Gli eretici d'Italia, vol. III - 04
governo secolare e primarj nelle assemblee del regno. Ma queste cure
secolari distrassero talvolta gli arcivescovi dall'attendere alle
ecclesiastiche, e vedemmo come a Milano si dilatassero le sêtte dei
Patarini, della Guglielmina, de' Nicolaiti, e con quanto stento Pier
Damiani e sant'Anselmo inducessero questa diocesi al celibato
sacerdotale e alla soggezione a Roma.
Indizj che non trascurammo rivelano come di quelle sêtte non fosse mai
divelta affatto la radice. Gli studj umanistici, che quivi prosperarono
sotto la protezione de' Visconti, dovettero fomentarvi quello spirito
d'esame e di scherno che accompagnò la rinascenza, sicchè presto vi
ottennero ascolto le dottrine predicate in Germania. Fin dal 1521,
correvano a Milano versi in lode di Lutero, e che finivano:
_Macte igitur virtute, pater celebrande Luthere,_
_Communis cujus pendet ab ore salus;_
_Gratia cui ablatis debetur maxima monstris,_
_Alcidis potuit quæ metuisse manus[46]._
Il rozzo cronista Burigozzo parla come nel 1534 «venne a predicare in
domo un frate de Santo Augustino eremitano; e questo fu una dominica a
dì 25 januario, e predicò tutta la settimana seguente. E la dominica,
primo febraro, annunziò un perdono, con certe bolle de assolvere dei
casi; e fu messo per la cittade le cedole in stampa, qual se contenevano
in ditta bolla; ditto perdono fu messo fôra el dì de santa Maria delle
Candele; e fu fatto procession dal clero. Circondorno la ecclesia del
domo de dentro, e riportorno ditto perdono a loco suo, sempre col ditto
frate e commissario de ditta indulgenzia, e con certi confessionali, sì
per li vivi che per li morti; et ognuno che volea ditta indulgenzia
(dando li danari ch'erano d'accordo), gli davano la ditta carta, e li
metteva suso il nome de colui che pagava, overo de suoi morti; durò
questo circa a otto giorni. Et in questo termino assai homeni
mormoravano, vedendo questa indulgenzia così larga; dondechè fu trovato
questa cosa essere una ribalderia, et essere false le bolle; et a questo
fu preso dicto frate et il commissario; e furono messi in prigion in
casa del capitano de justizia; e gli fu data la corda e tormenti. Al
fine disseno che era vero; e furno reponuti fin a che da Roma venisse la
risposta di quello che di lor far se dovesse; et a questo passò qualche
giorni: al fine fu concluso che fusseno mandati in galea.....»
Egli stesso all'anno seguente ricorda un processo contro sospetti
Luterani, e che gl'imputati, fra cui un prete, dopo lettane la condanna,
furono in duomo riconciliati dall'inquisitore e dall'arcivescovo,
obbligandoli per alcune domeniche a starsi alla porta maggiore, vestiti
di sacco, e con una disciplina flagellarsi dal principio della messa
fino all'elevazione.
Nel 1536 trovandosi a Milano il cardinale Morone, Paolo III con breve 26
giugno gli ordinò di vigilare che si svellessero alcuni errori, che in
quella città andavansi disseminando[47].
Il senato mandò legati ai Grigioni per impedire si eseguisse in
Valtellina il decreto che partecipava ai predicanti i benefizj delle
chiese cattoliche. Venuto nel 1555 governatore il duca d'Alba, famoso
persecutore di Luterani in Ispagna e nel Belgio, esacerbò i rigori, e il
grigione Federico Salis, colle esagerazioni e colla credulità consueta
in tempi faziosi, scriveva al Bullinger aver quello promesso al papa di
sterminare gli eretici dalla Lombardia. Il Fabrizio soggiungeva aver
costui bruciato due Cristiani, un de' quali frate di non sa qual Ordine,
come non ne sa bene la storia; che fu bruciato un sellajo, e appena
passa settimana che non si veda qualche esempio[48]. Frasi da
giornalista, vaghe, nè appoggiate che alla diceria.
Ben è certo che nel 1556 Paolo IV lagnavasi col Morone sudetto,
milanese, che a Milano si fossero scoperte conventicole di persone
ragguardevoli d'ambo i sessi, professanti gli errori di frà Battista da
Crema[49]. Nel registro dei giustiziati, tenuto dalla confraternita di
San Giovanni alle Case Rotte, sotto il 23 luglio 1569 trovo abbruciati
«un frate di Brera e Giorgio Filatore (degli Umiliati) quali erano
luterani»: e un Giulio Pallavicino della Pieve d'Incino eretico, che «fu
messo sul palco in duomo l'anno 1555 e 1573; poi il 1 ottobre 1587 fu
morto, dopo essersi confessato e comunicato.
Fra le _Prediche di teologi illustri_ pubblicate da Tommaso Porcacchi ne
sta una di frate Angelo Castiglione da Genova, recitata nel duomo di
Milano il 1553, per consolare alcuni i quali doveano, subito dopo la
predica, abjurare l'eresia.
Milanese era frà Giulio Terenziano o di san Terenzio, che imprigionato a
Venezia, potè fuggire oltremonti, e stampò opere ereticali col
pseudonimo di Girolamo Savonese. Il Gerdesio (pag. 280) mal lo confonde
con Giulio da Milano, agostiniano apostata, che predicò fra' Grigioni,
e, da Poschiavo apostolava la Valtellina e l'Engadina, in Isvizzera
pubblicò la prima e seconda parte delle prediche da lui recitate in San
Cassiano di Venezia nel 1541, dov'egli stesso narra aver fatto ventidue
prediche, le quali furono condannate. Di lui conosciamo una «Esortazione
al martirio; vi son aggiunte molte cose necessarie di sapere a' nostri
tempi, come vedrai nel voltar del foglio;
«Se a cristiano è lecito fuggire la persecutione per causa della fede;
«La passione di Fannio martire;
«Epistola a li Farisei ampliati;
«Epistola contro gli Anabaptisti, scritta a una sorella d'Italia;
«Una pia meditazione sopra del _Pater noster_[50]».
Morì vecchissimo nel 1571, nè sappiamo di che casato fosse.
Anche frà Girolamo da Milano fe da pastore a Livigno in Valtellina, dove
introdusse dottrine antitrinitarie.
Di connivenza alle massime nuove è prova l'essersi a Milano tenuto gran
tempo per maestro Aonio Paleario, benchè tacciato di disseminarne. E
nella Biblioteca Ambrosiana abbiamo lettere sue, dove ringrazia il
senato perchè neppure in tempo di gran carestia non lo lasciò mancar di
nulla.
Anche Celio Curione, del quale divisammo nel discorso XXIX, sottrattosi
all'Inquisizione piemontese, ricoverò a Milano, v'ottenne una cattedra e
ospitalità dalla famiglia Isacchi, colla quale villeggiava a Barzago in
Brianza, e della quale sposò una fanciulla: e sebbene il papa insistesse
perchè il senato milanese nol tollerasse, i giovani studenti lo
difendeano così, che non si osava porgli addosso le mani; e sol dopo tre
anni ritirossi a Venezia.
Il tante volte citato Caracciolo sa che «a Milano v'erano molti preti e
frati e secolari eretici; capo di questi fu un don Celso canonico
regolare, eretico marcio, e quel che fu peggio, era valente predicatore
e favorito tanto dai nobili e dalla città, che il _povero_ inquisitore,
ancorchè in fin dal principio s'accorgesse delle sue proposizioni
eretiche, tuttavia si ritenne dal processarlo. Costui infettò
particolarmente il castellano suo grande amico. L'esito fu che alla
fine, vedendosi processato dal Muzio per ordine del Sant'Uffizio di
Roma, se ne fuggì a Ginevra, e di là mandava lettere ed avvisi a' suoi
amici».
Intende Celso Martinenghi, bresciano, del quale tocchiamo altrove: ma in
paese nè di lui trovammo menzione, nè di altri. Che però la diffusione
dell'eresia fosse temuta ce l'attesta questa provisione dell'arcivescovo
Arcimboldi, che sedette dal 1550 al 55.
Volendo il reverendissimo ed illust. signor Giovanni Angelo
Arcimboldo, per grazia di Dio e della santa sedia apostolica
arcivescovo di Milano e cesareo senatore, e il molto reverendo
signore Bonaventura Castiglione prevosto di Sant'Ambrogio di
Milano, commissario generale apostolico contro la eretica pravità
in tutto il dominio di Milano, provedere che non seguino
inconvenienti e scandali contro la santa fede cattolica ed
apostolica nella città e diocesi di Milano; anzi volendo a suo
potere provedere alla salute delle anime d'ogni fedele cristiano,
e levare ogni errore e inconveniente che puotesse occorrere: per
tenor delle presenti, ancora con partecipazione e consenso
dell'illustrissimo ed eccelentissimo Senato Cesareo di Milano,
ordinano e comandano che nell'avvenire, nessuno, sia di qual grado
e religione si vegli, nè prete o altra persona ecclesiastica o
laica, non ardisca nella città nè diocesi di Milano in alcuna
chiesa o luogo di qual condizione o sorte si voglia, ancora fosse
nelle loro proprie chiese o case, predicare, o leggere altrui la
Sacra Scrittura, senza speciale licenza in scritto delli prelati
monsignori, proibendo a qualunque prepositi, priori, rettori,
guardiani e ministri delle chiese della città e diocesi di Milano,
che non ammettano alcuno a predicare, nè leggere senza licenzia,
come di sopra, sotto le medesime pene. Ancora non recedendo dagli
altri ordini e cride fatte in questa materia de' libri proibiti,
ordinano e comandano che non sia persona alcuna, di qual stato,
grado o condizione si voglia, la qual presuma condurre, vendere,
nè far vendere, nè donare in modo alcuno libri latini nè volgari,
di qual sorte si voglia, nelli quali si tratta della Sacra
Scrittura, se avanti siano condotti, non presentano alli prefati
monsignori, o a chi sarà da loro a questo deputato, la nota _sine
descriptione_ di tali libri, sotto pena di escomunicazione _latæ
sententiæ_, e di scudi cento per cadauna volta e per cadauno
contrafaciente, la terza parte da esser applicata all'officio de
l'Inquisizione, un'altra terza parte alla Cesarea Camera, e
l'altra terza parte all'accusatore, il quale sarà tenuto secreto,
e se gli darà fede con uno testimonio degno di fede. In le quali
pene incorreranno, e così fin adesso si declara essere incorsi li
conduttori scienti, o compratori di tali libri, ancora che li
libri fossero ascosti in altre robe o mercanzie.
Ancora ordinano e comandano, che tutti li librari e ligatori di
libri, condottieri o venditori, fra due mesi prossimi avvenire
debbano avere fatto inventario di qualunque sorte di libri, così
latini quanto volgari, quali si ritroveranno avere presso di sè e
in suo potere, tanto nelle stanze, quanto nelle botteghe loro, e
presentare l'inventario sottoscritto di loro mani all'officio
delli prefati monsignori, sotto pena di escomunicazione e scudi
cento per cadauno, per la terza da essere applicata all'officio
dell'Inquisizione, un altra terza parte alla Cesarea Camera, e
l'altra terza parte all'accusatore: e nello avvenire non possino
tenere in bottega, nè in casa propria, nè ad altri vendere nè
donare nè comprare alcuni libri che non siano descritti nelle
liste e inventarj presentati all'officio delli suddetti
monsignori. E se si trovasse alcuno, che avesse venduto o donato o
altramente dato alcuno libro, che non si trovasse scritto nelle
dette liste e inventario, _ipso jure et facto_ s'intenda essere
incorsi, ed incorrano nella pena di escomunicazione, e di scudi
dieci per cadauno libro, e qualunque volta; da essere applicati
nelli modi e forme come di sopra; si tenerà secreto l'accusatore,
al quale si crederà con uno testimonio degno di fede, acciocchè
per l'avarizia non si abbiano per librari o mercanti di libri a
non propalare e presentare li libri eretici e proibiti, che per
l'Officio dell'Inquisizione se gli fa sapere, che presentando loro
all'Officio dell'Inquisizione se gli provederà acciò non restino
in danno, mentre la presentazione si faccia fra dieci giorni
prossimi.
Ancora ordinano e comandano a tutti quelli, li quali hanno presso
di sè alcuni libri o scritture, di qual sorte voglia, li quali
siano eretici, o che non si ammettano dalla santa Chiesa cattolica
e apostolica, e siano di qua in dietro per alcun arcivescovo,
inquisitore, sive commissario, proibiti, e massime gli
infrascritti qua di sotto annotati, che, nel termine di mese uno
prossimo, li vogliano avere consegnati nelle mani delli prefati
monsignori, da' quali saranno assolti da tutte le censure e pene,
nelle quali fossero incorsi: e passato detto termine, non si
ammettono più, anzi contra di loro si procederà irremissibilmente
non solo alla pena, nella quale saranno incorsi, ma ancora in
maggiore pena, secondo la qualità delle persone, all'arbitrio
delli monsignori: e chi accuserà sarà tenuto secreto, avrà la
terza delle pene pecuniarie come di sopra.
Ancora ammoniscano ogni e qualunque fedele dell'uno e dell'altro
sesso, o di qualunque stato, grado o condizione e dignità, che,
sotto pena di escomunicazione _latae sententiæ_ e di scudi
cinquanta d'oro, da essere applicati per uno terzo all'ufficio de
l'Inquisizione, un altro terzo alla Cesarea Camera, e un altro
terzo all'accusatore, qual sarà tenuto secreto, infra giorni
trenta dopo la pubblicazione delli presenti, cioè dieci per il
primo, dieci per il terzo e perentorio termine e monizione
canonica, che debbano avere denunciato, revelato e notificato se
hanno conosciuto o udito alcuno eretico, o suspetto, o diffamato
d'eresia in la città o diocesi di Milano. Similmente avere
notificato per nome e cognome tutti quelli, li quali straparlano
delli articoli della fede, delli sacramenti della Chiesa, delle
ceremonie, della autorità del Sommo Pontefice, e delle altre cose
pertinenti alla fede cattolica e sacramenti ecclesiastici.
Similmente quelli che dimandano o pregano li demonj, o che loro
sacrificano, o che li fanno sive prestano altri divini onori, e
chi dà ajuto alli Luterani o altra sorte d'eretici o sospetti
d'eresia. Rendendo sicuro caduno e qualunque che avesse in
premisse cose, o alcuna di loro errato, che comparendo
personalmente innanzi alli sudetti monsignori nel termine d'uno
mese prossimo, si accetteranno a penitenza secreta, e si
libereranno ed assolveranno gratis e senza spesa alcuna.
E più se alcuno Luterano, o altramente eretico, spontaneamente
comparesse e accettasse la penitenza, o non interrogato
denunciasse alcuno complice, esso notificante sarà tenuto secreto,
e guadagnerà il quarto delle pene pecuniarie, e beni che si
potessero esigere e conseguire giustamente, secondo i termini
della ragione di tali complici e delinquenti.
Declarando che, se alcuno contravenisse in alcuna delle sopradette
cose, e da se stesso si notificasse e denunciasse li complici, che
si assolverà dell'escomunicazione e pene, nelle quali fosse
incorso, e se gli darà la terza parte della pena pecuniaria, che
si esigerà dalli complici.
Certificando ogni persona, che le licenze e altre cose, che si
faranno e si concederanno in tutti li premessi casi, si faranno e
concederanno gratis e senza pagamento alcuno, ancora inerendo alle
determinazioni della santa Madre Chiesa, la quale non
immeritamente ha statuito e ordinato per la salute di tutte le
anime, che ogni fidele cristiano dell'uno e l'altro sesso, dopo
che saranno pervenuti alla età della discrezione, ogni e qualunque
suo peccato, almeno una volta l'anno abbiano a confessarsi al
proprio confessore; ingiuntali la penitenza, per le proprie forze
studiino adempirla, pigliando riverentemente almeno ad ogni pasqua
di risurrezione del nostro Signore, il santissimo sacramento della
Eucaristia, salvo se per caso di consiglio del proprio sacerdote,
per qualche giusta e ragionevole causa, si ordinasse che dovesse
astenersene; altramente vivendo, non si ammetta nell'ingresso
della Chiesa, e morendo non gli sia concesso la cristiana
sepoltura.
Oltra di questo, esso monsignor reverendissimo arcivescovo,
inerendo alle determinazioni della santa Madre Chiesa ordina, che
tutti i fedeli cristiani dell'uno e l'altro sesso, vogliano in
qualunque festa di pasqua della resurrezione del nostro Signore, o
almeno per tutta l'ottava d'essa pasqua, confessare i suoi peccati
al sacerdote, e pigliare il santissimo sacramento della
Eucaristia, secondo la predetta determinazione della santa madre
Chiesa: altramente, non rispettando qualità nè grado di persona
alcuna, si scomunicheranno per nomi e cognomi, e saranno cacciati
fuora delle chiese con gran vitupero: e morendo in tale errore e
pertinacia, se sepelliranno al terragio: e a quelli che per due
anni continui non si saranno confessati nè comunicati gli se
procederà contra, e saranno puniti nelle pene di ragione e delli
sacri canoni; etiam, se sarà spediente, con intervento del cesareo
fisco.
Ed acciocchè non si possa pretessere ignoranza, nè pigliare scusa
alcuna, per tenor delli presenti esso monsignore ammonisce per il
primo, secondo, terzo e perentorio termine tutti i prepositi,
rettori, vicerettori, capellani, curati, sacerdoti e altri
ministri delle chiese della città e diocesi di Milano, che in
cadauna e tutte le domeniche della quadragesima di qualunque anno,
alle loro Messe, nelle ore che si troverà congregato maggiore
popolo, sotto pena di escomunicazione e di scudi vinticinque per
cadauno contrafaciente o meno osservatore della presente
ordinazione, da essere applicati alla fabbrica della chiesa
maggiore di Milano, vogliano avvisare ed ammonire tutti li fideli
cristiani, che nella solennità di pasqua scorrente, o almeno per
tutta l'ottava della pasqua, si confessino, e si comunichino come
di sopra, altramente si pubblicheranno per escomunicati. E affine
che le presenti ammonizioni e comandamenti pervenghino a comune
utilità di tutti, dopo la pubblicazione fatta nel cospetto del
popolo, li sudetti monsignori reverendissimo e illustrissimo e
molto reverendo Comissario Generale comettono e mandano, che siano
affisse, inchiodate alle porte della chiesa maggiore di Milano, e
della chiesa di Santo Ambrogio maggiore, e della Scala di essa
città. Nelle altre città del dominio manda il sudetto Generale
Comissario siano affisse alle chiese loro maggiori, acciocchè da
tutti possan essere vedute, lette, ed alla giornata pubblicate, nè
rimanga iscusazione d'ignoranza di non avere inteso quello che si
è patentemente pubblicato. Dato in Milano, l'anno 1551.
Ben presto, a capo dell'arcidiocesi milanese venne uno de' più zelanti
promotori della riforma cattolica, Carlo Borromeo. E in relazione a
quanto accennammo da principio, è notevole l'avversar che fecero i
Milanesi a un santo, il quale, a tacer la pietà, fu ammirato per una
splendidissima carità e per insigni istituzioni, tanto che, in un tempo
dei più esorbitanti, fu presentato all'imitazione come modello di ottimo
patriota[51]. L'emendazione ch'egli volle fare dei frati Umiliati gli
concitò l'inimicizia di questi, spinta fino a tirargli una fucilata. I
gran savj milanesi poi mormoravano che il Borromeo volesse far troppo;
pretendesse al monopolio della carità, anzichè lasciar che tutti la
applicassero come più voleano; criticavano quel che facea, suggerivano
quel che avrebbe dovuto fare; asserivano che il tanto suo adoprarsi
venisse per ambizione d'esser nominato, per fare scomparire gli altri,
per acquistarsi l'aura popolare. Ai pensatori s'insinuava come le tante
sue riforme fossero puerili, da sacristia, come volesse sostituire in
man de' nobili il rosario alle spade, i confratelli ai bravi, i tridui
ai duelli, invilendo così la nazione milanese. Alla plebe si insinuava
com'egli co' suoi divieti contro le profanazioni della festa, contro il
prolungamento delle gazzarre carnovalesche, diminuisse i divertimenti,
che pur sono la ricreazione del povero popolo e un giusto sollievo dopo
tante fatiche. Poi, sempre per patriotismo, s'insinuava all'autorità
ch'egli voleva far prevalere la sua giurisdizione, a scapito della
secolare; che invadeva le competenze del municipio o del governo; che,
durante la peste, quando i governatori erano fuggiti ed egli era rimasto
a dividere ed alleviare i patimenti, aveva sin fatto decreti ed
esecuzioni, represso i ribaldi, e altri atti, che son devoluti solo ai
magistrati.
E coi magistrati sostenne lotte durissime; e i cittadini si piacquero di
trarne occasione di scandali; e il capitolo di Santa Maria della Scala
arrivò fin a chiudergli in faccia la porta della Chiesa: dalla stessa
autorità municipale accusato al papa e al re come trascendente in fatto
di giurisdizione, Carlo più d'una volta dovette interrompere le sante
sue sollecitudini per andar a Roma o spedire a Madrid, onde scagionarsi.
E se non vorremmo sostenere ch'egli avesse sempre ragione nella quantità
e nei modi, nessun ci contraddirà se asseriamo che sempre era mosso da
rettissime intenzioni.
Ciò sia di conforto a' suoi successori; e in simili contrarietà pensino
come la giustizia soglia rendersi anche qui dopo la morte.
Restano, ed hanno vigore ancora moltissimi atti del suo episcopato, ma
pochissimi si riferiscono ad eretici di quel paese. Giulio Poggiano, di
Suna nel novarese, uno de' più belli scrittori latini di quel tempo,
adoprato come secretario di molti cardinali, della Congregazione del
Concilio Tridentino e di san Carlo, in lettera al cardinale Sirleto
descrive la venuta di quest'arcivescovo a Milano nel 1565, e come «cantò
messa nel duomo, dove fu il principe e il senato con tutti li
magistrati..... È ferma opinione che fossero alla messa più di
venticinque mila persone. Un canonico fece una orazione al cardinale
assai impertinente e lunga, _nihil boni præter vocem et latera_. Il
cardinale a mezza messa fece un sermone, nel quale parlò della
giustificazione, a proposito del vangelo _Plantavit vineam_. Della
materia se n'era informato dal padre Benedetto Palmio....»
Da qui appare che il santo toccava anche nelle prediche ai punti
fondamentali della dottrina. Il Poggiano aggiunge: «Ho inteso che, oltre
all'Aonio, qui sono due o tre letterati, ma perchè, non so per qual
disgrazia o maledizione loro, si mormora che sono infetti di opinioni
poco cattoliche, son risoluto di non parlargli, nè vederne alcuno»[52].
La vicinanza della Lombardia al Piemonte pose Filippo II in paura non ne
contraesse le nuove credenze, sicchè insistette presso Pio IV onde
potervi istituire l'Inquisizione alla spagnuola, cioè indipendente dal
vescovo e dai magistrati. Portata la domanda in concistoro, molti
cardinali vi repugnavano; nè il papa inclinava a far questo infausto
dono a' suoi concittadini: pure alfine vi consentì nel 1563.
Sbigottissene il paese, fioccarono i reclami; il governatore Cordova
mandò procurando dissuaderne il re. Al quale la città deputò Cesare
Taverna e Princivalle Besozzi, ma non conosciamo nè le commissioni date
loro nè l'esito. Bensì nell'archivio diplomatico stanno le commissioni,
che furono date ad altri, che al tempo stesso e per lo stesso effetto
erano inviati a Roma. Eccole:
Istruzione di quanto avranno a dir e negoziar in nome di questa
città l'illustre signor conte Sforza Morone e molto magnifico
signor Gotardo Reina, vicario di provisione, oratori in nome di
questa città appresso a sua santità nostro signore.
L'illustri e molto magnifici signori sessanta, rappresentanti il
consiglio generale della città di Milano, hanno fatto elezione
delle persone de v. s. quale vadino a Roma con la maggior celerità
sia possibile, e prima ricorreranno dalli illustrissimi signori
don Aloisio de Avila commendatore maggiore, e ambasciatore Vargas,
e baciatogli le mani in nome di questa città, gli presentaranno le
lettere credenziali che se gli danno, e gli esporranno che,
essendo avvisata e certificata questa città come si tratta di
porre costì una Inquisizione molto più rigorosa del solito, il che
ha fatto stupire, e restar piena di meraviglia tutta la città e
Stato, vedendo che tutte le novità aggravano e danno infinita
discontentezza alli popoli, e eterno aggravio appresso a tutta
Italia e cristianità. Perciocchè essendo stata questa città delle
prime del mondo, che ricevettero la santissima fede del nostro
Signore Gesù Cristo, sino al tempo di San Barnaba apostolo, e così
per mille cinquecento e venti anni e più sempre è perseverata
nella santissima fede cattolica romana, nè mai ha deviato in cosa
alcuna. Questa città fu la principale che scacciò li Ariani, e
sotto li imperatori Greci, che favorivano le eresie più presto si
lasciò quasi distruggere e desolare, che mai consentirgli. Furono
a Milano a migliaja de questi cittadini fatti martiri per non
voler consentire ad adorare li falsi Dei, siccome gli comandavano
Diocleziano e Massimiliano Erculeo imperatori, quale Massimiliano
allora abitava in questa città, e qui depose l'impero, e più sotto
Valerio Maximino suo successore: e come altro Massimiano inondò la
nostra città del sangue de martiri, e molto più sotto l'imperio
del terzo Massimiano erede del tirannico furore del primo e
secondo suoi predecessori, si numerano più martiri milanesi, fatti
per la fede del nostro Signore Gesù Cristo, che non sono di
quattro altre città delle prime. Non si ritrova che da molti e
molti anni in qua a l'ufficio della santissima Inquisizione sia
mai stato, non che condannato, ma anche accusato alcun milanese;
come sua santità potrà venirne in cognizione ordinando che gli sia
fatta relazione delli processi fatti alla santissima Inquisizione,
ovvero mandato li libri. E se alcuni sono stati accusati e
condannati, quali abitavano in questa città, non sono milanesi,
onde non accade la medicina dove il corpo è sano, nè la pena
rigorosissima e il proceder simile dove mai non fu delitto nè
superstizione. Poichè questa nuova istituzione non è mai stata
introdotta nè in questa città, nè in questo Stato nè in alcuna
parte delle nostre regioni, e così siamo perseverati per più di
mille cinquecento venti anni continui, nè ora è accaduto, ovvero
accade cosa, per la quale si abbi di caricar le città dello stato
d'una sì insolita ed infamatoria novità, stando la città e Stato
caricata e colma d'ogni sorta di carichi, nè per soprasomma se gli
dovrebbe aggiungere questa sì universalmente mala contentezza di
tutto lo Stato, il quale presuppone che questo gli sia peggio, che
se tutto fosse distrutto e desolato. E sebbene alcuni delli vicini
sono macchiati della maledetta, e scellerata eresia, non è però da
temere che un popolo, nè alcuno del popolo tanto cattolico, tanto
pio e tanto confirmato nella nostra religione si debba mai partir
o separarsi dall'unione della santa madre Chiesa Romana, nella
quale per tante e tante centinaja d'anni è perseverato e
persevera, il che apertamente dimostrano tanti ospitali, tanti
luoghi pii, tanti monasteri, tante chiese, tante congregazioni,
che si mantengono con le elemosine si fanno, e si edificano ogni
giorno, e si esercitano in questa città, ed il concorso universale
che si fa da tutti e continuamente alli divini officj, e
sagramenti e all'udir le sacre prediche, e a pigliar le santissime
Indulgenze, alle quali tutte concorre indistintamente e a gara
tutto il popolo. Chi potrebbe tener le lagrime veggendo in tutte
le chiese parrocchiali di questa città, quali sono infinite, in un
medesimo tempo pubblicamente esposto il santissimo corpo di nostro
Signor Gesù Cristo, avanti il quale, giorno e notte senza
intermissione ogni sorta di gente umilissimamente con singulti e
pianti, misti con grandissimi prieghi e supplicazioni, e con ogni
sorta di voti supplicano la divina clemenza, ragionando tutti i
tempi delle divine litanie, e d'ogni sorta di salmi e orazioni,
che si degni infondere e inspirare la grazia dello santissimo
Spirito nelli cuori di sua beatitudine, suo vero vicario in terra,
e di S. M. che sono in mani sue, quello che sia per onore della
santissima sua Chiesa e che convenga alla religione e pietà nostra
antichissima, acciocchè dove meritiamo lodi non siamo infamati
appresso tutta la cristianità senza colpa nostra, il che parerebbe
troppo duro a questa città tanto ubbediente, affezionata e schiava
a sua santità e sua maestà, di vedersi con questa innovazione
senza sua colpa quasi infamare. Il che risulterebbe in non poco
dissertivo a S. M. perchè essendo il nervo di questa città le
mercanzie e arti che qua si esercitano, tanto dispiace questa cosa
secolari distrassero talvolta gli arcivescovi dall'attendere alle
ecclesiastiche, e vedemmo come a Milano si dilatassero le sêtte dei
Patarini, della Guglielmina, de' Nicolaiti, e con quanto stento Pier
Damiani e sant'Anselmo inducessero questa diocesi al celibato
sacerdotale e alla soggezione a Roma.
Indizj che non trascurammo rivelano come di quelle sêtte non fosse mai
divelta affatto la radice. Gli studj umanistici, che quivi prosperarono
sotto la protezione de' Visconti, dovettero fomentarvi quello spirito
d'esame e di scherno che accompagnò la rinascenza, sicchè presto vi
ottennero ascolto le dottrine predicate in Germania. Fin dal 1521,
correvano a Milano versi in lode di Lutero, e che finivano:
_Macte igitur virtute, pater celebrande Luthere,_
_Communis cujus pendet ab ore salus;_
_Gratia cui ablatis debetur maxima monstris,_
_Alcidis potuit quæ metuisse manus[46]._
Il rozzo cronista Burigozzo parla come nel 1534 «venne a predicare in
domo un frate de Santo Augustino eremitano; e questo fu una dominica a
dì 25 januario, e predicò tutta la settimana seguente. E la dominica,
primo febraro, annunziò un perdono, con certe bolle de assolvere dei
casi; e fu messo per la cittade le cedole in stampa, qual se contenevano
in ditta bolla; ditto perdono fu messo fôra el dì de santa Maria delle
Candele; e fu fatto procession dal clero. Circondorno la ecclesia del
domo de dentro, e riportorno ditto perdono a loco suo, sempre col ditto
frate e commissario de ditta indulgenzia, e con certi confessionali, sì
per li vivi che per li morti; et ognuno che volea ditta indulgenzia
(dando li danari ch'erano d'accordo), gli davano la ditta carta, e li
metteva suso il nome de colui che pagava, overo de suoi morti; durò
questo circa a otto giorni. Et in questo termino assai homeni
mormoravano, vedendo questa indulgenzia così larga; dondechè fu trovato
questa cosa essere una ribalderia, et essere false le bolle; et a questo
fu preso dicto frate et il commissario; e furono messi in prigion in
casa del capitano de justizia; e gli fu data la corda e tormenti. Al
fine disseno che era vero; e furno reponuti fin a che da Roma venisse la
risposta di quello che di lor far se dovesse; et a questo passò qualche
giorni: al fine fu concluso che fusseno mandati in galea.....»
Egli stesso all'anno seguente ricorda un processo contro sospetti
Luterani, e che gl'imputati, fra cui un prete, dopo lettane la condanna,
furono in duomo riconciliati dall'inquisitore e dall'arcivescovo,
obbligandoli per alcune domeniche a starsi alla porta maggiore, vestiti
di sacco, e con una disciplina flagellarsi dal principio della messa
fino all'elevazione.
Nel 1536 trovandosi a Milano il cardinale Morone, Paolo III con breve 26
giugno gli ordinò di vigilare che si svellessero alcuni errori, che in
quella città andavansi disseminando[47].
Il senato mandò legati ai Grigioni per impedire si eseguisse in
Valtellina il decreto che partecipava ai predicanti i benefizj delle
chiese cattoliche. Venuto nel 1555 governatore il duca d'Alba, famoso
persecutore di Luterani in Ispagna e nel Belgio, esacerbò i rigori, e il
grigione Federico Salis, colle esagerazioni e colla credulità consueta
in tempi faziosi, scriveva al Bullinger aver quello promesso al papa di
sterminare gli eretici dalla Lombardia. Il Fabrizio soggiungeva aver
costui bruciato due Cristiani, un de' quali frate di non sa qual Ordine,
come non ne sa bene la storia; che fu bruciato un sellajo, e appena
passa settimana che non si veda qualche esempio[48]. Frasi da
giornalista, vaghe, nè appoggiate che alla diceria.
Ben è certo che nel 1556 Paolo IV lagnavasi col Morone sudetto,
milanese, che a Milano si fossero scoperte conventicole di persone
ragguardevoli d'ambo i sessi, professanti gli errori di frà Battista da
Crema[49]. Nel registro dei giustiziati, tenuto dalla confraternita di
San Giovanni alle Case Rotte, sotto il 23 luglio 1569 trovo abbruciati
«un frate di Brera e Giorgio Filatore (degli Umiliati) quali erano
luterani»: e un Giulio Pallavicino della Pieve d'Incino eretico, che «fu
messo sul palco in duomo l'anno 1555 e 1573; poi il 1 ottobre 1587 fu
morto, dopo essersi confessato e comunicato.
Fra le _Prediche di teologi illustri_ pubblicate da Tommaso Porcacchi ne
sta una di frate Angelo Castiglione da Genova, recitata nel duomo di
Milano il 1553, per consolare alcuni i quali doveano, subito dopo la
predica, abjurare l'eresia.
Milanese era frà Giulio Terenziano o di san Terenzio, che imprigionato a
Venezia, potè fuggire oltremonti, e stampò opere ereticali col
pseudonimo di Girolamo Savonese. Il Gerdesio (pag. 280) mal lo confonde
con Giulio da Milano, agostiniano apostata, che predicò fra' Grigioni,
e, da Poschiavo apostolava la Valtellina e l'Engadina, in Isvizzera
pubblicò la prima e seconda parte delle prediche da lui recitate in San
Cassiano di Venezia nel 1541, dov'egli stesso narra aver fatto ventidue
prediche, le quali furono condannate. Di lui conosciamo una «Esortazione
al martirio; vi son aggiunte molte cose necessarie di sapere a' nostri
tempi, come vedrai nel voltar del foglio;
«Se a cristiano è lecito fuggire la persecutione per causa della fede;
«La passione di Fannio martire;
«Epistola a li Farisei ampliati;
«Epistola contro gli Anabaptisti, scritta a una sorella d'Italia;
«Una pia meditazione sopra del _Pater noster_[50]».
Morì vecchissimo nel 1571, nè sappiamo di che casato fosse.
Anche frà Girolamo da Milano fe da pastore a Livigno in Valtellina, dove
introdusse dottrine antitrinitarie.
Di connivenza alle massime nuove è prova l'essersi a Milano tenuto gran
tempo per maestro Aonio Paleario, benchè tacciato di disseminarne. E
nella Biblioteca Ambrosiana abbiamo lettere sue, dove ringrazia il
senato perchè neppure in tempo di gran carestia non lo lasciò mancar di
nulla.
Anche Celio Curione, del quale divisammo nel discorso XXIX, sottrattosi
all'Inquisizione piemontese, ricoverò a Milano, v'ottenne una cattedra e
ospitalità dalla famiglia Isacchi, colla quale villeggiava a Barzago in
Brianza, e della quale sposò una fanciulla: e sebbene il papa insistesse
perchè il senato milanese nol tollerasse, i giovani studenti lo
difendeano così, che non si osava porgli addosso le mani; e sol dopo tre
anni ritirossi a Venezia.
Il tante volte citato Caracciolo sa che «a Milano v'erano molti preti e
frati e secolari eretici; capo di questi fu un don Celso canonico
regolare, eretico marcio, e quel che fu peggio, era valente predicatore
e favorito tanto dai nobili e dalla città, che il _povero_ inquisitore,
ancorchè in fin dal principio s'accorgesse delle sue proposizioni
eretiche, tuttavia si ritenne dal processarlo. Costui infettò
particolarmente il castellano suo grande amico. L'esito fu che alla
fine, vedendosi processato dal Muzio per ordine del Sant'Uffizio di
Roma, se ne fuggì a Ginevra, e di là mandava lettere ed avvisi a' suoi
amici».
Intende Celso Martinenghi, bresciano, del quale tocchiamo altrove: ma in
paese nè di lui trovammo menzione, nè di altri. Che però la diffusione
dell'eresia fosse temuta ce l'attesta questa provisione dell'arcivescovo
Arcimboldi, che sedette dal 1550 al 55.
Volendo il reverendissimo ed illust. signor Giovanni Angelo
Arcimboldo, per grazia di Dio e della santa sedia apostolica
arcivescovo di Milano e cesareo senatore, e il molto reverendo
signore Bonaventura Castiglione prevosto di Sant'Ambrogio di
Milano, commissario generale apostolico contro la eretica pravità
in tutto il dominio di Milano, provedere che non seguino
inconvenienti e scandali contro la santa fede cattolica ed
apostolica nella città e diocesi di Milano; anzi volendo a suo
potere provedere alla salute delle anime d'ogni fedele cristiano,
e levare ogni errore e inconveniente che puotesse occorrere: per
tenor delle presenti, ancora con partecipazione e consenso
dell'illustrissimo ed eccelentissimo Senato Cesareo di Milano,
ordinano e comandano che nell'avvenire, nessuno, sia di qual grado
e religione si vegli, nè prete o altra persona ecclesiastica o
laica, non ardisca nella città nè diocesi di Milano in alcuna
chiesa o luogo di qual condizione o sorte si voglia, ancora fosse
nelle loro proprie chiese o case, predicare, o leggere altrui la
Sacra Scrittura, senza speciale licenza in scritto delli prelati
monsignori, proibendo a qualunque prepositi, priori, rettori,
guardiani e ministri delle chiese della città e diocesi di Milano,
che non ammettano alcuno a predicare, nè leggere senza licenzia,
come di sopra, sotto le medesime pene. Ancora non recedendo dagli
altri ordini e cride fatte in questa materia de' libri proibiti,
ordinano e comandano che non sia persona alcuna, di qual stato,
grado o condizione si voglia, la qual presuma condurre, vendere,
nè far vendere, nè donare in modo alcuno libri latini nè volgari,
di qual sorte si voglia, nelli quali si tratta della Sacra
Scrittura, se avanti siano condotti, non presentano alli prefati
monsignori, o a chi sarà da loro a questo deputato, la nota _sine
descriptione_ di tali libri, sotto pena di escomunicazione _latæ
sententiæ_, e di scudi cento per cadauna volta e per cadauno
contrafaciente, la terza parte da esser applicata all'officio de
l'Inquisizione, un'altra terza parte alla Cesarea Camera, e
l'altra terza parte all'accusatore, il quale sarà tenuto secreto,
e se gli darà fede con uno testimonio degno di fede. In le quali
pene incorreranno, e così fin adesso si declara essere incorsi li
conduttori scienti, o compratori di tali libri, ancora che li
libri fossero ascosti in altre robe o mercanzie.
Ancora ordinano e comandano, che tutti li librari e ligatori di
libri, condottieri o venditori, fra due mesi prossimi avvenire
debbano avere fatto inventario di qualunque sorte di libri, così
latini quanto volgari, quali si ritroveranno avere presso di sè e
in suo potere, tanto nelle stanze, quanto nelle botteghe loro, e
presentare l'inventario sottoscritto di loro mani all'officio
delli prefati monsignori, sotto pena di escomunicazione e scudi
cento per cadauno, per la terza da essere applicata all'officio
dell'Inquisizione, un altra terza parte alla Cesarea Camera, e
l'altra terza parte all'accusatore: e nello avvenire non possino
tenere in bottega, nè in casa propria, nè ad altri vendere nè
donare nè comprare alcuni libri che non siano descritti nelle
liste e inventarj presentati all'officio delli suddetti
monsignori. E se si trovasse alcuno, che avesse venduto o donato o
altramente dato alcuno libro, che non si trovasse scritto nelle
dette liste e inventario, _ipso jure et facto_ s'intenda essere
incorsi, ed incorrano nella pena di escomunicazione, e di scudi
dieci per cadauno libro, e qualunque volta; da essere applicati
nelli modi e forme come di sopra; si tenerà secreto l'accusatore,
al quale si crederà con uno testimonio degno di fede, acciocchè
per l'avarizia non si abbiano per librari o mercanti di libri a
non propalare e presentare li libri eretici e proibiti, che per
l'Officio dell'Inquisizione se gli fa sapere, che presentando loro
all'Officio dell'Inquisizione se gli provederà acciò non restino
in danno, mentre la presentazione si faccia fra dieci giorni
prossimi.
Ancora ordinano e comandano a tutti quelli, li quali hanno presso
di sè alcuni libri o scritture, di qual sorte voglia, li quali
siano eretici, o che non si ammettano dalla santa Chiesa cattolica
e apostolica, e siano di qua in dietro per alcun arcivescovo,
inquisitore, sive commissario, proibiti, e massime gli
infrascritti qua di sotto annotati, che, nel termine di mese uno
prossimo, li vogliano avere consegnati nelle mani delli prefati
monsignori, da' quali saranno assolti da tutte le censure e pene,
nelle quali fossero incorsi: e passato detto termine, non si
ammettono più, anzi contra di loro si procederà irremissibilmente
non solo alla pena, nella quale saranno incorsi, ma ancora in
maggiore pena, secondo la qualità delle persone, all'arbitrio
delli monsignori: e chi accuserà sarà tenuto secreto, avrà la
terza delle pene pecuniarie come di sopra.
Ancora ammoniscano ogni e qualunque fedele dell'uno e dell'altro
sesso, o di qualunque stato, grado o condizione e dignità, che,
sotto pena di escomunicazione _latae sententiæ_ e di scudi
cinquanta d'oro, da essere applicati per uno terzo all'ufficio de
l'Inquisizione, un altro terzo alla Cesarea Camera, e un altro
terzo all'accusatore, qual sarà tenuto secreto, infra giorni
trenta dopo la pubblicazione delli presenti, cioè dieci per il
primo, dieci per il terzo e perentorio termine e monizione
canonica, che debbano avere denunciato, revelato e notificato se
hanno conosciuto o udito alcuno eretico, o suspetto, o diffamato
d'eresia in la città o diocesi di Milano. Similmente avere
notificato per nome e cognome tutti quelli, li quali straparlano
delli articoli della fede, delli sacramenti della Chiesa, delle
ceremonie, della autorità del Sommo Pontefice, e delle altre cose
pertinenti alla fede cattolica e sacramenti ecclesiastici.
Similmente quelli che dimandano o pregano li demonj, o che loro
sacrificano, o che li fanno sive prestano altri divini onori, e
chi dà ajuto alli Luterani o altra sorte d'eretici o sospetti
d'eresia. Rendendo sicuro caduno e qualunque che avesse in
premisse cose, o alcuna di loro errato, che comparendo
personalmente innanzi alli sudetti monsignori nel termine d'uno
mese prossimo, si accetteranno a penitenza secreta, e si
libereranno ed assolveranno gratis e senza spesa alcuna.
E più se alcuno Luterano, o altramente eretico, spontaneamente
comparesse e accettasse la penitenza, o non interrogato
denunciasse alcuno complice, esso notificante sarà tenuto secreto,
e guadagnerà il quarto delle pene pecuniarie, e beni che si
potessero esigere e conseguire giustamente, secondo i termini
della ragione di tali complici e delinquenti.
Declarando che, se alcuno contravenisse in alcuna delle sopradette
cose, e da se stesso si notificasse e denunciasse li complici, che
si assolverà dell'escomunicazione e pene, nelle quali fosse
incorso, e se gli darà la terza parte della pena pecuniaria, che
si esigerà dalli complici.
Certificando ogni persona, che le licenze e altre cose, che si
faranno e si concederanno in tutti li premessi casi, si faranno e
concederanno gratis e senza pagamento alcuno, ancora inerendo alle
determinazioni della santa Madre Chiesa, la quale non
immeritamente ha statuito e ordinato per la salute di tutte le
anime, che ogni fidele cristiano dell'uno e l'altro sesso, dopo
che saranno pervenuti alla età della discrezione, ogni e qualunque
suo peccato, almeno una volta l'anno abbiano a confessarsi al
proprio confessore; ingiuntali la penitenza, per le proprie forze
studiino adempirla, pigliando riverentemente almeno ad ogni pasqua
di risurrezione del nostro Signore, il santissimo sacramento della
Eucaristia, salvo se per caso di consiglio del proprio sacerdote,
per qualche giusta e ragionevole causa, si ordinasse che dovesse
astenersene; altramente vivendo, non si ammetta nell'ingresso
della Chiesa, e morendo non gli sia concesso la cristiana
sepoltura.
Oltra di questo, esso monsignor reverendissimo arcivescovo,
inerendo alle determinazioni della santa Madre Chiesa ordina, che
tutti i fedeli cristiani dell'uno e l'altro sesso, vogliano in
qualunque festa di pasqua della resurrezione del nostro Signore, o
almeno per tutta l'ottava d'essa pasqua, confessare i suoi peccati
al sacerdote, e pigliare il santissimo sacramento della
Eucaristia, secondo la predetta determinazione della santa madre
Chiesa: altramente, non rispettando qualità nè grado di persona
alcuna, si scomunicheranno per nomi e cognomi, e saranno cacciati
fuora delle chiese con gran vitupero: e morendo in tale errore e
pertinacia, se sepelliranno al terragio: e a quelli che per due
anni continui non si saranno confessati nè comunicati gli se
procederà contra, e saranno puniti nelle pene di ragione e delli
sacri canoni; etiam, se sarà spediente, con intervento del cesareo
fisco.
Ed acciocchè non si possa pretessere ignoranza, nè pigliare scusa
alcuna, per tenor delli presenti esso monsignore ammonisce per il
primo, secondo, terzo e perentorio termine tutti i prepositi,
rettori, vicerettori, capellani, curati, sacerdoti e altri
ministri delle chiese della città e diocesi di Milano, che in
cadauna e tutte le domeniche della quadragesima di qualunque anno,
alle loro Messe, nelle ore che si troverà congregato maggiore
popolo, sotto pena di escomunicazione e di scudi vinticinque per
cadauno contrafaciente o meno osservatore della presente
ordinazione, da essere applicati alla fabbrica della chiesa
maggiore di Milano, vogliano avvisare ed ammonire tutti li fideli
cristiani, che nella solennità di pasqua scorrente, o almeno per
tutta l'ottava della pasqua, si confessino, e si comunichino come
di sopra, altramente si pubblicheranno per escomunicati. E affine
che le presenti ammonizioni e comandamenti pervenghino a comune
utilità di tutti, dopo la pubblicazione fatta nel cospetto del
popolo, li sudetti monsignori reverendissimo e illustrissimo e
molto reverendo Comissario Generale comettono e mandano, che siano
affisse, inchiodate alle porte della chiesa maggiore di Milano, e
della chiesa di Santo Ambrogio maggiore, e della Scala di essa
città. Nelle altre città del dominio manda il sudetto Generale
Comissario siano affisse alle chiese loro maggiori, acciocchè da
tutti possan essere vedute, lette, ed alla giornata pubblicate, nè
rimanga iscusazione d'ignoranza di non avere inteso quello che si
è patentemente pubblicato. Dato in Milano, l'anno 1551.
Ben presto, a capo dell'arcidiocesi milanese venne uno de' più zelanti
promotori della riforma cattolica, Carlo Borromeo. E in relazione a
quanto accennammo da principio, è notevole l'avversar che fecero i
Milanesi a un santo, il quale, a tacer la pietà, fu ammirato per una
splendidissima carità e per insigni istituzioni, tanto che, in un tempo
dei più esorbitanti, fu presentato all'imitazione come modello di ottimo
patriota[51]. L'emendazione ch'egli volle fare dei frati Umiliati gli
concitò l'inimicizia di questi, spinta fino a tirargli una fucilata. I
gran savj milanesi poi mormoravano che il Borromeo volesse far troppo;
pretendesse al monopolio della carità, anzichè lasciar che tutti la
applicassero come più voleano; criticavano quel che facea, suggerivano
quel che avrebbe dovuto fare; asserivano che il tanto suo adoprarsi
venisse per ambizione d'esser nominato, per fare scomparire gli altri,
per acquistarsi l'aura popolare. Ai pensatori s'insinuava come le tante
sue riforme fossero puerili, da sacristia, come volesse sostituire in
man de' nobili il rosario alle spade, i confratelli ai bravi, i tridui
ai duelli, invilendo così la nazione milanese. Alla plebe si insinuava
com'egli co' suoi divieti contro le profanazioni della festa, contro il
prolungamento delle gazzarre carnovalesche, diminuisse i divertimenti,
che pur sono la ricreazione del povero popolo e un giusto sollievo dopo
tante fatiche. Poi, sempre per patriotismo, s'insinuava all'autorità
ch'egli voleva far prevalere la sua giurisdizione, a scapito della
secolare; che invadeva le competenze del municipio o del governo; che,
durante la peste, quando i governatori erano fuggiti ed egli era rimasto
a dividere ed alleviare i patimenti, aveva sin fatto decreti ed
esecuzioni, represso i ribaldi, e altri atti, che son devoluti solo ai
magistrati.
E coi magistrati sostenne lotte durissime; e i cittadini si piacquero di
trarne occasione di scandali; e il capitolo di Santa Maria della Scala
arrivò fin a chiudergli in faccia la porta della Chiesa: dalla stessa
autorità municipale accusato al papa e al re come trascendente in fatto
di giurisdizione, Carlo più d'una volta dovette interrompere le sante
sue sollecitudini per andar a Roma o spedire a Madrid, onde scagionarsi.
E se non vorremmo sostenere ch'egli avesse sempre ragione nella quantità
e nei modi, nessun ci contraddirà se asseriamo che sempre era mosso da
rettissime intenzioni.
Ciò sia di conforto a' suoi successori; e in simili contrarietà pensino
come la giustizia soglia rendersi anche qui dopo la morte.
Restano, ed hanno vigore ancora moltissimi atti del suo episcopato, ma
pochissimi si riferiscono ad eretici di quel paese. Giulio Poggiano, di
Suna nel novarese, uno de' più belli scrittori latini di quel tempo,
adoprato come secretario di molti cardinali, della Congregazione del
Concilio Tridentino e di san Carlo, in lettera al cardinale Sirleto
descrive la venuta di quest'arcivescovo a Milano nel 1565, e come «cantò
messa nel duomo, dove fu il principe e il senato con tutti li
magistrati..... È ferma opinione che fossero alla messa più di
venticinque mila persone. Un canonico fece una orazione al cardinale
assai impertinente e lunga, _nihil boni præter vocem et latera_. Il
cardinale a mezza messa fece un sermone, nel quale parlò della
giustificazione, a proposito del vangelo _Plantavit vineam_. Della
materia se n'era informato dal padre Benedetto Palmio....»
Da qui appare che il santo toccava anche nelle prediche ai punti
fondamentali della dottrina. Il Poggiano aggiunge: «Ho inteso che, oltre
all'Aonio, qui sono due o tre letterati, ma perchè, non so per qual
disgrazia o maledizione loro, si mormora che sono infetti di opinioni
poco cattoliche, son risoluto di non parlargli, nè vederne alcuno»[52].
La vicinanza della Lombardia al Piemonte pose Filippo II in paura non ne
contraesse le nuove credenze, sicchè insistette presso Pio IV onde
potervi istituire l'Inquisizione alla spagnuola, cioè indipendente dal
vescovo e dai magistrati. Portata la domanda in concistoro, molti
cardinali vi repugnavano; nè il papa inclinava a far questo infausto
dono a' suoi concittadini: pure alfine vi consentì nel 1563.
Sbigottissene il paese, fioccarono i reclami; il governatore Cordova
mandò procurando dissuaderne il re. Al quale la città deputò Cesare
Taverna e Princivalle Besozzi, ma non conosciamo nè le commissioni date
loro nè l'esito. Bensì nell'archivio diplomatico stanno le commissioni,
che furono date ad altri, che al tempo stesso e per lo stesso effetto
erano inviati a Roma. Eccole:
Istruzione di quanto avranno a dir e negoziar in nome di questa
città l'illustre signor conte Sforza Morone e molto magnifico
signor Gotardo Reina, vicario di provisione, oratori in nome di
questa città appresso a sua santità nostro signore.
L'illustri e molto magnifici signori sessanta, rappresentanti il
consiglio generale della città di Milano, hanno fatto elezione
delle persone de v. s. quale vadino a Roma con la maggior celerità
sia possibile, e prima ricorreranno dalli illustrissimi signori
don Aloisio de Avila commendatore maggiore, e ambasciatore Vargas,
e baciatogli le mani in nome di questa città, gli presentaranno le
lettere credenziali che se gli danno, e gli esporranno che,
essendo avvisata e certificata questa città come si tratta di
porre costì una Inquisizione molto più rigorosa del solito, il che
ha fatto stupire, e restar piena di meraviglia tutta la città e
Stato, vedendo che tutte le novità aggravano e danno infinita
discontentezza alli popoli, e eterno aggravio appresso a tutta
Italia e cristianità. Perciocchè essendo stata questa città delle
prime del mondo, che ricevettero la santissima fede del nostro
Signore Gesù Cristo, sino al tempo di San Barnaba apostolo, e così
per mille cinquecento e venti anni e più sempre è perseverata
nella santissima fede cattolica romana, nè mai ha deviato in cosa
alcuna. Questa città fu la principale che scacciò li Ariani, e
sotto li imperatori Greci, che favorivano le eresie più presto si
lasciò quasi distruggere e desolare, che mai consentirgli. Furono
a Milano a migliaja de questi cittadini fatti martiri per non
voler consentire ad adorare li falsi Dei, siccome gli comandavano
Diocleziano e Massimiliano Erculeo imperatori, quale Massimiliano
allora abitava in questa città, e qui depose l'impero, e più sotto
Valerio Maximino suo successore: e come altro Massimiano inondò la
nostra città del sangue de martiri, e molto più sotto l'imperio
del terzo Massimiano erede del tirannico furore del primo e
secondo suoi predecessori, si numerano più martiri milanesi, fatti
per la fede del nostro Signore Gesù Cristo, che non sono di
quattro altre città delle prime. Non si ritrova che da molti e
molti anni in qua a l'ufficio della santissima Inquisizione sia
mai stato, non che condannato, ma anche accusato alcun milanese;
come sua santità potrà venirne in cognizione ordinando che gli sia
fatta relazione delli processi fatti alla santissima Inquisizione,
ovvero mandato li libri. E se alcuni sono stati accusati e
condannati, quali abitavano in questa città, non sono milanesi,
onde non accade la medicina dove il corpo è sano, nè la pena
rigorosissima e il proceder simile dove mai non fu delitto nè
superstizione. Poichè questa nuova istituzione non è mai stata
introdotta nè in questa città, nè in questo Stato nè in alcuna
parte delle nostre regioni, e così siamo perseverati per più di
mille cinquecento venti anni continui, nè ora è accaduto, ovvero
accade cosa, per la quale si abbi di caricar le città dello stato
d'una sì insolita ed infamatoria novità, stando la città e Stato
caricata e colma d'ogni sorta di carichi, nè per soprasomma se gli
dovrebbe aggiungere questa sì universalmente mala contentezza di
tutto lo Stato, il quale presuppone che questo gli sia peggio, che
se tutto fosse distrutto e desolato. E sebbene alcuni delli vicini
sono macchiati della maledetta, e scellerata eresia, non è però da
temere che un popolo, nè alcuno del popolo tanto cattolico, tanto
pio e tanto confirmato nella nostra religione si debba mai partir
o separarsi dall'unione della santa madre Chiesa Romana, nella
quale per tante e tante centinaja d'anni è perseverato e
persevera, il che apertamente dimostrano tanti ospitali, tanti
luoghi pii, tanti monasteri, tante chiese, tante congregazioni,
che si mantengono con le elemosine si fanno, e si edificano ogni
giorno, e si esercitano in questa città, ed il concorso universale
che si fa da tutti e continuamente alli divini officj, e
sagramenti e all'udir le sacre prediche, e a pigliar le santissime
Indulgenze, alle quali tutte concorre indistintamente e a gara
tutto il popolo. Chi potrebbe tener le lagrime veggendo in tutte
le chiese parrocchiali di questa città, quali sono infinite, in un
medesimo tempo pubblicamente esposto il santissimo corpo di nostro
Signor Gesù Cristo, avanti il quale, giorno e notte senza
intermissione ogni sorta di gente umilissimamente con singulti e
pianti, misti con grandissimi prieghi e supplicazioni, e con ogni
sorta di voti supplicano la divina clemenza, ragionando tutti i
tempi delle divine litanie, e d'ogni sorta di salmi e orazioni,
che si degni infondere e inspirare la grazia dello santissimo
Spirito nelli cuori di sua beatitudine, suo vero vicario in terra,
e di S. M. che sono in mani sue, quello che sia per onore della
santissima sua Chiesa e che convenga alla religione e pietà nostra
antichissima, acciocchè dove meritiamo lodi non siamo infamati
appresso tutta la cristianità senza colpa nostra, il che parerebbe
troppo duro a questa città tanto ubbediente, affezionata e schiava
a sua santità e sua maestà, di vedersi con questa innovazione
senza sua colpa quasi infamare. Il che risulterebbe in non poco
dissertivo a S. M. perchè essendo il nervo di questa città le
mercanzie e arti che qua si esercitano, tanto dispiace questa cosa
- Parts
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 01
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 02
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 03
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 04
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 05
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 06
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 07
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 08
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 09
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 10
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 11
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 12
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 13
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 14
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 15
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 16
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 17
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 18
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 19
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 20
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 21
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 22
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 23
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 24
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 25
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 26
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 27
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 28
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 29
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 30
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 31
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- Gli eretici d'Italia, vol. III - 34
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 35
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 36
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- Gli eretici d'Italia, vol. III - 38
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