Gli eretici d'Italia, vol. III - 71

volgano i casi, se anche cardinali e prelati siano entrati ne' nostri
arcani, non è una ragione per desiderarli elevati alla sede di Pietro:
quest'elevazione ci rovinerebbe, poichè sola ambizione gli avrebbe
condotti all'apostasia; il bisogno del potere li forzerebbe ad
immolarci. Quel che dobbiamo domandare e aspettare è un papa secondo i
bisogni nostri. Alessandro VI co' suoi delitti privati non ci
converrebbe, perchè mai non errò in materia religiosa: bensì un Clemente
XIV sarebbe il caso nostro, perchè a mani e piedi legati si consegnò ai
ministri de' Borboni di cui avea paura, agli increduli che vantavano la
sua tolleranza, e l'hanno esaltato come un gran papa. Se un siffatto
capitasse, cammineremmo più arditi all'assalto della Chiesa che non
cogli opuscoli dei nostri fratelli di Francia o d'Inghilterra.
«A questo termine arriveremo di certo: ma quando? e come? Tutto è
incognito, ma poichè nulla dee sviarci dalla traccia, vogliam qui darvi
consigli da inculcar ai fratelli, senza che appaja essere ordini della
Vendita.
«Poco è a fare coi vecchi cardinali e coi prelati di carattere deciso,
della scuola del Consalvi: dalle nostre officine di popolarità ed
impopolarità caviamo armi per render utile o beffardo il potere nelle
loro mani. Una parola inventata abilmente, e diffusa in certe famiglie
oneste, donde discenda nei caffè, e da questi nelle strade, può
annichilare un uomo. Se un prelato giunge da Roma nelle provincie con
pubbliche funzioni, sappiatene subito il carattere, gli antecedenti, le
qualità, i difetti. È un nemico dichiarato, un Albani, un Pallotta, un
Bernetti, un Della Genga, un Rivarola? avviluppatelo di lacci, creategli
una reputazione spaventosa di crudele e sanguinario. I giornali
forestieri raccorranno questi racconti abbellendoli: e voi mostrateli a
qualche spettabile imbecille: con un giornale di cui non capisca la
lingua, ma dove vedrà il nome del suo legato o del suo giudice, il
popolo crede senz'altre prove. Schiacciate il nemico, qualunque e' sia;
schiacciatelo colla maldicenza e le calunnie; e principalmente
schiacciatelo nell'uovo. La gioventù bisogna sedurre, strascinare nelle
società segrete.
«Per procedere a passi misurati ma sicuri, due cose son di suprema
necessità: aver l'aria di colombe ed esser cauti come serpenti; non
comunicar mai il segreto ai padri, ai figliuoli, alle donne, e tanto
meno al confessore: chi lo facesse, firma il suo decreto di morte.
«Al papa che desideriamo bisogna preparare una generazione degna del
regno che fantastichiamo. Ai giovani non dite mai parole empie o impure:
per insinuarvi nel tetto domestico, dovete porgervi gravi e morali.
Stabilita la vostra reputazione ne' collegi, ne' ginnasj, nelle
Università, fate che i giovani desiderino i vostri colloquj; favellate
dell'antico splendore di Roma papale. In fondo al cuor dell'Italiano v'è
sempre una ribrama della Roma repubblicana. Confondete abilmente questi
due ricordi; riscaldate queste nature, gonfie di boria patriotica;
offrite loro in segreto libri inoffensivi, poesie scintillanti di
nazionalità; e poco a poco elevateli al bollore necessario.
«Gli avvenimenti che s'accelerano troppo pel nostro desiderio, meneranno
fra poco un'intervenzione armata dell'Austria. V'è de' pazzi che alla
spensierata avventano gli altri ne' pericoli, eppure i cosiffatti
trascinano anche i savj. La rivoluzione che si medita non riuscirà che a
disastri e proscrizioni; nè gli uomini nè le cose son maturi, nè lo
saranno per un pezzo: ma potremo trarne una nuova corda da far vibrare
nel cuore del giovane clero; l'odio allo straniero. Rendete ridicolo e
odioso il Tedesco; all'idea della supremazia papale mescete sempre i
ricordi della guerra del sacerdozio coll'impero; resuscitate le fazioni
de' Guelfi e Ghibellini, e procacciatevi così la reputazione di buon
cattolico e puro patrioto, colla quale penetrerete fra il giovane clero
e ne' conventi. Quel giovane clero fra pochi anni occuperà i posti;
governerà, amministrerà, giudicherà, dovrà eleggere il pontefice; e
questo, come gli altri contemporanei, sarà imbevuto di principj italiani
e umanitarj. Se volete rivoluzionar l'Italia, cercate un papa siffatto.
Se volete stabilire il regno degli eletti sul trono della meretrice di
Babilonia, il clero cammini sotto la bandiera vostra, credendo camminar
sotto le sante chiavi. Se volete disperdere le ultime vestigia de'
tiranni e degli oppressori, tendete le reti come Simone Bariona, non nel
mare, ma al fondo delle sacristie, de' seminarj, de' conventi: e qualora
non precipitiate, avrete una pesca più miracolosa della sua; colla tiara
e la cappa pescherete una rivoluzione, che vada colla croce e il
gonfalone; e che basterà a metter fuoco ai quattro angoli del mondo».
Potremmo dubitare che questa istruzione fosse inventata dopo gli eventi,
se non ne conoscessimo la data, se non avessimo veduto quelle del
Weisihaupt [600]. E poichè la rivoluzione d'allora fallì, un'altra
circolare del 20 ottobre 1821 diceva:
«Nell'odierno conflitto tra il despotismo sacerdotale o monarchico e il
principio di libertà, v'ha conseguenze che bisogna subire, principj che
innanzi tutto bisogna far trionfare. Potevamo prevedere una sconfitta,
non dobbiamo dolercene fuor di modo; e qualora non iscoraggi, dovrà, in
un certo tempo, agevolarci i mezzi di combattere più profittevolmente il
fanatismo. Basta esaltar sempre gli spiriti, e mettere a profitto tutte
le evenienze. L'intervenzione straniera in quistioni di politica interna
è un'arma effettiva e potente, che bisogna maneggiare con destrezza. In
Francia si abbatterà la dinastia, rinfacciandole continuamente l'esser
tornata sui cavalli de' Cosacchi; in Italia bisogna render impopolare lo
straniero, in modo che, quando Roma sarà assediata dalla rivoluzione, un
soccorso estero sia un affronto anche per i sinceri nazionali. Non
possiamo affrontar il nemico coll'audacia de' nostri padri del 1793,
impacciati come siamo dalle leggi e più dai costumi; ma col tempo ci
verrà fatto di raggiungere la meta ch'essi fallirono, e frenando le
temerità, giungeremo a rinvalidare le fiacchezze. Da sconfitta in
isconfitta s'arriva alla vittoria. Occhio però sempre su quanto accade a
Roma. Screditate il pretume con tutti i mezzi; fate al centro della
cattolicità quel che alle ale noi tutti facciamo, individualmente o in
corpo. Agitate; agitate la piazza con motivo o senza, ma agitate; qui
sta la riuscita. La cospirazione meglio ordita è quella che più si
muove, e che compromette più persone. Abbiate martiri: abbiate vittime;
troveremo sempre chi sappia darvi i colori necessarj».
Vedasi se avessero ragione i pontefici di sgomentarsi a tali
preparativi, e vigilare meglio dei re, i quali non aveano nè il coraggio
di distruggere, nè la franchezza d'accettare le società segrete. Pio
VII, il 13 settembre 1821 ripetè contro la Carboneria le condanne de'
suoi predecessori, rivelandone gli errori e le trame, disapprovando
altamente il giuramento di segreto assoluto, che proferivasi a modo
degli antichi Priscillianisti; ma principalmente la licenza di formarsi
ciascuno una religione a suo grado, il profanare nelle cerimonie la
passione di Gesù Cristo e i ministeri e i sacramenti, e il proposito di
rovesciar la cattedra apostolica. In fatto il giurar di obbedire
ciecamente a un archimandrita può mai farsi non dico da un cristiano, ma
da un leale amatore di libertà? Chi è legato a un giuramento diverso,
come potrà adempiere lealmente i doveri d'impiegato, di maestro, di
giudice, di giurato, di deputato?
Leone XII di nuovo sentenziò le società secrete; poi Pio VIII il 24
maggio 1829, quando erano all'apogeo, tornò a battere «quei baluardi
dietro cui si afforzano l'empietà e la corruzione». Sopra l'altre
indicava «quella formatasi testè per corrompere la gioventù ne' ginnasj
e ne' licei. Sapendo i precetti de' maestri esser efficacissimi a formar
il cuore e lo spirito, adoprasi ogni astuzia per dare alla gioventù
maestri depravati, che la conducano nei sentieri di Baal; onde i giovani
sono portati a tal licenza, che, scosso ogni timore della religione,
bandita la regola de' costumi, sprezzate le sane dottrine, calpesti i
diritti d'entrambe le podestà, non arrossano più d'alcun disordine,
d'alcun errore, d'alcun attentato».
La lunga mina scoppiò dietro alla nuova rivoluzione francese del 1831:
l'Italia media si sollevò, ma gli eserciti ripristinarono i principi e
l'obbedienza. Giuseppe Mazzini genovese, non voluto ricevere nella gran
Vendita carbonaria, diretta a sovvertire troni e Chiesa senza usare il
pugnale, bensì con mezzi morali sul sacerdozio e la gioventù, costituì
la _Giovane Italia_, che tolse a quella il primato. Colle sue idee
cosmopolitiche, col tono d'illuminato, colla parola immaginosa che sente
del biblico e fa subodorare un profeta, egli affascina i giovani;
contenta il popolo col disinteresse, in tempo di sì sfacciati
ladronecci; amica i settarj coll'abbracciarli tutti, mentre gli uni
esecravano gli altri, e tutti adoprarli nella sua unica associazione
educatrice; non minacciavasi morte ai disertori; non v'erano capi
invisibili, non inanità di simboli; più che a vantar diritti badavasi a
professare doveri; meta il progresso; modo d'attuarlo la repubblica una
e indivisibile; tutto pel popolo e per mezzo del popolo.
Ma nel suo programma, oltre l'unità repubblicana della penisola, stava
che il popolo italiano è chiamato a distruggere il cattolicesimo a nome
della rivelazione continua»[601]. Dio è Dio, e l'umanità è il suo
profeta. Dio s'incarna successivamente nell'umanità. L'umanità è la
religione. Noi crediamo nell'umanità, sola interprete della legge di Dio
sulla terra[602]: Cristo è un santo, la cui voce fu accolta come
divina[603]. Il cattolicesimo è spento; forma logora, serbata ancora
alcun tempo alla venerazione dei dilettanti d'antichità[604]. L'Europa
oggi è in cerca dell'unità religiosa, nuovo vincolo che annoderà in
concordia di religione le credenze, i presentimenti, l'energia degli
individui, oggi isolati dal dubbio, senza cielo, e quindi senza potenza
per trasformare la terra[605].
S'accorge il lettore che, di quanto ci cade nel presente discorso, non
cogliamo se non ciò che concerne lo scopo del presente libro. E appunto
qui consideriamo Mazzini come quello che la rivoluzione italiana vuole
sia religiosa. Egli non è razionalista, poichè a volte ammette il
sopranaturale; non è cattolico, ma neppur protestante, giacchè vede che
il cattolicesimo si è perduto nel governo dispotico, il protestantesimo
si perde nell'anarchia[606]: ha frasi e non bada a concordarle fra loro.
Il Lesseps, dando ragguaglio della sua missione a Roma nel 1849,
attribuiva a Mazzini di favorire lo scisma religioso non solo per gli
scritti, ma per frequenti conferenze con missionarj inglesi e d'altre
lingue. Noto è come fosse trattato il clero nel breve dominio de'
rivoluzionarj a Roma, ove debaccavano alcuni preti apostati, cortigiani
de' triumviri, i quali giunsero perfino a dar la benedizione _urbi et
orbi_, come suole il papa dalla loggia di San Giovanni Laterano; e
Mazzini esclamava: «Dalle fiamme delle carrozze cardinalizie, arse sulla
piazza del Popolo, è uscita una luce che rischiarerà la via sulla quale
i popoli s'affratelleranno, un giorno o l'altro, in uno sviluppo
religioso, in una fede di opere redentrici e d'amore[607]. Il nuovo
governo proclamerà non esservi più chiesa ma popolo di credenti; il papa
dell'avvenire chiamerassi Concilio; assemblea costituita d'uomini
virtuosi, che sentono il bisogno d'una fede viva, interrogherà il
progresso, scandaglierà i mali, decreterà i rimedj, e porrà la prima
pietra della Chiesa universale dell'umanità[608]. Noi fonderemo un
governo unico in Europa, che distruggerà l'assurdo divorzio tra il
potere spirituale, e il temporale»[609].
Poi quando la capitale del regno d'Italia fu tramutata a Firenze,
Mazzini proclamava: «Roma non è una città, Roma rappresenta un'idea:
Roma è il sepolcro di due grandi religioni, che altre volte diedero vita
al mondo: Roma è il santuario di _una terza religione futura destinata a
dar la vita al mondo dell'avvenire_. Roma rappresenta la missione
dell'Italia in mezzo alle nazioni, il verbo del nostro popolo,
l'evangelo eterno _dell'unione fraterna_. No, Roma non può annettersi a
Firenze, ed è nostro dovere di annetterci tutti a Roma».
[Avendo Buchez, nell'Européen, ottobre 1836, detto che Mazzini avea
tolta da lui l'idea della sua _Giovane Italia_, Mazzini negollo perchè
Buchez ammetteva il dogma cristiano e professava riverenza pel papato,
mentre «la scuola ch'io cercava promuovere respingeva fin dalle prime
linee ogni dottrina di rivelazione esterna, e sopprimeva deliberatamente
fra gli uomini e Dio ogni sorgente intermedia di vero, che non fosse il
genio affratellalo colla virtù, ogni potere esistente in virtù d'un
preteso diritto divino, monarca o papa».
Più esplicitamente Mazzini spiegò gl'intenti della rivoluzione
nell'ottobre 1867, quando Garibaldi assaltava Roma. «Quando noi
ripiglieremo Roma, sarà per dissolvere il papato, e a vantaggio
dell'umanità intera proclamare l'inviolabilità della coscienza, che la
Riforma del XV secolo acquistò solo per mezza Europa, e anche là ne'
limiti della Bibbia... Fa più di trent'anni, io scrissi che il papato e
il cattolicesimo erano due lampade estinte per mancanza d'olio, cioè del
dogma di cui viveano. Il tempo confermò il mio giudizio. A quest'ora il
papato è un cadavere, che nulla può galvanizzare. È la maschera
inanimata d'una religione... Destituita da ogni sentimento del dovere,
d'ogni potenza di sagrifizio, d'ogni fede nel proprio destino, il papato
perdette ogni fondamento morale, e il suo fine, la sua sanzione, la sua
fonte d'azione. Perciò spira. Ed è un dovere di proclamarlo senza
reticenze ipocrite, senza ambagi, senza fingere di riverir ancora ciò
che s'attacca, senza dividere il problema, invece di scioglierlo. Per
noi tutti, cui sta a cuore d'edificar la città dell'avvenire e
concorrere al trionfo della verità, è un dovere di guerreggiar il
papato, non solo nel poter temporale, giacchè questo non vi sarebbe modo
di ricusarlo al rappresentante riconosciuto di Dio sulla terra... Quei
che osteggiano il principe di Roma, professando venerare il papa, ed
esser cattolici sinceri, sono convinti di contraddizione flagrante o
d'ipocrisia. Quei che pretendono ridur il problema a Chiesa libera in
Stato libero, sono o stretti da sciagurata timidità, o spogli d'ogni
convinzione morale... Estinta che sia ogni credenza nella vecchia
sintesi, e stabilita la credenza in una sintesi nuova, lo Stato diverrà
la Chiesa... Lo Stato incarnerà in sè un principio religioso, e sarà il
rappresentante della legge morale nelle diverse manifestazioni della
vita». Cioè lo Stato unirà in sè il potere spirituale e il temporale,
come quel papato, che ebbe «una missione sì grande e sì santa, che che
ne dicano oggi i fanatici della ribellione, falsando la storia, e
calunniando nel passato il cuore e lo spirito dell'umanità».]
L'_Ausonia_, formatasi a Parigi verso il 1845, avea pubblicato una
specie di costituzione per l'Italia, riducendola a federazione sotto due
re elettivi e temporarj. Quanto alla religione, essa accettava la
cristiana, richiamata ai suoi principj dal Concilio generale de' vescovi
della penisola che nominerebbe i patriarchi: tollerato ogni culto;
stipendiati dallo Stato i ministri: il collegio de' cardinali rimarrà
finchè viva il papa; morto lui, è abolito (Articoli 34, 35). Gli Ordini
monastici sono conservati, con libertà ai membri di essi d'uscirne;
nessuno vi potrà entrare prima di aver adempito i doveri militari, nè
legarsi a voti prima de' 40 anni se donna, de' 45 se uomo (Art. 53).
Alla pagina 12, § 6 del gran Processo di Ancona, fatto dalla sacra
consulta di Roma nel 1862, è detto che, nel 1849, in una tal casa, fra
altri riti massonici, si pose un crocifisso sopra un tavolino, con
quattro moccoli agli angoli, poi incrociate le pistole, si spararono, e
con uno stilo ciascuno colpirono l'immagine; indi bucatosi il polso
della mano e la gamba ove si stringe il legaccio, col sangue scrissero i
proprj nomi e il giuramento in un registro[610]. Nel 1850 formossi una
nuova società a Londra, di formole più semplici, e cui unico simbolo,
«Giuro di cooperare con tutte le forze per la liberazione e unione
d'Italia».
Che se non furono coronate dalla riuscita, le trame mazziniane aveano
però esaltato gli spiriti, avezzo alle aspirazioni rivoluzionarie, dato
il gusto di ciò che sente di criminale, e così reso possibili gli atti
tutti del governo ammodernato nel Piemonte. Ivi subito si apersero molte
loggie massoniche, le quali cercarono influenza col fondarne di filiali
ne' paesi ancora quieti, _mezzi morali_ per quella che taluno chiamò
_onesta cospirazione_. Dopo falliti i sanguinarj tentativi del 1853, lo
sbigottimento delle sette assassine ajutò anche nelle Romagne il
costituirsi del partito piemontese, dal quale derivarono molte
insurrezioni parziali. Mentre fin allora le loggie nostrali dipendevano
dal grand'oriente francese, allora se ne formò a Torino una
indipendente, l'_Ausonia_, di cui primo venerabile fu l'ottagenario
Filippo del Pino. Molte altre se ne eressero, poichè, vulgarizzatesi
anch'esse al par d'ogn'altra cosa, non sono più, come nell'età
precedente, un'eccezione, il divertimento di pochi gaudenti; e la
tendenza del nostro secolo a ripristinare le associazioni che i principj
dell'89 aveano distrutte, fe dilatare la massoneria. La sua azione
manifestossi non solo nelle elezioni, nelle nomine ad impieghi, nella
scelta de' ministri, ma nelle congiure e nelle battaglie; di qui i premj
o l'infamia, di qui le notizie ai giornali, e l'efficacia del Cavour che
n'era granmaestro, e il diroccamento di patria, famiglia, troni per la
sola ragione che bisogna esser più forti. Nè si appone al falso chi
crede che delle cose politiche l'indirizzo resti in mano della
sètta[611]; e al ministro d'una grande potenza che «in nome delle
esigenze della società moderna» chiedeagli fosse restituito a' suoi
parenti ebrei il giovinetto Mortara, il quale spontaneamente avea
domandato di venire alla nostra Chiesa, Pio IX rispose: «Quella che voi
chiamate società moderna è la framassoneria». Allorquando fu chiamato in
Italia l'esercito francese, le sètte intesero che una gran parte del
loro programma religioso e politico andava a compirsi; e i varj gruppi
si strinsero nella massoneria.
A mezzo del superbo viaggio la man di Dio abbatteva Cavour. Trattossi
allora di eleggere il granmaestro: e poichè non accettò il Nigra
ambasciador sardo a Parigi, dal Govean che n'era capo provisorio furono
radunati i rappresentanti di ben ventinove loggie, che formarono uno
statuto, nel quale riconoscesi il G. A. D. U.; liberi tutti i culti;
obbedienza assoluta e secreto: lega colle loggie straniere. Fu decretato
il titolo di primo massone d'Italia al generale Garibaldi; ma nella
nomina di grand'oriente prevalse il siciliano Córdova, allora ministro
di grazia e giustizia. E poichè Garibaldi già presedeva alle loggie
italiane di rito scozzese, il cui supremo consiglio risiede a Palermo,
ne nacque scisma. Sebbene Garibaldi, dopo un clamoroso viaggio a Londra
dove fu accolto con tanto entusiasmo quanto il re Teodoro nel secolo
passato, Blücher nel 1814 e il sultano nel 67, convocasse le logge
scozzesi a Palermo, nessun vi rispose; e invece al 21 maggio 1864 si
tenne una grande adunanza a Firenze, dove apparve che la massoneria
italiana contava settantasei loggie, oltre dieci fuori d'Italia e le
eterodosse del rito scozzese e dell'egiziano; industriavansi nel
sistemare società operaje, banche nazionali, scuole popolari, prosperar
l'agricoltura e l'industria, e collegare le nazioni in una sola
aspirazione e nella tolleranza di qualunque credenza, ponendo da banda
le forme esterne. Colà fu concertata la fusione di tutte le loggie,
qualunque ne fosse il rito, per maggiormente operare sui destini
dell'intera nazione, sotto un unico grand'oriente, composto di venti
membri del rito italiano, venti dello scozzese, che sederebbero a Torino
finchè Roma non sia capitale del regno. Granmaestro fu proclamato il
Garibaldi; ma non tutti aderirono a quella fusione; onde Garibaldi
s'abdicò; e restò solo granmaestro del rito scozzese. Gli fu surrogato
provvisoriamente Francesco De Luca, che professò non volersi
affratellare colla rivoluzione violenta, nè servirsene ad intrighi
egoistici: per le quali ragioni ne fu poi cancellato.
Quando Eugenio Sue co' suoi romanzi ebbe prodigato la calunnia e l'ira
contro i Gesuiti e la religione, la loggia di Bruxelles gli mandò una
penna d'oro. Nel ringraziarla, egli metteasi a cercare con quali mezzi
si potrà osteggiare la fede e l'azione cattolica, e ne suggeriva tre: 1,
propagare il razionalismo mediante un'associazione di persone che
promettano rifiutare i sacramenti: 2, la propaganda dell'unità: 3, il
protestantesimo in generale. Il primo si conseguì mediante
l'associazione de' solidarj per la sepoltura civile: da questa si
arriverà al battesimo civile; la libertà della tomba porterà
l'emancipazione della famiglia e della società col battesimo e col
matrimonio civile, fondando così la famiglia sulla negazione d'ogni
legame religioso, anzi della fede.
E già sentesi l'effetto nell'indifferenza tra le varie maniere di
riverire l'ente supremo. La _Latomia_, giornale della sètta, scriveva:
«Il protestantismo non è che la metà della massoneria. Ormai bisognerà
che esso o ritorni a' Cattolici, o si fermi a mezza via, o progredendo
arrivi alla religione massonica». Di fatti avendo un neofito negato di
riconoscere il Grande Architetto Dell'Universo, fu definito che ciò non
facea difficoltà: e vi fu ricevuto perfino il notissimo socialista
Proudhon[612], il quale dichiarò doversi «giustizia a tutti, devozione
al proprio paese, guerra a Dio». Il panteismo v'è proclamato, facendo
tutt'uno il muratore, il murato, la muratura; l'operatore, l'opera,
l'operazione[613]. Pertanto nel 1866 non s'iniziarono più _Alla gloria
del G. A. D. U._, ma _In nome della ragione e della fratellanza
universale_, e propongonsi di sottrarre l'umanità al giogo sacerdotale;
sostituire alla fede la scienza; nel compimento del bene surrogare le
austere soddisfazioni della coscienza alle pompose speranze di
ricompense eterne: rimuovere dallo spirito la vana preoccupazione di una
vita futura, e il feticismo d'una provvidenza soccorrevole.
Indipendenza, unità e fraternità delle nazioni; la massoneria italiana
non riconoscerà mai altro potere sovrano sulla terra che quello della
retta ragione e della coscienza universale: accelerar il tempo che,
invece di navi corazzate, facciansi aratri a vapore; e la pace,
fecondata dai capitali e dalle braccia ora rapite dalla coscrizione,
produca i frutti migliori; del resto tolleranza di tutti i culti,
adorazione della scienza, filantropiche cure nell'educazione delle
moltitudini, nelle società cooperative, nelle banche di credito; in
tutti gli uffizj con cui la Chiesa provedeva al pauperismo del corpo e
dell'anima, surrogare il patronato e gli stipendj al volontario
sagrifizio di gente, che si facea povera per arricchire gli altri, e per
insegnar la sommessione al volere di Dio.
E a miti intenti mostrasi diretta la _massoneria simbolica_ che ha il
gran consiglio a Milano e per venerabile Ausonio Franchi. I suoi statuti
sono semplici, e in questi stessi giorni pubblicò, nel suo _Bollettino
Massonico_, un programma, dove attesta che non è fatta a pascolo
d'ambizioni o d'incomposte aspirazioni, non domanda gravi sacrifizj,
costanza e concordia nell'opera comune. E mentre il paese fu abituato a
reluttare alle leggi e agli imperanti, ora il suddito ribelle, fatto
cittadino, ha da concorrere a tener in onore gli ordini civili. Perciò
esorta ad estender le loggie, a considerarsi tutti solidarj, a studiare
le istituzioni del paese, diffondere l'istruzione, formar _quella sana
opinione pubblica che oggi è l'unica e vera sovrana di tutti i liberi
paesi_. Queste istruzioni esorta a comunicare, ma agli adepti di primo
grado.
Come nel secolo precedente erasi cercato scusa alla sètta col dire che
le bolle di Clemente XII e Benedetto XIV fossero o false o abolite, così
ai dì nostri bucinarono che Pio IX fosse appartenuto alla massoneria.
Egli protestò contro quell'asserto, e scaltriva gl'incauti, ignari del
vero e illusi dagli intenti benevoli che vi si professano. I giornali,
che aveano applaudito ai Governi d'aver proibito le pie conferenze di
san Vincenzo di Paolo, trovarono ridicolo o tirannico il dichiarare che,
chi fa parte della massoneria, cessa d'esser figliuolo della Chiesa
cattolica. Ma poniam caso che sorgesse una società, la quale senza
riguardi dichiarasse: «Noi non sollecita gelosia del cielo, ma vaghezza
di rifare il cielo nella terra e nel cuor nostro, e di concorrere
all'attuazione di quel regno dei cieli che ci fu promesso da Cristo. —
Di tutte le arti, quella che produce e trasforma le religioni è la
primissima di tutti i popoli. — Non solo le società segrete non
repudiano quest'arte sovrana... ma si può asseverare che si formassero
primitivamente per uno scopo non politico, ma religioso. — L'umanesimo è
la fede nella quale, più o meno esplicitamente, consentono le società
segrete. — Il vasto apparecchio della scienza è una grand'opera di
circonvallazione contro l'invadimento della teologia. I sacerdoti
dell'umanesimo restituiscono all'uomo tutto ciò che i teologi gli
presero per addobbare i loro idoli e aggiungersi potenza. — Il progresso
civile si effettua per un continuo ribellarsi dell'umanesimo al tentato
monopolio della giustizia. In questo infaticato ribellarsi, la parte
della preparazione spetta alle società segrete. — Furono ribellioni
dell'umanesimo contro il monopolio sacerdotale della cristianità il
risorgimento italiano e la riforma religiosa del secolo XVI. Ma in
codesti assalti l'umanesimo non affermava idealmente e giuridicamente se
stesso: questo compito era serbato alla gloriosa famiglia de' Liberi
Muratori, e a quell'ultima ribellione in cui noi ancora combattiamo. —
L'umanità procede verso il giorno, in cui, non riconoscendo più nè
città, nè popoli, nè _spiriti privilegiati_; cessando dalle gare, dalle
prepotenze, dalle intolleranze; non credendo che il divino sia esclusivo
patrimonio di un uomo, nè di una nazione, nè di una chiesa, lo cercherà,
lo troverà, e che è più, lo attuerà dapertutto. — Massimo ricettacolo
dello spirito è l'umanità intera, le cui membra ponno compararsi al
mistico corpo del Redentore. — La rivoluzione crea nel mistero come la
natura. — Ogni società segreta è una pallida famiglia di vendicatori,
stretti da infrangibile giuramento; i loro riti si direbbero il
programma dello sterminio: ma la loro amicizia è tenera e soave. — Come
cadono gl'imperi? Rovinano forse da sè per vecchiezza o per istanchezza?
si suicidano forse in un'ora di tedio?... Non hanno essi la forza, il
diritto storico, la fede, l'abitudine del comando? Che cosa li costringe
all'abdicazione?..... La forza misteriosa ineluttabile non emana da
quella Provvidenza anonima, che può appellarsi l'asilo delle nostre
ignoranze e delle nostre paure, bensì da una provvidenza tutta umana,
che elabora nel seno della società medesima i suoi decreti. Lo Stato è
colpito dalla mano della società segreta: segreta oggi, palese domani;
oggi militante, domani vittoriosa. — I Governi hanno fatto il loro
dovere, e le società segrete hanno fatto il proprio. I Governi, dal più
al meno, hanno oppresso, e le sètte hanno vendicato e rivendicato...
Tutto ciò che ha governato nel mondo non vale certo quanto ciò che in
esso ha congiurato. —
Queste professioni desumiamo da uno de' più ingenui, perchè de' meno
addentrati neofiti[614], e domandiamo se a questi teoremi religiosi e
sociali potesse tacere il custode della verità e vindice della
giustizia. Che se la società degli Indipendenti e dei Cavalieri Guelfi
metteva tra le massime dell'Ordine che «la religione di Cristo è la
migliore, ma il migliore gran sacerdote è il più buon re», altrove
ritroviamo un esplicito ritorno al paganesimo, e Maurizio Müller, nella
_Riforma religiosa_, pone ricisamente che «il paganesimo ben inteso si