Gli eretici d'Italia, vol. III - 27

Ita al vento l'impresa, il governatore di Milano se ne fece nuovo
affatto, ed il Tettone fu cacciato in galera[271]. I Grigioni ne fecer
un capo grosso, e molta gente inquisirono, senza verificare d'alcuno la
colpa: ma il cardinale tennero in memoria di fazioso e brigante.
Era questi morto l'anno avanti nell'atto, dice il Calandrino, di metter
fuori il scelleratissimo suo parto[272]; la lettera addotta lo mostra
innocente di maneggi, ma conscio: e il Ripamonti e il Ballarino[273]
fanno testimonianza che colla Spagna assecondava la trama: e il suo nome
restò formidabile agli eterodossi, e da quel punto chi ad essi
opponevasi diceanlo appartener alla Lega Borromea, come ai dì nostri
dicesi della Congrega, de' Gesuitanti, de' Paolotti: e campioni n'erano
il padre Giovanni Odescalchi vescovo d'Alessandria, e Giovan Pietro
Negri domenicano.
Nè i dissidenti cessavano di sorreggere i proprj religionarj e sfavorire
i Cattolici; negli statuti di Valtellina stampati il 1549 furono intrusi
alcuni a favor di quelli: al giubileo del 1575 si pose ogni possibile
incaglio: nel 1585 trovandosi a Chiavenna unite le bandiere de'
Grigioni, sancirono di nuovo intera libertà di religione, il che allora
come altre volte, significò persecuzione della cattolica: non voleano
ricevere frati esteri, nè manco per la predicazione quaresimale; e
sopratutto non soffrivano si pregasse per l'estirpazione delle eresie,
quando non si dichiarasse non intendersi quelle professate dai signori
Reti; non potendo comportare che si facesser orazioni contro i proprj
signori. Ai predicanti riformati si assegnavano soldi[274]: le rendite
della prepositura di Sant'Orsola di Teglio già da anni eransi applicate
a mantener il predicante di colà, sorrettovi dalla famiglia Guicciardi.
Natane opposizione, e mescolatisi i partiti, si pretese che
l'onorevolissimo cittadino Tommaso Planta fosse guadagnato dall'oro
spagnuolo, e fattogli processo, venne condannato a morte.
Broccardo Borrone di Busseto parmigiano, studiando in Padova conobbe gli
scritti di Calvino, e ne fu pervertito; venne in Valtellina il 1592, e
mediante il favore di Andrea Ruinelli, medico e professore ne' Grigioni,
fu fatto predicante e maestro a Traona, donde il 1596 passò cancelliere
del commissario Giovanni Planta in Chiavenna. Accusato d'esser fuggito
d'Italia non per religione, ma per turpitudini commesse, d'aver più
volte esternato il desiderio di tornare cattolico se il papa gli
perdonasse, al qual fine cercherebbe ridurre in mano dell'Inquisizione
alcuni predicanti, fu messo alla tortura rigorosa: e non confessando, fu
dimesso pagando cencinquanta coronati per le spese di processo: poi la
Dieta lo bandì da tutto il paese, perchè temeasi meditasse vendetta. Nel
suo breve soggiorno nella Rezia, erasi egli giovato del suo posto per
raccogliere curiose notizie: perocchè nel 1601 un Giorgio Pini di Traona
scrisse da Roma che vi si trovava il Borrone, e che avea fatto un libro
ove descriveva il paese e gli abitanti: subito si cercò un tal libro,
poi si pose una taglia sulla costui testa, ma non si trovò chi la
volesse guadagnare. In realtà, per aver denaro, egli avea steso un
libello, dal quale scegliamo solo alcuna cosa di quel che concerne i
paesi italiani, de' quali dice: «Attorno al lago di Como son le
parrocchie cattoliche, di Novato, Campo, Samolago, Gardona, dove non c'è
eretici, talmente prevalse l'esempio dei vicini. Cattolica è tutta la
val San Giacomo, per la quale si passa a Coira, sempre fra cattolici. Il
contado di Chiavenna ha quindici parrocchie, tutte con preti cattolici;
ministri eretici sono a Chiavenna, Piuro, Pontilio, Mese, tutti apostati
dall'Italia. De' cinquemila abitanti, ottocento son eretici; e mille
capaci dell'armi, fra cui al più cento eretici. Non sarebbe difficile
purgar il paese dall'eresia, non mancandovi gente di cuore, che aspetta
l'occasione.
«Allo sbocco dell'Adda vedonsi gli avanzi d'una torre, dove Gian Giacomo
Medeghino avea posto campo per impedire che i Grigioni v'entrassero; e
converebbe rialzarla.
«Nella Valtellina ha 65 parrocchie, ciascuna col suo curato, ma
vorrebber essere visitate, essendovi di molti contumaci e profughi
dall'Italia senza dimissoria. Non c'è verun luogo tutto eretico, bensì
alcuno ove neppure un eretico; e i ministri son appena dodici, tutti
apostati italiani, i quali se si allettassero, credo che in breve la
valle sarebbe risciaquata dal calvinismo. De' venticinquemila abitanti
appena un decimo abbracciarono la Riforma: scrivonsi quattromila alla
milizia, tra cui ottocento eretici. Ma è da confessare che cogli eretici
stanno i principali e più ricchi, non solo di Valtellina ma di tutti i
Grigioni. I natii aborrono i dominanti, e all'occasione se ne
disferebbero. Nè difficil sarebbe il redimerli, tanto più che nella
Rezia non potrebbe entrare per soccorso alcuno de' confederati se non
per passi angustissimi che stan in mano de' Cattolici; mentre ai
Cattolici italiani e tedeschi son aperti i varchi».
Qui descrive la politica e la miseria de' Grigioni, poi vien a informare
de' pastori evangelici di Valtellina.
«Nicola da Milano, già francescano, tre anni fa recossi a Chiavenna, ove
predica il catechismo ereticale; menò povera donna, de' cui costumi è
disgustato, e n'ebbe figli che fatica ad allevare. Nè si loda della sua
chiesa perchè gli fu preferito Ottaviano Mei lucchese. Con tali
scontentezze, parmi che potrebbe guadagnarsi a promesse.
«Questo Mei, benchè nato e educato nell'eresia, è giovane, celibe, di
buona casa, dotto in latino, greco, ebraico e nelle buone arti, facondo;
e con largo promettere potrebbe trarsi alla Chiesa nostra; oppure
coglierlo presso il lago, ove si diletta della pesca.
«Michele Acrutiense, già pievano nella Rezia, poi apostata e ministro a
Piuro: di sessanta anni, abbastanza dotto, ma povero, con chiesa piccola
e sottili proventi; cuculato perchè sposò una giovinetta.
«Tommaso Capella genovese carmelita, or ministro a Poncila, sui
quarantacinque anni, con moglie sterile e sgraziata: egli dotto, ma
audace, ambizioso, pieno di sè, ricco; non credo deponesse l'amor
dell'Italia; ma non soffrirebbe mai di tornare in convento.
«Giovanni Marzio da Siena, già da trent'anni apostato, or predica a
Solio in Val Bregaglia, ha moglie una veneziana smonacata, da cui ebbe
due belle figliuole, or da marito; stampò qualche cosa contro la Chiesa,
e fu avvocato degli eretici nella disputa di Piuro. Crederei vano ogni
tentativo con lui.
«Da un anno venne dal ducato di Spoleto Ferdinando di Umbria; subito
sposò una giovinetta, colla quale vive in bizze; e non dubito cederebbe
a lusinghe.
«Marziano Ponchiera, già prete, or predicante a Vicosoprano, gran
parlatore, gran bevitore, di sessant'anni sposò una giovinetta, per la
quale è martellato da gelosia. Una volta volea rimpatriare, e si spinse
fin a Milano, poi diè la volta indietro. È povero in canna, poichè la
rendita d'un anno mangia in un mese».
Detto di Rafaele Eglino e Gabriele Gerber, segue di Giovanni Luca
calabrese, conventuale, or ministro a Dubino, di ventitre anni e di
molta erudizione, sposò una poveretta di che presto si pentirà. Se non
si può colle dolci, potrebbe farsi rapire da un pajo di armati, essendo
la sua chiesa vicinissima al lago.
Nè altro partito che di rapirlo propone per Luca Donato Poliziano, già
francescano, ora a Traona, con trentacinque anni e tre figliuoli.
«Ercole Poggio bolognese, predicante a Morbegno, ambizioso e mezzo
fatuo, ha moglie un'altra Santippe, colla quale se la passa bene benchè
sessagenario, nè saprebbe staccarsene.
«Da un anno fissossi a Caspano un frate, che dicono piacentino e dottore
in teologia; sposò una di Chiavenna, e non ne ho altra conoscenza.
«Scipione Calandrino di Lucca, ministro a Sondrio, è il più pericoloso,
e molti libri tradotti dal greco e dal latino invia e diffonde in
Italia; ha cinquant'anni, moglie nobile, e nobile vantasi egli stesso;
senza figli; gode gran credito presso gli eretici.
«Cesare Gaffori piacentino, già cappuccino, or ministro a Poschiavo, di
quarantacinque anni; con moglie e tre figli; parlatore, versatissimo
nella Scrittura, stampò contro il Bellarmino.
«Marco Eugenio Bonacino milanese e Alfonso Montedolio piacentino dianzi
a mia persuasione andarono nel Tirolo, aspettando il salvocondotto per
ricondursi in Italia.
«Altri ve n'ha che con promesse e ragioni potrebbero trarsi alla Chiesa
romana. Ogn'anno i ministri si radunan al sinodo: e per arrivarvi devono
traversare un angusto passo vicino al lago di Como, ch'è di
giurisdizione milanese. Si potrebber facilmente cogliere al varco»[275].
Fin qui il Borrone non è che una bassa spia; ma non manca d'arguzia ove
morde i vizj de' Grigioni, nel che del resto va daccordo cogli storici,
anche nazionali. La religione li divideva, li divedeva la politica: non
badando alla patria, ma a donativi, pensioni, collane, decorazioni,
favorivano chi questa Potenza, chi quella; divisi in due fazioni, una
devota a Spagna ed ai Cattolici, l'altra a Francia ed agli Evangelici;
capo di quella era Rodolfo Planta, di questa Ercole Salis, le due
famiglie primarie delle Leghe. Il grosso dei Grigioni essendosi
sottratto al cattolicismo, aveva in uggia l'Austria e la Spagna, e
guardava l'amicizia dei Francesi come fondamento di libertà; sicchè
prevalsero i Salis, e venne rinnovata con Enrico IV una lega di offesa e
difesa, nella quale non facevasi eccezione veruna a favore del milanese.
Con questo ducato i Grigioni nel 1603 aveano stretto una convenzione di
buona vicinanza, per la quale il commercio non troverebbe impedimento;
essi non consentirebbero il passo ad esercito che venisse contro il
milanese; questo in compenso dirigerebbe il transito delle merci pel
paese delle Leghe. All'udire dunque della nuova convenzione coi
Francesi, gran lamento alzò il conte di Fuentes, il più memorabile fra i
governatori spagnuoli di Milano, umore guerresco, che nel cuor della
pace teneva numerosissimo esercito, e operava colle prepotenze d'un
governo militare. Egli mandò minacciando i Grigioni di trattarli da
nemici, e a nulla approdando colle parole, si pose a fabbricare un
fortalizio, detto dal suo nome, appunto là dove la Valtellina e il
Chiavennasco confluiscono al lago di Como: sicchè dominando que' passi,
poteva impedire alla Rezia i viveri ed il commercio, come chiuder
l'adito ad ogni esercito che di là venisse. Quella striscia di
territorio spettava in fatto al milanese, ma il duca Francesco II Sforza
avea stipulato coi Grigioni non si porrebbe veruna fortificazione in
quel giro. Ne mossero dunque reclamo i Grigioni, ma il Fuentes, non che
badarvi, finì e presidiò il forte, e coll'adunare genti e navi
all'estremo del lago di Como, confermò la voce che volesse ricuperare la
Valtellina al ducato di Milano[276].
Queste pratiche davano l'ultimo tuffo alla Valtellina: le Leghe vi
crebbero guarnigioni; ad ogni ombra davano corpo; e subillate e
sostenute dai novatori, lieti che i loro religionarj crescessero in
autorità, disponevano come donni e padroni, e arrogatasi la nomina degli
ufficiali, mandavano magistrati di più che bassa mano, i quali
soperchiavano, non curando d'esser amati, purchè temuti. Nuovi editti
vietavano le indulgenze e i giubilei, tacciavano di superstizioso il
culto del paese, cassavano le dispense curiali, berteggiavano i decreti
pontifizj; cacciaronsi i Gesuiti, abolendo le donazioni lor fatte;
processaronsi i miracoli di san Luigi; turbavasi la giurisdizione col
forzare i curati a celebrare matrimonj in gradi vietati, escludere buoni
sacerdoti forestieri, obbligare tutti alle prediche degli eretici: delle
quali ascoltate prima per celia, poi per curiosità, poi talvolta sul
serio, l'ornamento più consueto erano rampogne contro l'avito culto, e
il purgatorio e l'astinenza dalle carni: dietro al che la ciurma non
mancava di rubare ostensorj e sparpagliare le particole, sfregiar
tabernacoli, fare smacchi a' sacerdoti nelle processioni del Sacramento,
e in quei devoti riti della settimana santa, che l'intimo dell'animo
commovono a patetica devozione. Sotto la protezione dei signori, che
dicevano «Credi quel che ti piace, ma fa quel ch'io ti comando», ogni
tratto qualche nuovo cattolico disertava, anche preti e curati: ed
essendo ordinato che, ove fossero più di tre famiglie riformate,
convenisse accomodarle di ministro e di chiesa a spese comuni, i
Cattolici vedeansi costretti a mantenere i predicanti co' benefizj
ecclesiastici: e non compatendo la religione loro che i preti
evangelizzassero dalla bigoncia dond'era sceso dianzi il ministro
calvinista, conveniva si provvedessero di nuove chiese. Credendo
ciascuna parte essere in possesso della verità, e l'avversaria trovarsi
nell'eresia, lo zelo esacerbava gli odj da fratello a fratello,
tirandosi al peggio che si facesse. Il conte Scipione Gámbara bresciano,
per aver ucciso un suo cugino era fuggito a franchigia in Tirano, ed ivi
tenevasi attorno una masnada di bravi. Entrò sospetto nei Grigioni
ch'egli volesse dar mano a stabilire l'Inquisizione, e sbrattare la
valle dai Protestanti: onde, côltolo, e coi metodi consueti, convintolo
di tramare col cardinale Sfondrato e coll'inquisitore Montesanto, fu
decapitato a Teglio; il suo complice Lazzaroni di Tirano squartato vivo,
e le spese del processo caricate alla valle.
Peggio avvenne quando Ulisse de' Parravicini Capello di Traona, che, reo
di molto sangue, campava la vita sul bergamasco, osò una notte
ricomparire con venti sicarj in patria, e trucidare i magistrati.
L'atroce fatto seppe di ribellione ai Grigioni, e ne colsero pretesto a
spicciolare altri Cattolici.
La certezza d'esser in odio al pubblico faceva prendere provisioni, che
lo rendevano implacabile. Qualche buon ordinamento veniva talora[277],
ma di corto cadeva nell'obblio, e non rimanevano che la persecuzione,
impolitica non meno che empia, e un'opposizione non sempre generosa.
Morto il parroco della Chiesa in val Malenco e sepolto il tempio di colà
da una frana, un Tommaso paesano adoprò caldamente per indurre que'
montanari a valersi del ministro evangelico, spacciando che la parola di
Cristo predicata da questo varrebbe assai meglio che la messa dei
papisti, che orazioni recitate in una lingua non intesa, che preti le
cui dicerie riboccan di baje, di idolatria il culto. Ma Tommaso Sassi
pastore distolse i terrazzani dal cambiar religione. In Caspoggio della
valle stessa, mentre i mariti estivavano sui pascoli montani, le donne
seppero che i Riformati intendevano sepellire in San Rocco un loro
bambino allora morto, col che avrebbero preteso d'acquistare possessione
di quella chiesa. Munitesi di sassi, aspettano il funebre convoglio, e
come s'avvicina, schiamazzando alla donnesca, lo tempestano di pietre.
In Sondrio il governatore accingevasi ad entrare per viva forza nella
chiesa cattolica, e ridurla al nuovo rito; ma un Bertolino, uomo
all'antica, commise a Giangiacomo, suo figliuolo di gran cuore, che
colla daga alla mano l'impedisse. Come il governatore glie ne mosse
querela, Bertolino menosselo a casa, e gli improvvisò una lieta merenda:
fra la quale presentossi Giangiacomo, sempre accinto della sua daga, e
con un fiasco del miglior vino, che cominciò a mescere in giro alla
ragunata: e fatti comparire quindici garzoni in tutto punto d'armi,
«Ecco (disse) e me e questi pronti pel governatore e per la repubblica
fino all'ultimo sangue, solo che non ci si tocchi la religione».
Altri fatterelli rinnovavansi ogni giorno, e non sempre risolveansi in
riso quando i reciproci rancori faceano pronti a correre ai
risentimenti.
In Sondrio degli abitanti un terzo erasi sviato dall'ovile romano; così
molte delle contrade vicine; e le miste usavano due preti[278]. Dal 1520
al 1563 v'era stato intruso come arciprete Bartolomeo Salis, che
contemporaneamente era arciprete di Berbenno e di Tresivio e curato di
Montagna, e in nessun luogo risedeva, lasciando il gregge a pascoli
infetti: de' benefizj valevasi per dotare nipoti; portò anche le armi;
il che tutto agevolava la diffusione dell'eresia. Di quel tempo venne a
predicarvi un frate, in aspetto di somma dottrina e pietà; e il popolo,
che da gran tempo non udiva più prediche, accorse alle sue: ma ben
presto egli si scoperse eretico. Se ne levò tumulto, ed egli rifuggì ai
Mossini in casa i Mignardini, donde seguitava a sermonar ai nuovi
convertiti. L'arciprete Salis non se ne dava pensiero, tutto blandizie
verso i Grigioni nella speranza di esser assunto vescovo di Coira. E vi
fu assunto, onde rinunziava i tanti benefizj in Valtellina: ma poichè
l'elezione non fu confermata, si trovò sprovisto, e morì poveramente in
Albosaggia.
Ben altrimenti si era comportato Nicolò Pusterla, ma con sei zelanti
Cattolici rapito in prigione, colà vollero dire fosse avvelenato dal
governatore.
Gli succedette Nicolò Rusca, nato in Bedano terra del luganese, da
Giovanni Antonio e Daria Quadrio. Avea studiato a Pavia: indi nel
collegio Elvetico di Milano, ove a san Carlo ne parve sì bene, che
postagli sul capo la mano, «Figliuol mio (gli disse) combatti buona
guerra, compi la tua carriera; per te è riposta una corona di giustizia,
che ti renderà in quel giorno il giudice giusto». Fatto arciprete di
Sondrio, mostrò lo zelo del buon pastore che offre l'anima per le
pecorelle. Dotto di greco e d'ebraico, non che di latino; versato nella
storia ecclesiastica e nella teologia, spesso agitava le correnti
controversie sia in dispute coi dissidenti, sia nelle prediche dove,
tutto lume della somma verità, in prima ribatteva l'errore, poi
stabiliva la dottrina vera; ma nè usava egli, nè soffriva in altri le
invettive e le ingiurie. Trovata la chiesa sproveduta di arredi,
disusata di funzioni, muta di canti, egli rinnova tutto, introduce
preghiere e processioni, ricupera i disusati beni, ripristina la
disciplina delle monache; ottiene che i Cappuccini possano confessare.
Si oppone alle pretendenze de' novatori, i quali, oltre esigere dal
capitolo la provvigione di trenta zecchini pel ministro evangelico,
volevano ch'egli cedesse porzione del suo giardino per farsene il
cimitero: proibivano le processioni del _Corpus Domini_ e del venerdì
santo, e il suon delle campane come pubblico insulto ai magistrati
dissidenti.
Simone Cabasso curato di Tirano predicava incessantemente contro
Calvino, onde fu accusato e condannato. Egli si appella, e dal pretore
vengono invitati Antonio Andreossi ministro di Tirano, Cesare Gaffori di
Poschiavo, Antonio Mejo di Teglio, Scipione Calandrino di Sondrio,
Nicola Cheselio di Montagna, perchè tengano un colloquio sopra la fede,
e principalmente sopra Calvino. Da questo e da sè repulsarono la taccia
di eretici, mostrando (e il Calandrino principalmente) che quel dottore
non avea deviato mai dalla Chiesa quanto alla divinità di Cristo e alla
sua eccellenza come mediatore, anzi l'aver egli perseguitato gli Unitarj
e scritto contro Valentino Gentile. Non bastando il primo, si venne a un
secondo colloquio il 1 marzo 1596; poi ad un terzo il 7 agosto; dopo il
quale gli oratori grigioni sentenziarono che il Cabasso aveva
calunniato, e perciò pagasse centrentadue coronati.
Fra' Cattolici primeggiavano, oltre questo di Tirano, il parroco di
Mazzo e Nicolò Rusca, il quale del colloquio diede a stampa una
relazione (1598 Como, pel Frova). Questa parendo aliena dal vero e
calunniosa quanto alle persecuzioni che gli ecclesiastici soffrivano in
Valtellina, i signori Grigioni permisero ai ministri di rispondervi,
come fecero con uno scritto latino, il cui titolo suona, «Della disputa
di Tirano fra i papisti e i ministri del verbo di Dio nella Rezia,
tenuta gli anni 1595 e 96, quattro parti, dove accuratamente e
solidamente si tratta della persona e dell'officio di Gesù Cristo
mediatore secondo le due nature; e si vendicano le parole di Calvino
sopra la natura divina di Cristo dalle calunnie dei papisti
valtellinesi; risolvonsi i sofismi del Bellarmino, e scopronsi gli
errori de' Monoteliti, de' Nestoriani, degli Ariani, e d'altri; oltre la
storia esattissima di quella disputa: l'indice delle calunnie dei
parroci di Valtellina; la risposta ai ripetuti costoro sofismi. Autori
Cesare Gaffori, Ottaviano Mej, e gli altri ministri della parola di Dio
nella Rezia, or primamente stampati, e non solo degni di lettura, ma
giovevoli a chiunque ama la verità» (Basilea, per Waldkirch 1602 in-4º).
Nel 1596 Giovanni Marzio di Siena, pastore a Solio, avea stampato un
libro italiano della Messa, che molto si divulgò. L'_Apologia della
Messa_, che frà Giovanni Paolo Nazari cremonese domenicano vi oppose, fu
giudicata vittoriosissima dai Cattolici, ridicola dagli altri. Si
stabilì una disputa a Piuro, che fu fatta il gennajo e maggio 1597,
presenti gli arcipreti di Chiavenna e di Sondrio, il Calandrino, il
Marzio, il Mej, il quale fu trasferito allora dalla chiesa di Teglio a
quella di Chiavenna per succedere al Lentulo.
_Martello degli eretici_, quale veniva chiamato si mostrò singolarmente
il Rusca allorquando i Riformati ottennero di istituire a Sondrio un
collegio, del quale il rettore e tre dei cinque professori fossero
calvinisti. Fin dal 1563 erasene divisato, poi aperto nel 1584
accettandovi cattolici e no; ma nessun cattolico andandovi, cadde.
Quando si volle rinnovarlo, il Rusca, senza guardare in faccia nè ai
Salis che lo proponevano, nè al re d'Inghilterra che dicevasi
somministrar il denaro[279], attraversò questa impresa, e riuscì a
sventarla, ed unire anzi un'accademia che propagasse le cattoliche
dottrine.
Nel 1614 l'Archinti vescovo di Como per seicento fiorini comprava la
licenza di visitar la Valtellina, il che da venticinque anni era
proibito, e ne mandò relazione a Paolo V. Dopo estreme lodi al paese, si
consola che, in quell'esecranda libertà di vivere e dire quanto a
ciascuno piace, appena tremila persone abbiano adottato la Riforma, e i
popoli accorreano festosi e piangenti ad accompagnarlo. A Tirano trova
da cencinquanta eretici, _vil plebe_. I cattolici di Poschiavo e Brusio
tengonsi incontaminati, benchè mescolati ai Calvinisti. In Sondrio
questi erano potenti per numero e ricchezza, sicchè a fatica egli vi
ottenne accesso. Un terzo de' Chiavennaschi aveva abbracciato l'errore,
fra cui i meglio stanti, e dalla Bregalia i Riformati minacciavano
assalirlo in armi. Quando esso Archinti tenne un sinodo nel 1618, il
podestà di Traona pubblicò per editto terribili pene contro qualunque
ecclesiastico spedisse lettere o uscisse dalla valle: cento scudi di
multa o tre tratti di corda a chi conoscendolo nol denunziasse.
Perpetuo e vivo contraddittore de' loro disegni com'era il Rusca, gli
acattolici miravano a torselo d'in su gli occhi. Dapprima Giovanni Corno
da Castromuro, capitano della valle, lo condannò in grave multa perchè
avesse rimproverato un giovane suo popolano d'aver assistito a un
sermone dei Calvinisti. I Sondriesi presero le armi, e si fu ad un pelo
di far sangue: onde il capitano denunziò l'affare a Coira; dove il Rusca
fu assolto, ed il capitano ammonito.
Vivo contraddittore gli era il molte volte nominato Calandrino, del
quale nell'archivio di Zurigo conservasi un autografo, ove racconta «la
lunga e costante persecuzione» dei Valtellinesi contro degli Evangelici
e massime dei ministri, gli assassinj tentati, specialmente sopra di
lui, imputandone chiaramente il Rusca, benchè non lo nomini. In fatto a
questo apposero d'aver fatto trame con un Ciapino di Ponte per ammazzare
o tradurre all'Inquisizione esso Calandrino. Il Ciapino fu messo a morte
dopo orride torture, nelle quali disse aver avuto consiglio dal Rusca,
cui perciò fu aperto processo. Egli ricoverò a Como; poi giustificatosi,
tornò più glorioso, aggiungendosi alla virtù il lustro della
persecuzione. Tanto più bramavano i nemici suoi di metterlo per la mala
via, e la fortuna vi mandò tempo.
Tra le brighe di Potenze straniere, ne' Grigioni pigliavano il
sopravento i predicanti, e intendendosela con Zurigo, Berna e Ginevra,
non cessavano di gridare doversi far nello Stato una sola religione;
essere violate le costituzioni pei bocconi stranieri; bisognare qualche
efficace provedimento per rintegrare la libertà, riformare il governo, e
simili frasi, che sempre titillano le orecchie della plebe. Fidati nel
favore di questa, sotto Gaspare Alessi di Gamogaso, da Ginevra venuto
predicante a Sondrio, e destinato rettore del seminario, accozzarono un
loro concilio, prima a Chiavenna presso Ercole Salis, uomo per servigi
ed ingegno in gran nome, poi a Berguns, paese romancio alle falde
pittoresche dell'Albula. Ivi dichiararono la fazione spagnuola funesta
alla Rezia ed alla religione, micidiale l'alleanza di Francia, buona
quella sola di Venezia: gridarono contro gli Austriaci, e che v'erano
maneggi per quelli, e che il governatore di Milano sparnazzava denari
per la Valtellina, e che per reprimerli si doveva stabilire il tribunale
inquisitorio, il quale correggesse la costituzione, venuta omai in gran
punto. Il popolo gli ascolta: Ercole Salis se ne fa capo: l'Engaddina e
la Bregalia levansi in arme: i castelli dei Planta fautori degli Ispani
son diroccati: uomini malfattori entrano a forza in Coira, e dispersi o
carcerati come ribelli i preti e persone di gran bontà, conduconsi a
Tusis, paese romancio a piè del fertile Heinzenberg fra il Reno
posteriore e la formidabile Nolla: ed ivi stanziando le venticinque
bandiere con un migliajo e mezzo di soldati, proclamano tredici capitoli
per conservare la libertà, e piantano lo _Straffgericht_, aggiungendovi
un consiglio di predicanti (1618).
Accintisi a rintegrare la libertà politica col solito modo di togliere
ogni libertà legale, una furia d'accusatori sbuca addosso a quanti erano
sospetti. Le prime sette sentenze furono pubblicate da' giudici stessi
con prefazione apologetica; e subito tradotte in italiano, francese,
olandese, vennero dapertutto esecrate per atrocità. Giambattista
Prevosti detto Zambra, di settantaquattro anni e podagroso, quasi avesse
favorito l'erezione del forte di Fuentes fu decapitato: una taglia su
Rodolfo e Pompeo Planta, Lucio da Monte, Giovanni Antonio Gioverio, il
Castelberg abate di Dissentis, e se possano cogliersi vengano fatti in
quarti: Daniele Planta, nipote dei predetti, Antonio Ruinello, Pietro
Leone di Cernetz, Teodosio Prevosti della Bregalia, Giuseppe Stampa e
suo figlio Antonio, Agostino Traversi e il padre Felice di Bivio,
all'esiglio per tutta la vita; per quattro anni Andrea Jennio console di
Coira, Antonio Molina e Gianpaolo interprete del re di Francia, Andrea
Stoppani prete di Ardetz; tolti i beni e la mitra a Giovanni Flug
vescovo di Coira, e ucciso se sia côlto: multata di ventimila fiorini la
città di Coira, come ispanizzante; il pastore di essa Giorgio Salutz
escluso dal sinodo; e tacendo varj multati, dannato a morte in
contumacia il capitano Giovanni De' Giorgi; fra i Valtellinesi, Anton
Maria e Giovanni Maria Parravicini e Giovanni Francesco Schenardi a
morte; a quattro anni di esiglio Nicola Merlo di Sondrio e Giovanni
Cilichino parroco di Lanzada, perchè avea sonato a martello quando fu
arrestato il Rusca: al cavaliere Giacomo Robustello e ad Antonio Besta
bando per un anno e mille zecchini: due anni e seimila zecchini a
Francesco Venosta; minor pena a Giovanni Battista Schenardi e Francesco
Paravicino d'Ardenno, che settagenario e infermiccio non potendo esser
alzato sulla corda, ebbe serrati i pollici in un torchietto; ma stette
saldo a negare. Il dottore Antonio Federici di Valcamonica, mutatosi per
opinioni religiose in Valtellina, ove prese moglie a Teglio e si fe
protestante, diede voce che Biagio Piatti, cattolico infervorato di
questo paese, avesse subornato un fratello di lui ed altri della
Valcamonica, perchè venissero e uccidessero i Protestanti di Boalzo
mentre assistevano alla predica. Il Piatti fu arrestato con supposti
complici; e messo alla tortura, confessò quanto si volle e fu
decapitato: intanto che un fratello di esso uccideva Paolo Besta che
aveva recato l'ordine dell'arresto: mandaronsi uffiziali che cacciassero
di Valtellina gli oratori quaresimali, assistessero i pretori
nell'applicare gli editti de' signori, istituissero processi di maestà.