Gli eretici d'Italia, vol. III - 02
tutti possono vivere senza paura, e godere il proprio bene in pace».
Dacchè in Iscozia spossessavasi Maria Stuarda, la riverenza pei regnanti
era scossa, e i Riformati aveano proposto pure in Francia di
impadronirsi del re e del cardinale di Lorena; ma non riescirono che ad
esasperarli. In realtà gli Ugonotti aspiravano a repubblica e a spezzar
la Francia in provincie confederate: Calvino avea dichiarato che il re,
il quale non ajuta la Riforma, si abdica da re e da uomo, onde perde il
diritto di farsi obbedire, e merita gli si sputi in faccia, come a tutti
i re cattolici. I suoi seguaci formavano quasi una potente massoneria:
aveano fatto molte parziali uccisioni; le insurrezioni succedeano
contemporanee, come allorchè son effetto di intelligenze segrete:
levarono uomini e denari; e nel 1563 settantadue ministri calvinisti
aveano sporto al re una petizione acciocchè prevenisse le eresie e gli
scismi e le turbolenze che ne derivano, punendo severamente gli eretici,
cioè chi dissentiva dalla loro confessione. Pare ancora che il famoso
grancancelliere L'Hopital e il cancelliere Ferrier, protestante celato
che stava ambasciadore a Venezia, e molto stretto con frà Paolo Sarpi,
tramassero per istaccare il re dal papa, e indurlo a costituire una
chiesa nazionale. E già i risoluti allestivansi a guerra rotta; gli
Ugonotti, capitanati dal Condè, non esitarono a ceder all'Inghilterra le
fortezze francesi; e coll'assassinio liberaronsi del duca di Guisa, capo
de' Cattolici. Caterina, più fida al partito nazionale, malgrado i
consigli di Filippo II e del duca d'Alba, credendo suo primo dovere
l'evitar la guerra intestina, sopportava persino le sommosse parziali,
le uccisioni, l'aperta resistenza; cercava tempo dal tempo; dicono gli
uni per debolezza, dicono gli altri per ambizione: l'avrebbero esecrata
come sanguinaria se reprimeva i primi eccessi: l'esecrarono quando di
passo in passo lasciolli crescere fin alla spaventosa catastrofe di San
Bartolomeo.
Il granduca di Toscana avea cercato insinuare di perdere i nemici di
Francia piuttosto in pace che in guerra. «Consideri la santità sua che,
nel travagliare quel regno con l'armi, si fanno ogni dì nemici al re ed
alla religione cattolica, nè può con tutti li ajuti che gli porga
rimediarvi sua beatitudine; anzi, che i tristi si valeranno a suscitar
le genti contra il principe loro naturale con il nome del papa, siccome
si è veduto per il passato; dove che nella pace e quiete del regno sarà
in potere di quelle maestà spegnere quei capi facinorosi e seduttori, e
di questa maniera ridurre il restante a poco a poco e con facilità al
gremio della Chiesa romana»[13].
Pio V, udendo la desolazione della Francia e i pericoli in cui gli
Ugonotti metteano que' regnanti, risolse soccorrerli d'armi e denaro.
Quelle affidò a Lodovico Gonzaga, duca di Nevers; ma di denari mancava,
tutto avendo dato all'imperatore, a Venezia, ai Cavalieri di Malta per
la guerra contro i Turchi; e durando nel proposito di non aggravare di
più i sudditi. Uscì dunque con raccomandazioni, e subito vi risposero
tutti i paesi d'Italia; il senato romano con centomila zecchini,
altrettanto gli ecclesiastici, altrettanto lo Stato: molto i duchi di
Savoja, parenti e vicini ai reali di Francia, ed Emanuele Filiberto
impose ducento mila zecchini ai sudditi: centomila il duca di Toscana,
altrettanti Venezia, ricevendo in pegno sette diamanti della corona:
ducencinquantamila ne votò il clero cattolico. Dove ci pajon notevoli e
la spontaneità di quelle offerte, che attestano come una tal guerra
fosse popolare: e il dispiacere che il papa mostrava di esser costretto
a cercare.
Caterina si era indotta, nel 1568, a concedere l'editto di pacificazione
di San Germano, col quale veniva a riconoscere gli Ugonotti e la
pubblicità del loro culto; e impalmò una sua figliuola ad Enrico re di
Navarra, capo di questi. Il Parlamento negò registrare quell'editto; il
popolo indignavasi del matrimonio, e viepiù quando i seguaci di esso re
ricusarono curvarsi all'effigie della Madonna. Il Correr, ambasciatore
veneto nel 1570, scriveva: «In Parigi il popolo è così devoto, levatone
un picciol numero, e così nemico degli Ugonotti, che con ragione posso
affermare che in dieci città delle maggiori d'Italia non vi sia
altrettanta devozione ed altrettanto sdegno contro i nemici della nostra
fede, quanto in quelle». Commetteansi eccessi contro di loro, a loro
attribuivansi le pubbliche sciagure e inumani delitti, come un tempo
agli Ebrei; ai loro supplizj accorreasi come a una festa, piacendosi
d'atroci mutilazioni.
Crebbe l'ira contro gli Ugonotti dacchè le armi cattoliche di Spagna, di
Venezia e del papa ebber rotta a Lepanto la flotta turca, e salvato da
un'invasione musulmana l'Italia e l'Europa; mal soffrendo che una così
segnalata vittoria si fosse riportata senza che la Francia vi
concorresse. Il nuovo duca di Guisa, caporione del partito cattolico,
viepiù se ne esaltò, e indispettivasi che la decretata tolleranza
scemasse la sua onnipotenza, e fosse rimesso in onore l'ammiraglio di
Coligny, ch'egli credeva autore dell'assassinio di suo padre. Invano
Carlo IX, rinnovato l'editto di pacificazione, volle che i due emuli
giurassero dimenticar le ingiurie. Il Guisa pensò ripagar l'assassinio
coll'assassinio, spedienti allora pur troppo consueti[14]; e il Coligny
fu colpito, non ucciso. Se la tigre assapora il sangue chi più la frena?
e le fazioni son tigri. Quinci e quindi preparavasi una strage
universale; il papa stesso la prevedeva, e ne dava avviso[15]: non
restava che a decidere chi primo. E primi furono i Cattolici, che la
notte di san Bartolomeo del 1572 assassinarono molti Ugonotti, sul cui
numero corre grandissima diversità. L'esecrazione per quel fatto non
potrà esser menomata da ragionamenti; ma i fatti provano che Carlo IX e
Caterina ne erano innocenti, se non ignari; che dovettero consentire a
quel che imponeva o il furor della vendetta o il pericolo di rimanerne
vittima.
Di questi successi noi abbiamo narratore Enrico Caterino Davila
(1576-1631), i cui nomi derivano dal re e dalla regina, benefattori di
suo padre dopo che i Turchi l'ebbero espulso da Cipro dond'era
connestabile. Nacque a Padova, fu lungamente in Francia, della quale
potè veder dappresso gli scompigli e prendervi anche parte. Fedele alla
bandiera cattolica, meno per credenza che per politica, sostiene
continuo la fazione regia; minuzioso come chi è abituato alle
anticamere, pure con occhio arguto scerne le ipocrisie de' partiti,
vagheggia la buona riuscita ottenuta dai furbi o dai forti, e la strage
del san Bartolomeo disapprova solo perchè non raggiunse lo scopo.
Ma che quella fosse una lunga premeditazione ogni carta che si scopre o
che meglio si legge lo smentisce. Se Caterina pensò realmente toglier di
mezzo il Coligny, e il misfatto crebbe a inaspettate proporzioni, ella
non sarebbe men colpevole, ma in modo diverso dal vulgato. Ciò che
sgomenta si è che quell'esecrabile delitto venne festeggiato, quanto
vedemmo ai dì nostri alcuni altri assassinj, fin giustificati
teoricamente: a Roma una medaglia fu coniata per rammemorarlo; il Vasari
lo dipinse; il famoso milanese Francesco Panigarola, predicando in San
Tommaso del Louvre, in presenza a tutta la Corte, congratulava il re
che, dopo aver tanto pazientato, ed esposto l'onor del regno e la
dignità propria a pericoli evidenti, avesse alfine restituito il manto
cilestro e i gigli d'oro alla bella Francia, dianzi abbrunata;
ristabilito la vera religione cristiana nel paese cristianissimo,
purgato dall'infezione dell'eresia quanto è fra la Garonna e i Pirenei,
fra il Reno e il Mare[16]. Il Tasso, e tutti gli scrittori del tempo
magnificano quel fatto. Il Requesens, governatore di Milano, aveva
scritto al granduca: _De Francia tengo casi los mismos. Y me pesa mucho
que non se proceda contra los hereses con el rigor que se començo, y
convenia. Plazera a Dios que el rey cristianissimo tenga el fin que
publica, y a su tiempo tome la occasio._ Poi come ebbe notizia della
strage, al 3 settembre rallegravasi seco _de lo subcesso en la corte de
Francia a los 24 del passado, pues la muerte del Amirante, y de las
mascabeças de Luteranos, que fueron muertos a quel dia por los
Catolicos. Sarà tanta falta a los Ugonotes, y abierto camino al rey
cristianissimo para que, con el buen zelo que tiene, pueda allanar su
regno, y asentar las cossas de la religion como convenga demas delo que
esto ymportara para asentar las cossas de Flandes ecc._
E al 10 settembre: _Espantome que entonces no tuniesse v. e. el aviso de
la muerte del Almirante, y de los demas hereses de Francia. De que con
el ordinario passado me alegre con v. e., come me alegro agora de nuevo,
con la qual cessara lo de la armada de Estrozi: pues se occupara en
cobrar la Rochela, y todos lo demas umores que v. e. dize que se
sospechava que andavan levantandose._
E il 14: _Y es con muy gran razon alegrarse v. e. con migo del buen
subceso de Francia, pues siendo aquel tan en servicio de la
christianidad, y occasion para que el rey christianissimo pueda asentar
las cossas delle como le conviene en su regno. Me avia de caber tanta
parte de contentamiento despues a ca estan estas fronteras quietas, y
nos ôtros mas Plega a Dios dellevallo adelante pues lo que mas conviene
es la paz entre los principes christianos, y atender solo contra los
infieles, ecc._
Anche altre lettere trovammo negli archivj, di congratulazione per quel
fatto, pel quale furono ordinate feste di ringraziamento in tutta
Toscana e altrove, considerandola come un gran pericolo isfuggito.
Effetto immediato della strage in Francia fu il prorompere più violenta
la guerra civile, la quale con variatissimi successi continuò lungo
tempo[17]. Caterina, mescolata per trent'anni a que' fatti, subì giudizj
affatto diversi, certo ebbe molto talento, molta ambizione, molta
abilità, poca morale, badando solo al fine, qual era di salvare il trono
dei Valois.
Sisto V, coll'altissimo sentimento che avea dell'autorità, dovea
condannare i re eretici di Francia, ma al tempo stesso riprovare la Lega
che erasi formata contro di loro. Pertanto non volle continuare i
soccorsi che Gregorio XIII avea dato alla Lega, e quando la Spagna lo
eccitò a mantener le promesse del predecessore, all'ambasciadore che
dicea volergliene far l'intimazione a nome della cristianità egli
rispose: «Se voi mi fate l'intimazione, io vi fo tagliar la testa».
Insieme però nel settembre 1585 avventava la scomunica a Enrico di
Navarra ed Enrico di Condè, rimasti caporioni del partito ugonotto. Il
parlamento di Parigi ricusò registrar la bolla; il re di Navarra fece
affiggere in Roma una protesta, ove lo chiamava falso papa ed eretico, e
che lo proverebbe in un Concilio legittimamente radunato.
Sisto s'inviperì di tale atto, poi meravigliandosi che alcuno avesse
tanto osato, malgrado il terrore che ispirava, prese buon concetto di
quel principe; mentre d'Enrico III, altro figlio di Caterina, prevedeva
che il suo carattere lo condurrebbe al punto di dover gittarsi in
braccio agli Ugonotti. Così fu, e questo re che già s'era disonorato in
Polonia, trovò un fanatico che l'uccise in nome della religione
cattolica, come in nome della protestante era stato assassinato il
Guisa.
Toccava allora la corona di Francia al re di Navarra col nome di Enrico
IV, ma era costretto conquistarsela. Sono vicende famose per istorie e
poemi, dove noi tocchiam soltanto di volo ciò che appartiene all'Italia.
La Lega formata dai Cattolici per respinger il re ugonotto, ebbe ajuti
da Filippo II di Spagna, che vi mandò Alessandro Farnese duca di
Parma[18] uno de' migliori generali del mondo, e che allora guerreggiava
i Protestanti ribellati nelle Fiandre. Uom positivo quanto valente
capitano, non ambiva la gloria, ma la riuscita; nulla abbandonava al
caso, ma colla lentezza assicuravasi i successi. Se Enrico IV gli facea
dire da un araldo «Uscite dal vostro coviglio, e venite ad affrontarmi
in campo aperto», egli rispondeva: «Non ho fatto tanto viaggio per venir
a prender consiglio da un nemico». In fatto con sapiente inazione riuscì
a vittovagliare l'assediata Parigi: come un'altra volta, accorso in
ajuto del circondato Mayenne, a Caudebec ne salvò tutto l'esercito,
sotto gli occhi d'Enrico.
In questi successi volea vedersi direttamente la mano di Dio. Per
sostener il coraggio degli assediati, il papa avea spedito legato il
cardinale Cajetano, a cui si accompagnò il milanese padre Panigarola.
Questi era stato in patria scolaro di Primo Conti e d'Aonio Paleario:
dotato di prodigiosa ritentiva, a soli tredici anni fu mandato a Pavia a
studiar leggi, ed è bello udirgli dipingere la dissipazione degli
studenti d'allora. «A poco a poco (narra egli di sè) così sviato
divenne, che questione e rissa non si facea, dove egli non intervenisse,
e notte non passava, nella quale armato non uscisse di casa. Accettò di
più d'esser cavaliero e capo della sua nazione, che è uffizio
turbolentissimo, e amicatosi con uomini faziosi di Pavia, più forma
aveva ormai di soldato che di scolare. Nè però mancava di sentire in
alcun giorno li suoi maestri,... de' quali, sebbene poco studiava le
lezioni, le asseguiva nondimeno colla felicità dell'ingegno, e le
scriveva; e quando andava talora a Milano, così buon conto ne rendeva al
padre, che levava il credito alle parole di quelli, che per isviato
l'aveano dipinto. Si trovò egli con occasione di queste brighe molte
volte a Pavia in grandissimi pericoli della vita; e fra gli altri
trovandosi presso San Francesco in una zuffa fra Piacentini e Milanesi
ove fu morto un fratello del cardinale Della Chiesa, da molte
archibugiate si salvò collo schermo solo d'una colonna, ove pur anche ne
restano impressi i segni»[19]. Dopo gioventù così dissipata andò
francescano, e preso a modello il famoso oratore Cornelio Musso, salse
anch'egli in gran celebrità; dove arrivava era accolto a battimani, e
spesso costretto recitare un discorso prima di riposarsi.
A istanza di Pio V ito a Parigi, fu festeggiato, massime da Caterina
regina. Tornato in Italia il 1573, continuò i trionfi, e venne fatto
vescovo d'Asti nel 1587. Per verità egli non mostra conoscere nè la
teologia abbastanza, nè il cuore umano; ma parla vigoroso, e forse più
vigoroso declamava; donde quei grandi effetti. Da Sisto V rispedito in
Francia il 1589, dal pulpito esaltava gli avvenimenti coi paragoni di
Betulia liberata e di Senacherib: sul testo _Ecce motus magnus factus
est in mari, ita ut navicula operiretur fluctibus_, confortava i
Parigini a sostener que' patimenti, assomigliati a quelli di Cristo;
prometteva a nome del papa un giubileo speciale: esortava a respinger la
milizia inglese, «le cui crudeltà sono scritte con il sangue nei
sobborghi vostri», e vendicarsi de' Politici e del re di Navarra,
raffigurato in Acabbo.
Ma il Farnese morì, ed Enrico IV calcolò che il regno di Francia poteva
anche comprarsi con una messa[20]. Cercò dunque riconciliarsi col
pontefice; fece l'abjura: e alfine fu ricevuto all'assoluzione,
imponendogli di ristabilire il culto cattolico in tutto il Bearn;
pubblicare in Francia il Concilio di Trento, salvo certe modificazioni;
restituire al clero cattolico tutti i beni, escludere i Protestanti da
ogni pubblica carica; a lui personalmente imponevasi di sentir messa
conventuale tutte le domeniche, e messa privata ogni giorno, dire il
rosario tutte le domeniche, le litanie tutti i mercoledì, digiunare
tutti i venerdì, confessarsi e comunicarsi almen quattro volte l'anno.
Il 15 novembre 1595 si fe la cerimonia, che pel papato riusciva un
insigne trionfo dopo tante umiliazioni. In San Pietro, ornato colla
massima pompa, il pontefice Clemente VIII nell'arredo più splendido
sedeva sul trono, circondato da' cardinali e dalle cariche di palazzo: e
con dodici penitenzieri portanti la bacchetta. I cardinali D'Ossat e Du
Perron, incaricati di rappresentare il re, lessero la professione di
fede, e promisero le condizioni imposte. Intonossi il _Miserere_,
durante il quale il papa con una verga batteva or l'uno or l'altro dei
due messi, e dichiarò assolto il re, e tornogli il titolo di
cristianissimo. Allora proruppero i canti del gaudio, accompagnati da
organi, campane, cannoni: e il papa abbracciando i due procuratori
disse: «Mi reputo felice di aver aperto al vostro signore le porte della
Chiesa militante». Du Perron soggiunse: «Accerto vostra beatitudine che,
colla fede e colle opere buone, egli aprirà a se stesso le porte della
trionfante».
Il papa anche nell'interesse mondano aveva di che esultare, poichè da
quell'istante cessava di esser protetto soltanto dalla Spagna, sincera e
convinta cattolica, ma dura e imperiosa, e trovava un nuovo appoggio in
questa Francia bizzarra e generosa. Enrico, che pur non s'intendeva
molto di libertà religiosa, meritò da Clemente VIII quell'elogio: _nihil
sibi de religione adsumens_. E quando fu ucciso[21], Paolo V disse al
cardinal d'Ossat: «Voi avete perduto un buon padrone, io il mio braccio
destro»; e scrisse alla vedova Maria de' Medici una lettera di cui
trovammo la bozza al Nº 4029 dell'Archivio Mediceo: «La morte del re
Enrico, che sia in gloria, essendo caso così grave e acerbo che eccede
ogni esempio, dovrà credere la maestà vostra che sia altrettanto grave
ed acerbo e con ogni eccesso d'amore il dispiacere con che sentiamo
ancor noi questa disgrazia, la quale tanto più punge e ferisce l'animo
nostro, quanto che partecipandone così gran parte, non conosciamo che
questo rispetto possa diminuire in lei il suo dolore ecc.»[22].
Noi ci limiteremo a riflettere come Caterina proclamasse la tolleranza
religiosa, e i Cattolici vi si opposero fino a proromperne la guerra
civile: Carlo IX rinnovò l'editto di pacificazione, e vi rispose la
micidiale notte di san Bartolomeo: Enrico III non vi riuscì per
opposizione della Lega: Enrico IV potè stabilirla mediante l'editto di
Nantes, che però fu revocato da quel che i Francesi chiamano il gran re.
Se ne argomenti qual concetto s'avesse della tolleranza religiosa.
NOTE
[1] Il P. Theiner occupa tre volumi in-folio sol per narrare di questo
pontificato.
[2] DE THOU, L. LXXIX.
[3] Nel carteggio de' Medici a Firenze, filza 255, si vede quanto fosse
approvata e festeggiata l'elezione del cardinal Montalto.
[4] Vedi sopra a pag. 386 il volume precedente. Anche il marchese Muti
scriveva al duca di Savoja che, mentre Sisto V era malato, gli comparve
in camera un frate vestito di bianco, ch'era il diavolo, e gli rammentò
come fosse scaduto il tempo pattuito, e bisognava andarsene con lui: che
il papa non volle confessarsi: e morto che fu, un uccellaccio volò
attorno alla sua finestra, e il cielo da sereno si fe bujo; scoppiarono
fulmini, e uno colpì lo stemma papale sul ghetto degli Ebrei.
E sopra relazioni siffatte tessono le loro storie l'arguto Petrucelli ed
altri.
Vedasi J. LORENTZ, _Sixtus V und seine Zeit_. Magonza 1832.
[5] Questa ottenne a suo zio Antonio l'abazia di Fleury, il vescovado
d'Orleans, il cappello rosso, l'arcivescovado di Tolosa: a Carlo suo
fratello l'abazia di Bourgueil e il vescovado di Condom; a Francesco
altro fratello l'abazia di San Cornelio di Compiègne e il vescovado di
Amiens; all'altro di nome Guglielmo il vescovado di Pamiers; due sorelle
furono abadesse l'una a Maubuisson; l'altra a San Paolo in Beauvoisis.
[6] Brantome, suo nimicissimo, non ne intacca la costumatezza. Enrico
IV, pur suo nemico, diceva al presidente Claudio Groulard: «Affedidio,
cosa poteva fare una povera donna, rimasta vedova con cinque figliuoli
sulle braccia e le due famiglie di Navarra e di Guisa anelanti alla
corona? Strane parti doveva ella sostenere per ingannar gli uni e gli
altri, eppure salvar, come fece, i suoi figliuoli, che regnarono
successivamente per la savia condotta di donna tanto accorta. Mi
meraviglio che non abbia fatto di peggio». _Mém. de Groulard_, nel vol.
II della collezione di _Petitot_, pag. 384.
[7] _Discorsi_, lib. II, c. 13.
[8] Il 7 gennajo 1559 da Blois Niccolò Capponi, per man del Tornabuoni
ambasciador fiorentino, mandava al granduca notizie di Francia,
soprattutto lagnandosi che molti colà sostenessero allora le dottrine
luterane, mentre a Ginevra le calviniche; e si leggessero i libri di
Melantone e «di Pietro Martire fiorentino che ne tengono conto»; cerca
si dissuada il papa dal fare il Concilio, asserendo che «se si vien al
Concilio, al certo hanno ragione, perchè si fonderanno in su una cosa
ove si fonda la Chiesa romana anche lei; e se vengono alle mani, la
risoluzione sarà che o non si farà nulla o con poca reputazione».
[9] HAAG, _France protestante_, al nome. Il cardinale Commendone al
cardinale Borromeo scriveva nel dicembre del 1561. «Del vescovo di Troye
in Campagne mi hanno detto per cosa certa come, già pochi giorni, egli
ha solennemente renunziato il vescovado e l'Ordine, e presa _manuum
impositionem_ dalli ministri calviniani con queste solenni parole:
_Abrenuntio manuum impositionem papisticæ sathanicæ_: e che avea voluto
predicare nella chiesa di San Giovanni di Troye come ministro
calviniano; ma che gli fu proibito dal conte d'Eo governatore della
provincia, per paura che non si levasse tumulto nella città. Questo
vescovo, ora ministro del demonio, fu figliuolo del principe di Melfi,
fuoruscito di Napoli, di casa Caracciolo, stato soldato, frate, abbate,
vescovo; e nel 1556 fu a Roma, dove fu accusato d'eresia, e che avesse,
come veramente aveva, contaminato lui stesso gran parte della sua
diocesi. Ora dicono ch'egli è in Parigi con gli altri ministri: dove
vivono con somma licenza, poichè già si predica in più case dentro della
città..... e con tanta insolenza che, già pochi dì, sonandosi le campane
di San Medardo, dove vicino abita il Beza, egli mandò a comandare che
non si sonasse, e non volendo colui che sonava obbedire, fu ammazzato
insieme con altri preti». Nell'_Archivio Vaticano_.
[10] Si dice che i Riformati fossero due milioni. Sarebbero il sesto
della popolazione, giacchè il primo censimento, fatto il 1702, dopo
tante annessioni, diede 19 milioni d'abitanti: nè poteano esser più di
12 milioni al tempo della Riforma. Eran però pensatori e proprietarj,
sicchè quella era veramente una rivolta politica contro la monarchia.
[11] Di Caterina stavano molto in sospetto i Cattolici; e il cardinale
Commendone ai 12 ottobre 1561 scriveva al cardinale Borromeo: «Monsignor
di Granuela....... m'ha detto come la regina non vuole udir consiglio,
nè conoscere il pericolo nel quale si ritrova, nè ammettere l'offerte
del re cattolico e delli duchi di Savoja e di Lorena a stabilimento suo
e de' figliuoli, e che ogni dì va perdendo autorità, ed all'incontro la
casa di Vendome l'acquista..... Appresso mi ha detto che frà Pietro
Martire (Vermiglio) ha di continuo adito aperto alla regina, e sebbene
non dubita della buona mente di S. M., teme nondimeno ciò portare gran
pregiudizio alla causa, sgomentando li Cattolici, e dando ardire agli
Eretici. Similmente ha mostrato maraviglia e dispiacere assai che il
reverendo legato (il cardinale di Ferrara) dimostri molta amorevolezza e
confidenza con la casa di Vendome, usando molti rispetti verso gli
eretici». _Arch. Vaticano._
In una relazione di Francia al duca di Toscana 13 maggio 1563, filza
4012, dopo la pace, si scrive:
«Il cardinale privato di Sciattliglion avea scritto alla regina che
saria andato presto a trovare sua maestà e saria andato in abito di
gentiluomo e cavaliero, avendo lasciato la impurità della veste romana,
per dir quelle parole ch'egli temerariamente e insolentemente usa».
Tra i famigliari di Caterina de' Medici fu Giacomo Corbinelli,
d'illustre famiglia fiorentina e di bella coltura, e che pel primo
pubblicò il libro di Dante del Vulgare Eloquio. Lo storico De Thou dice
di lui: «Non sapevasi di qual religione fosse: era d'una religione
politica _alla fiorentina_, ma era uomo di buoni costumi».
Cosmo Ruggeri fiorentino s'introdusse alla Corte di Caterina de' Medici;
e pien di talento e di sfacciataggine, ottenne onori e soldi. Tirò
l'oroscopo de' signori della Corte: cominciò a far almanacchi ogni anno,
sparsi di sentenze d'autori latini. Venuto in fin di morte, ed esortato
a pensar a Dio, prese in burla il curato e i Cappuccini, protestando
aver sempre creduto non v'abbia altro Dio se non i re e principi che
possono farci del bene, nè altri diavoli sè non i nemici che ci
tormentano in questo mondo. Morto in tali sentimenti, il suo cadavere fu
strascinato ove si sepelliscono le bestie. Molto s'applicò alla magia,
fu accusato di sortilegj contro Carlo IX ed Enrico IV.
[12] A proposito di martiri d'eretici va citata un'opera di Feliciano
Niguarda, oratore nel Concilio di Trento, poi vescovo di Como, _Assertio
fidei catholicæ adversus articulos utriusque confessionis fidei Annæ
Burgensis juris doctoris, et in academia aurelianensi olim professoris,
ac postremo parlamenti parisini senatoris: quam ipse eidem parlamento
obtulit cum, propter hæresim diu in carcere inclusus, paucis post diebus
ad supplicium esset deducendus: nec non adversus pleraque id genus alia.
Præterea contra ejusdem mortis historiam, quæ martyrium inscribitur,
Lutetiæ editum; deque hæreticorum miraculis specialis additur
articulus_. Venezia 1563.
[13] Lettera del 6 ottobre 1570 a Nofri Camajani ambasciadore a Roma,
nell'Archivio centrale di Firenze, _Carteggio di Roma_, app. LXXXII.
Delle cose di Francia abbiam parlato nel vol. II, pag. 408.
[14] Sull'assassinio politico abbiam noi raccolto bizzarre
particolarità, e pubblicate nelle Spigolature degli archivj di Firenze.
[15] Il 27 giugno 1566 Pio V scriveva a Caterina lamentandosi che, sotto
il nome della pace, crescesse di tanto l'ardire de' Riformati, e da ciò
prendesser ansa anche altri. _Non est quod quisquam istos Dei et vestros
rebelles atque hostes patiendo, tollerando, dissimulando ad sanitatem
redituros esse speret; et nescio quam temporis maturitatem expectandam
censeat, et illo pacificationis edicto paci regni consuli existimet.
Crescit eorum in dies furor, augetur animus; quo lenius cum illis
agitur, eo magis eorum corroboratur audacia. Non solum matris Ecclesiæ
obedientiam abjecerunt, sed in primis regiæ potestatis jugum excutere,
et legum ac judiciorum metu abjecto, se se in libertatem asserere et
rapinarum sacrilegiorum, scelerum et flagitiorum omnium licentiam
assequi student. Quo circa majestatem tuam hortamur, monemus et per
omnipotentem Deum obstestamur ut, cum videat jam nihil cunctando et
patiendo perfici, tantum incendium, antequam latius serpeat, extinguere
conetur: si enim hæreticorum sectas alias ex aliis in isto regno in dies
exoriri, et multiplicari permiserit, tum volet illud extinguere cum
minime poterit. Utinam non eveniant ea quæ eventura prædicimus!_
[16] Sermoni del Panigarola, Parigi 1599, in 8º, p. 318.
Oltre i già conosciuti documenti, fu ultimamente dal Theiner Ann.
Eccles. pubblicata la corrispondenza del nunzio Salviati, che conferma
viepiù quel che Ranke, Raumer, Mackintosch ed altri protestanti
sostennero, essere quello un delitto politico, non un delitto religioso.
Vivissima era l'ira del duca di Guisa contro l'ammiraglio Coligny, cui
attribuiva l'assassinio di suo padre. Coligny entrò in Parigi alla testa
di trecento gentiluomini, quando trattavasi del matrimonio di Enrico di
Navarra con Margherita di Valois: e acquistò le buone grazie di Carlo
IX, che così parea sottrarsi alla dipendenza di Caterina de' Medici e
del duca d'Anjou, e che forse andava a romper guerra a Filippo II per
cacciarlo dai Paesi Bassi. Ciò spiaceva immensamente a quei due, onde
risolsero di uccider l'ammiraglio, ispirati anche da Filippo II. Per
l'uccisione di lui avvenne il massacro.
Il nunzio Salviati sapea solo che si attentava alla vita del Coligny:
nel riferire il fatto dice: «Quand'io scriveva i giorni passati che
l'ammiraglio procedeva troppo, e gli si darebbe sulle mani, ero convinto
che non si voleva più sopportarlo: ero confermato in tal opinione quando
scrissi che speravo dar ben presto a sua santità qualche buona notizia,
ma non credevo alla decima parte di quel che ora vedo co' miei occhi...
Dacchè in Iscozia spossessavasi Maria Stuarda, la riverenza pei regnanti
era scossa, e i Riformati aveano proposto pure in Francia di
impadronirsi del re e del cardinale di Lorena; ma non riescirono che ad
esasperarli. In realtà gli Ugonotti aspiravano a repubblica e a spezzar
la Francia in provincie confederate: Calvino avea dichiarato che il re,
il quale non ajuta la Riforma, si abdica da re e da uomo, onde perde il
diritto di farsi obbedire, e merita gli si sputi in faccia, come a tutti
i re cattolici. I suoi seguaci formavano quasi una potente massoneria:
aveano fatto molte parziali uccisioni; le insurrezioni succedeano
contemporanee, come allorchè son effetto di intelligenze segrete:
levarono uomini e denari; e nel 1563 settantadue ministri calvinisti
aveano sporto al re una petizione acciocchè prevenisse le eresie e gli
scismi e le turbolenze che ne derivano, punendo severamente gli eretici,
cioè chi dissentiva dalla loro confessione. Pare ancora che il famoso
grancancelliere L'Hopital e il cancelliere Ferrier, protestante celato
che stava ambasciadore a Venezia, e molto stretto con frà Paolo Sarpi,
tramassero per istaccare il re dal papa, e indurlo a costituire una
chiesa nazionale. E già i risoluti allestivansi a guerra rotta; gli
Ugonotti, capitanati dal Condè, non esitarono a ceder all'Inghilterra le
fortezze francesi; e coll'assassinio liberaronsi del duca di Guisa, capo
de' Cattolici. Caterina, più fida al partito nazionale, malgrado i
consigli di Filippo II e del duca d'Alba, credendo suo primo dovere
l'evitar la guerra intestina, sopportava persino le sommosse parziali,
le uccisioni, l'aperta resistenza; cercava tempo dal tempo; dicono gli
uni per debolezza, dicono gli altri per ambizione: l'avrebbero esecrata
come sanguinaria se reprimeva i primi eccessi: l'esecrarono quando di
passo in passo lasciolli crescere fin alla spaventosa catastrofe di San
Bartolomeo.
Il granduca di Toscana avea cercato insinuare di perdere i nemici di
Francia piuttosto in pace che in guerra. «Consideri la santità sua che,
nel travagliare quel regno con l'armi, si fanno ogni dì nemici al re ed
alla religione cattolica, nè può con tutti li ajuti che gli porga
rimediarvi sua beatitudine; anzi, che i tristi si valeranno a suscitar
le genti contra il principe loro naturale con il nome del papa, siccome
si è veduto per il passato; dove che nella pace e quiete del regno sarà
in potere di quelle maestà spegnere quei capi facinorosi e seduttori, e
di questa maniera ridurre il restante a poco a poco e con facilità al
gremio della Chiesa romana»[13].
Pio V, udendo la desolazione della Francia e i pericoli in cui gli
Ugonotti metteano que' regnanti, risolse soccorrerli d'armi e denaro.
Quelle affidò a Lodovico Gonzaga, duca di Nevers; ma di denari mancava,
tutto avendo dato all'imperatore, a Venezia, ai Cavalieri di Malta per
la guerra contro i Turchi; e durando nel proposito di non aggravare di
più i sudditi. Uscì dunque con raccomandazioni, e subito vi risposero
tutti i paesi d'Italia; il senato romano con centomila zecchini,
altrettanto gli ecclesiastici, altrettanto lo Stato: molto i duchi di
Savoja, parenti e vicini ai reali di Francia, ed Emanuele Filiberto
impose ducento mila zecchini ai sudditi: centomila il duca di Toscana,
altrettanti Venezia, ricevendo in pegno sette diamanti della corona:
ducencinquantamila ne votò il clero cattolico. Dove ci pajon notevoli e
la spontaneità di quelle offerte, che attestano come una tal guerra
fosse popolare: e il dispiacere che il papa mostrava di esser costretto
a cercare.
Caterina si era indotta, nel 1568, a concedere l'editto di pacificazione
di San Germano, col quale veniva a riconoscere gli Ugonotti e la
pubblicità del loro culto; e impalmò una sua figliuola ad Enrico re di
Navarra, capo di questi. Il Parlamento negò registrare quell'editto; il
popolo indignavasi del matrimonio, e viepiù quando i seguaci di esso re
ricusarono curvarsi all'effigie della Madonna. Il Correr, ambasciatore
veneto nel 1570, scriveva: «In Parigi il popolo è così devoto, levatone
un picciol numero, e così nemico degli Ugonotti, che con ragione posso
affermare che in dieci città delle maggiori d'Italia non vi sia
altrettanta devozione ed altrettanto sdegno contro i nemici della nostra
fede, quanto in quelle». Commetteansi eccessi contro di loro, a loro
attribuivansi le pubbliche sciagure e inumani delitti, come un tempo
agli Ebrei; ai loro supplizj accorreasi come a una festa, piacendosi
d'atroci mutilazioni.
Crebbe l'ira contro gli Ugonotti dacchè le armi cattoliche di Spagna, di
Venezia e del papa ebber rotta a Lepanto la flotta turca, e salvato da
un'invasione musulmana l'Italia e l'Europa; mal soffrendo che una così
segnalata vittoria si fosse riportata senza che la Francia vi
concorresse. Il nuovo duca di Guisa, caporione del partito cattolico,
viepiù se ne esaltò, e indispettivasi che la decretata tolleranza
scemasse la sua onnipotenza, e fosse rimesso in onore l'ammiraglio di
Coligny, ch'egli credeva autore dell'assassinio di suo padre. Invano
Carlo IX, rinnovato l'editto di pacificazione, volle che i due emuli
giurassero dimenticar le ingiurie. Il Guisa pensò ripagar l'assassinio
coll'assassinio, spedienti allora pur troppo consueti[14]; e il Coligny
fu colpito, non ucciso. Se la tigre assapora il sangue chi più la frena?
e le fazioni son tigri. Quinci e quindi preparavasi una strage
universale; il papa stesso la prevedeva, e ne dava avviso[15]: non
restava che a decidere chi primo. E primi furono i Cattolici, che la
notte di san Bartolomeo del 1572 assassinarono molti Ugonotti, sul cui
numero corre grandissima diversità. L'esecrazione per quel fatto non
potrà esser menomata da ragionamenti; ma i fatti provano che Carlo IX e
Caterina ne erano innocenti, se non ignari; che dovettero consentire a
quel che imponeva o il furor della vendetta o il pericolo di rimanerne
vittima.
Di questi successi noi abbiamo narratore Enrico Caterino Davila
(1576-1631), i cui nomi derivano dal re e dalla regina, benefattori di
suo padre dopo che i Turchi l'ebbero espulso da Cipro dond'era
connestabile. Nacque a Padova, fu lungamente in Francia, della quale
potè veder dappresso gli scompigli e prendervi anche parte. Fedele alla
bandiera cattolica, meno per credenza che per politica, sostiene
continuo la fazione regia; minuzioso come chi è abituato alle
anticamere, pure con occhio arguto scerne le ipocrisie de' partiti,
vagheggia la buona riuscita ottenuta dai furbi o dai forti, e la strage
del san Bartolomeo disapprova solo perchè non raggiunse lo scopo.
Ma che quella fosse una lunga premeditazione ogni carta che si scopre o
che meglio si legge lo smentisce. Se Caterina pensò realmente toglier di
mezzo il Coligny, e il misfatto crebbe a inaspettate proporzioni, ella
non sarebbe men colpevole, ma in modo diverso dal vulgato. Ciò che
sgomenta si è che quell'esecrabile delitto venne festeggiato, quanto
vedemmo ai dì nostri alcuni altri assassinj, fin giustificati
teoricamente: a Roma una medaglia fu coniata per rammemorarlo; il Vasari
lo dipinse; il famoso milanese Francesco Panigarola, predicando in San
Tommaso del Louvre, in presenza a tutta la Corte, congratulava il re
che, dopo aver tanto pazientato, ed esposto l'onor del regno e la
dignità propria a pericoli evidenti, avesse alfine restituito il manto
cilestro e i gigli d'oro alla bella Francia, dianzi abbrunata;
ristabilito la vera religione cristiana nel paese cristianissimo,
purgato dall'infezione dell'eresia quanto è fra la Garonna e i Pirenei,
fra il Reno e il Mare[16]. Il Tasso, e tutti gli scrittori del tempo
magnificano quel fatto. Il Requesens, governatore di Milano, aveva
scritto al granduca: _De Francia tengo casi los mismos. Y me pesa mucho
que non se proceda contra los hereses con el rigor que se començo, y
convenia. Plazera a Dios que el rey cristianissimo tenga el fin que
publica, y a su tiempo tome la occasio._ Poi come ebbe notizia della
strage, al 3 settembre rallegravasi seco _de lo subcesso en la corte de
Francia a los 24 del passado, pues la muerte del Amirante, y de las
mascabeças de Luteranos, que fueron muertos a quel dia por los
Catolicos. Sarà tanta falta a los Ugonotes, y abierto camino al rey
cristianissimo para que, con el buen zelo que tiene, pueda allanar su
regno, y asentar las cossas de la religion como convenga demas delo que
esto ymportara para asentar las cossas de Flandes ecc._
E al 10 settembre: _Espantome que entonces no tuniesse v. e. el aviso de
la muerte del Almirante, y de los demas hereses de Francia. De que con
el ordinario passado me alegre con v. e., come me alegro agora de nuevo,
con la qual cessara lo de la armada de Estrozi: pues se occupara en
cobrar la Rochela, y todos lo demas umores que v. e. dize que se
sospechava que andavan levantandose._
E il 14: _Y es con muy gran razon alegrarse v. e. con migo del buen
subceso de Francia, pues siendo aquel tan en servicio de la
christianidad, y occasion para que el rey christianissimo pueda asentar
las cossas delle como le conviene en su regno. Me avia de caber tanta
parte de contentamiento despues a ca estan estas fronteras quietas, y
nos ôtros mas Plega a Dios dellevallo adelante pues lo que mas conviene
es la paz entre los principes christianos, y atender solo contra los
infieles, ecc._
Anche altre lettere trovammo negli archivj, di congratulazione per quel
fatto, pel quale furono ordinate feste di ringraziamento in tutta
Toscana e altrove, considerandola come un gran pericolo isfuggito.
Effetto immediato della strage in Francia fu il prorompere più violenta
la guerra civile, la quale con variatissimi successi continuò lungo
tempo[17]. Caterina, mescolata per trent'anni a que' fatti, subì giudizj
affatto diversi, certo ebbe molto talento, molta ambizione, molta
abilità, poca morale, badando solo al fine, qual era di salvare il trono
dei Valois.
Sisto V, coll'altissimo sentimento che avea dell'autorità, dovea
condannare i re eretici di Francia, ma al tempo stesso riprovare la Lega
che erasi formata contro di loro. Pertanto non volle continuare i
soccorsi che Gregorio XIII avea dato alla Lega, e quando la Spagna lo
eccitò a mantener le promesse del predecessore, all'ambasciadore che
dicea volergliene far l'intimazione a nome della cristianità egli
rispose: «Se voi mi fate l'intimazione, io vi fo tagliar la testa».
Insieme però nel settembre 1585 avventava la scomunica a Enrico di
Navarra ed Enrico di Condè, rimasti caporioni del partito ugonotto. Il
parlamento di Parigi ricusò registrar la bolla; il re di Navarra fece
affiggere in Roma una protesta, ove lo chiamava falso papa ed eretico, e
che lo proverebbe in un Concilio legittimamente radunato.
Sisto s'inviperì di tale atto, poi meravigliandosi che alcuno avesse
tanto osato, malgrado il terrore che ispirava, prese buon concetto di
quel principe; mentre d'Enrico III, altro figlio di Caterina, prevedeva
che il suo carattere lo condurrebbe al punto di dover gittarsi in
braccio agli Ugonotti. Così fu, e questo re che già s'era disonorato in
Polonia, trovò un fanatico che l'uccise in nome della religione
cattolica, come in nome della protestante era stato assassinato il
Guisa.
Toccava allora la corona di Francia al re di Navarra col nome di Enrico
IV, ma era costretto conquistarsela. Sono vicende famose per istorie e
poemi, dove noi tocchiam soltanto di volo ciò che appartiene all'Italia.
La Lega formata dai Cattolici per respinger il re ugonotto, ebbe ajuti
da Filippo II di Spagna, che vi mandò Alessandro Farnese duca di
Parma[18] uno de' migliori generali del mondo, e che allora guerreggiava
i Protestanti ribellati nelle Fiandre. Uom positivo quanto valente
capitano, non ambiva la gloria, ma la riuscita; nulla abbandonava al
caso, ma colla lentezza assicuravasi i successi. Se Enrico IV gli facea
dire da un araldo «Uscite dal vostro coviglio, e venite ad affrontarmi
in campo aperto», egli rispondeva: «Non ho fatto tanto viaggio per venir
a prender consiglio da un nemico». In fatto con sapiente inazione riuscì
a vittovagliare l'assediata Parigi: come un'altra volta, accorso in
ajuto del circondato Mayenne, a Caudebec ne salvò tutto l'esercito,
sotto gli occhi d'Enrico.
In questi successi volea vedersi direttamente la mano di Dio. Per
sostener il coraggio degli assediati, il papa avea spedito legato il
cardinale Cajetano, a cui si accompagnò il milanese padre Panigarola.
Questi era stato in patria scolaro di Primo Conti e d'Aonio Paleario:
dotato di prodigiosa ritentiva, a soli tredici anni fu mandato a Pavia a
studiar leggi, ed è bello udirgli dipingere la dissipazione degli
studenti d'allora. «A poco a poco (narra egli di sè) così sviato
divenne, che questione e rissa non si facea, dove egli non intervenisse,
e notte non passava, nella quale armato non uscisse di casa. Accettò di
più d'esser cavaliero e capo della sua nazione, che è uffizio
turbolentissimo, e amicatosi con uomini faziosi di Pavia, più forma
aveva ormai di soldato che di scolare. Nè però mancava di sentire in
alcun giorno li suoi maestri,... de' quali, sebbene poco studiava le
lezioni, le asseguiva nondimeno colla felicità dell'ingegno, e le
scriveva; e quando andava talora a Milano, così buon conto ne rendeva al
padre, che levava il credito alle parole di quelli, che per isviato
l'aveano dipinto. Si trovò egli con occasione di queste brighe molte
volte a Pavia in grandissimi pericoli della vita; e fra gli altri
trovandosi presso San Francesco in una zuffa fra Piacentini e Milanesi
ove fu morto un fratello del cardinale Della Chiesa, da molte
archibugiate si salvò collo schermo solo d'una colonna, ove pur anche ne
restano impressi i segni»[19]. Dopo gioventù così dissipata andò
francescano, e preso a modello il famoso oratore Cornelio Musso, salse
anch'egli in gran celebrità; dove arrivava era accolto a battimani, e
spesso costretto recitare un discorso prima di riposarsi.
A istanza di Pio V ito a Parigi, fu festeggiato, massime da Caterina
regina. Tornato in Italia il 1573, continuò i trionfi, e venne fatto
vescovo d'Asti nel 1587. Per verità egli non mostra conoscere nè la
teologia abbastanza, nè il cuore umano; ma parla vigoroso, e forse più
vigoroso declamava; donde quei grandi effetti. Da Sisto V rispedito in
Francia il 1589, dal pulpito esaltava gli avvenimenti coi paragoni di
Betulia liberata e di Senacherib: sul testo _Ecce motus magnus factus
est in mari, ita ut navicula operiretur fluctibus_, confortava i
Parigini a sostener que' patimenti, assomigliati a quelli di Cristo;
prometteva a nome del papa un giubileo speciale: esortava a respinger la
milizia inglese, «le cui crudeltà sono scritte con il sangue nei
sobborghi vostri», e vendicarsi de' Politici e del re di Navarra,
raffigurato in Acabbo.
Ma il Farnese morì, ed Enrico IV calcolò che il regno di Francia poteva
anche comprarsi con una messa[20]. Cercò dunque riconciliarsi col
pontefice; fece l'abjura: e alfine fu ricevuto all'assoluzione,
imponendogli di ristabilire il culto cattolico in tutto il Bearn;
pubblicare in Francia il Concilio di Trento, salvo certe modificazioni;
restituire al clero cattolico tutti i beni, escludere i Protestanti da
ogni pubblica carica; a lui personalmente imponevasi di sentir messa
conventuale tutte le domeniche, e messa privata ogni giorno, dire il
rosario tutte le domeniche, le litanie tutti i mercoledì, digiunare
tutti i venerdì, confessarsi e comunicarsi almen quattro volte l'anno.
Il 15 novembre 1595 si fe la cerimonia, che pel papato riusciva un
insigne trionfo dopo tante umiliazioni. In San Pietro, ornato colla
massima pompa, il pontefice Clemente VIII nell'arredo più splendido
sedeva sul trono, circondato da' cardinali e dalle cariche di palazzo: e
con dodici penitenzieri portanti la bacchetta. I cardinali D'Ossat e Du
Perron, incaricati di rappresentare il re, lessero la professione di
fede, e promisero le condizioni imposte. Intonossi il _Miserere_,
durante il quale il papa con una verga batteva or l'uno or l'altro dei
due messi, e dichiarò assolto il re, e tornogli il titolo di
cristianissimo. Allora proruppero i canti del gaudio, accompagnati da
organi, campane, cannoni: e il papa abbracciando i due procuratori
disse: «Mi reputo felice di aver aperto al vostro signore le porte della
Chiesa militante». Du Perron soggiunse: «Accerto vostra beatitudine che,
colla fede e colle opere buone, egli aprirà a se stesso le porte della
trionfante».
Il papa anche nell'interesse mondano aveva di che esultare, poichè da
quell'istante cessava di esser protetto soltanto dalla Spagna, sincera e
convinta cattolica, ma dura e imperiosa, e trovava un nuovo appoggio in
questa Francia bizzarra e generosa. Enrico, che pur non s'intendeva
molto di libertà religiosa, meritò da Clemente VIII quell'elogio: _nihil
sibi de religione adsumens_. E quando fu ucciso[21], Paolo V disse al
cardinal d'Ossat: «Voi avete perduto un buon padrone, io il mio braccio
destro»; e scrisse alla vedova Maria de' Medici una lettera di cui
trovammo la bozza al Nº 4029 dell'Archivio Mediceo: «La morte del re
Enrico, che sia in gloria, essendo caso così grave e acerbo che eccede
ogni esempio, dovrà credere la maestà vostra che sia altrettanto grave
ed acerbo e con ogni eccesso d'amore il dispiacere con che sentiamo
ancor noi questa disgrazia, la quale tanto più punge e ferisce l'animo
nostro, quanto che partecipandone così gran parte, non conosciamo che
questo rispetto possa diminuire in lei il suo dolore ecc.»[22].
Noi ci limiteremo a riflettere come Caterina proclamasse la tolleranza
religiosa, e i Cattolici vi si opposero fino a proromperne la guerra
civile: Carlo IX rinnovò l'editto di pacificazione, e vi rispose la
micidiale notte di san Bartolomeo: Enrico III non vi riuscì per
opposizione della Lega: Enrico IV potè stabilirla mediante l'editto di
Nantes, che però fu revocato da quel che i Francesi chiamano il gran re.
Se ne argomenti qual concetto s'avesse della tolleranza religiosa.
NOTE
[1] Il P. Theiner occupa tre volumi in-folio sol per narrare di questo
pontificato.
[2] DE THOU, L. LXXIX.
[3] Nel carteggio de' Medici a Firenze, filza 255, si vede quanto fosse
approvata e festeggiata l'elezione del cardinal Montalto.
[4] Vedi sopra a pag. 386 il volume precedente. Anche il marchese Muti
scriveva al duca di Savoja che, mentre Sisto V era malato, gli comparve
in camera un frate vestito di bianco, ch'era il diavolo, e gli rammentò
come fosse scaduto il tempo pattuito, e bisognava andarsene con lui: che
il papa non volle confessarsi: e morto che fu, un uccellaccio volò
attorno alla sua finestra, e il cielo da sereno si fe bujo; scoppiarono
fulmini, e uno colpì lo stemma papale sul ghetto degli Ebrei.
E sopra relazioni siffatte tessono le loro storie l'arguto Petrucelli ed
altri.
Vedasi J. LORENTZ, _Sixtus V und seine Zeit_. Magonza 1832.
[5] Questa ottenne a suo zio Antonio l'abazia di Fleury, il vescovado
d'Orleans, il cappello rosso, l'arcivescovado di Tolosa: a Carlo suo
fratello l'abazia di Bourgueil e il vescovado di Condom; a Francesco
altro fratello l'abazia di San Cornelio di Compiègne e il vescovado di
Amiens; all'altro di nome Guglielmo il vescovado di Pamiers; due sorelle
furono abadesse l'una a Maubuisson; l'altra a San Paolo in Beauvoisis.
[6] Brantome, suo nimicissimo, non ne intacca la costumatezza. Enrico
IV, pur suo nemico, diceva al presidente Claudio Groulard: «Affedidio,
cosa poteva fare una povera donna, rimasta vedova con cinque figliuoli
sulle braccia e le due famiglie di Navarra e di Guisa anelanti alla
corona? Strane parti doveva ella sostenere per ingannar gli uni e gli
altri, eppure salvar, come fece, i suoi figliuoli, che regnarono
successivamente per la savia condotta di donna tanto accorta. Mi
meraviglio che non abbia fatto di peggio». _Mém. de Groulard_, nel vol.
II della collezione di _Petitot_, pag. 384.
[7] _Discorsi_, lib. II, c. 13.
[8] Il 7 gennajo 1559 da Blois Niccolò Capponi, per man del Tornabuoni
ambasciador fiorentino, mandava al granduca notizie di Francia,
soprattutto lagnandosi che molti colà sostenessero allora le dottrine
luterane, mentre a Ginevra le calviniche; e si leggessero i libri di
Melantone e «di Pietro Martire fiorentino che ne tengono conto»; cerca
si dissuada il papa dal fare il Concilio, asserendo che «se si vien al
Concilio, al certo hanno ragione, perchè si fonderanno in su una cosa
ove si fonda la Chiesa romana anche lei; e se vengono alle mani, la
risoluzione sarà che o non si farà nulla o con poca reputazione».
[9] HAAG, _France protestante_, al nome. Il cardinale Commendone al
cardinale Borromeo scriveva nel dicembre del 1561. «Del vescovo di Troye
in Campagne mi hanno detto per cosa certa come, già pochi giorni, egli
ha solennemente renunziato il vescovado e l'Ordine, e presa _manuum
impositionem_ dalli ministri calviniani con queste solenni parole:
_Abrenuntio manuum impositionem papisticæ sathanicæ_: e che avea voluto
predicare nella chiesa di San Giovanni di Troye come ministro
calviniano; ma che gli fu proibito dal conte d'Eo governatore della
provincia, per paura che non si levasse tumulto nella città. Questo
vescovo, ora ministro del demonio, fu figliuolo del principe di Melfi,
fuoruscito di Napoli, di casa Caracciolo, stato soldato, frate, abbate,
vescovo; e nel 1556 fu a Roma, dove fu accusato d'eresia, e che avesse,
come veramente aveva, contaminato lui stesso gran parte della sua
diocesi. Ora dicono ch'egli è in Parigi con gli altri ministri: dove
vivono con somma licenza, poichè già si predica in più case dentro della
città..... e con tanta insolenza che, già pochi dì, sonandosi le campane
di San Medardo, dove vicino abita il Beza, egli mandò a comandare che
non si sonasse, e non volendo colui che sonava obbedire, fu ammazzato
insieme con altri preti». Nell'_Archivio Vaticano_.
[10] Si dice che i Riformati fossero due milioni. Sarebbero il sesto
della popolazione, giacchè il primo censimento, fatto il 1702, dopo
tante annessioni, diede 19 milioni d'abitanti: nè poteano esser più di
12 milioni al tempo della Riforma. Eran però pensatori e proprietarj,
sicchè quella era veramente una rivolta politica contro la monarchia.
[11] Di Caterina stavano molto in sospetto i Cattolici; e il cardinale
Commendone ai 12 ottobre 1561 scriveva al cardinale Borromeo: «Monsignor
di Granuela....... m'ha detto come la regina non vuole udir consiglio,
nè conoscere il pericolo nel quale si ritrova, nè ammettere l'offerte
del re cattolico e delli duchi di Savoja e di Lorena a stabilimento suo
e de' figliuoli, e che ogni dì va perdendo autorità, ed all'incontro la
casa di Vendome l'acquista..... Appresso mi ha detto che frà Pietro
Martire (Vermiglio) ha di continuo adito aperto alla regina, e sebbene
non dubita della buona mente di S. M., teme nondimeno ciò portare gran
pregiudizio alla causa, sgomentando li Cattolici, e dando ardire agli
Eretici. Similmente ha mostrato maraviglia e dispiacere assai che il
reverendo legato (il cardinale di Ferrara) dimostri molta amorevolezza e
confidenza con la casa di Vendome, usando molti rispetti verso gli
eretici». _Arch. Vaticano._
In una relazione di Francia al duca di Toscana 13 maggio 1563, filza
4012, dopo la pace, si scrive:
«Il cardinale privato di Sciattliglion avea scritto alla regina che
saria andato presto a trovare sua maestà e saria andato in abito di
gentiluomo e cavaliero, avendo lasciato la impurità della veste romana,
per dir quelle parole ch'egli temerariamente e insolentemente usa».
Tra i famigliari di Caterina de' Medici fu Giacomo Corbinelli,
d'illustre famiglia fiorentina e di bella coltura, e che pel primo
pubblicò il libro di Dante del Vulgare Eloquio. Lo storico De Thou dice
di lui: «Non sapevasi di qual religione fosse: era d'una religione
politica _alla fiorentina_, ma era uomo di buoni costumi».
Cosmo Ruggeri fiorentino s'introdusse alla Corte di Caterina de' Medici;
e pien di talento e di sfacciataggine, ottenne onori e soldi. Tirò
l'oroscopo de' signori della Corte: cominciò a far almanacchi ogni anno,
sparsi di sentenze d'autori latini. Venuto in fin di morte, ed esortato
a pensar a Dio, prese in burla il curato e i Cappuccini, protestando
aver sempre creduto non v'abbia altro Dio se non i re e principi che
possono farci del bene, nè altri diavoli sè non i nemici che ci
tormentano in questo mondo. Morto in tali sentimenti, il suo cadavere fu
strascinato ove si sepelliscono le bestie. Molto s'applicò alla magia,
fu accusato di sortilegj contro Carlo IX ed Enrico IV.
[12] A proposito di martiri d'eretici va citata un'opera di Feliciano
Niguarda, oratore nel Concilio di Trento, poi vescovo di Como, _Assertio
fidei catholicæ adversus articulos utriusque confessionis fidei Annæ
Burgensis juris doctoris, et in academia aurelianensi olim professoris,
ac postremo parlamenti parisini senatoris: quam ipse eidem parlamento
obtulit cum, propter hæresim diu in carcere inclusus, paucis post diebus
ad supplicium esset deducendus: nec non adversus pleraque id genus alia.
Præterea contra ejusdem mortis historiam, quæ martyrium inscribitur,
Lutetiæ editum; deque hæreticorum miraculis specialis additur
articulus_. Venezia 1563.
[13] Lettera del 6 ottobre 1570 a Nofri Camajani ambasciadore a Roma,
nell'Archivio centrale di Firenze, _Carteggio di Roma_, app. LXXXII.
Delle cose di Francia abbiam parlato nel vol. II, pag. 408.
[14] Sull'assassinio politico abbiam noi raccolto bizzarre
particolarità, e pubblicate nelle Spigolature degli archivj di Firenze.
[15] Il 27 giugno 1566 Pio V scriveva a Caterina lamentandosi che, sotto
il nome della pace, crescesse di tanto l'ardire de' Riformati, e da ciò
prendesser ansa anche altri. _Non est quod quisquam istos Dei et vestros
rebelles atque hostes patiendo, tollerando, dissimulando ad sanitatem
redituros esse speret; et nescio quam temporis maturitatem expectandam
censeat, et illo pacificationis edicto paci regni consuli existimet.
Crescit eorum in dies furor, augetur animus; quo lenius cum illis
agitur, eo magis eorum corroboratur audacia. Non solum matris Ecclesiæ
obedientiam abjecerunt, sed in primis regiæ potestatis jugum excutere,
et legum ac judiciorum metu abjecto, se se in libertatem asserere et
rapinarum sacrilegiorum, scelerum et flagitiorum omnium licentiam
assequi student. Quo circa majestatem tuam hortamur, monemus et per
omnipotentem Deum obstestamur ut, cum videat jam nihil cunctando et
patiendo perfici, tantum incendium, antequam latius serpeat, extinguere
conetur: si enim hæreticorum sectas alias ex aliis in isto regno in dies
exoriri, et multiplicari permiserit, tum volet illud extinguere cum
minime poterit. Utinam non eveniant ea quæ eventura prædicimus!_
[16] Sermoni del Panigarola, Parigi 1599, in 8º, p. 318.
Oltre i già conosciuti documenti, fu ultimamente dal Theiner Ann.
Eccles. pubblicata la corrispondenza del nunzio Salviati, che conferma
viepiù quel che Ranke, Raumer, Mackintosch ed altri protestanti
sostennero, essere quello un delitto politico, non un delitto religioso.
Vivissima era l'ira del duca di Guisa contro l'ammiraglio Coligny, cui
attribuiva l'assassinio di suo padre. Coligny entrò in Parigi alla testa
di trecento gentiluomini, quando trattavasi del matrimonio di Enrico di
Navarra con Margherita di Valois: e acquistò le buone grazie di Carlo
IX, che così parea sottrarsi alla dipendenza di Caterina de' Medici e
del duca d'Anjou, e che forse andava a romper guerra a Filippo II per
cacciarlo dai Paesi Bassi. Ciò spiaceva immensamente a quei due, onde
risolsero di uccider l'ammiraglio, ispirati anche da Filippo II. Per
l'uccisione di lui avvenne il massacro.
Il nunzio Salviati sapea solo che si attentava alla vita del Coligny:
nel riferire il fatto dice: «Quand'io scriveva i giorni passati che
l'ammiraglio procedeva troppo, e gli si darebbe sulle mani, ero convinto
che non si voleva più sopportarlo: ero confermato in tal opinione quando
scrissi che speravo dar ben presto a sua santità qualche buona notizia,
ma non credevo alla decima parte di quel che ora vedo co' miei occhi...
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