Donne e fanciulle - 11

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— _M'sieu n'est pas allemand?_
— _Oh, nein, danke!_ — esclamò Francesco ridendo. — _Je suis italien,
mademoiselle._
— _Moi je suis française! Alors, m'sieu, si vous préferéz les Kiryazy
frères?..._
Aveva detto: _Moi je suis française_, con un'espressione d'orgoglio così
aperto, che Francesco levò il capo a guardarla; e l'altra, sotto quello
sguardo curioso, arrossì un poco. L'uomo prese la scatola di sigarette
Kiryazy, salutò ed uscì.
Che bella cittadina, Colmàr! Pacifica, pulita, ridente. Le signore, le
impiegate, le serve, andavano all'ufficio o al mercato in bicicletta;
alcune tenevano presso il manubrio un paniere, da cui pendevan ciuffi
d'insalata e barbe di carote, e pedalavano lestamente per tornare a casa
a preparare la colazione.
Capitato là come fosse caduto dal cielo, non avendo nulla da fare,
Francesco girò per la città a osservare ogni cosa, ed era così
evidentemente ozioso, che una guardia dall'elmo col chiodo appuntito e
dall'ampia barba bionda lo squadrò più volte. Si fermò a guardare la
fontana di Schwendi, Schwendibrunnen, che ha un arco a ciascuna bocca
dell'acqua, e la Pfister Haus, una casa di puro stile tedesco, con un
loggiato scuro, un verone appiccicato e come sospeso sull'angolo, una
torricella poligona al fianco. Gli piaceva tutto; la pace della
cittadina linda rispondeva alla pace del suo cuore; pensava che quando
l'amore è morto, il cuore è tranquillo.
Fece colazione alla Kopfhaus, la casa delle teste, così detta perchè la
decorazione dei varî piani era formata da teste di guerrieri e di
draghi; una bella balconata lasciava traboccare geranii rosei e garofani
rossi. Il frontone a forma di triangolo con certi pinnacoli sui lati e
un pupazzo buffo sul vertice, faceva pensare a una costruzione cinese.
Francesco bevve un eccellente vino bianco del Reno e mangiò con grande
appetito.
— Io sto a Colmàr un anno! — egli promise a sè stesso, mentre tornava
lentamente verso la Rufacherstrasse.
Quando fu per salire all'albergo, s'accorse di non aver fiammiferi, e
procedette fin dal tabaccaio. La fanciulla era ancora dietro il banco, e
leggeva.
— _Alors, mademoiselle est française?_ — disse Francesco sorridendo.
E perchè non aveva nulla da fare, cominciò a discorrere. La fanciulla
discorreva garbatamente, senza timore e senza spavalderia. La sua
famiglia era francese di cuore e di pensiero, nonostante il “_Cigarren
und Cigaretten Importen_„ che si leggeva sull'insegna. Ella, la giovane,
si chiamava Laetitia, in memoria della gran madre dell'Imperatore; e
quantunque non lo dicesse, si sentiva nella sua parola un rancore sordo
contro i tedeschi, contro la dominazione pesante e cortese, rigorosa e
gentile di quei signori. Letizia sognava Parigi; non v'era mai stata; il
papà e la mamma le avevan promesso mille volte di condurla, ma non
avevan mai potuto.
Allora Francesco si fece a descriverle Parigi; e per descriverla meglio,
prese una sedia e vi si accomodò. La fanciulla ascoltava avidamente il
signore dai capelli tutti bianchi e dagli occhi vivi; e, contenta
d'udire che Parigi era una città potente, ricca, una grande città, una
delle più grandi città del mondo, andava interrogando quasi per aver la
conferma di quella ricchezza, di quella potenza.
Sopravvennero alcuni clienti, comperarono, se ne andarono; e la
conversazione riprese. Letizia era felice di non parlare tedesco e di
conoscere una persona che amava la sua Parigi, e Francesco vedeva la
fanciulla così animata, quegli occhi color d'avana così accesi di
piacere, quella bocca grande scoprir denti così belli, che gli pareva di
dir cose straordinarie, d'essere un vecchio amico di Letizia e d'averla
ritrovata a Colmàr dopo una breve lontananza.
Infine, mentre Francesco stava per andarsene, sopraggiunse la madre di
Letizia, una buona signora piuttosto rotonda di forme; allegra e
premurosa, madame Brigitte Gericault riaccese la conversazione, parlando
con tale rapidità che Francesco ne rimase stordito sulle prime, e tornò
a sedersi. In breve, l'amicizia era nata; avendo appreso che il signore
era solo a Colmàr, madame Brigitte si fece ardita, e gli disse che se
qualche volta avesse voluto gustare la cucina francese....
Letizia capì che la mamma si spingeva troppo avanti, e le lanciò
un'occhiata dritta e dura, per fermarla; ma Francesco aveva già
accettato; e allora Brigitte aggiunse che abitavano presso la Casa dei
Cavalieri di San Giovanni, una piccola meraviglia d'arte.
— Io sto a Colmàr un anno! — pensò di nuovo Francesco, uscendo
finalmente sulla strada e avviandosi all'albergo dopo due ore di
conversazione.
Letizia era nel negozio, al banco, la mattina; sua madre la sostituiva
nel pomeriggio, e il babbo stava al banco la sera. Tutte le mattine
Francesco entrava, faceva la sua provvista di sigarette, e sedeva a
chiacchierare. La fanciulla si svelava diversa, a poco a poco, da quella
che Francesco aveva imaginato; era gaia e arguta; lo accoglieva con un
sorriso di piacere e gli raccontava una quantità di piccole cose, di
fanciullaggini, gli rivolgeva domande sull'Italia, di cui aveva idea
come d'un immenso giardino greve di profumi; e Francesco le lasciava
credere, anche per non turbar le sue cognizioni geografiche,
considerando che a scuola le avevano insegnato che “_l'Italie est le
jardin d'Europe_„. Ma da quel chiacchierìo risultava chiaro che la
fanciulla era ingenua, non aveva affezioni all'infuori della mamma e del
babbo e non sapeva nè civetterie nè malizie.
La domenica indossava il costume alsaziano per rispetto alla tradizione.
Il magnifico nastro nero che si apre con le grandi ale sul capo e scende
riccamente lungo il dorso, dando idea d'una immensa farfalla superba che
si fosse fermata sulla testolina della fanciulla, le stava così bene,
che Francesco si lasciò sfuggire un grido d'ammirazione.
— _Vous êtes adorable, mademoiselle!_ — egli esclamò.
Letizia diventò di porpora in volto, balbettò qualche parola, e
Francesco le chiese scusa dell'impeto ammirativo che le era spiaciuto;
poi offerse d'andare a passeggio con la mamma e con lei; e andarono,
camminando adagio, verso quella parte della città che, posta sulle rive
della Lauch, ha l'aspetto d'un pacifico villaggio con la linea delle
case qua e là interrotta da ciuffi di verzura.
Nel tornare, poichè sentiva che Letizia gli teneva ancora il broncio per
il suo elogio un po' brutale, Francesco acquistò da un ragazzetto un
grosso mazzo di viole mammole, umide e odorose, e l'offerse alla
fanciulla. Letizia lo afferrò avidamente, lo partì in due, e ne diede
metà alla mamma.
— Buono, un altro granchio! — pensò Francesco. — Quando si comincia!...
Dovevo offrirle a Brigitte.
Ma l'indomani vide che Letizia aveva appuntato al petto un mazzolino di
quelle viole, e le altre erano in un angolo del banco dentro un vaso di
cristallo, e vi restarono tutta la settimana, fin che caddero a una a
una, appassite.
La cucina di madame Brigitte Gericault era eccellente, e il babbo di
Letizia un brav'uomo semplice, il quale, fatto il suo dovere nel 1870,
rimasto ferito a Gravelotte, non parlava mai nè dell'anno terribile, nè
dei tedeschi. Francesco pranzò due volte in casa dei Gericault, e invitò
due volte la famiglia a pranzar con lui alla trattoria.
Una sera, tornando appunto da uno di quei piccoli pranzi, Francesco
camminava a fianco di Letizia, e dietro, a distanza, venivano i
genitori.
Quantunque non fossero che le nove, la città era presso ad
addormentarsi; i passanti si potevan contare, e la luna splendeva del
suo mite chiarore perlaceo.
Francesco s'arrestò a guardare. Due vie deserte e lunghe gli si aprivano
innanzi, separate da un gruppo di case, che la luna blandiva del suo
raggio. Il silenzio era profondo, e in capo a una strada, unico segno di
vita, brillava un lume rosso. Lo stile di quelle case dal tetto
digradante, su cui a guisa di monelli s'arrampicavano in diverse file
gli abbaini, spirava un'intima armonia con la pace dell'ora.
Mentre Francesco stava per esprimere la sua ammirazione, dalle finestre
del Circolo italiano venne un'ondata di musica, soave e malinconica, la
quale sembrò parlare dei paesi lontani che Letizia sognava, dei giardini
d'Italia, della Francia amata; e si diffuse, e ondulò nell'aria come un
lungo pianto per le cose che non eran più, per le cose che non sarebbero
state mai.
Francesco e Letizia istintivamente si fecero vicini l'uno all'altra, e
ripresero a camminare a capo basso, senza dirsi parola.
Ma quell'ora di strano turbamento non si ripetè. Francesco passava quasi
l'intero giorno nel negozio, e Letizia aveva finito a poco a poco per
trattenervisi ella pure. Lavorava, ascoltando le chiacchiere dell'amico,
e di tanto in tanto alzava il capo a sorridergli, lo guardava negli
occhi, riabbassava la testa a lavorare. Stava ricamando una lunga
striscia di tela da mettere sul cassettone a guisa d'ornamento, e
Francesco fingeva di non capire che le due lettere F. R. a cui la
fanciulla attendeva, non potevano significare Laetitia Gericault. Egli
portava i fiori tutte le mattine, ella se li appuntava al petto, e poi
cominciavano a chiacchierare allegramente. Francesco rideva, perchè in
quella città tedesca non aveva visto che lapidi e monumenti a generali
francesi del primo Impero, cominciando dalla statua a Rapp sull'immensa
piazza che ha il suo nome. Ma certi angoli della città eran deliziosi,
con qualche piccolo canale su cui oscillavano le imbarcazioni lunghe e
strette, simili a piroghe; e la vecchia casa di San Martino, dal cui
verone i fiori porpurei scendevan giù ad animare l'antico legno
scolpito, gli era parsa più bella che la casa dei cavalieri di San
Giovanni, dal doppio loggiato a cinque finestre. Ambedue, Letizia e
Francesco, avevan dimenticato ch'egli era a Colmàr per caso, che un
giorno sarebbe dovuto ripartire; sembrava all'una e all'altro di non
esser mai vissuti, di non dover mai vivere diversamente che nella pace
della piccola città, in cui tutti dormivano alle nove di sera e i
crocicchi di notte rammentavan gli scenarî d'un melodramma. E Letizia,
che aveva sempre odiato Colmàr come la più meschina delle città di
provincia, sentiva d'esserle a un tratto affezionata. Molte cose
originali erano sfuggite allo sguardo della fanciulla, e quando usciva
con la mamma e con Francesco, e questi gliele faceva osservare, Colmàr
prendeva agli occhi di Letizia un nuovo aspetto, un nuovo significato,
quasicchè la parola dell'amico avesse dato un'anima alla cittadina
graziosa. E tutto era allegro intorno, la stagione, il sole, il vento
tepido; la fanciulla non aveva mai sentita così intensa la gioia di
vivere. Più che all'aria di primavera, ella si scaldava a un fuoco
misterioso che aveva nel cuore.
Una mattina Francesco stava discorrendo con la fanciulla d'una gita che
si doveva fare l'indomani a Strasburgo. Egli avrebbe visto, — diceva
Letizia con un sorriso un po' inquieto, — molte belle ragazze in costume
alsaziano, col nastro magnifico sui capelli, e le avrebbe trovate tutte
adorabili come lei. Sarebbero andati a salutare il Reno e i monumenti di
Desaix e Kleber, e la Cattedrale in cui erano le statue della Vergine
folle.... Letizia s'interruppe, vedendo entrare il ragazzo dell'albergo.
Francesco prese dalle mani di lui la sua posta, e il ragazzo se ne andò;
alcune lettere, e tra le lettere un telegramma. Francesco lo aperse, lo
lesse un paio di volte, fece un gesto poi mormorò:
— _Je vais partir. C'est ma femme qui me réclame. Elle est souffrante._
La fanciulla mandò un grido.
— _Votre femme?_ — disse con voce spenta. — _Vous êtes marié?_
Aveva gettato il ricamo sul banco e stava in piedi, tremando tutta, più
bianca della parete a cui s'era addossata per non cadere.
Francesco rispose quasi sottovoce:
— _On le dit!_
— _Vous partez alors?_ — insistette Letizia con le labbra smorte,
squassata tuttavia dal tremito invincibile.
Francesco non rispose, la fanciulla non domandò altro. Nessuno dei due
aveva mai pensato a ciò che sentiva in cuore, e l'uno e l'altra avevano
la rivelazione della crudele verità nell'ora stessa in cui dovevano
separarsi per sempre.
— _Partez, partez vite, aujourd'hui même!_ — mormorò Letizia con voce
rauca. — _Que cette torture incroyable finisse!_
Francesco uscì senz'aggiungere parola. Andò all'albergo, fece preparar
le sue robe, poi si gettò sul letto, e vi rimase a occhi chiusi, non
volendo pensare, non volendo capire, non volendo confessare a sè
medesimo.
Verso sera si recò dai Gericault a prender congedo. I due buoni vecchi
furon desolati per la partenza improvvisa del loro amico, ed espressero
la speranza, che Francesco accolse con un sorriso amaro, di rivederlo
presto. Letizia non c'era; aveva un po' di emicrania e si scusava.
Francesco pensava già di dover partire senza salutarla e gli pareva che
fosse meglio, quando la porta si schiuse, e la fanciulla comparve.
I suoi occhi scintillavano di disperazione e d'audacia: il volto era
smagrito d'un tratto, come divorato dalle lagrime ardenti e dalla
febbre. Ella andò incontro a Francesco, e tendendogli un piccolo involto
che racchiudeva il suo ricamo:
— _Tenez!_ — disse con voce chiara. — _Emportez-la comme un souvenir de
_votre_ Laetitia!_
Poi, non sentendosi la forza di guardare in faccia l'amico, si volse, e
uscì col passo rigido d'una sonnambula.
I signori Gericault volevano accompagnar Francesco alla stazione, ma
egli se ne schermì quasi con paura. Tornò all'albergo, per caricar le
valigie, andò alla stazione, salì in una vettura di prima classe, in cui
si trovò solo come la sera del suo arrivo. Si guardò intorno smarrito
mentre il treno si muoveva.
Addio, piccola Colmàr tranquilla! Addio, Letizia candida e innamorata,
che non doveva rivedere più mai, più mai, fino alla morte!
E l'uomo che aveva creduto al cuore spento e aveva cantato la gioia di
non amare, nascose il volto tra le mani, e pianse a lungo....

FINE.


INDICE.
PREFAZIONE Pag. v
La marmotta 1
Il dialogo delle bambole 49
La filosofia di Minni 63
L'amore degli altri 95
Ninnì non è gelosa 111
La signorina Empiastro 129
Ada e Fosca 151
Giorgina e i suoi uomini 169
Piccolo “Skating„ 199
La moglie innamorata 217
Colmàr 237


OPERE DI LUCIANO ZÙCCOLI
(Edizioni Treves).
=Romanzi=:
_La freccia nel fianco_. 29.º migliaio L. 5 —
_L'amore di Loredana_. 20.º migliaio 6 —
_Farfui_. 15.º migliaio 6 —
_La volpe di Sparta_. 9.º migliaio 5 —
_Romanzi brevi_. 8.º migliaio 5 —
(Casa Paradisi — Il giovane duca — Il valzer del guanto).
_Ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati...._
12.º migliaio 5 —
_I lussuriosi_. 10.º migliaio 4 —
_Il designato_. 7.º migliaio 5 —
_Roberta_. 6.º migliaio 5 —
_Il maleficio occulto_. 5.º migliaio 5 —
_Per la sua bocca_. 16.º migliaio 6 —
_Baruffa_. 6.º migliaio 5 —
_L'amore non c'è più_. 7.º migliaio 6 —
_La divina fanciulla_. 16.º migliaio 6 —
=Novelle=:
_Primavera_. 8.º migliaio 5 —
_La Compagnia della Leggera_. 6.º migliaio 5 —
_Donne e fanciulle_. 12.º migliaio 7 —
_La vita ironica_. 6.º migliaio 5 —
_Nulla di romantico_. 4.º migliaio 6 —

_L'Occhio del fanciullo_. 10.º migliaio 5 —
_I piaceri e i dispiaceri di Trottapiano_ 10 —
Legato in tela 16 —


Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.

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