Gli eretici d'Italia, vol. III - 31

decadesse da quel primato che avea tenuto durante tutto il medioevo.
Così i Tedeschi, che per invidia al nostro sole più brillante, alla
nostra lingua più armoniosa, ai costumi più forbiti, alle istituzioni
più liberali, alla civiltà nostra più sviluppata, aveano spinto alla
Riforma, da questa nimicizia all'Italia raccolsero la propria rovina. Si
temette la prevalenza della stirpe latina, onde si osteggiò la Spagna, e
poichè questa era cattolica, si guerreggiò il cattolicismo. Ma non si
riuscì che a consolidare Casa d'Austria, che da quel punto non perdette
più la corona di Germania e il dominio sull'Italia; invece d'abolire
l'impero si abolì il papa; invece di acquistare libertà civili e
municipali, si ottenne di non andar più a messa o a confessarsi, e di
cantare i salmi in tedesco: politicamente restò impedita la fusione
della Germania; gli ingegni si svaporarono in dispute teologiche: le
classi privilegiate sbigottironsi del diritto d'esame.
Maggiormente ne scapitò l'Italia, che cessava d'esser la metropoli di
tutto il mondo, nè più vi affluivano le ricchezze e i devoti dalle
quattro plaghe: non più vi convenivano i prelati da ogni paese, nè in
ogni paese andavano i nostri, acquistando e difondendo ricchezze e
cognizioni, e trovando sfogo all'attività, stimolo agli ingegni colle
speranze.
La feconda divisione de' piccoli Stati soccombette alla prevalenza
austro-spagnuola, ormai non più controbilanciata dalla Francia, e solo
tenuta in qualche rispetto dalle repubbliche di Venezia e di Genova. Al
nord-est un principe transalpino si dilatava a poco a poco, e militando
ora per la Francia, ora per l'Austria, cresceva innanzi, sperando
mangiar l'alta Italia foglia a foglia come il carcioffo. I papi, che sin
allora avevano impedito che l'Italia cadesse sotto una sola dominazione,
ormai non poteano che accarezzarne il padrone, e quest'alleanza del
papato coll'impero consolidò la servitù dell'Italia.
L'Italia, oltre gli eserciti che la straziavano anche quando ella avea
cessato di esistere, simile a un cadavere denudato e violato, soffrì di
squallide fami, di due terribili pesti nel 1576 e nel 1630, e di governi
stranieri, che unica arte conosceano la fiscalità; onde potè giudicarsi
perita la civiltà da chi non credesse fermamente che la Provvidenza per
la via del male guida l'umanità a continuamente procedere verso idee più
vere, costumi più umani, libertà meglio intesa.
Aggiungiamo il piantarsi dei Turchi a' suoi confini. Gli Italiani aveano
sempre avuto speciale cura a
La santa terra ove il supremo amore
Lavò col proprio sangue il nostro errore[302]:
e incessantemente combatterono i Musulmani sotto le insegne di Venezia,
di Genova, di Pisa, di Napoli, soprattutto di Roma. Or però, abbandonati
da mezza la cristianità, dovettero vederli piantarsi fin in vista delle
nostre coste. Dove non è estraneo il riflettere che, mentre la costoro
conquista tolse ogni vita all'Oriente perchè era scisso da Roma,
nell'Occidente invece, dove al potere crollante imperiale era già
succeduto il pontifizio, si conservarono i germi d'una civiltà, i quali
svoltisi in Italia, dipoi a danno dell'Italia propagavansi altrove.
È arte di ogni rivoluzione l'afferrare due o tre idee buone, e
spacciarle per sue, e per raffaccio domandarne l'attuamento all'ordine
esistente, il quale non le repudiava, e forse non le predicava sol
perchè non revocate in dubbio. Così ai dì nostri essa proclamò la
nazionalità italiana: eppur questa era accettata così generalmente, che
neppur se ne parlava. Delle amplissime verità che la Chiesa abbracciava,
alcune particolari afferrò la Riforma e se ne fece vanto, quali l'esame
della verità storica, la civile tolleranza, la moralità di tutti e
specialmente del clero, la gratuità de' sacramenti, il ripudio delle
superstizioni e de' racconti apocrifi, ed altri punti che però erano non
solo accettati dalla Chiesa, ma promossi e raccomandati, colla prudenza
da cui solo possono dispensarsi le rivoluzioni.
E sotto l'ali della Chiesa era sempre vissuta l'arte, questa rivelazione
di Dio nello spirito umano, che fra i Pagani idealizzava la forma, fra i
nostri incarnava l'idea. La Chiesa colla scolastica aveva non solo
esercitato il pensiero, lasciandolo spingere le speculazioni fino al
punto ove l'audacia della ragione diventa licenza[303]. La civiltà
acquistava quell'universalità per cui non si conosce un affare
particolare di un regno se non si allarghi lo sguardo sull'intera
Europa, della quale gl'incrementi di comunicazioni e la stampa tendeano
a far una nazione sola. Il rinascimento fu dunque opera eminentemente
italiana, ma alzò subito un grido contro il passato, quasi un figlio che
si vergogna del genitore: acclamò al paganesimo, e filosofia, governi,
civiltà, letteratura dovere conformarsi a quello. Bastava un passo
perchè si ribellasse alla Chiesa, e il fece quando, attraverso al
grandioso incammino del risorgimento, si gittò il frate di Vittemberga.
Nessuno più di noi ha riconosciuto i disordini introdottisi
nell'attuazione temporale della Chiesa, risoluti come siamo di non
dissimulare veruna macchia per aver diritto a non velare veruna gloria,
e professando con Gregorio Magno esser meglio scandolezzare che mentire:
ma bisogna distinguere le istituzioni dagli atti degli uomini che ne
sono ministri: ed esse istituzioni valutare non sopra gli abusi, ma
sopra i fatti giuridici, che per la Chiesa sono i decreti, le leggi, i
concilj. E se anche il frutto è fradicio, bisogna salvar il seme per le
vegetazioni future. Anzi, dal vedere che, in tanto traviamento, le
dottrine supreme rimasero immacolate, nè gran peccatori quai ci
dipingono gli ecclesiastici pervertirono i dogmi, il simbolo, la morale,
argomentiamo alla divinità dell'opera, e i costumi esser altro che i
principj: talchè poteano quelli emendarsi, senza toccar a questi. E ciò
più facilmente in quanto, nell'attuazione esterna della Chiesa, tutto è
modificabile, tutto fu modificato, eccetto la disciplina che riguarda
l'amministrazione de' sacramenti. Ma la Riforma quei ch'erano uniti
dalla religione separò in due campi ostili, in cui e da cui si
avvicendarono le persecuzioni. La divisione essendo religiosa, fu
profondissima, sicchè apparvero da per tutto diffidenza e sospetto:
essendo opera di collera, trascese, e presto ebbe scosso tutto, la
società religiosa come la politica e la domestica, gli affari come le
coscienze, seminando l'Europa di sanguinose, comechè feconde ruine,
sottoponendo a leggi arbitrarie le relazioni dell'uomo con Dio, al dogma
surrogando opinioni variabili quanto le teste; eccitando dubbj
nell'intelletto, scrupoli nella coscienza da che era rotto l'equilibrio
fra il sentimento dei diritti e quello dei doveri.
Gli eroi della vita austera diventavano oggetto di beffa; mentre prima
il delitto era peccato; il fôro secolare stava a servigio della Chiesa
per punire la bestemmia come il furto; le decime retribuivansi ad essa
più fedelmente che l'imposta ai principi; la ricchezza de' suoi prelati
parea più comportevole che quella de' cortigiani, tutto fu cambiato d'un
tratto.
La Riforma cercò anche annichilare la distinzione dei due poteri,
introdotta dal cristianesimo, e sottoporre l'anima allo Stato: col che
toglieva la libertà di coscienza, mentre di questo nome onorava il
mancare di convinzioni. Il diritto canonico era stato un gran progresso
sopra le consuetudini dei Barbari, ma avea dovuto piegarsi alla costoro
selvatichezza: e quindi sconveniva a tempi più colti: ma i papi stessi
aveano approvato lo statuto fondato sul diritto romano, riconoscendolo
meglio applicabile, non ricorrendo al Canonico se non nelle materie
speciali, dove il principio religioso corregge il diritto puro.
Noi non crediamo progresso l'aver distrutta la supremazia in materia di
fede, e tolta al papato l'onnipotenza delle mediazioni, perocchè, se il
cristianesimo è una società diffusa per tutto il mondo, è egli
conveniente lasciarla senza un capo, senza giudici, senza consultori
universali? Anche il credente più schietto ama veder l'ordine in ciò che
crede e le verità connesse fra loro; e mentosto la sparpagliata
discussione che non l'accordo donde trae zelo alle pratiche religiose.
Già sant'Agostino diceva ai Donatisti: _Quæ est pejor mors animæ quam
libertas erroris?_
Il clero non offendeva i re, giacchè promulga il principio d'autorità;
non l'aristocrazia, perchè rispetta i possessi e l'ingegno e i diritti
storici; non il popolo, perchè esce da quello, e per quello avea fatto
tutto; e finchè stava con esso, il popolo non avea bisogno di
abbracciarsi ai re per abbattere i baroni. Il potere dei principi
divenne eccessivo, perchè cessava l'opposizione e il sindacato del
clero. Si rinfacciò ai papi di dire «La Chiesa son io», ma allora i re
dissero «Lo Stato son io», e dalla monarchia restò non solo ristretto il
papato, ma soffogato il popolo. I papi del medioevo soli erano capaci
d'esercitare l'arbitrato europeo perchè capi della società conservatrice
e propagatrice del vero ideale, capi civili delle nazioni non per forza
d'arme ma coll'autorità della parola. Per quanto però ristretti,
rimasero non solo re di Roma, ma cattolici, e quindi di nessun partito,
e desiderosi dell'accordo di tutte le potenze cristiane; accordo che
solo avrebbe potuto risparmiare all'Europa odierna la vergogna d'aver
fra' suoi uno Stato che professa la poligamia, gli eunuchi, la potestà
assoluta, la pirateria, e che la maggior reliquia del culto cristiano
rimanga in mano de' Turchi.
Un secolo che era cominciato nel modo più grandioso, colla scoperta d'un
nuovo mondo e la rapida conversione di quello, con tanto rigoglio
dell'arti e delle lettere, trovossi tuffato nella quistione religiosa,
dietro a cui la confusione degli spiriti, l'anarchia degli atti, la
tirannide ammantata dal pretesto di reprimerla, il fanatismo
persecutore; sicchè, invece di poter congiungere la libertà cittadina
coll'indipendenza religiosa, fu duopo combattere dentro e fuori la
barbarie che parea rinnovarsi.
Che la Riforma causasse prosperamento degli studj e delle lettere vien
negato anche in altri paesi, benchè ivi coincidesse con quel che
dapertutto chiamossi il risorgimento. Ma l'Italia era già prima a capo
del mondo civile; da tre secoli studiava il suo san Tommaso, da due
leggeva Dante e il Petrarca suoi; aveva prodotto Colombo e Cesalpino,
educati Copernico e Vesalio; stava compiendo la maggior basilica del
mondo, attorno alla quale sorgeano le meraviglie del Mosè, della
cappella Sistina, delle Logge Vaticane; glorie accompagnate da quelle
del Tiziano e del Correggio, dell'Ariosto e del Caro; le sue Università
traevano studiosi da tutto il mondo; Erasmo vi ammirava cattedre di
greco[304], d'arabo, d'ebraico: e la nostra repubblica letteraria
concedeva la cittadinanza anche a quei dotti che nazionalmente si
chiamavano barbari[305].
Ma fanatizzate le moltitudini per dispute che prima stavano nel ricinto
di conventi e presbiteri, si sviò dalle belle lettere. Fra gli scrittori
della Riforma nessun italiano è insigne; nobilissimi ingegni dispersero
nelle controversie la forza che poteano destinare a far opere;
lasciarono scritti incompleti come le polemiche, nelle quali gli
ammiratori stessi lodano ciò che si volle, anzichè ciò che si fece.
Nuova importanza acquistò la filologia, trovandosi necessarie le lingue
antiche per le disquisizioni religiose. Ma la stessa traduzione della
Bibbia, che in altri paesi schiuse l'êra del vulgare moderno, non potea
farlo qui, ove almeno da cinquecento anni parlavasi e da trecento
scriveasi l'italiano. Il Manuzio, eruditissimo editore, lagnavasi che le
scuole si abbandonassero, e ch'egli dovesse passeggiare solitario
davanti all'Università romana nell'ora della lezione. Giulio Pogiano
valentissimo latinista, all'altro non men lodevole scrittore Anton Maria
Graziano, in lettera del 30 maggio 1562 lagnavasi che il bello scrivere
fosse perito: _unum, aut ad summum alterum vel in maximis civitatibus
reperias, qui speciem aliquam præseferat romani sermonis: succum vero et
sanguinem incorruptum latinæ orationis qui habeat, fere neminem. Nec
injuria. Libri enim qui nobis præstantis illius laudis et disciplinam
præscribunt et exempla proponunt, pæne obsoleverunt. Nullus jam est in
manibus Terentius, nullus Cæsar: ipse latinæ eloquentiæ princeps legi
desitus est: tota denique jacet antiquitas, optima tum vivendi, tum
loquendi magistra. Ad quos igitur plerique se contulerunt? Pudet, nec
omnino dicere licet. Sunt enim iidem barbariæ et impietatis auctores,
quorum in dispari scelere par voluntas agnoscitur. At multis vocabulis
auxerunt linguam latinam. Utinam non tam portenta quam verba, ut in
religionem sic in sermonem induxissent! at incitarunt loquendi et
scribendi celeritatem: ut illorum studiosi, vel in magnis rebus, subita
et dictione et scriptione satisfaciant._
Cercarono scuoter gl'ingegni i Gesuiti introducendo scuole con metodi
nuovi, con ingegnosi artifizj, col rendere piacevole l'insegnamento,
come s'è costretti fare allorchè la voglia n'è rintuzzata: ma lo scopo
loro era l'educazione, più che l'istruzione; piegar le volontà, ancor
più che affinare gli intelletti: e presto ebbero gl'inconvenienti delle
scuole legali; e il mal gusto, se non vi fu originato, non vi fu
combattuto dall'artificiosità dello stile e de' componimenti; da una
certa lecornia, distinta dalla vera eleganza; dal belletto, surrogato ai
robusti colori della sanità.
Dopo ciò si pena a credere che, nel secolo nostro, l'Istituto di Francia
abbia premiato una memoria dove s'è potuto sostenere, dirò piuttosto
asserire che la Chiesa era sempre stata capitale nemica dei lumi; che
«le nazioni erano da essa mantenute attentamente in un'ignoranza,
propizia alla superstizione: che, per quanto possibile, lo studio era
reso inaccessibile ai laici: che quel delle lingue antiche era tenuto
come una mostruosità, un'idolatria: che la lettura delle sante scritture
era severamente vietata[306]». E c'è un vulgo che lo ripete. Viepiù fa
stupore che un pensator cattolico, il Gioberti, in Lutero vedesse tre
doti:
1. D'aver voluto restituire la loro primitiva grandezza alle idee di Dio
e di Cristo, menomate dagli scolastici; 2. d'avere, non che conosciuto,
ma agguagliato il suo secolo, benchè non giungesse a superarlo, come
superollo Soccino; 3. nell'evoluzione logica dell'eresia luterana
scorgersi il predominio della ragione (_discorso_) sulle potenze
inferiori; privilegio dell'Italia, alla quale pertanto si compete
l'onore del luteranismo.
Se con ciò s'intende il libero uso della ragione, l'aveano ben prima i
nostri, e lo mostrammo; ma troppo ci corre dall'esame del vero, dallo
scherzo, dalla satira alla negazione sistematica e riottosa.
Lutero, dopo bestemmiato la cattedra pontifizia, bestemmiò il libero
arbitrio, bestemmiò la ragione, questa (a dir suo) fidanzata di Satana,
questa prostituta, mostro abominevole, che bisogna calpestare,
strangolare; essa è maledetta dalla rivelazione, e perciò ogni parte
dell'ingegno umano è menzogna e tenebra; le Università, sono invenzioni
diaboliche, deputate a convellere il cristianesimo.
Invece il Pallavicino, nell'_Arte della perfezione cristiana_,
professava che «infine tutte le altre potenze dell'uomo s'inchinano
all'intelletto; l'intelletto giudica di tutte le cose, l'intelletto
governa il mondo».
I soliti uomini di pregiudizj diranno che la restaurazione d'allora fu
un ritorno verso il medioevo[307]. Noi diremo che fu una fermata ne'
grandi progressi di quello. Il sospetto fece reprimere la cultura anche
qui dove avea preso tanto incremento; perocchè solito torto delle
violenze rivoluzionarie è il disgustare chi di queste era volenteroso, e
far che la società indietreggi davanti alle crisi dell'impazienza.
Colla storia alla mano potremmo sostenere che al cattolicismo è dovuto
l'acquisto di tutte le libertà civili; le forme parlamentari, che oggi
si considerano qual salvaguardia di queste, derivavano dalle abitudini
della Chiesa, e noi le godevamo ben prima di Lutero, unitavi la libertà
della discussione e della critica, che dappoi per paura e riazione,
venne soffogata dalle armi principesche e dall'inquisizione
ecclesiastica, la cui potenza noi desumiamo non tanto dai roghi, quanto
dal disparire di quell'infinità di stampe che aveva accompagnato e
favorito lo spandersi della Riforma.
La filosofia dovette arrestarsi ne' suoi ardimenti, eppure furono
cattolici, come di fuori Cartesio e Bossuet, così tra noi Galileo,
Campanella, frà Paolo.
Le riforme prescritte dal Concilio vennero dimenticandosi, nè si
conciliarono Chiesa e Stato, nè si segnarono limiti morali e giuridici
alla politica.
Svelto ogni germe di protestantismo languirono gli studj ecclesiastici,
e sebbene repudiamo la separazione or posta da Neander tra la fede, la
religione e la teologia, certo è che questa scienza, disarmatasi,
s'avvolse in intestine querele di carattere meschino, che fornirono arme
terribili agli scredenti; e il clero, inerte, impopolare, diviso, con
giansenisti ridicoli, gesuiti esosi, abati indifferenti, popolo
ragionacchiante, si trovò esposto ai liberi pensatori.
La morale fu però migliorata, anche per l'opera di coloro che vennero
denigrati col nome di Casisti, i quali furono alla pratica quel che
erano stati gli scolastici alla teoria; persone che spingevano
l'argomentazione fino all'abuso: e che, invece di dedur i canoni della
morale dalla sola legge di Cristo, andavano a fantasticarne o ne'
filosofi pagani o nelle opinioni della tale o tal altra scuola. Con ciò
arrivarono qualche volta a scusare il vizio, a scolpare il delitto,
sicchè molte loro proposizioni furono dalla Chiesa condannate; ma chi li
confutava non avea che a ricorrere all'insegnamento evangelico e alla
tradizione[308]. Realmente in quelle dispute si chiarì la morale; il
vizio sussistette ancora, ma fu chiamato col suo nome; mentre fuor della
Chiesa nostra fra suddivisioni infinite si giunse fin a negare la virtù
obbligatoria e ogni dottrina positiva; e volendo l'unità, e non
riuscendovi perchè non è possibile accoppiar l'errore e la verità nel
cristianesimo, cercavano questo distruggere.
Separato il mondo della scienza da quello della fede, proveduto
piuttosto a reprimere l'opinione falsa che a diffondere la vera, ne
seguì la trista necessità di riazioni violente. Quando una società
perisce, non v'è modo a restaurarla che coll'autorità. Questa è il fondo
del cattolicesimo, che perciò, vedendola attaccata dapertutto, se ne
sbigottì; e se prima avea protetto la libertà, vedendola ricalcitrare
fino a metter lui stesso in quistione, se ne sbigottì, si alleò al
potere assoluto per farsene sostegno, nè ravvisò l'incompetenza assoluta
della forza in materia di fede. Per ovviare gli abusi si restrinse la
primitiva libertà degli scritti; si ebbe paura del pensiero come forza o
sterminatrice o repressiva; si sentì bisogno di ricorrere alla podestà
principesca, che schiacciava le eresie, ma nell'abbraccio soffogava la
Chiesa.
Il clero, vedendo perire le libertà del medioevo sotto la pressione
principesca credette salvarsi coll'associarsi all'assolutismo regio, il
quale così trionfò. Ed oggi altrettanto vorrebbesi farlo associare
all'assolutismo democratico, che trionferebbe se esso cessasse di
resistervi.
L'Italiano, che bada ai fatti non alle declamazioni; che, fra questa
tirannide dell'opinione, osa ancora ascoltare la coscienza e serbare
convinzioni, rabbrividisce allorchè osserva la conformità dell'età
nostra con quella del Cinquecento che venimmo divisando, e quali
terribili rimedj, e quanti patimenti di due secoli furono necessarj per
chetare la turbolenza, e ripristinare quell'ordine che le popolazioni
desiderano anche più della libertà.
Sarà necessario altrettanto oggi? A questa frenesia d'una libertà
astratta, che le libertà individuali sagrifica tutte all'opinione di
piazza, alla statolatria, alle apparenze, bisognerà che succeda lo
spossamento, come al delirio fremente succede il delirio tremante? Se,
come vuole Fontenelle, l'uomo non giunge al vero che dopo esauriti tutti
i possibili errori, ancora lunga serie ne resta; e se ciascuno bisognerà
che produca la sua messe di disordini e di infelicità, alla misera
generazione nostra avrà a portare invidia quella de' nostri figliuoli.
Ma a chi ci dipinge l'odierno sfasciarsi della società nella sua parte
morale: quando, sentendo scosse le fondamenta, ognuno cerca nelle nebbie
del futuro qualche crisi alla malattia d'una società corrotta, scettica,
sbranata dai partiti, noi offriamo il quadro di essa ai giorni di
Lutero. Chi non avrebbe detto che la barca di Pietro periva? Di poca
fede! Eppure allora l'alto clero era corrotto, mentre ora unanime
resiste al demonio che gli dice, «Se mi adori, tutto questo sarà tuo»; e
fra i traviati non compajono se non le erbacce che il pontefice sarchia
dal suo orto.
Coraggio dunque; poichè Dio tira sovente la salute degli uomini dal
fondo della loro perversità: e una voce santa ci ripete che «A riguardo
de' giusti saranno abbreviati i giorni della prova».

NOTE
[300] _De fide_, lib. II, c. 16.
[301] Per quante buone ragioni e religiose e civili e umane il pontefice
respingesse la pace di Westfalia, l'ha dimostrato testè il dottor
Döllinger, _Kirche und Kirchen_, cap. 2. Si noti poi come un fatto
generale che il protestare contro di essa non valea toglierle efficacia,
nè impacciarne l'attuazione.
[302] ARIOSTO. Si sa che il primo ospedale vi fu fondato da cittadini di
Amalfi, donde nacquero gli Ordini religiosi militari. Nel 1355 Sofia di
Filippo Arcangeli fiorentina istituì l'ospedale del monte Sion, con
chiesa, casa, chiostri. Alessandro III e Urbano III fecero riporre sopra
l'altare del santo sepolcro la iscrizione, che n'era stata tolta,
_præpotens Genuensium præsidium_. Roberto di Napoli e Sancia spesero
milioni per collocare monaci presso il santo sepolcro e il presepio. La
cupola del santo sepolcro fu eretta, poi più volte rinnovata per cura
d'Italiani, e ultimamente nel 1720 per zelo del padre Antonio da Cuna
toscano, che n'ebbe licenza dal gransignore a patto che facesse
restituire cencinquanta Musulmani, fatti schiavi da potenze cattoliche;
il che egli adempì. Giovanna di Napoli ricomprò il sepolcro di Maria
Vergine in val di Giosafat. L'altare di bronzo, meraviglia dell'arte,
che sta sul calvario, fu dono di Ferdinando De Medici nel 1588, e opera
di frà Domenico Fortisiano del convento di San Marco. Carlo Guarmani
livornese scoperse testè Santa Maria Latina, antica Chiesa degli
Amalfitani, sepolta sotto le rovine.
Leibniz nel 1673 essendo a Roma, scrisse un poema dedicato _ad
Alexandrum VIII ut christianos ad bellum sacrum hortetur_, dove
proponeva la spedizione d'Egitto, e vuolsi che di là ne traesse l'idea
Bonaparte.
Avendo noi ripetuto che Lutero dissuadeva dalla guerra contro i
Musulmani, giustizia vuole che accenniamo come Melantone vi esortava
Carlo V, e soggiungeva: «Per cominciar la guerra turca, bisogna ch'e'
passi in Egitto con una flotta ben fornita, onde forzar le armate turche
ad abbandonare l'Europa. È serbato al nostro secolo di veder questa
eroica impresa, che, a parer mio, è divinamente preparata e che sarà il
segnale della decadenza dell'impero turco». _Corpus reformatorum_,
edizione di Bretschneider, t. VII, 683.
[303] Federico Morin, nel _Dictionnaire de phylosophie et de théologie
scholastique_, ch'è il più ampio ed erudito e insieme vigoroso trattato
di questa scienza, mostra, oserei dire esagera gl'immensi meriti de'
filosofi del medioevo, e asserisce che la Riforma, anzichè essere una
riazione della libertà, repressa in quelli, contro l'autorità cui si
fosse data troppa prevalenza sopra i diritti della coscienza, fu invece
il disastro della libertà razionale, surrogandovi il fatalismo
razionale. E lo prova da ciò, che la Riforma imputava gli scolastici di
sottomettere la teologia alla loro scienza, cioè di seguir piuttosto i
barlumi della ragione che la voce infallibile della fede: e negava
all'uomo il libero arbitrio, sostenuto invece apertamente dalla
teologia.
[304] Il Lagomarsino, commentando le lettere del Pogiano (vol. IV, p.
335) dice: _Fuit illa hominum ætate cum multorum ingens in Italia
græcarum literarum studium, tum egregia in italis hominibus græca
interpretandi facultas._
[305] _Qui quidem tali ingenio præditi, barbari certe non sunt. Non enim
quos a nobis montium excelsitas aut latitudo æquorum disjunxit, sed qua
cum veræ religionis cultu non peragravit humanitas et artium amor
ingenuarum, ea certa et sola est barbaries._ SADOCETI, _Phædr._, pag.
561.
[306] CH. VILLERS, _Essai sur l'espritt e l'influence de la Réforme_.
Parigi 1806.
[307] «Un principio più ampio e assoluto venne espresso dal Machiavelli;
il quale però non sembra averne misurata appieno la grandezza,
l'universalità, l'efficacia, poichè ne fece uso in modo scarso e
ristretto. Il qual pronunziato si è che, _a volere che una setta o una
repubblica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo
principio. Il che torna a dire che l'ideale progresso verso l'unità e la
perfezione finale è un regresso verso l'unità e perfezione primitiva_.
Tal è la formola cristiana, che è la sola vera. Noi dobbiamo pertanto
risalire verso il medioevo, per ciò che spetta all'idea, perchè il
medioevo, ch'è essenzialmente ideale, è il principio, onde mosse la
civiltà moderna.... Il medioevo fu barbaro e cristiano. La barbarie, che
deriva dal predominio del senso, è per se stessa un elemento negativo, e
consiste nel difetto di coltura civile. Di costa a questo difetto, ai
mali, alle tenebre, alle calamità, che ne nascevano, pullulavano nella
età media i germogli di una civiltà meravigliosa, essenzialmente
cristiana, e avvalorata dalle sane reliquie dell'antica umanità e
gentilezza. Ma questa pianta era giovine, e i suoi fiori erano chiusi, o
cominciavano appena a sbocciare: la stagione era piena e ricca di
speranze, propizia alla coltura, lieta di frutti primaticci e tenerelli,
che promettevano un maturo e abbondante ricolto.... Il progresso moderno
dee essere _l'esplicazione della civiltà potenziale, contenuta
negl'istituti del medioevo_.... Non vi ha alcun rischio, svolgendo i
semi positivi e cristiani dell'età trascorsa, di dar nel barbaro; perchè
in tanto allora il mondo era barbaro in quanto i preziosi germi non
erano esplicati. La barbarie di quella età era tutta gentilesca;
tramandata ai popoli cristiani, parte dal politeismo greco-latino, parte
e assai più, dalla fiera superstizione dei popoli boreali.... Ma la
società ecclesiastica, che vegliava fra le ruine colla sua mirabile
struttura, e colla forte unità, spense a poco a poco la violenza e
l'anarchia feudale, coltivando, svolgendo i rudimenti civili di autorità
governatrice e di libertà nazionale; i quali ridotti quasi a nulla, pur
non erano morti, e sopravvivevano nei sovrani, e nei Comuni. Oggi non è
più duopo provare che i papi e i vescovi del medioevo, cioè la monarchia
e l'aristocrazia elettiva della Chiesa, creavano i popoli ed i re; e con
essi le nazioni moderne: la cui vita e il fiore dipendono
dall'amichevole concordia del potere e della libertà, delle nazioni e
dei principi».
GIOBERTI, _Introd. allo studio della filosofia_. Conciliarlo col
riferito più sopra non è impresa che ci torremmo.
[308] Il Sismondi nel famoso cap. 127 della storia delle _Repubbliche
italiane_ avea detto che «la Chiesa sostituì lo studio de' Casisti a
quello della filosofia morale». Il Manzoni rispondeagli che le dottrine
de' Casisti non vanno attribuite alla Chiesa, la quale non si fa
mallevadrice dell'opinione di privati, nè pretende che alcun de' suoi
figli non possa errare: i Casisti fondaronsi su ragionamenti e autorità
umana, piuttosto che sulla Scrittura o la tradizione: e appunto quelli
che, nella Chiesa, si elevarono contro le loro asserzioni, vi opposero
la Scrittura e la tradizione.
Il medesimo Sismondi al famoso predicatore americano Channing scriveva
qui: _Ceux qui croient que la moralité ne consiste qu'en quelques
préceptes vite épuisès, me semblent des observateurs bien superficiels.