebe che ogni anno brucia un fantoccio schiamazzando «Non più papa»;
fra Anglicani che da lui ripromettonsi la distrazione della cattolicità;
fra la massoneria mondiale che divinizzava la propria creatura, in un
secolo che è costretto crearsi degli Dei per far senza Dio; a chi ci
lesse non farà neppur meraviglia il vedere l'entusiasmo durare in un
paese tutto cattolico qual è l'italiano, e che altrettanto non n'avea
mai mostrato a nessuno fuorchè a Pio IX. E Pio IX, continuo bersaglio
de' più abjetti suoi strapazzi, incaricava il professore Tonello: «Dica
a Garibaldi che questo povero vecchio, ch'egli chiama il vampiro del
Vaticano, gli perdona, e prega per esso, e anche stamattina ha detto
messa per lui».
E per verità il gran nemico consolida il papato col far vedere quanto la
quistione sia superiore ai mondani intenti, giacchè tutta la cristianità
vi prende interesse, e mostrano venir a difenderlo fin quelli che
cospirano per abbatterlo. Ma è ben da aspettarsi che l'accolta de' suoi
adulatori lo sorpassi; e mentre la ciurma lo acclama Dio e Messia e
Cristo[618], e consacra la camera ove dormì a Palermo, e crede che la
capanna della maremma ravennate ove morì sua moglie diverrà gloriosa
come quella di Betlemme, il vulgo ricco, dotto e patrizio ne rincari le
bestemmie, ne echeggi le provocazioni; e la stampa plebea denunzii i
mali causati dalla religione, allora appunto quando la nazione più
soffre di quelli cagionati dalla irreligione[619].
Ma uomini e fatti tali segnalano il carattere ed il valore d'un Governo.
Il quale, esautorato da questi suoi veri padroni e creatori, oltre le
incessanti e sin fanciullesche molestie alla Chiesa e agli
ecclesiastici[620], oltre l'imputar ad essi ogni delitto, ogni
sventura[621], si atteggiò spesso in modo da procurare uno scisma.
Governo e parlamento professano ed attuano dottrine repugnanti fin al
cristianesimo, sotto uno statuto che pone come unica religione dello
Stato la cattolica, apostolica, romana. Alla Camera, nel 26 gennajo
1857, avendo il ministro Lanza proferito che «la religione cattolica
sarà il fondamento dell'educazione ed istruzione morale, data dallo
Stato negli istituti pubblici», si reclamò, si protestò fino a volere
che nell'insegnamento si avesse anzi a combattere la religione
cattolica, trascorrendo a segno che Revel riflesse, se altri avesse ciò
detto della protestante o dell'ebraica[622], sarebbe stato gravemente
ripreso. Ampliatosi poi il parlamento, e dalle elezioni astenendosi
coloro che faceansi scrupolo di coadjuvare un ordine di cose
originalmente riprovevole, la rappresentanza della nazione fu
abbandonata alle sètte, e vi si dichiarò che il cattolicesimo è finito,
che tutta l'opera del neonato regno deve consistere nel distruggerlo in
ogni luogo, per ogni mezzo: vi si distinse il Dio di Pio IX da quello
dei deputati: nel 1866, un giornale auspicato dal Governo (_il Diritto_)
scriveva: «La nostra rivoluzione tende a distruggere la Chiesa
cattolica, e dee distruggerla, e non può non distruggerla se non vuol
perire»; un altro, pure governativo (_l'Italie_), inventava il Dio
dell'Austria, e conchiudeva: «Se è vero che Dio esiste, bisogna scompaja
col potere che lo invoca, e di cui fu complice. Il mondo moderno lo
respinse, egli deve calar nella medesima fossa, in cui sarà gettata la
dinastia degli Absburghesi, che fu lo scandalo e il flagello
dell'Europa». Il professore Tommasi domandava: «Chi più sa che cosa sia
l'evangelo?» Il professore Bertini asseriva un Dio molto diverso dal Dio
teologico[623]: all'esposizione universale di Parigi la commissione
italiana conferì un premio alla Società Biblica per le sue cure intorno
all'istruzione. E ogni giorno, e viepiù or che si diede ai Protestanti
il trionfo di poter comprare i beni rapiti alla Chiesa, ascoltando gli
sproloqui del Parlamento, più che la nequizia de' concetti e
l'inurbanità delle proposte fa stupore la supina ignoranza dei fatti e
delle dottrine.
Per verità Iddio è una superiorità, e la superiorità diviene ogni giorno
men tollerabile alla democratica eguaglianza. Eppure quest'idea è tanto
difficile a cogliere quanto ad eliminare: più se ne ragiona men se
n'intende: ma il sentimento la afferma: e Dio è l'ultima parola di quei
che sanno come di quei che ignorano. Spingansi le scoperte quanto si
vuole, resta sempre alla fine un mistero: contemplato l'universo,
analizzati tutti i corpi, l'occhio s'inchina davanti al velo del
santuario: più luce si sparge sulle cose sensibili, più v'appare Iddio.
Gli zoologi disputano della trasformazione della specie; sta bene: ma
coloro che se ne servono per escludere Dio dalla creazione, non fanno
che sostituire un'idea all'altra, slontanare le origini, ma nulla
provano nè in pro nè contro la divinità. Se non che in tale quistione
non si tratta soltanto di Dio. Tolte le credenze positive di cui vive la
società, e su cui fondasi il diritto, vacillano l'ordine morale e il
civile, più l'uomo non sentendosi davanti ad una podestà maggiore di
lui, e che sola ha diritto di regolarlo, ha potenza di soddisfarlo. Il
libero pensare è la negazione teoretica della costumatezza, poichè, a
guisa della prostituta, passa da un'opinione all'altra, secondo ogni
desiderio isolato. L'errore morale più non può essere riprovato, giacchè
le infinite suddivisioni arrivando all'assoluto individualismo, perfino
la virtù obbligatoria si smarrisce per entro uno scetticismo, che non
porge nè dogmi allo spirito nè norme alla coscienza. I triumviri a Roma
pubblicavano al 27 aprile 1849 che «la vita e le facoltà dell'uomo
appartengono di diritto alla società ed al paese nel quale la Providenza
lo ha posto»; a Napoli il medico Renzi recita l'apoteosi di Agesilao
Milano e il senatore Imbriani ne fa l'epitafio[624]: Cavour asserisce
che colla verità non si governa: perfin l'Azeglio, nel proclama 11
luglio 1859 ai Bolognesi, diceva che «Iddio fece l'uomo libero delle
proprie opinioni, sieno politiche o religiose». Qual meraviglia se i
socialisti crescono a dispetto del senso universale, e in grazia de'
terrori che spargono contro la politica cristiana?
L'immoralità mena al culto della forza, e questa surrogasi man mano che
la Chiesa si restringe. _Sit fortitudo lex justitiæ_: chi è debole non è
nulla; gli Stati si valutano dal numero de' soldati; il merito consiste
nel riuscire; il fine giustifica i mezzi: interessi e scienza
s'accordano a veder la religione come un ostacolo alla sovversione
sociale, dunque si distrugga; ciò che sa d'ideale ripugna alla critica
come principio di condotta, dunque si elimini: il giusto è di rafaccio
col suo esempio, dunque si opprima; il diritto sia rappresentato
dall'esito; la coscienza dall'utile. Che storia? che convenzioni? che
trattati? idee antediluviane. Colla fede periscono la libertà e dignità
dello spirito: abolito il creatore nella natura, la providenza negli
eventi, non rimane più vita intellettuale spegnendosi la ragione; non
vita morale obliterandosi la coscienza; non dignità politica in
situazioni false da cui non possono uscire che situazioni disastrose;
non gioja schietta inaridendosi il cuore nel mesto spettacolo della
morte dell'Eterno[625].
In questo ontoso trionfo de' sofisti e de' violenti, dove il vero vinto
è il buonsenso, vedrà altri le cause delle miserie odierne, delle
applaudite iniquità internazionali, dell'indifferenza a mali veri per
culto a frasi abbaglianti. Noi li guardiam solo come eresie; ma chi
volesse salvare i dominanti dall'abisso ove li spingono i loro adulatori
potrebbe rammemorare che Voltaire dicea, «Fra venti anni Dio sarà ito»,
e i re gli sorrideano. Dopo venti anni Desmoulins diceva: «I re sono
maturi: Dio non ancora», e i re non poteano più ridere, côlti dal
pugnale, dal patibolo, dalla conquista, dalle sommosse, dalle
annessioni, fin da quella che i diplomatici chiamano pace, e non è che
una maschera della reciproca paura.

NOTE
[564] Sui miracoli abbiamo discorso nel VOL. I, pag. 319. In somma la
credenza nel soprannaturale consiste nella persuasione che, al disopra
delle leggi che conosciamo, e che operano quotidianamente sotto ai
nostri occhi, esiste la volontà creatrice, che essendo indipendente e
padrona assoluta dell'opera propria, può sospendere l'azione delle leggi
ordinarie per far intervenire leggi d'un ordine superiore che noi non
conosciamo, e che fanno parte dell'armonia trascendente del mondo
morale. Supremo passo della ragione è il riconoscere che v'è un'infinità
di cose che la sorpassano. La ciarlataneria interessata o
l'allucinazione possono addurre falsi miracoli: ma ciò non toglie la
possibilità di veri: ed oltre quelli che sappiamo per fede, è illogico
il repudiare tutti quelli che ci furono tramandati con una certezza non
minore che gli altri avvenimenti storici. Rousseau, nelle _Lettres de la
montagne_, scrive: «Dio può operar miracoli? Tale quistione, presa sul
serio, sarebbe empia quando non fosse assurda; e a chi la risolvesse
negativamente si farebbe troppo onore col punirlo: basterebbe metterlo
nei pazzi. Chi ha mai negato che Dio possa far miracoli? solo un ebreo
può domandare se Dio potea far delle tavole nel deserto».
[565] «Il principio della scuola critica è che, in materia di fede,
ciascuno ammette quel che ha bisogno di ammettere, e in certa maniera fa
il letto delle sue credenze proporzionato alla sua misura». RENAN, _Les
apôtres_, introd., pag. LIV.
Ai membri del Concilio ecumenico protestante tenutosi il 1845 in
Berlino, fu diretta questa circolare:
«Voi foste convocati per renderci l'unità delle dottrine, del culto e
della costituzione ecclesiastica. A spiegarci con serena schiettezza,
noi non crediamo verun di voi così profondamente sepolto nei secoli
andati, che non vegga addirittura esser oggimai di pochissima importanza
il secondo punto, considerato come principalissimo all'epoca
dell'unione. In materia di unità di culto e liturgia, il cattolicismo
produsse quanto v'ha di più grande e più perfetto: alla Chiesa nostra
manca ciò che dà al culto il più bello e il più incantevole, l'antichità
immemorabile e il carattere tradizionale, doti del solo cattolicismo.
Ricevete pur dunque proposizioni e progetti; ma non isprecate un tempo
prezioso nell'esaminare codesti mezzi con cui le immaginazioni poetiche
vagheggiano un culto protestante omogeneo, e il figurarsi migliaja di
templi protestanti, mentre assistono alla liturgia, echeggianti d'una
stessa prece e di un canto stesso.
«In quanto alla confessione del domma, senza accordar piena libertà non
può l'unità di confessione produrre altro che tirannia e servaggio, o
scismi e sètte: sicchè _ogni Comune confesserà ciò che gli talenta_, il
pastore predicherà _ciò che a lui piace_, e non s'addosserà altro dovere
che di attestare, nel prender possesso dell'impiego, d'essere cristiano,
e voler servire alla Chiesa. Nulla più può da lui esigere la Chiesa.
Deve dunque il pastore in ogni occasione pronunciare _la fede sua
personale_, ma esprimendola in termini biblici, per evitare scandalo.
Così i fedeli, come sempre dee accadere, compiranno _a modo loro_ e
secondo la personale lor fede, ciò che egli lor dice: ma pure dovranno
riguardar la parola di lui come parola di Dio. Che se voi riduceste la
formola della fede alle idee di coloro che credono di più, è facile
prevedere nascerebbero nuove sètte.
Vi si objetterà forse che in tal guisa voi distruggete la Chiesa e
spezzate il vincolo dell'unità. A ciò gli uomini di libertà
risponderanno che da lungo tempo _la Chiesa venne meno, nè ha più valore
alcuno_. Già da due generazioni, anzi da tre secoli, l'arbitrario
irruppe nella Chiesa, e governolla. La Chiesa secondo l'idea sua
primitiva, appartiene al cattolicismo, e tutto ciò che nel sistema
protestante tende a ritornarvi, non solo rinnega il protestantesimo, ma
non giungerà mai ad esser altro che un pallido riverbero dell'unità, che
è visibil gloria del cattolicismo. Noi vogliamo solo la Chiesa cristiana
e niente più; non vogliamo unità di fede circoscritta ad una misura
qualunque; giacchè nel cristianesimo la sola cosa essenziale è di essere
cristiano. Cercherete di più? volete una confessione che includa anche
solo il minimo dei dommi? Ecco tosto per l'unità divien necessario un
potere papale, sia di un uomo o di una scrittura; anzi, se l'intento vi
riuscisse occorrerebbero tribunali di fede ecc.».
Non so se più bella apologia potesse scriversi dell'autorità e
dell'organamento cattolico.
[566] Carte segrete della polizia austriaca, vol III, pag. 17.
[567] Il signor Nicomede Bianchi, che narra questi fatti colla
ispirazione del restante del suo libro, è però costretto confessare che
il clero cattolico mostrò sempre la più cristiana tolleranza: che il
vescovo Bigex e i suoi successori non adoprarono che la parola per
ottenere conversioni, e così i missionarj mandativi da Carlalberto.
I duchi di Savoja non cessarono mai di ribramare Ginevra finchè nel 1754
vennero a trattative, secondo le quali il re di Sardegna, riconoscendone
la indipendenza, concedeva per venticinque anni l'esercizio del culto
riformato nel tempio di Bossey pei villaggi di Troinex, Bossey e
Carouge: e per quattro anni per Chêne: cessava affatto a Valeiry e
Neydans, ma gli abitanti aveano libertà di coscienza per quindici anni,
entro i quali doveano o migrare o farsi cattolici. Molti allora
migrarono: ma nel 1780 il senato, a nome del re, autorizzava i
Protestanti a esercitare gli uffizj religiosi ne' villaggi vicini, e ai
pastori di venir ad adempierli ne' villaggi appartenenti alla Savoja.
Ciascun de' villaggi poggianti sul Solève fu oggetto di discussione in
tre congressi: e di quelli ceduti allora alla Savoja, che conteneano
settemila persone, la più parte tornarono ginevrini ne' trattati del
1815, restando cattoliche le popolazioni.
D'una cospirazione per tirare non solo Ginevra ma tutta la Svizzera
sotto la monarchia di Savoja, nel 1843 e ne' seguenti anni, è traccia
nel BIANCHI, _Storia documentata della diplomazia europea_, vol. IV,
pag. 190.
È noto come Ginevra tremasse sempre di tornar cattolica; i giorni delle
solennità si chiudeano a chiave le porte: era multato in dieci scudi
chiunque incontrasse il vescovo d'Annecy nella visita pastorale. Ora
mezza la città è cattolica: il consiglio di Stato dovette cedere ai
Cattolici un terreno per 13,000 lire, ove fabbricar un'altra Chiesa
cattolica. Nel 1864 celebrandosi il terzo centenario della morte di
Calvino, non si riuscì a organizzare una dimostrazione antipapale.
Appunto mentre scrivo si radunò a Ginevra un congresso della pace
(settembre 1867), e le bestemmie che qualche italiano spettorò contro il
papa eccitarono tale indignazione, come offesa alla libertà religiosa e
alla creanza civile, che l'adunanza dovette sciogliersi.
[568] Questo è l'assunto del Morel nella _Lettre aux Vaudois_.
[569] _De la libre nomination des pasteurs au sein des églises
vaudoises_. Turin 1863.
[570] Tra i Valdesi di Torino nacquero frequenti dissidj; tanto più che
quella parrocchia facea gola a molti della congregazione. Singolarmente
nel 1861, Amedeo Bert, che n'era pastore, venne perfino escluso dal
corpo; e il signor Léon Pylat, accusato che lo osteggiasse per
soppiantarlo, disse non l'offendeva il supporre che egli ambisse quel
tempio, quella cattedra, quell'uditorio; tanto più che il signor Bert,
per poco che avesse il senso della decenza morale, non potrebbe
rimanervi più a lungo.
Vedasi la «Protestazione giudiziale» sporta dal Bert da Torre Pellice,
il 17 luglio 1861, ove si dice che nel colloquio «i discorsi furono
improntati di tale violenza da recare spavento ad alcuni membri stessi
del corpo ecclesiastico»; e il decano Monastier rimproverò il Pylat di
«essere peggiore le mille volte di un eretico impostore».
Nel 1863-64 l'ospizio de' catecumeni in Pinerolo fu minacciato di
soppressione. Accorse con tranquillità serena di anima e forza
incontrastabile di argomenti a proteggerlo come doveva, e a rassicurarlo
monsignor Renaldi, vescovo di quella città, e commise all'abate
Bernardi, suo vicario, di redigere una storia della origine e della
condizione di tale benefico istituto, «cui dà vita la carità insieme e
la cattolica religione; che accoglie e istruisce, che sostenta il povero
perseguitato e disconosciuto, e lo sorregge negli intimi convincimenti
della coscienza, e nell'adempire agli impulsi e ai lumi che derivano
dalla grazia di Dio: non fa nè mercato nè mistero delle altrui credenze
e delle sue libere e benefiche prestazioni, e tiene le sue porte aperte
così per coloro che, condottivi da legittimi motivi vi accorrono, come
per quelli che bramano uscirne, non opponendo mai alla volontà degli
accolti la minima resistenza».
[571] Monsignore Rendu dice che da allora cominciò lo sgomento de'
Cattolici, poichè «se non c'è vitalità nell'eresia, v'è però una forza
ignorante e brutale, capace di rovesciar coscienze malferme; debole per
far eretici, ma capace di far indifferenti, increduli, empj». E perciò
egli scrisse _Le commerce des consciences_, ove dice:
«Cette grande entreprise a pour appui les gouvernements protestants, et
ceux des gouvernements catholiques qui sont momentanément entre les
mains des ennemis de l'Église. Elle a pour appui la Société Biblique,
dont le revenu, qui s'élève, dit-on, à 80 milions, est emploié en grande
partie à acheter des apostasies. Ainsi dans cette inombrable armée de
pervertisseurs, il y a des princes, des ministres, des diplomates, des
capitalistes, des magistrats de toutes les catégories. Aussi avez vous
entendu les crìs qu'ils poussent quand on vient à toucher même
légérement à quelques uns de leurs émissaires. On avait peine à
comprendre ce que signifiait l'émeute diplomatique qui se fit en faveur
des Madiaï. Aujourd'hui le mystère se laisse pénétrer. Quelques
commis-voyageurs de la société étaient compromis, il fallait les
sauveur, et pour cela l'Europe s'est mise en mouvement. Jamais
l'agitation religieuse n'avait été aussi universelle. Jamais il n'y a eu
tant d'acord pour combattre la vraie religion..... Ces tentations de
démoralisation seraient sans danger si le ministère sard n'y donnait son
appui... Ce ministère semble, en cela, obéir au mot d'ordre qui a été
donné à tous les gouvernements, de faire la guerre à l'Église (pag.
9)... Le gouvernement anglais s'est mis au service de la Société
Biblique. Personne n'a oublié toutes les sourdes attaques, toutes les
menaces du gouvernement anglais contre Naples, contre Rome et contre
l'Italie. Pour peu que l'on examine au-dessous de cette action
britannique, on y trouve la haine du pape et du catholicisme» (pag.
290).
[572] LEON PYLAT ministro valdese, _Protest. et Evangel. de l'Italie_,
p. 4 e 28.
[573] Oltre quella curiosa biografia, vedasi _Des efforts du
protestantisme en Europe, et des moyens qu'il emploie pour pervertir les
âmes catholiques_, par M. RENDU, _évéque d'Annecy_. Parigi 1855.
Nel 1835 a Ginevra si radunarono 250 ministri protestanti pel terzo loro
giubileo, e combinarono i modi di propagare la loro credenza, per mezzo
di unioni protestanti; da quell'ora sinodi e ritrovi moltiplicaronsi.
Egli scrive che «en 1853, vingt-un catéchistes, colporteurs,
journalistes, écrivains de libelles diffamatoires on été lancé sur la
Savoie pour y fonder des prédications et tenter des conquêtes à
l'hérésie. En Piémont comme en Savoie, le voltairianisme aux prises avec
l'Église, a cru devoir appeller l'hérésie à son secours. Après avoir
réussi à mettre le pouvoir à sa disposition, il a ouvert des temples aux
prédicants, et des routes aux colporteurs de mauvais livres. Il a fondé
des journaux pour diffamer tout ce qui est honnête et combattre tout ce
qui est vrai. L'Italie entière, la France, la Suisse catholique, les
Provinces Rhénanes sont en tout sens parcourues par les émissaires de la
grande conspiration religieuse, qui, dans son zèle de prosélytisme,
embrasse le monde entier».
[574] Torino 1856. È notevole che gli archivj del Vaticano stettero a
Parigi dal 1804 al 1816, accessibili al pubblico. Ebbene, in tutto quel
tempo, sole dieci domande si fecero di esaminarli.
[575] Vedasi quel che ne dicemmo nel Discorso VII, tom. I, pag. 145.
[576] Il _Times_, giornale professato nemico della Chiesa nostra, seguì
attentamente quel processo, e i fatti dell'accusato, «a' cui passi
teneva sempre dietro lo scandalo». Udito il verdetto, scriveva: «Siam di
credere che grave ferita siasi inflitta all'amministrazione della
giustizia nel nostro paese, e che da qui innanzi i Cattolici avranno ben
dritto di dire non esservi giustizia per loro qualvolta siano in causa i
sentimenti protestanti de' giurati e de' giudici».
Anche un giornale svizzero evangelico si doleva che «mentre la Chiesa
cattolica continuamente accoglie protestanti i più illuminati, e
distinti per moralità, la nostra è ridotta a non reclutare che frati
lascivi e concubinarj».
[577] Il Leo, professore nell'Università di Halle e autore d'una storia
d'Italia, rispondendo ad una lettera del pastore Krummacher di Luisburg,
3 febbrajo 1853, nel giornale _Volksblatt_, così giudica della Società
Biblica in Italia. «Mi andate dicendo che il papa ha chiamato la Società
Biblica una peste. Sia pure. Ma prima di tutto voi mi permetterete di
distinguere tra la scrittura santa e una società privata; e confesserete
che in alcune circostanze, per buono che ne sia lo scopo, una società