Gli eretici d'Italia, vol. III - 40
costituisce in religione la fede cattolica, e in filosofia la fede
razionale verso l'Idea: ella è la cognizione del vero, contemplato nelle
analogie o in se stesso, per mezzo del verbo jeratico. Quando l'animo
del fanciullo cattolico, formato e disposto dalla doppia instituzione
del catechismo e della Grazia, della Chiesa e di Dio, giunge a quel
grado di cognizione che gli permette di dire sentitamente e con pieno
arbitrio, Io so e credo; egli acquista la doppia fede dell'uomo e del
cristiano. La sufficiente notizia del vero intelligibile e
sovrintelligibile, ch'egli ha ricevuta dalla parola educatrice, rende
intima la sua persuasione e l'ossequio ragionevole. Avendo apprese dal
magistero ecclesiastico le verità razionali e i dogmi arcani della
religione, egli ammette quelle in virtù della propria evidenza, e
guidato dalla luce che diffondono, crede all'autorità della favella
rivelatrice che l'esprime e l'accompagna, crede ai misteri
incomprensibili per la guarentigia autorevole degl'insegnatori. Così,
l'uomo, che per la grazia del primo rito era già abitualmente cristiano,
riesce tale in atto, piglia libero possesso dell'Idea perfetta, ed entra
con essa alla cittadinanza spirituale conferitagli nel celeste regno.
Niuno può determinare l'istante preciso e il modo speciale di questa
operazione in ciascun individuo; giacchè la verità assoluta e moltiforme
del cristianesimo può influire nello spirito per mille diverse guise; e
l'impressione divina che accompagna ed accresce l'efficacia di quella,
può ottemprarsi in varj modi all'indole speciale del fanciullo e alle
condizioni in cui è collocato. Ma ciò che è manifesto si è che la fede
cristiana e la fede razionale nel fanciullo bene instituito non vengono
mai precedute dall'analisi, dal dubbio, dall'esame, e che il metodo
cartesiano e protestante ripugna del pari alla religione e alla natura.
Nei due casi si annulla la fede collo scetticismo, a fine di poterla
rifare coll'esame: si rinunzia al possesso di un dono così prezioso
ricevuto dall'educazione, o s'incorre nel grave rischio di non poterlo
ricoverare, come colui che trovandosi aver fra mano un gran tesoro
necessario alla sua vita, eleggesse di scagliarlo in mare per avere il
diletto di ripescarlo, faticando e nuotando con pericolo di annegarsi. E
veramente la fede, che è l'innocenza dello spirito, è come quella dei
costumi assai più facile a conservare, purchè si adoperi la debita
vigilanza, che a racquistare, quando si è perduta. La fede è la vita
delle anime, le quali, a guisa dei corpi, non posson destarsi dal sonno
mortale, o risorgere senza miracolo». GIOBERTI, _Introduzione allo
studio della filosofia_.
[349] Nel _Catechismo_ stampato a Basilea il 1561, si legge:
_Ministro._ Sebben l'esser nostro è infinitamente lontano dall'esser di
Dio, non può darsi che l'uomo non sia. Anzi è cosa sì chiara, che più
nota non può trovarsi, e mostra d'esser in tutto privo di giudizio chi
non crede essere. Però ti prego, illuminato mio, che tu mi dica s'egli
ti par essere o no.
_Illuminato._ Mi par essere: ma per questo non so certo che io sia:
imperocchè in parermi d'essere, forse m'inganno.
_Ministro._ È impossibile che a chi non è gli paja d'essere: però, poi
ch'ei ti par essere, bisogna dire che tu sia.
_Illuminato._ Così è vero.
[350] _Méditation III_, alla fine.
[351] Vedasi qui sopra a pag. 276.
[352] _Quæst. II_, nei Libri Fisionomici. Ne parlammo a lungo a pag. 63
e seg.
[353] _Opera_, tom. II, part. I, pag. 277.
[354] _Le Catholique_, Parigi 1826, tom. II, pag. 198, 199 e altrove.
[355] Vedi il nostro vol. II, p. 334, Pur testè, lo spirito di
Lamennais, evocato colla magia moderna, diceva; «Quando in Italia si
bruciarono Arnaldo da Brescia, Giordano Bruno, Tommaso Campanella
(_quasi fossero contemporanei_) si spensero le ultime voci che
protestavano in nome della verità contro il fanatismo che uccideva
Cristo. Voi dovete resuscitarle quelle sante voci». _Annali dello
spiritismo in Italia_, vol. I, p. 663.
[356] Troviamo pure all'Indice:
Chiaretta, _Sull'Eucaristia_.
Ciaffoni, _Apologia della morale de' Santi Padri_.
Bozi, _La Tebaide sacra_.
Gambacorta, _Le immunità ecclesiastiche_.
Giovanni Garrido, _Sui Benefizj_.
Romolo Cortaguerra, _L'uomo, il papa, il re_.
Grillenzoni Giovanni, _De l'ansietà dell'anima_.
Scipione Calandrini, _Origine delle eresie_.
Feliciano Oliva, _La giurisdizione ecclesiastica_.
Bonini di Chiavari, _L'ateista convinto_.
Carlo Cala, _Il contrabando de' preti_.
[357] Così lo storico Zazzera. Fra i libri proibiti d'allora compajono
Giovanni Orsino, _Scienze ermetiche_; e _Magica, seu mirabilium
historiarum de spectris et apparitionibus spirituum; item de magicis et
diabolicis incantationibus_.
[358] Estratto da copia nell'Archivio de' Frari.
[359] _Vita del cavaliere Borri_, p. 354. Forse è opera del Leti, come
l'_Ambasciata di Romolo ai Romani_, libro rarissimo stampato a
Brusselles il 1671, e mal attribuito al Borri, del quale vi va unito il
processo. Questo fu riprodotto nella _Amœnitates litærariæ_, tom. V, p.
149, e nella _Historia d'Italia_ del Brusoni (Torino 1680, da pag. 724 a
732) «perchè veramente di nessun altro eresiarca si leggono tante e sì
stravaganti follie nelle materie di fede».
Sul Borro altre notizie si hanno nell'Archivio di Firenze, Strozziane,
filza CCXLIV; e filza LXXIX del tomo XI Segretaria Vecchia, coll'abjura
di esso.
[360] _De ortu et progressu chemiæ_. Nella Magliabecchiana, mss., classe
XXIV, 65 è un'invettiva contro il Borro.
[361] «Lo spirito moderno si mostrò molto severo verso il cenobitismo.
Abbiamo dimenticato che nella vita comune l'anima dell'uomo gustò le
maggiori gioje: cessammo il cantico _Quant'è bello e giocondo l'abitar
insieme i fratelli_. Ma quando l'individualismo moderno avrà portato gli
ultimi suoi frutti, quando l'umanità, impicciolita, attristata, fatta
impotente, tornerà alle grandi istituzioni, alle forti discipline;
quando la meschina nostra società borghese, dirò meglio, il nostro mondo
di pigmei sarà stato respinto a frustate dalla parte eroica e idealista
dell'umanità, allora la vita comune ripiglierà tutto il suo valore. Una
quantità di cose grandi, come la scienza, si sistemeranno sotto forme
monastiche con eredità non di sangue: l'importanza che il nostro secolo
attribuisce alla famiglia diminuirà (!); l'egoismo, legge essenziale
della società civile, non basterà alle grandi anime: tutti accorrendo
dai punti più diversi, si alleeranno contro la vulgarità: si troverà
senso alle parole di Gesù e alle idee del medioevo sulla povertà: si
comprenderà che il posseder qualche cosa potè esser considerato come una
degradazione, e che i fondatori della vita monastica abbiano disputato
secoli per sapere se Cristo possedette almeno «le cose che si consumano
per l'uso». Le sottigliezze francescane torneranno grandi problemi
sociali. Lo splendido ideale, delineato dall'autore degli _Atti
apostolici_ sarà iscritto come una rivelazione profetica all'entrar del
paradiso dell'umanità». RENAN, _Les Apôtres_, p. 132-133.
[362] Vedasi un manuscritto nella Magliabecchiana, classe VIII.
_Le visioni del beato Amedeo_, grosso volume di ducenquindici carte che
si conserva manuscritto nella stessa Magliabecchiana, asserisce che gli
errori saranno vinti da coloro che aderiranno al sommo pastore, _quorum
potior pars reperietur in urbe Florentina, tamquam capite religionis,
non auctoritate qua Roma potestatis caput est, sed adhesione. Nulla nam
civitas ita rebus Christi adherebit sicut illa. Conservabitur et illa de
qua tibi alias dixi pro liberatione ab alienis totius Italiæ_.
[363] Gran mistico fu il poeta spagnuolo Luigi Ponce de Leon, che stette
nelle prigioni del Sant'Uffizio dal 1572 al 76, e morì nel 91.
[364] _Mss. de Spalatin. Lettres de Luthère à Melanton_, 5 août.
[365] BERNINO, _Storia delle eresie, Secolo XVII_, c. 9.
Molti de' libri proibiti allora riguardano la mistica. Tale il _Tesoro
mistico scoperto all'anima desiderosa d'orazione continua_... dato in
luce da un sacerdote genovese (proibito il 1605). — _Passi dell'anima
per il cammino di pura fede_, di Giovanni Paolo Rocchi (proibito il
1687). — Petrucci Pier Matteo, _Lettere e trattati spirituali e
mistici_. — _I mistici enigmi disvelati_. — _La contemplazione mistica
acquistata_. — _Il nulla delle creature, il tutto di Dio_ (condannati il
1686). — _Alfabeto litterale, fantasmatico, mistico, acquisito,
contemplativo, col quale resta formata risposta circolare ad una
religiosa pusillanime nel dibattimento della contemplazione mistica
acquisita_ (proibito il 1687).
_Lotto spirituale per le povere anime del purgatorio_ (proibito il
1703).
_Dialogo della bellezza, e arte di ben servirsi delle finestre
dell'anima_ (proibito il 1732).
Di Michele Cicogna, molti libri di devozione, come, _Ambrosia Celeste, o
soave cibo dell'anima contemplativa_. — _Fontana del divino amore_. —
_Cristo Gesù appassionato_. — _Fiamme d'amor divino dell'anima
desiderosa di far il bene_.
Di Falconi Giovanni, _Alfabeto per saper leggere in Cristo_. — _Lettera
ad una figliuola spirituale, nella quale s'insegna il più puro e
perfetto spirito dell'orazione_.
[366] Nella Magliabecchiana sta di Pandolfo Ricasoli una
«Interpretazione de' salmi ebraici» che son cinque salmi, scritti
cominciando dal fine, e sotto a ciascun versetto la traduzione italiana,
poi il commento, diretto ad una religiosa, alla quale il Signore «spira
e dona tal volontà e spirito e forza d'imparare con gran facilità e con
perseveranza la sacra lingua hebraica per servirsene a contemplar li
divinissimi misteri, e non per insegnare nè predicare».
Alla Magliabecchiana stessa esiste di Celso Cittadini l'_Esposizione del
pater noster_, offerta a don Cosmo de' Medici il 1602, la prima volta
che andava a Siena (_Manuscritti, Classe_ XXXV, n. 19). Nella prefazione
dice aver già esposto l'_Ave Maria_ e la canzone del Petrarca alla
Vergine, dedicandola alla granduchessa.
Ivi pure trovo cenno d'una solennissima missione, che nel 1714 fece il
padre Segneri (juniore) sulla piazza di Santa Croce; il quale fu
ricevuto colle accoglienze che altri secoli serbano ai principi o ai
ciarlatani; e alle sue prediche assistevano gran popolo, la miglior
nobiltà e il granduca.
[367] «Perchè così vollero i suoi CARNEFICI», dice il Passerini nella
_Genealogia e storia della famiglia Ricasoli_ (Firenze 1861). Il suo
processo leggesi nel codice 1695 della biblioteca Riccardiana. Quando la
Faustina corrompea quelle povere fanciulle, altre monache videro sudar
sangue un _Ecce Homo_ in Santa Lucia in via San Gallo.
[368] Il supplizio de' quietisti è distesamente narrato dal Mongitore.
DISCORSO LI.
PIEMONTE. I VALDESI SUBALPINI.
Fra le Alpi occidentali formavasi una potenza, che annettendosi gli
avanzi del regno di Borgogna, poi ottenendo dalla badia di San Maurizio
la lancia e l'anello di questo, poco poco dilatava dalla Saona alla
Sesia e dal lago di Neuchatel al Mediterraneo, dalla vetta alpina
fiutando di qual parte spirasse il vento, per ispiegar a quello le vele,
non ben determinata se di là di qua de' monti giovasse meglio ampliarsi,
e favorendo ora l'impero di cui era vassalla, or Francia di cui era
insidiosa vicina, finchè si volse risolutamente all'Italia, ove doveva
non solo sopravvivere, ma surrogarsi a tutte le dinastie. È perciò che
alla storia italiana riferiamo quella pure de' paesi da cui i duchi di
Savoja trassero e la cuna e il titolo, e che repudiarono appena testè
per aspirazione maggiore. Carlo III il Buono era nipote di Francesco I;
ma temendolo appunto per la vicinanza e perchè possedeva le chiavi del
suo Stato, cioè Saluzzo, inchinò a Carlo V, di cui sposò la cognata, e a
cui diede grand'appoggio contro l'emulo in Italia. In conseguenza il re
di Francia ne occupò tutti gli Stati da Moncalieri alle Alpi, mentre
l'imperatore tenevasi gli altri, e muniva Asti, Fossano, Vercelli;
sicchè esso duca diceva al Muzio: «Due mastri di casa ho io;
l'imperatore e il re, che governano il fatto mio senza rendermene
conto».
Come dovesse starne il povero paese Dio vel dica; ma il duca sperava,
sempre, col bordeggiare, di giunger alla sua meta. E per riuscirvi
meglio fu chi lo esortava a valersi della Riforma, ed abbracciarla
palesemente; col che raccorrebbe il favore di tutti quelli che
avversavano il papato e l'Austria.
Anemondo di Coct, cavaliere del Delfinato infervoratissimo del nuovo
simbolo, stimolava Lutero a indurvi il duca: «Questi è grandemente
propenso alla pietà e alla religione vera[369]; ama discorrere della
Riforma con persone della sua Corte; adottò la divisa _Nihil deest
timentibus Deum_, la quale è pure la vostra. Mortificato dall'Impero e
dalla Francia, avrebbe modo d'acquistare suprema ingerenza sulla Savoja,
la Svizzera, la Francia».
Lutero in fatto gli scrisse, ma senza effetto. Anzi il duca passava
intere mattinate a visitar chiese e udire messe: i tre stati di Savoja
nel 1528 richiedevanlo di tener in pronto milizia che bastasse a
reprimere i tentativi dei Riformati, e impedire si estendessero nel
paese; egli pure, vagheggiando il concetto, allora nascente,
dell'unificare lo Stato, non bramava di meglio che svellerne l'eresia.
Ma in cinquant'anni di signoria, per la passione di tutto acquistare,
quest'ambizioso non fece che perdere; vedemmo (pag. 92) come la sua
smania di insignorirsi di Ginevra fece che questa gli si rivoltasse, e
appoggiandosi ai cantoni Svizzeri riformati, abbracciasse la Riforma di
cui dovea diventar la Roma, e come il duca serbasse eterna ribrama di
quel dominio; e più volte tentasse recuperarlo, ma sempre con sua onta.
[Nella lista de' pastori, inviati a chiese straniere dalla compagnia de'
pastori di Ginevra dal 1555 al 1566, trovo nel 1555 mandato a Aunis e
Saintonge Filippo Parnasso piemontese: e mandati in Piemonte Giovanni
Vineannes il 22 giugno 1556: Giovanni Lanvergeat l'ottobre 1556: Alberto
d'Albigeois il 27 settembre 1556: Giovanni Chambeli il gennajo 1557:
Gioffredo Varaglia di Cuneo nel 1557: Bacuot Pasquier il 14 settembre
1557: a Pragelato, Martino Tachart il 3 giugno 1558: a Torino,
Cristoforo figlio del medico di Vevey nel dicembre 1558.]
In una storia della Val d'Aosta, che trovasi nella biblioteca del re a
Torino, vi sono lettere da cui appare che, sebbene non si volessero
inquisitori, pure, avendo Calvino diffusa l'eresia in quella valle,
alcuni furono processati dal vicario del vescovo Gazzino, e i convinti
furono rimessi ai signori pari e non pari, per metter ad esame la
sentenza, senza che alcun inquisitore vi avesse parte.
Il 12 luglio 1529, Pietro Gazzini vescovo d'Aosta, ambasciadore a Roma,
scriveva al duca di Savoja d'aver esposto al papa che a Chambery s'era
tenuto un sinodo generale di prelati e abati sopra gli affari della
religione, e che lo pregavano di soccorrerli, attese le esorbitanze
commesse dai Luterani nelle valli di Savoja. Aggiunge che la Borgogna
superiore e il contado di Neuchâtel sono invasi da questa setta; che a
Ginevra il vescovo non osa più dimorare, nè vi si fece il quaresimale, e
mangiasi carne i giorni di magro, e leggonsi libri proibiti. Aosta e la
Savoja sarebbero assolutamente pervertite se il duca non v'avesse fatto
decapitare dodici gentiluomini, principali apostoli di queste dottrine.
Malgrado ciò, non manca chi diffonda quel veleno nei dominj del duca,
benchè questi abbia, sotto pena di ribellione e di morte, vietato
parlarne. Costoro esclamano che il duca non è re loro, e atteso i gravi
tempi e le grosse spese della guerra, domandano a gran voci si vendano i
pochi beni che gli ecclesiastici ancor possedono, e con tali maledette
promesse fanno molti aderenti. Il vescovo conchiude aver detto al Santo
Padre quanto grandi servigi renda esso duca al Santo Padre col
perseguitare questa sètta, ed impedir che penetri in Italia. Il papa gli
rispose ringraziandolo; non poter mandare denaro, attesa la ruina del
suo tesoro, ma supplicava specialmente il duca di tener d'occhio
Ginevra, la cui perversione bisogna impedire a ogni costo.
Una lettera del dicembre 1535 riferisce gravi quistioni degli Aostani
col vescovo Gazzini che gli avea scomunicati. L'anno stesso troviamo
quei contorni agitati dalla guerra e dall'eresia di Calvino, e Ami
Porral, deputato di Ginevra e Basilea, scriveva: «Il duca ci dice d'aver
molto a che fare di là dai monti, in parte a cagione del vangelo, che si
diffonde per tutte le città. La cosa conviene che proceda, poichè essa
viene da Dio, a dispetto de' principi».
La medesima storia racconta come, uscente febbrajo 1536, Calvino
penetrasse nella valle, e si accostasse alla città, tenendosi nascosto
nella cascina di Bibiano, presso l'avvocato nobile Francesco Leonardo
Vaudan. Riuscì a pervertire alcuni, e sparse biglietti per esortare gli
abitanti a mettersi in libertà, e allearsi ai Cantoni svizzeri
protestanti. Il pericolo fu scongiurato con prediche e con processioni,
alle quali assistevano col popolo il vescovo Gazzini, il clero, il conte
Renato d'Echalland, e le persone più distinte, a piè nudi, coperti di
sacco e di cenere: e fecero trattato coi signori delle sette decurie nel
Vallese di sostenersi a vicenda contro ogni innovamento in fatto di
religione o di fedeltà. Poi in assemblea generale si fece divieto, a
nome di sua altezza, sotto pena della vita di lanciar qualsiasi
proposizione contraria al sovrano o alla religione.
Gli aderenti a Calvino fuggirono, passando a guado il torrente Buttier
sotto Cluselino, donde recaronsi nel Vallay per le montagne di
Valpelina. I tre Stati raccolti in assemblea, a mani alzate fecero una
pubblica professione di fede, e solenne giuramento di vivere e morire
nella religione cattolica, e stabilirono una processione il giorno della
Circoncisione e la terza festa di Pasqua e di Pentecoste, cui assisteva
tutta la città, oltre erigere in mezzo alla città una grossa croce di
pietra: tutti gli abitanti mettessero sulla loro porta il nome di Gesù.
Nella relazione di Gregorio Barbarigo ambasciadore veneto a Carlo
Emanuele I nel 1611, è narrato quanto la perdita di Gex e degli altri
cantoni e di Ginevra pesasse al duca di Savoja, «desideroso piuttosto
d'allargare gli antichi confini dello Stato suo, che facile a soffrire
di esser privo di quello che già è stato de' suoi antenati». Sperò
riaverli alla morte d'Enrico IV, e col matrimonio del principe suo
figlio, e perchè restava tolto l'appoggio de' Francesi a Ginevra, dove
allora aveasi meno affluenza di Protestanti, dopo che erano tollerati in
Francia, meno industria dopo che a Lione si favorirono le manifatture
nazionali meno lavoro di stampa dopo che ai libri colà pubblicati, che
spesso erano anche pontifizj e buoni, non si permetteva di mettere la
marca de' libraj lionesi, colla quale circolavano liberamente.
E prosegue come esso duca sempre si valesse delle cose di religione per
ampliar i suoi Stati: mediante intelligenze colla Lega sperò estendersi
in Provenza: col pretesto di tor via gli Ugonotti, agognava ottenere
Ginevra; ma poichè videsi non abbastanza soccorso, si amicò coi
Protestanti di Germania, e non esitò disgustare il pontefice, massime
col tirare la guerra in Italia. Il pontefice però comprende come bisogni
usar riguardi a paese, che trovandosi in contatto con Ginevra, potrebbe
declinare dal rispetto dovutogli. E qui ragiona delle valli Valdesi, e
della loro tenacità nelle antiche e nuove credenze. Aggiunge che nello
Stato, mentre fu posseduto dai Francesi, molto si propagò la dottrina
degli Ugonotti, e v'ebbe pubblici predicatori in Torino[370] e altrove,
«i quali, rimesso il duca in istato, furono fatti partire, talchè ora si
vive cattolicamente dappertutto; comprendendo i duchi che, quanto
scemava lo zelo per la religion cattolica, cresceva l'inclinazione pei
Francesi».
Il clero vive dipendentissimo dal duca, lo che toglie ogni possibilità
al papa di contrariarlo: perocchè i benefizj ecclesiastici son quasi
tutti conferiti liberamente dal duca, compreso i due arcivescovadi di
Torino e Tarantasia e i nove vescovadi, godenti da due fin a cinquemila
scudi d'entrata; il duca propone alla conferma del papa un nome solo;
lascia lungamente vacanti i posti, valendosi degli intercalari a
gratificare persone e famiglie sue devote, e non permette che ne godano
forestieri, nè che questi moderino le coscienze de' suoi sudditi: molti
ne convertì in commende dei ss. Maurizio e Lazaro. Nelle materie
giurisdizionali di là dai monti ha piena autorità anche sopra le persone
ecclesiastiche: in Piemonte sopravvive qualche privilegio a queste. Nei
feudi procura escludere l'ingerenza clericale. Ha gelosia de'
Cappuccini, che dipendendo dalla provincia di Genova, non hanno spiriti
abbastanza principeschi, onde diè loro lo sfratto, principalmente dal
convento che hanno sulla collina di Torino.
Ciò pel Piemonte proprio: quanto ai paesi di quel regno già appartenuti
a Genova, trovo a Ventimiglia nel 1573 esser dal vescovo ribenedetto un
Antonio Planca di Tenda, il quale in Genova (o Ginevra?) aveva
abbracciato la religione luterana. In Sospello poi si indicano ancora le
case ove abitavano alcuni calvinisti, colà solo tollerati.
Al 17 aprile 1582, Ugolino Martelli vescovo di Glandève, scriveva al
duca di Savoja d'un caso d'eresia avveratosi a Pogetto, e come v'avesse
trovato un tal Morin medico, che dieci o dodici anni prima n'era partito
con suo padre a causa di eresia, poi ripatriato, fece atto d'obbedienza
alla Chiesa davanti al governatore. Quanto agli uomini ei dice che tutto
va bene, ma in fondo alla coscienza dubita della sincerità di lui, onde
lo circondò di precauzioni affinchè non vendesse i beni paterni, di cui
era stato rimesso in possessione dopo l'abjura: e consiglia al duca di
far in modo che non possa ridurli a denaro, per poi andarsene e tornar
al vomito.
Assicura che l'eresia, manifestatasi a Pogetto dodici anni fa, non vi
ricomparve. Bensì a Cigala i preti si lagnano che molti si confessano
per ottenere licenza di viaggiare, ma come l'ottennero, si scoprono
eretici, e se ne portano il denaro dei beni che in secreto vendettero.
Egli suggerisce che tali vendite siano annullate.
Ad Aghidone, alcuni fanno insolentemente professione d'eresia, ma
essendo povera gente, basterà farvi paura e darvi buone censure. Se però
persistessero, bisognerebbe toglier loro i figliuoli, e metterli in
luogo sicuro.
Anche a Sero il male si diffuse tra le montagne, non per difetto delle
popolazioni, ma per volontà de' signori (Archivj del regno.
Corrispondenza dei duchi di Savoja).
Il vescovo di Ventimiglia al 28 agosto 1572 annunziava al duca dolergli
che Maladorno fosse stato sciolto di prigione, mentre è complice delle
_abominevoli cose_ operatesi poc'anzi: è sospetto d'aver abbattuto
l'immagine di santa Maddalena, e insudiciato i gradini dell'altare
(_Ibid._).
Chi da Torino procede a libeccio verso le Alpi Cozie, che fan confine
alla Francia, dopo Pinerolo fra monti più o meno selvaggi a cui
sovrastano il Monviso e il Moncenisio, vede aprirsi una successione di
valli: a settentrione quella di Perosa, solcata dalla Germanesca e più
oltre quella di Pragelato; a mezzodì di esse quella di Rorà, più piccola
ed elevata; a occidente la valle di Luserna, bagnata dal Pellice, da cui
diramasi quella d'Angrogna o San Martino, che da un lato chinasi al
Piemonte, dall'altro pel colle della Croce dà adito al Delfinato,
importante passaggio d'eserciti e di merci per Francia. Lungo i torrenti
Angrogna e Pellice, che scendendo di balza in balza, le irrigano di
troppo fredde acque e non di rado le devastano, si stendono pingui
pascione, da cui a scaglioni si elevano piani, studiosissimamente
coltivati dagli abitanti, che nella pastorizia, nella caccia, nella
pesca, nell'educare i cereali, i gelsi, la vigna, i boschi, e nel cavar
pietre lavagne esercitano la forte vita. Alle scene campestri più in su
e più in dentro ne succedono di austere, con nevi quasi perpetue e
terror di valanghe. Il dialetto piemontese che vi si parla ha mistura
ancor maggiore di francese.
La val di Luserna è ora popolata in quantità di ventimila anime, e n'è
capo Torre con tremiladucento, amenissimamente posta alle falde del
Vandalino, ed eretta appunto a schermire la valle da forestiere
escursioni.
Colà fra la pianura subalpina e le gigantesche Alpi che la proteggono si
erano ritirati gli avanzi di que' Valdesi, che nel secolo XIII vedemmo
turbare l'Italia e dare origine all'Inquisizione. I Valdesi cercano
persuadere che la religione loro derivi direttamente dagli apostoli e
da' primi loro discepoli, che si conservasse senza adulterazione fra
questi Israeliti delle Alpi, che perciò sarebber i cristiani più
antichi; predestinati da Dio a mantener la vera fede e la purezza del
Vangelo: che i Riformatori d'ogni tempo attinser da loro le dottrine che
predicarono. Eppure queste variarono a seconda de' ministri e de' tempi.
Parlandone nel discorso V indicammo come vogliansi discernere dagli
Albigesi e dalle altre sette manichee. Bossuet asserisce che, quando si
separarono da noi, in pochissimi dogmi deviavano, e forse in
nessuno[371]: Ranerio Saccone, che, essendo stato dei loro, dovea
conoscerli, dice credevano dirittamente in tutto, se non che
bestemmiavano la Chiesa e gli ecclesiastici[372]; e Lucio III papa li
pose fra gli eretici per alcuni dogmi e osservanze superstiziose, il che
indicherebbe non avessero errori fondamentali, e massimamente di quelli
che dappoi levarono rumore. Anche dopo la condanna del papa, tennero una
conferenza a Narbona, dinanzi ad arbitri: e il ragguaglio che ne dà
Bernardo abate di Fontecaldo, ci ajuta a determinare che le loro colpe
consisteano principalmente nel negare obbedienza a preti e vescovi,
credendosi autorizzati a predicare, uomini e donne; in opposizione ai
Cattolici, i quali sosteneano bisogna obbedire ai sacerdoti e non
sparlarne, le donne non dover predicare, e neppur i laici senza licenza
de' pastori; non doversi ripudiare la preghiera per i morti, nè
abbandonare le chiese per far orazione in case private. Anche Alano
dell'Isola, che scrisse un libro per confutarli, insiste sull'obbligo
che corre di non predicare senza missione, e di obbedir ai prelati
sebbene cattivi; che l'ordine sacro, non già il merito personale,
conferisce l'autorità di consacrare, di legare e sciogliere; che bisogna
confessarsi a preti, non a laici; che è permesso in certi casi giurare e
punir di morte i malfattori, il che essi negavano[373].
Condannati da Bolesmanis arcivescovo di Lione, chiesero protezione da
papa Lucio III, che invece esaminatili, condannò i _nuovi_ eretici nel
1184[374]: non obbedirono, ma tornarono a cercar il voto di Innocenzo
III, che di nuovo condannò ogni loro riunione e insegnamento, nel 1199.
Giacomo vescovo di Torino, andato nel 1209 alla corte di Ottone IV
imperatore, gli palesò questa infezione della sua diocesi: e n'ottenne
un rescritto, ove quegli protesta che «il giusto vive di fede, e chi non
crede è giudicato»; laonde nel suo impero vuol che ogni eretico sia
punito coll'imperiale severità; gli conferisce autorità speciale di
cacciar dalla diocesi i Valdesi, e chiunque semina la zizzania della
falsità[375]. Pure poco a poco crebbero d'audacia, e al modo dei
Fraticelli, sostenevano che, per amministrare i sacramenti, bisogna
esser poveri, e in conseguenza i preti cattolici non erano veri
successori degli apostoli. Nel 1212 tornarono a Roma per ottener dalla
santa sede licenza di predicare; e Corrado abate Uspergense, che ve li
vide col loro maestro Bernardo, dice affettavano la povertà apostolica
con certi zoccoli e tuniche come i monaci, ma capelli lunghi, a
differenza di questi, e che nelle assemblee secrete e nelle prediche
contrafaceano i riti della Chiesa. E soggiunge come fu per dare alla
Chiesa de' veri poveri, che il papa approvò i Francescani[376].
Allora viveano rinserrati nelle valli subalpine, donde nel 1308
respinsero armata mano gli inquisitori, e uccisero Guglielmo prevosto
razionale verso l'Idea: ella è la cognizione del vero, contemplato nelle
analogie o in se stesso, per mezzo del verbo jeratico. Quando l'animo
del fanciullo cattolico, formato e disposto dalla doppia instituzione
del catechismo e della Grazia, della Chiesa e di Dio, giunge a quel
grado di cognizione che gli permette di dire sentitamente e con pieno
arbitrio, Io so e credo; egli acquista la doppia fede dell'uomo e del
cristiano. La sufficiente notizia del vero intelligibile e
sovrintelligibile, ch'egli ha ricevuta dalla parola educatrice, rende
intima la sua persuasione e l'ossequio ragionevole. Avendo apprese dal
magistero ecclesiastico le verità razionali e i dogmi arcani della
religione, egli ammette quelle in virtù della propria evidenza, e
guidato dalla luce che diffondono, crede all'autorità della favella
rivelatrice che l'esprime e l'accompagna, crede ai misteri
incomprensibili per la guarentigia autorevole degl'insegnatori. Così,
l'uomo, che per la grazia del primo rito era già abitualmente cristiano,
riesce tale in atto, piglia libero possesso dell'Idea perfetta, ed entra
con essa alla cittadinanza spirituale conferitagli nel celeste regno.
Niuno può determinare l'istante preciso e il modo speciale di questa
operazione in ciascun individuo; giacchè la verità assoluta e moltiforme
del cristianesimo può influire nello spirito per mille diverse guise; e
l'impressione divina che accompagna ed accresce l'efficacia di quella,
può ottemprarsi in varj modi all'indole speciale del fanciullo e alle
condizioni in cui è collocato. Ma ciò che è manifesto si è che la fede
cristiana e la fede razionale nel fanciullo bene instituito non vengono
mai precedute dall'analisi, dal dubbio, dall'esame, e che il metodo
cartesiano e protestante ripugna del pari alla religione e alla natura.
Nei due casi si annulla la fede collo scetticismo, a fine di poterla
rifare coll'esame: si rinunzia al possesso di un dono così prezioso
ricevuto dall'educazione, o s'incorre nel grave rischio di non poterlo
ricoverare, come colui che trovandosi aver fra mano un gran tesoro
necessario alla sua vita, eleggesse di scagliarlo in mare per avere il
diletto di ripescarlo, faticando e nuotando con pericolo di annegarsi. E
veramente la fede, che è l'innocenza dello spirito, è come quella dei
costumi assai più facile a conservare, purchè si adoperi la debita
vigilanza, che a racquistare, quando si è perduta. La fede è la vita
delle anime, le quali, a guisa dei corpi, non posson destarsi dal sonno
mortale, o risorgere senza miracolo». GIOBERTI, _Introduzione allo
studio della filosofia_.
[349] Nel _Catechismo_ stampato a Basilea il 1561, si legge:
_Ministro._ Sebben l'esser nostro è infinitamente lontano dall'esser di
Dio, non può darsi che l'uomo non sia. Anzi è cosa sì chiara, che più
nota non può trovarsi, e mostra d'esser in tutto privo di giudizio chi
non crede essere. Però ti prego, illuminato mio, che tu mi dica s'egli
ti par essere o no.
_Illuminato._ Mi par essere: ma per questo non so certo che io sia:
imperocchè in parermi d'essere, forse m'inganno.
_Ministro._ È impossibile che a chi non è gli paja d'essere: però, poi
ch'ei ti par essere, bisogna dire che tu sia.
_Illuminato._ Così è vero.
[350] _Méditation III_, alla fine.
[351] Vedasi qui sopra a pag. 276.
[352] _Quæst. II_, nei Libri Fisionomici. Ne parlammo a lungo a pag. 63
e seg.
[353] _Opera_, tom. II, part. I, pag. 277.
[354] _Le Catholique_, Parigi 1826, tom. II, pag. 198, 199 e altrove.
[355] Vedi il nostro vol. II, p. 334, Pur testè, lo spirito di
Lamennais, evocato colla magia moderna, diceva; «Quando in Italia si
bruciarono Arnaldo da Brescia, Giordano Bruno, Tommaso Campanella
(_quasi fossero contemporanei_) si spensero le ultime voci che
protestavano in nome della verità contro il fanatismo che uccideva
Cristo. Voi dovete resuscitarle quelle sante voci». _Annali dello
spiritismo in Italia_, vol. I, p. 663.
[356] Troviamo pure all'Indice:
Chiaretta, _Sull'Eucaristia_.
Ciaffoni, _Apologia della morale de' Santi Padri_.
Bozi, _La Tebaide sacra_.
Gambacorta, _Le immunità ecclesiastiche_.
Giovanni Garrido, _Sui Benefizj_.
Romolo Cortaguerra, _L'uomo, il papa, il re_.
Grillenzoni Giovanni, _De l'ansietà dell'anima_.
Scipione Calandrini, _Origine delle eresie_.
Feliciano Oliva, _La giurisdizione ecclesiastica_.
Bonini di Chiavari, _L'ateista convinto_.
Carlo Cala, _Il contrabando de' preti_.
[357] Così lo storico Zazzera. Fra i libri proibiti d'allora compajono
Giovanni Orsino, _Scienze ermetiche_; e _Magica, seu mirabilium
historiarum de spectris et apparitionibus spirituum; item de magicis et
diabolicis incantationibus_.
[358] Estratto da copia nell'Archivio de' Frari.
[359] _Vita del cavaliere Borri_, p. 354. Forse è opera del Leti, come
l'_Ambasciata di Romolo ai Romani_, libro rarissimo stampato a
Brusselles il 1671, e mal attribuito al Borri, del quale vi va unito il
processo. Questo fu riprodotto nella _Amœnitates litærariæ_, tom. V, p.
149, e nella _Historia d'Italia_ del Brusoni (Torino 1680, da pag. 724 a
732) «perchè veramente di nessun altro eresiarca si leggono tante e sì
stravaganti follie nelle materie di fede».
Sul Borro altre notizie si hanno nell'Archivio di Firenze, Strozziane,
filza CCXLIV; e filza LXXIX del tomo XI Segretaria Vecchia, coll'abjura
di esso.
[360] _De ortu et progressu chemiæ_. Nella Magliabecchiana, mss., classe
XXIV, 65 è un'invettiva contro il Borro.
[361] «Lo spirito moderno si mostrò molto severo verso il cenobitismo.
Abbiamo dimenticato che nella vita comune l'anima dell'uomo gustò le
maggiori gioje: cessammo il cantico _Quant'è bello e giocondo l'abitar
insieme i fratelli_. Ma quando l'individualismo moderno avrà portato gli
ultimi suoi frutti, quando l'umanità, impicciolita, attristata, fatta
impotente, tornerà alle grandi istituzioni, alle forti discipline;
quando la meschina nostra società borghese, dirò meglio, il nostro mondo
di pigmei sarà stato respinto a frustate dalla parte eroica e idealista
dell'umanità, allora la vita comune ripiglierà tutto il suo valore. Una
quantità di cose grandi, come la scienza, si sistemeranno sotto forme
monastiche con eredità non di sangue: l'importanza che il nostro secolo
attribuisce alla famiglia diminuirà (!); l'egoismo, legge essenziale
della società civile, non basterà alle grandi anime: tutti accorrendo
dai punti più diversi, si alleeranno contro la vulgarità: si troverà
senso alle parole di Gesù e alle idee del medioevo sulla povertà: si
comprenderà che il posseder qualche cosa potè esser considerato come una
degradazione, e che i fondatori della vita monastica abbiano disputato
secoli per sapere se Cristo possedette almeno «le cose che si consumano
per l'uso». Le sottigliezze francescane torneranno grandi problemi
sociali. Lo splendido ideale, delineato dall'autore degli _Atti
apostolici_ sarà iscritto come una rivelazione profetica all'entrar del
paradiso dell'umanità». RENAN, _Les Apôtres_, p. 132-133.
[362] Vedasi un manuscritto nella Magliabecchiana, classe VIII.
_Le visioni del beato Amedeo_, grosso volume di ducenquindici carte che
si conserva manuscritto nella stessa Magliabecchiana, asserisce che gli
errori saranno vinti da coloro che aderiranno al sommo pastore, _quorum
potior pars reperietur in urbe Florentina, tamquam capite religionis,
non auctoritate qua Roma potestatis caput est, sed adhesione. Nulla nam
civitas ita rebus Christi adherebit sicut illa. Conservabitur et illa de
qua tibi alias dixi pro liberatione ab alienis totius Italiæ_.
[363] Gran mistico fu il poeta spagnuolo Luigi Ponce de Leon, che stette
nelle prigioni del Sant'Uffizio dal 1572 al 76, e morì nel 91.
[364] _Mss. de Spalatin. Lettres de Luthère à Melanton_, 5 août.
[365] BERNINO, _Storia delle eresie, Secolo XVII_, c. 9.
Molti de' libri proibiti allora riguardano la mistica. Tale il _Tesoro
mistico scoperto all'anima desiderosa d'orazione continua_... dato in
luce da un sacerdote genovese (proibito il 1605). — _Passi dell'anima
per il cammino di pura fede_, di Giovanni Paolo Rocchi (proibito il
1687). — Petrucci Pier Matteo, _Lettere e trattati spirituali e
mistici_. — _I mistici enigmi disvelati_. — _La contemplazione mistica
acquistata_. — _Il nulla delle creature, il tutto di Dio_ (condannati il
1686). — _Alfabeto litterale, fantasmatico, mistico, acquisito,
contemplativo, col quale resta formata risposta circolare ad una
religiosa pusillanime nel dibattimento della contemplazione mistica
acquisita_ (proibito il 1687).
_Lotto spirituale per le povere anime del purgatorio_ (proibito il
1703).
_Dialogo della bellezza, e arte di ben servirsi delle finestre
dell'anima_ (proibito il 1732).
Di Michele Cicogna, molti libri di devozione, come, _Ambrosia Celeste, o
soave cibo dell'anima contemplativa_. — _Fontana del divino amore_. —
_Cristo Gesù appassionato_. — _Fiamme d'amor divino dell'anima
desiderosa di far il bene_.
Di Falconi Giovanni, _Alfabeto per saper leggere in Cristo_. — _Lettera
ad una figliuola spirituale, nella quale s'insegna il più puro e
perfetto spirito dell'orazione_.
[366] Nella Magliabecchiana sta di Pandolfo Ricasoli una
«Interpretazione de' salmi ebraici» che son cinque salmi, scritti
cominciando dal fine, e sotto a ciascun versetto la traduzione italiana,
poi il commento, diretto ad una religiosa, alla quale il Signore «spira
e dona tal volontà e spirito e forza d'imparare con gran facilità e con
perseveranza la sacra lingua hebraica per servirsene a contemplar li
divinissimi misteri, e non per insegnare nè predicare».
Alla Magliabecchiana stessa esiste di Celso Cittadini l'_Esposizione del
pater noster_, offerta a don Cosmo de' Medici il 1602, la prima volta
che andava a Siena (_Manuscritti, Classe_ XXXV, n. 19). Nella prefazione
dice aver già esposto l'_Ave Maria_ e la canzone del Petrarca alla
Vergine, dedicandola alla granduchessa.
Ivi pure trovo cenno d'una solennissima missione, che nel 1714 fece il
padre Segneri (juniore) sulla piazza di Santa Croce; il quale fu
ricevuto colle accoglienze che altri secoli serbano ai principi o ai
ciarlatani; e alle sue prediche assistevano gran popolo, la miglior
nobiltà e il granduca.
[367] «Perchè così vollero i suoi CARNEFICI», dice il Passerini nella
_Genealogia e storia della famiglia Ricasoli_ (Firenze 1861). Il suo
processo leggesi nel codice 1695 della biblioteca Riccardiana. Quando la
Faustina corrompea quelle povere fanciulle, altre monache videro sudar
sangue un _Ecce Homo_ in Santa Lucia in via San Gallo.
[368] Il supplizio de' quietisti è distesamente narrato dal Mongitore.
DISCORSO LI.
PIEMONTE. I VALDESI SUBALPINI.
Fra le Alpi occidentali formavasi una potenza, che annettendosi gli
avanzi del regno di Borgogna, poi ottenendo dalla badia di San Maurizio
la lancia e l'anello di questo, poco poco dilatava dalla Saona alla
Sesia e dal lago di Neuchatel al Mediterraneo, dalla vetta alpina
fiutando di qual parte spirasse il vento, per ispiegar a quello le vele,
non ben determinata se di là di qua de' monti giovasse meglio ampliarsi,
e favorendo ora l'impero di cui era vassalla, or Francia di cui era
insidiosa vicina, finchè si volse risolutamente all'Italia, ove doveva
non solo sopravvivere, ma surrogarsi a tutte le dinastie. È perciò che
alla storia italiana riferiamo quella pure de' paesi da cui i duchi di
Savoja trassero e la cuna e il titolo, e che repudiarono appena testè
per aspirazione maggiore. Carlo III il Buono era nipote di Francesco I;
ma temendolo appunto per la vicinanza e perchè possedeva le chiavi del
suo Stato, cioè Saluzzo, inchinò a Carlo V, di cui sposò la cognata, e a
cui diede grand'appoggio contro l'emulo in Italia. In conseguenza il re
di Francia ne occupò tutti gli Stati da Moncalieri alle Alpi, mentre
l'imperatore tenevasi gli altri, e muniva Asti, Fossano, Vercelli;
sicchè esso duca diceva al Muzio: «Due mastri di casa ho io;
l'imperatore e il re, che governano il fatto mio senza rendermene
conto».
Come dovesse starne il povero paese Dio vel dica; ma il duca sperava,
sempre, col bordeggiare, di giunger alla sua meta. E per riuscirvi
meglio fu chi lo esortava a valersi della Riforma, ed abbracciarla
palesemente; col che raccorrebbe il favore di tutti quelli che
avversavano il papato e l'Austria.
Anemondo di Coct, cavaliere del Delfinato infervoratissimo del nuovo
simbolo, stimolava Lutero a indurvi il duca: «Questi è grandemente
propenso alla pietà e alla religione vera[369]; ama discorrere della
Riforma con persone della sua Corte; adottò la divisa _Nihil deest
timentibus Deum_, la quale è pure la vostra. Mortificato dall'Impero e
dalla Francia, avrebbe modo d'acquistare suprema ingerenza sulla Savoja,
la Svizzera, la Francia».
Lutero in fatto gli scrisse, ma senza effetto. Anzi il duca passava
intere mattinate a visitar chiese e udire messe: i tre stati di Savoja
nel 1528 richiedevanlo di tener in pronto milizia che bastasse a
reprimere i tentativi dei Riformati, e impedire si estendessero nel
paese; egli pure, vagheggiando il concetto, allora nascente,
dell'unificare lo Stato, non bramava di meglio che svellerne l'eresia.
Ma in cinquant'anni di signoria, per la passione di tutto acquistare,
quest'ambizioso non fece che perdere; vedemmo (pag. 92) come la sua
smania di insignorirsi di Ginevra fece che questa gli si rivoltasse, e
appoggiandosi ai cantoni Svizzeri riformati, abbracciasse la Riforma di
cui dovea diventar la Roma, e come il duca serbasse eterna ribrama di
quel dominio; e più volte tentasse recuperarlo, ma sempre con sua onta.
[Nella lista de' pastori, inviati a chiese straniere dalla compagnia de'
pastori di Ginevra dal 1555 al 1566, trovo nel 1555 mandato a Aunis e
Saintonge Filippo Parnasso piemontese: e mandati in Piemonte Giovanni
Vineannes il 22 giugno 1556: Giovanni Lanvergeat l'ottobre 1556: Alberto
d'Albigeois il 27 settembre 1556: Giovanni Chambeli il gennajo 1557:
Gioffredo Varaglia di Cuneo nel 1557: Bacuot Pasquier il 14 settembre
1557: a Pragelato, Martino Tachart il 3 giugno 1558: a Torino,
Cristoforo figlio del medico di Vevey nel dicembre 1558.]
In una storia della Val d'Aosta, che trovasi nella biblioteca del re a
Torino, vi sono lettere da cui appare che, sebbene non si volessero
inquisitori, pure, avendo Calvino diffusa l'eresia in quella valle,
alcuni furono processati dal vicario del vescovo Gazzino, e i convinti
furono rimessi ai signori pari e non pari, per metter ad esame la
sentenza, senza che alcun inquisitore vi avesse parte.
Il 12 luglio 1529, Pietro Gazzini vescovo d'Aosta, ambasciadore a Roma,
scriveva al duca di Savoja d'aver esposto al papa che a Chambery s'era
tenuto un sinodo generale di prelati e abati sopra gli affari della
religione, e che lo pregavano di soccorrerli, attese le esorbitanze
commesse dai Luterani nelle valli di Savoja. Aggiunge che la Borgogna
superiore e il contado di Neuchâtel sono invasi da questa setta; che a
Ginevra il vescovo non osa più dimorare, nè vi si fece il quaresimale, e
mangiasi carne i giorni di magro, e leggonsi libri proibiti. Aosta e la
Savoja sarebbero assolutamente pervertite se il duca non v'avesse fatto
decapitare dodici gentiluomini, principali apostoli di queste dottrine.
Malgrado ciò, non manca chi diffonda quel veleno nei dominj del duca,
benchè questi abbia, sotto pena di ribellione e di morte, vietato
parlarne. Costoro esclamano che il duca non è re loro, e atteso i gravi
tempi e le grosse spese della guerra, domandano a gran voci si vendano i
pochi beni che gli ecclesiastici ancor possedono, e con tali maledette
promesse fanno molti aderenti. Il vescovo conchiude aver detto al Santo
Padre quanto grandi servigi renda esso duca al Santo Padre col
perseguitare questa sètta, ed impedir che penetri in Italia. Il papa gli
rispose ringraziandolo; non poter mandare denaro, attesa la ruina del
suo tesoro, ma supplicava specialmente il duca di tener d'occhio
Ginevra, la cui perversione bisogna impedire a ogni costo.
Una lettera del dicembre 1535 riferisce gravi quistioni degli Aostani
col vescovo Gazzini che gli avea scomunicati. L'anno stesso troviamo
quei contorni agitati dalla guerra e dall'eresia di Calvino, e Ami
Porral, deputato di Ginevra e Basilea, scriveva: «Il duca ci dice d'aver
molto a che fare di là dai monti, in parte a cagione del vangelo, che si
diffonde per tutte le città. La cosa conviene che proceda, poichè essa
viene da Dio, a dispetto de' principi».
La medesima storia racconta come, uscente febbrajo 1536, Calvino
penetrasse nella valle, e si accostasse alla città, tenendosi nascosto
nella cascina di Bibiano, presso l'avvocato nobile Francesco Leonardo
Vaudan. Riuscì a pervertire alcuni, e sparse biglietti per esortare gli
abitanti a mettersi in libertà, e allearsi ai Cantoni svizzeri
protestanti. Il pericolo fu scongiurato con prediche e con processioni,
alle quali assistevano col popolo il vescovo Gazzini, il clero, il conte
Renato d'Echalland, e le persone più distinte, a piè nudi, coperti di
sacco e di cenere: e fecero trattato coi signori delle sette decurie nel
Vallese di sostenersi a vicenda contro ogni innovamento in fatto di
religione o di fedeltà. Poi in assemblea generale si fece divieto, a
nome di sua altezza, sotto pena della vita di lanciar qualsiasi
proposizione contraria al sovrano o alla religione.
Gli aderenti a Calvino fuggirono, passando a guado il torrente Buttier
sotto Cluselino, donde recaronsi nel Vallay per le montagne di
Valpelina. I tre Stati raccolti in assemblea, a mani alzate fecero una
pubblica professione di fede, e solenne giuramento di vivere e morire
nella religione cattolica, e stabilirono una processione il giorno della
Circoncisione e la terza festa di Pasqua e di Pentecoste, cui assisteva
tutta la città, oltre erigere in mezzo alla città una grossa croce di
pietra: tutti gli abitanti mettessero sulla loro porta il nome di Gesù.
Nella relazione di Gregorio Barbarigo ambasciadore veneto a Carlo
Emanuele I nel 1611, è narrato quanto la perdita di Gex e degli altri
cantoni e di Ginevra pesasse al duca di Savoja, «desideroso piuttosto
d'allargare gli antichi confini dello Stato suo, che facile a soffrire
di esser privo di quello che già è stato de' suoi antenati». Sperò
riaverli alla morte d'Enrico IV, e col matrimonio del principe suo
figlio, e perchè restava tolto l'appoggio de' Francesi a Ginevra, dove
allora aveasi meno affluenza di Protestanti, dopo che erano tollerati in
Francia, meno industria dopo che a Lione si favorirono le manifatture
nazionali meno lavoro di stampa dopo che ai libri colà pubblicati, che
spesso erano anche pontifizj e buoni, non si permetteva di mettere la
marca de' libraj lionesi, colla quale circolavano liberamente.
E prosegue come esso duca sempre si valesse delle cose di religione per
ampliar i suoi Stati: mediante intelligenze colla Lega sperò estendersi
in Provenza: col pretesto di tor via gli Ugonotti, agognava ottenere
Ginevra; ma poichè videsi non abbastanza soccorso, si amicò coi
Protestanti di Germania, e non esitò disgustare il pontefice, massime
col tirare la guerra in Italia. Il pontefice però comprende come bisogni
usar riguardi a paese, che trovandosi in contatto con Ginevra, potrebbe
declinare dal rispetto dovutogli. E qui ragiona delle valli Valdesi, e
della loro tenacità nelle antiche e nuove credenze. Aggiunge che nello
Stato, mentre fu posseduto dai Francesi, molto si propagò la dottrina
degli Ugonotti, e v'ebbe pubblici predicatori in Torino[370] e altrove,
«i quali, rimesso il duca in istato, furono fatti partire, talchè ora si
vive cattolicamente dappertutto; comprendendo i duchi che, quanto
scemava lo zelo per la religion cattolica, cresceva l'inclinazione pei
Francesi».
Il clero vive dipendentissimo dal duca, lo che toglie ogni possibilità
al papa di contrariarlo: perocchè i benefizj ecclesiastici son quasi
tutti conferiti liberamente dal duca, compreso i due arcivescovadi di
Torino e Tarantasia e i nove vescovadi, godenti da due fin a cinquemila
scudi d'entrata; il duca propone alla conferma del papa un nome solo;
lascia lungamente vacanti i posti, valendosi degli intercalari a
gratificare persone e famiglie sue devote, e non permette che ne godano
forestieri, nè che questi moderino le coscienze de' suoi sudditi: molti
ne convertì in commende dei ss. Maurizio e Lazaro. Nelle materie
giurisdizionali di là dai monti ha piena autorità anche sopra le persone
ecclesiastiche: in Piemonte sopravvive qualche privilegio a queste. Nei
feudi procura escludere l'ingerenza clericale. Ha gelosia de'
Cappuccini, che dipendendo dalla provincia di Genova, non hanno spiriti
abbastanza principeschi, onde diè loro lo sfratto, principalmente dal
convento che hanno sulla collina di Torino.
Ciò pel Piemonte proprio: quanto ai paesi di quel regno già appartenuti
a Genova, trovo a Ventimiglia nel 1573 esser dal vescovo ribenedetto un
Antonio Planca di Tenda, il quale in Genova (o Ginevra?) aveva
abbracciato la religione luterana. In Sospello poi si indicano ancora le
case ove abitavano alcuni calvinisti, colà solo tollerati.
Al 17 aprile 1582, Ugolino Martelli vescovo di Glandève, scriveva al
duca di Savoja d'un caso d'eresia avveratosi a Pogetto, e come v'avesse
trovato un tal Morin medico, che dieci o dodici anni prima n'era partito
con suo padre a causa di eresia, poi ripatriato, fece atto d'obbedienza
alla Chiesa davanti al governatore. Quanto agli uomini ei dice che tutto
va bene, ma in fondo alla coscienza dubita della sincerità di lui, onde
lo circondò di precauzioni affinchè non vendesse i beni paterni, di cui
era stato rimesso in possessione dopo l'abjura: e consiglia al duca di
far in modo che non possa ridurli a denaro, per poi andarsene e tornar
al vomito.
Assicura che l'eresia, manifestatasi a Pogetto dodici anni fa, non vi
ricomparve. Bensì a Cigala i preti si lagnano che molti si confessano
per ottenere licenza di viaggiare, ma come l'ottennero, si scoprono
eretici, e se ne portano il denaro dei beni che in secreto vendettero.
Egli suggerisce che tali vendite siano annullate.
Ad Aghidone, alcuni fanno insolentemente professione d'eresia, ma
essendo povera gente, basterà farvi paura e darvi buone censure. Se però
persistessero, bisognerebbe toglier loro i figliuoli, e metterli in
luogo sicuro.
Anche a Sero il male si diffuse tra le montagne, non per difetto delle
popolazioni, ma per volontà de' signori (Archivj del regno.
Corrispondenza dei duchi di Savoja).
Il vescovo di Ventimiglia al 28 agosto 1572 annunziava al duca dolergli
che Maladorno fosse stato sciolto di prigione, mentre è complice delle
_abominevoli cose_ operatesi poc'anzi: è sospetto d'aver abbattuto
l'immagine di santa Maddalena, e insudiciato i gradini dell'altare
(_Ibid._).
Chi da Torino procede a libeccio verso le Alpi Cozie, che fan confine
alla Francia, dopo Pinerolo fra monti più o meno selvaggi a cui
sovrastano il Monviso e il Moncenisio, vede aprirsi una successione di
valli: a settentrione quella di Perosa, solcata dalla Germanesca e più
oltre quella di Pragelato; a mezzodì di esse quella di Rorà, più piccola
ed elevata; a occidente la valle di Luserna, bagnata dal Pellice, da cui
diramasi quella d'Angrogna o San Martino, che da un lato chinasi al
Piemonte, dall'altro pel colle della Croce dà adito al Delfinato,
importante passaggio d'eserciti e di merci per Francia. Lungo i torrenti
Angrogna e Pellice, che scendendo di balza in balza, le irrigano di
troppo fredde acque e non di rado le devastano, si stendono pingui
pascione, da cui a scaglioni si elevano piani, studiosissimamente
coltivati dagli abitanti, che nella pastorizia, nella caccia, nella
pesca, nell'educare i cereali, i gelsi, la vigna, i boschi, e nel cavar
pietre lavagne esercitano la forte vita. Alle scene campestri più in su
e più in dentro ne succedono di austere, con nevi quasi perpetue e
terror di valanghe. Il dialetto piemontese che vi si parla ha mistura
ancor maggiore di francese.
La val di Luserna è ora popolata in quantità di ventimila anime, e n'è
capo Torre con tremiladucento, amenissimamente posta alle falde del
Vandalino, ed eretta appunto a schermire la valle da forestiere
escursioni.
Colà fra la pianura subalpina e le gigantesche Alpi che la proteggono si
erano ritirati gli avanzi di que' Valdesi, che nel secolo XIII vedemmo
turbare l'Italia e dare origine all'Inquisizione. I Valdesi cercano
persuadere che la religione loro derivi direttamente dagli apostoli e
da' primi loro discepoli, che si conservasse senza adulterazione fra
questi Israeliti delle Alpi, che perciò sarebber i cristiani più
antichi; predestinati da Dio a mantener la vera fede e la purezza del
Vangelo: che i Riformatori d'ogni tempo attinser da loro le dottrine che
predicarono. Eppure queste variarono a seconda de' ministri e de' tempi.
Parlandone nel discorso V indicammo come vogliansi discernere dagli
Albigesi e dalle altre sette manichee. Bossuet asserisce che, quando si
separarono da noi, in pochissimi dogmi deviavano, e forse in
nessuno[371]: Ranerio Saccone, che, essendo stato dei loro, dovea
conoscerli, dice credevano dirittamente in tutto, se non che
bestemmiavano la Chiesa e gli ecclesiastici[372]; e Lucio III papa li
pose fra gli eretici per alcuni dogmi e osservanze superstiziose, il che
indicherebbe non avessero errori fondamentali, e massimamente di quelli
che dappoi levarono rumore. Anche dopo la condanna del papa, tennero una
conferenza a Narbona, dinanzi ad arbitri: e il ragguaglio che ne dà
Bernardo abate di Fontecaldo, ci ajuta a determinare che le loro colpe
consisteano principalmente nel negare obbedienza a preti e vescovi,
credendosi autorizzati a predicare, uomini e donne; in opposizione ai
Cattolici, i quali sosteneano bisogna obbedire ai sacerdoti e non
sparlarne, le donne non dover predicare, e neppur i laici senza licenza
de' pastori; non doversi ripudiare la preghiera per i morti, nè
abbandonare le chiese per far orazione in case private. Anche Alano
dell'Isola, che scrisse un libro per confutarli, insiste sull'obbligo
che corre di non predicare senza missione, e di obbedir ai prelati
sebbene cattivi; che l'ordine sacro, non già il merito personale,
conferisce l'autorità di consacrare, di legare e sciogliere; che bisogna
confessarsi a preti, non a laici; che è permesso in certi casi giurare e
punir di morte i malfattori, il che essi negavano[373].
Condannati da Bolesmanis arcivescovo di Lione, chiesero protezione da
papa Lucio III, che invece esaminatili, condannò i _nuovi_ eretici nel
1184[374]: non obbedirono, ma tornarono a cercar il voto di Innocenzo
III, che di nuovo condannò ogni loro riunione e insegnamento, nel 1199.
Giacomo vescovo di Torino, andato nel 1209 alla corte di Ottone IV
imperatore, gli palesò questa infezione della sua diocesi: e n'ottenne
un rescritto, ove quegli protesta che «il giusto vive di fede, e chi non
crede è giudicato»; laonde nel suo impero vuol che ogni eretico sia
punito coll'imperiale severità; gli conferisce autorità speciale di
cacciar dalla diocesi i Valdesi, e chiunque semina la zizzania della
falsità[375]. Pure poco a poco crebbero d'audacia, e al modo dei
Fraticelli, sostenevano che, per amministrare i sacramenti, bisogna
esser poveri, e in conseguenza i preti cattolici non erano veri
successori degli apostoli. Nel 1212 tornarono a Roma per ottener dalla
santa sede licenza di predicare; e Corrado abate Uspergense, che ve li
vide col loro maestro Bernardo, dice affettavano la povertà apostolica
con certi zoccoli e tuniche come i monaci, ma capelli lunghi, a
differenza di questi, e che nelle assemblee secrete e nelle prediche
contrafaceano i riti della Chiesa. E soggiunge come fu per dare alla
Chiesa de' veri poveri, che il papa approvò i Francescani[376].
Allora viveano rinserrati nelle valli subalpine, donde nel 1308
respinsero armata mano gli inquisitori, e uccisero Guglielmo prevosto
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