Donne e fanciulle - 07

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disposti ad attendere un anno, due, tre....
— Ho capito! — esclamò una volta la fanciulla con inconsapevole cinismo.
— Cominciano le prenotazioni, come per una _première_.
Toniolo Montalba, che aveva portato quel giorno un cartoccio di _silene
pendula_, diede in una risata.
— Ha detto una cosa grande! — egli esclamò, accompagnandola poco dopo in
giardino.
Per Toniolo Montalba, tutte eran grandi le cose che diceva Nora. Egli
contava ventisei anni; era medico; alto, magro, pallido, intristito da
una specie di pigrizia sentimentale, che pareva averlo addormentato
innanzi tempo. Il destino gli si era messo contro, da un pezzo. Non ne
indovinava una, quantunque, presa la laurea già da cinque anni, avesse
una coltura e un'intelligenza eccezionali. Non aveva clientela; le donne
lo guardavano ironicamente; gli uomini non lo consideravano per nulla.
Guarita Nora da una bronchite minacciosa, era diventato amico di casa;
lo si dimenticava un po', come un mobile; era inutile e necessario a un
tempo. Aiutava Nora nei suoi esperimenti di giardinaggio, parlava poco e
stava molto con le mani in mano, a meditare non si sapeva che cosa.
Nora era spesso accompagnata da lui, dall'istitutrice e da _Trust_, un
barbone simile a un batuffolo di seta bianca. Toniolo aveva suggerito di
far tutto un corredo a _Trust_, e Nora gli aveva fatto un corredo di
nastri e di collaretti e di musoliere e di soprabiti per l'inverno; lo
aveva calzato con quattro piccoli stivali a stringhe perchè potesse
comparire degnamente in salotto e non insudiciasse i tappeti. Lo si
udiva galoppare pei corridoi con quei quattro stivali, che facevano
pensare all'avvicinarsi d'un elefante; e quando s'affacciava, era tale
una risata, che _Trust_ si metteva subito a sedere, guardandosi intorno
stupefatto.
Venne l'istitutrice inglese, e venne insieme una proposta di
fidanzamento del dottor Guidelli.
L'istitutrice, miss Evelina Towsend, era peggio di quell'altra: fredda,
stecchita, meticolosa, si stupiva di tutto, voleva insegnare il
risparmio alla fanciulla, deplorava che avesse tanto danaro, e coglieva
ogni occasione per farle una lezione di morale.
Il dottor Guidelli, giovane e ricco, guardava molto la fanciulla e amava
ascoltarne il chiacchierio; era per lei rispettoso, attento, sollecito,
qualche volta improvvisamente timido.
— Che cosa pensi del dottor Guidelli? — le chiese la mamma, tanto per
chiedere.
— Io? Proprio niente! Voglio comperarmi un paio di guanti bianchi
filettati di rosso, che ho visto ieri. Ti pare che mi staranno bene?
— Ti staranno bene. E allora, il dottor Guidelli?
— Ma che devo farmene? Non ci ho già il dottor Montalba che mi aiuta a
curare le aiuole? Tu vedessi quella sassifraga, com'è riuscita!
Dell'istitutrice si sbarazzò in maniera semplice. Litigò con lei perchè
non le permetteva la sera di fare i “salti mortali„ sul letto, prima di
coricarsi. Nora affermava che tutte le altre istitutrici glielo avevano
permesso.
— Facevamo le capriole insieme. Se lei non sa farle, almeno le lasci
fare a me!
Miss Evelina Towsend non rispose. Nora s'arrampicò sul letto.
— Ha capito? — disse. — Voglio fare i salti mortali, perchè sono una
buonissima ginnastica....
E puntò la testolina sul piano del letto, arcuandosi per darsi la spinta
e rotolare dall'altra par....
— Signorina! — interruppe miss Evelina Towsend. — Io la prego di
trovarsi una nuova istitutrice, perchè non posso assistere a simili
follie scandalose.
Nora abbandonò subito la sua posa preparatoria e si mise a sedere sul
letto. Era tutta chiusa dal collo fin oltre i piedini in una
interminabile camicia da notte, che Nora chiamava la _Transiberiana_ per
la sua lunghezza, e che la faceva parere più bambina. Ma abbozzò un
gesto solenne, dicendo come un Re:
— Accetto le sue dimissioni!
— Ha fatto una cosa grande! — commentò il dottor Montalba quando seppe
di quel congedo. — L'inglese io non lo capisco....
— Bella ragione, che sciocco! — esclamò Nora. — Non l'ho mica mandata
via per questo!
— In ogni modo, ha fatto una cosa grande! — ripetè Toniolo, mettendo la
mano destra nella sinistra.
Miss Evelina Towsend fu sostituita da una istitutrice tedesca, Fräulein
Dorotea Schönberg, una grossa barbabietola di trent'anni, con gli occhi
immobili. Fräulein non faceva mai osservazioni. Fiutata la casa ricca,
vi si piantò, per impinguare tranquillamente il borsellino fin che fosse
venuto il momento di sposare un impiegato della Banca di Frankfurt am
Mein, il quale cantava e beveva divinamente.
— Lei mi piace, perchè non si stupisce di nulla! — disse Nora un giorno.
— No, in verità.
— Io le vorrò bene! — promise la fanciulla, credendo di offrirle un gran
regalo.
— Non troppo! — rispose Dorotea. — Non bisogna amare troppo le persone
che si devono perdere!
La fanciulla rimase intontita; non aveva mai pensato all'economia della
tenerezza.
— Se lei non si stupisce di niente — riprese — io domani andrò a
passeggio vestita da uomo!
— Io credo che lei farà una bellissima figura, — replicò Dorotea
placidamente.
Nora, che aveva contato sulle dimissioni di Fräulein, come gaio
riscontro alle dimissioni di miss Evelina Towsend per “follia
scandalosa„, rinunciò subito all'idea, e si rassegnò a tenersi
l'istitutrice.
Ma non ebbe tempo nè a curarsene, nè a volerle bene, perchè la mamma in
quei giorni fece un lungo discorso a Nora, un discorso prudente che
concludeva con l'avvertirla come il conte Longari avesse posto gli occhi
sulla fanciulla, e, da quanto se ne capiva, intendesse chiederne la
mano.
— Longari! — esclamò Nora. — Io non so perchè tu voglia fidanzarmi con
un uomo che ha un'orecchia più lunga dell'altra.
— Via, Nora, sono fantasie!
— Eh, no, non sono fantasie! E poi è calvo, ossia ha pochi capelli
biondastri. E ci ho già il dottor Montalba che perde i suoi con una
rapidità spaventevole. Tutto questo mi affligge!...
Nonostante quelle osservazioni, lasciò fare: giuocò per un anno alla
fidanzata e ascoltò i discorsi del conte come aveva ascoltato le
cantatine del grammofono, solo dolendosi di non poterlo far cessare a
suo talento.
Ma il conte Silvio Longari guastò tutto, classificando il dottor Toniolo
Montalba quale una persona che si doveva allontanare. La sua frequenza
in casa, le sue funzioni di cane in soprannumero, l'intimità di cui
godeva presso la famiglia Grifi, che lo reputava uno zero utile,
infastidirono il conte; il quale, non per sè, ma per il mondo, espresse
il desiderio che il dottor Montalba diradasse le sue visite.
— Bravo, proprio adesso che stiamo provando una coltura nuova per le
gardenie grandifiore! — esclamò Nora. — Perchè non mi si mette a fare il
geloso anche di Fräulein Dorotea? Eppoi, già, devo dirgliela, conte; io
mi son fidanzata con lei per far piacere a mamma, e avevo osservato, fin
da un anno fa, che ha pochi capelli.... In un anno, è stato un disastro:
si guardi allo specchio, La prego!
Quando si seppe che il conte Silvio Longari s'era ritirato, le zitelle
più anziane di Nora ebbero un brivido di gioia:
— È veramente la signorina Empiastro! — dicevano. — Li fa scappare
tutti! Sì, bella, intelligente, fresca, ingenua, quel che si vuole, ma
uggiosa, piena di capricci e di manie. Vedremo dove andrà a finire....
Anche la mamma s'infastidì per quel brusco scioglimento, dopo un intero
anno di speranze. Il conte Silvio Longari meritava molti riguardi.
— Non ti confondere! — le disse Nora. — Sposerò quell'altro....
— Quell'altro? Quale altro? — chiese la signora Grifi atterrita all'idea
che la figliuola avesse qualche simpatia di cui nessuno sapeva nulla.
— L'altro, quello che verrà.... Non ne salta fuori uno ogni sei mesi?...
Pare che tutti pensino a sposarmi.... Ma che abbia molti capelli, sai, e
mi lasci _Trust_ e Montalba, perchè non voglio mica incomodarmi per i
fidanzati!
L'altro tardò qualche tempo a saltar fuori. I fidanzamenti sfumati avean
recato danno alla fanciulla e giovato alle amiche di lei, che si
ripagavan delle passate ore d'invidia, illustrando il suo soprannome.
Toniolo Montalba diede una conferenza in quei giorni, sulla _semeiologia
dell'apparato respiratorio_. Nora volle andare ad ascoltarlo, per
divertirsi; s'era imaginata che la _semeiologia_ avesse qualche
attinenza col giardinaggio e l'orticoltura. La conferenza fu un fiasco:
pochissimi ascoltatori, sparsi in una sala immensa e male illuminata,
tra i quali Nora e Fräulein avevan destata una curiosità chiacchierona e
irriverente. Nora aveva un cappello smisurato che distraeva l'oratore
già intimidito dalla mancanza del pubblico. Il Montalba parlò male, si
confuse, incespicò, trattenne l'uditorio per un'ora e un quarto senza
mai animarlo; e nessuno si ricordò, a conferenza finita, di tributare a
Toniolo i soliti quattro applausi.
Nora tornò a casa e pianse.
— L'ho rovinato io col mio cappello! — disse alla cameriera. — Ho sul
cappello un maledetto _esprit_, che cava gli occhi e non sta mai fermo.
È impossibile parlar bene di.... di.... quella cosa, davanti al mio
cappello!
Toniolo non parve addarsi dell'insuccesso; tacque, meditò come al
solito, con le mani in mano, e non disse neppure d'aver visto Nora e
Fräulein alla conferenza. Diventato più pigro e trasognato, obbediva
alla fanciulla con la docilità irragionevole di _Trust_.
Ma gli avvenimenti stringevano. La bellezza di Nora, che aveva ormai
diciassette anni compiuti, era delicata e soave: la luce calda che ne
illuminava gli occhi, era addolcita dall'ombra azzurrina delle ciglia, e
un sorriso calmo, ingenuo, puro, attenuava la vivezza quasi procace
delle labbra rosse. Snella e pieghevole, ardita e forte, si conservava
tutta candida nel pensiero, diceva ancora sventatamente ciò che le
passava pel capo, ignorando la civetteria e la doppiezza cortese.
Gli uomini cominciavano a guardarsi in cagnesco per lei. Il dottor
Montalba aveva capito la necessità di farsi meno assiduo e men
familiare. Tra il capitano Demarchi e il conte Sciffi, ambedue
desiderosi di guadagnar le simpatie della fanciulla e di chiederne la
mano, eran corse parole agre, e s'era accomodata la cosa a stento, per
un riguardo a Nora e alla sua famiglia. La signorina Empiastro trionfava
senza avvedersene; pericolosa senza pensarlo; tanto più invidiata e
desiderata quanto meno s'occupava di uomini e di matrimonio.
— State attente, — si dicevan le amiche di lei. — Sposerà un principe,
quella stupida!
La mamma cominciava a riflettere ella pure; qualche candidato lo
rabboniva e lo licenziava da sola, alla lesta, come il professor
Castelli, che aveva trent'anni più di Nora e farneticava di sposarsela,
o il marchese di Serrati, il quale fabbricava il cognac italiano e si
ubbriacava col cognac francese.
Ma di taluni altri bisognava pur parlare con la fanciulla, perchè eran
candidati serii e desiderabili. E occorreva decidersi, per finir quella
processione di spasimanti che ingombravan la casa e obbligavan la mamma
a tener gli occhi sbarrati. A furia d'attendere e di procrastinare, ella
si trovò ad averne tre in un colpo; uno aveva avanzato la sua domanda
regolare; gli altri due, poichè la signora Grifi li fiutava ormai da
lontano, la meditavano.
Nora ne fu costernata. Il tenente Gigino Corrieri aveva i capelli rossi.
— Digli che si tinga! — esclamò la fanciulla con un'irritazione
subitanea. — Si tinga i capelli e i baffi e poi parleremo....
— Nora! — interruppe la madre. — Tu mi diventi tutti i giorni più
bambina. Sei presso a diciott'anni, oramai, e devi pensare
seriamente....
— Ma se non mi piacciono? Il tenente Corrieri, no. L'ingegnere Nicoletti
è un giuocatore. Lo sai anche tu e si profuma come una donna.... Dove va
a pescare i profumi, poi!... L'altro giorno sapeva d'albicocco. Il conte
Gani vuole stabilirsi in campagna. Figurati: a diciotto o diciannove
anni cominciare a vivere a Colombano sul Naviglio o ad Acquanegra sul
Chiese!... Mandali via, mamma, non li voglio vedere! Non mi lasciano
tranquilla, non mi permettono d'essere libera.... È una persecuzione!...
Ci sono tante ragazze, e tutti corrono da me, come non ci fossi che io
al mondo!
E Nora proruppe in un pianto così alto e così pieno, che _Trust_, il
quale assisteva al colloquio coi quattro stivali d'obbligo, fece un
piccolo galoppo e scomparve spaventato sotto il divano.
— Il fidanzato me lo sceglierò io! — riprese la fanciulla. — Brutto,
sciocco e buono. Ecco il mio ideale.
— C'era un altro del quale volevo parlarti, — disse la mamma. — Il
mar....
— Per carità! — interruppe Nora. — Un quarto?... Non voglio udire;
mandalo via anche lui....
— Ma se non sai nemmeno chi sia!
— Me lo immagino. Il marchese Lombardi o il marchese Stagi.... Ce n'è
una collezione, e io non posso più nè muovermi nè parlare, perchè non si
dica che preferisco l'uno all'altro.... No, mamma, non ne facciamo
nulla!... Andiamo, _Trust_!...
Trust sbucò da sotto il divano e seguì Nora che uscita dalla camera,
s'avviava in giardino; l'istitutrice sbucò dalla sua stanza e seguì Nora
e _Trust_. Tutti e tre giunsero in giardino silenziosamente, ciascuno
pensando ai propri casi. I casi di _Trust_ erano i più disperati, perchè
non poteva galoppar bene sulla ghiaia con gli stivali, e nessuno si
ricordava di levarglieli.
Nora si volse a Fräulein:
— Io mi taglierò il naso, un giorno o l'altro! — disse rabbiosamente.
— Ma si farà molto male! — rispose placida l'istitutrice.
— Così non piacerò più a quella caterva d'imbecilli!
Era irritatissima e guardava con rancore anche la bella sassifraga delle
aiuole, ascoltando il galoppo zoppicante di Trust, che cercava il
terreno più adatto ai suoi stivali.
Ma il volto di Nora si rasserenò d'un tratto, e un sorriso le comparve
sulle labbra.
— Da dieci giorni! — ella disse, andando incontro a Toniolo Montalba, il
quale, scortala in giardino, era entrato pel cancello semiaperto. — È
stato dieci giorni senza farsi vedere.
— Ho.... ho avuto.... — balbettò il Montalba sorpreso dall'osservazione
della fanciulla. — Ho avuto molta gente....
— Molti ammalati?
— No, molta gente. Dicevo che c'è molta gente per le strade....
Nora tacque, lo squadrò, lo vide con un cartoccio in mano.
— Che cosa mi ha portato? — disse.
— Sono i bulbi dei giacinti Pompon.
E tacque anche il Montalba a sua volta.
— Ora verrò più di rado, — egli riprese improvvisamente. — Lei si fa
così.... così.... che la mia compagnia non è più adatta.... Si fa
così....
Nora gli voltò le spalle e guardò _Trust_, che sedeva ai suoi piedi.
Fräulein era ferma a pochi passi e leggeva un canto del Klopstock.
— È perchè mi faccio così.... e così.... non verrà più a trovarmi, che
sciocco? — ripetè Nora, squadrandolo un'altra volta. — Io non sento mica
soggezione per Lei, sa?
— Me ne accorgo! — rispose Toniolo ridendo.
La fanciulla tacque di nuovo; poi risolutamente gli si avvicinò.
— Lei potrebbe farmi un favore? — chiese.
— Ma certo; sarei felice, — rispose il Montalba stupito da quella
domanda e dallo sguardo della fanciulla che pareva scrutarlo.
— Potrebbe farmi il favore di sposarmi? — domandò Nora con tranquillità.
Toniolo Montalba impallidì e diede un passo indietro.
— Signorina, — disse gravemente, — questo è un cattivo scherzo, non
degno di lei!
— Non è uno scherzo, — ribattè Nora con la sua solita voce. — Se non le
dispiaccio, faccia la domanda al miei genitori. Io sono torturata,
assediata, perseguitata dai fidanzamenti: oggi se ne sono scoperti tre o
quattro in una volta.... non mi è più possibile dire di no, non mi è più
possibile vivere in casa mia.... Bisogna che mi sposi.... E nessuno mi
piace. Non vorrei bene a nessuno, ne sono certa.... E io voglio poter
voler bene....
Toniolo Montalba sedette sopra un ceppo adattato a seggiola rustica. Era
ancora pallidissimo e guardava Nora con una specie di adorazione negli
occhi, la quale gli illuminava tutto il viso.
— Ma.... — balbettò. — Io credeva che la mia conferenza sulla
_Semeiologia_ le avesse dato una cattiva idea di me....
— Non ha altro da dirmi? — esclamò Nora corrugando le sopracciglia....
— Sì, sì, ho molte cose da dirle! — esclamò Toniolo, saltando in piedi.
E impallidì nuovamente.
— Non va! — riprese. — Io non sono mai stato fortunato. La sua mamma non
mi vuole....
— Non è mai stato fortunato perchè era solo, — osservò Nora. — Crede che
io le avrei lasciato fare quella conferenza così sconclusionata
sull'apparecchio respiratorio?
Toniolo Montalba rise, prese le mani sottili di Nora e le baciò ambedue,
mentre Fräulein si avvicinava a grandi passi, con l'indice destro fra le
pagine della _Messiade_.
— E se i suoi mi cacciano via? — domandò Toniolo, afferrato di nuovo da
un'angoscia che gli mozzava il respiro.
— Mamma fa quel che vuole la signorina Empiastro! — dichiarò Nora
solennemente.
Il Montalba le afferrò daccapo le mani e gliele baciò ancora, una dopo
l'altra.
— Ma, signore! Ma, signorina! — esclamò Fräulein sbalordita.
— A domani! — disse Nora, salutando Toniolo e avviandosi per risalire in
casa. — Venga domani, e combineremo tutto.
Poi si volse a Fräulein che le stava alle calcagna.
— Che cosa ha, Fräulein Dorotea? — chiese. — Non mi aveva detto che Lei
non si stupisce di niente?


ADA E FOSCA.

Si somigliavano; ambedue eran magre, alte, coi capelli castani che si
potevan dire quasi biondi; Ada aveva pure castani gli occhi, e Fosca li
aveva grigi; ambedue ridevano volontieri, studiavano senza fatica e
senza passione, andavano alla medesima scuola, e si mettevano accanto
l'una all'altra, nello stesso banco. Parlavan poco, non disturbavano
mai, erano sempre un po' trasognate, rispondevano alle interrogazioni
meccanicamente, guardando il soffitto, come vi avessero letto ciò che
dovevano dire.
Dolci e mediocri in ogni cosa, Fosca Giuntini e Ada Crivelli
appartenevano a famiglie della borghesia milanese e avevan quanto
bastava a far buona figura in ogni occasione, senza esser ricche. La
direttrice dell'Istituto non se ne occupava mai, tanto la loro
personalità era nulla e fuggevole; due ombre che si volevan bene, si
confidavano i loro piccoli segreti, ridevano spesso e non destavan nelle
altre allieve nè simpatia, nè avversione.
Ada Crivelli si sposò a diciannove anni con Vittorio Carminati, un
giovane robusto, largo di spalle e di faccia, precocemente amico della
tavola imbandita. Vittorio aveva due mani smisurate che ne dicevan
l'anima e i gusti; non poteva con quelle mani tener nulla di fragile, nè
fare una carezza leggera; una sola bastava a coprire tutto il pallido
viso magro di Ada. Eran mani foggiate per calar come artigli, stringere,
ghermire; e veramente il giorno in cui la famiglia di Ada aveva accolto
la domanda di Vittorio, questi, afferrata la fanciulla alla cintola e
levatala da terra, le aveva stampato in viso un bacio sonoro, ch'era
parso il suggello d'un possesso ingordo.
Dovevano andare, nel loro viaggio di nozze, lontano, all'estero; ma
Vittorio s'era fermato a Como per tre giorni con Ada, e il viaggio aveva
ripreso poi. Vittorio ne rideva come d'una superba gherminella a parenti
e ad amici, e, per farla più graziosa, proibì ad Ada di dar notizie di
sè durante quei tre giorni. Ada obbedì, provandosi a ridere ella pure
dell'intermezzo non preveduto; e cercava di ridere così sgangheratamente
come lo sposo, il quale voleva che mangiasse molto, che bevesse molto,
che non istesse a guardare i monti e il lago e il sole e le ombre, tutte
cose stupide, di cui una donna maritata doveva non far più caso, come
delle passate malinconie da ragazza.
— Mangiare, bere, e divertirsi. Ecco la vita! — dichiarava Vittorio che
aveva ereditato dal padre una grossa fortuna, e ne sentiva la gioia ogni
giorno.
Egli amava tanto i biglietti da mille, che quando il suo amministratore
gli portava il prezzo dei fitti o il ricavato dei tagliandi o le somme
delle uve e dei bozzoli e del grano, Vittorio si recava da Ada a farle
vedere i “volumetti„; volumetti di carte da cento e da cinquecento,
ch'egli lasciava cascar dall'alto sopra la tavola dello studio, perchè
se ne sentisse meglio il peso.
E Ada guardava e s'interessava, prendendo tra le mani ancor gentili quei
pacchetti, e lentamente sfogliandoli come fossero stati davvero volumi
dalle pagine immortali.
— Ti piacciono, eh? — diceva Vittorio, ridendo. — Quanto bel mangiare,
qua dentro!
E rideva anche Ada, già più accesa in volto e più pesante di forme.
Dacchè era andata sposa non aveva sfogliato altri libri nè toccato il
piano.
La casa dei coniugi Carminati era lucida, piena di roba; mobilia
nuovissima nella quale i visitatori potevano specchiarsi; cantina zeppa
di bottiglie e di fiaschi e di barili; dispensa capace, che aveva di
tutto, in gran copia.
— Crepa di salute la casa, come noi! — dichiarava Vittorio ai suoi
amici.
In quattro anni di matrimonio, Ada regalò a Vittorio tre figli, due
maschi e una femmina, e perdette interamente la sua linea aggraziata; si
fece larga di fianchi, rossa di viso, con un seno abbondante e molle che
nessun busto poteva costringere; e diventò pigra, rimanendo a letto fin
tardi, appisolandosi qualche volta dopo i pasti doviziosi. Amava poco i
suoi bambini, ch'eran confidati alle cure delle persone di servizio; non
si curava che di Vittorio, e si sforzava d'imitarlo nella gaiezza
rumorosa e nell'inclinazione al ben vivere materiale.
I bambini giravano per casa, vestiti alla meglio, poco vigilati; non
sapevan parlare che il loro dialetto e preferivan la cucina al salotto.
Il maggiore, Pieruccio, s'intendeva già di pietanze e d'intingoli,
diventava di mese in mese più rubicondo e mangiava tutto il giorno. Gli
altri due, Claudino e Marietta, studiavan del loro meglio per tenergli
dietro, e sovente erano inchiodati a letto tutti e tre da una potente
indigestione.
Ada ne rideva. Si sa, golosi erano; somigliavano a papà e a mamma;
ognuno faceva a gara a rimpinzarli, la cuoca, la serva, la servetta, i
bottegai da cui si recavano con la cuoca a far le spese.... Forti e ben
piantati, dovevan mangiare. E guariti appena da una gastrica,
ripigliavano a diluviare fino alla gastrica successiva.
Marietta, la più piccola, ne morì un giorno, dopo una scorpacciata di
crema, castagne, biscotti e frutta candite. Fu un gran dolore in casa,
per più d'una settimana; in capo alla quale, avendo visto che Ada
seguitava a piangere, specialmente dopo pranzo, Vittorio le battè su una
spalla e le disse gravemente:
— Ora basta, non è vero? Non bisogna esagerare!
Per non esagerare, Ada si asciugò gli occhi, e di Marietta non si parlò
più. Gli altri due, Pieruccio e Claudino, seguitarono a mangiare.
Un nuovo gran dolore provò Ada quando s'accorse che Giannina, la
cameriera, era incinta. Giannina, piccola bruna di diciott'anni, credeva
a tutto ciò che le dicevano, e non era stato difficile ingannarla
promettendole un bel matrimonio.
Ada non volle ascoltar giustificazioni. Ella era onesta e adorava il
marito, non vedeva uomini al mondo fuori del suo Vittorio. Per tagliar
corto coi pianti e le suppliche e le genuflessioni di Giannina, le fece
gettar le sue robe sulla strada, quantunque nevicasse. Lo scandalo era
già durato troppo a sua insaputa e bisognava finirla con quella
ragazzaccia senza pudore. Un po' di neve le avrebbe rinfrescata la
fantasia.
Messa Giannina alla porta, Ada dovette bere tre bicchieri di Marsala,
tanto era agitata; e Vittorio, tornato a casa, la compianse molto, la
costrinse a mangiare un po' più del solito per riacquistar le forze, e
la lodò per il suo sentimento morale.
Egli era felice perchè Ada ingrassava, si faceva rossa e tonda, rideva
con la gola ampia e bianca, e dava la giusta importanza al buon cibo e
al buon vino. Anche i bimbi, Pieruccio e Claudino, stupidi come tronchi
e maleducati come scozzoni, s'allungavano e s'allargavano. C'era posto
per tutti; onde, a distanza d'un anno dalla morte di Marietta, Ada
regalò il marito d'un quarto bimbo, al quale fu posto il nome di Mario,
per ricordo dell'altra.
Dopo quel parto, Ada, la quale non aveva più di venticinque anni, sembrò
sfasciarsi: perduta ogni ambizione, si vestì alla meglio, rinunziò al
busto, traboccò di grascia e s'ubbriacò di pigrizia. Aveva la casa piena
di gente che veniva a gustar la sua buona tavola, ed ella non si
pigliava nemmen la noia di render le visite, sapendo che i suoi amici,
foggiati alla maniera di lei e di Vittorio, non avrebbero mancato, per
quelle inezie di convenienze, ai succolenti banchetti.
Nella sua vita calma, uguale, monotona e lenta, fu un gran giorno quello
in cui s'imbattè in una signora alta e sottile, pallidetta e fine, che
comperava in un magazzino come Ada, una stoffa per abito da passeggio.
Ada andò scrutando e squadrando la signora, la quale s'appoggiava allo
stesso banco e teneva nelle mani guantate un capo della stoffa, che il
commesso le sciorinava innanzi. Andò scrutando e squadrando, Ada, poi si
fece coraggio, s'avvicinò meglio alla signora, e le disse:
— Ma io non m'inganno. Tu sei Fosca Giuntini, non è vero?
La signora le lanciò un'occhiata rapida, dalla testa ai piedi, piuttosto
sdegnosa; e l'altra comprendendo di non esser ravvisata, soggiunse:
— Io sono Ada Crivelli, oggi Ada Carminati. Ora ti ricordi?
Un lieve sorriso schiuse le labbra della signora, che offerse la mano
all'amica. Fosca pareva ancor fanciulla, tanto era flessibile e fresca;
i suoi capelli s'eran fatti un po' più oscuri e n'aveva guadagnato la
luce limpida e pacata degli occhi grigi. Solo, quel suo piccolo sorriso,
un sorriso breve e freddo, metteva una gran distanza tra lei e coloro ai
quali ella sorrideva così.
— Mi ricordo, — ella disse. — Ma ti sei fatta maestosa, forte, e non
potevo riconoscerti. Ho piacere d'averti incontrata.
— Ed io? — esclamò Ada. — Quante volte ho pensato a te, quante, quante!
E non ti vedevo mai....
— Ho passato questi anni sempre in campagna, con mio marito, il conte
Gino Fássini.... Siam tornati da poco a stabilirci in città.
— Maritata anche tu! E hai bambini? E sei felice?... E il conte?...
Fosca interruppe gentilmente, col piccolo sorriso breve:
— Vieni a trovarmi. Abito in via Cappuccio.
Tese la mano all'amica, e uscì svelta, leggera, preceduta da un
commesso, che l'accompagnò fino alla sua carrozza.
Ada la seguì con gli occhi, attentamente. Era sbalordita. Che signora!
Pareva nata principessa; e s'era fatta bella, bella davvero. Ada si
sarebbe guardata dal dirlo ad alta voce, ma non poteva negarlo a sè
stessa, e per la prima volta l'adipe, la mancanza del busto, il passo
troppo greve per la sua età, le rincrebbero.... Cinque o sei anni
addietro, ella e Fosca si somigliavano, facevan la stessa vita, ambedue
alte, magre, un po' trasognate. E Fosca era tuttora agile, elegante, e
aveva aggiunto alla grazia giovanile un'espressione di nobiltà semplice,
che bisognava ammirare.
Ada ne fece un cenno quello stesso giorno a Vittorio, il quale scoppiò
in una risata fragorosa:
— Magra? Agile? — disse. — Patirà la fame. Ci son delle signore che per
avere la vita stretta non mangiano abbastanza. Le donne sottili, io non
le posso vedere.... Tu sei perfetta.
Quando Ada, spinta da una curiosità invincibile, si recò a trovar Fosca,
i suoi occhi si sbarrarono per veder bene, per veder tutto. Fosca
abitava il palazzo Fássini, una casa tetra, che sapeva di vecchio; e
ogni cosa sapeva di vecchio, dalla scalea di marmo con le balaustrate in
ferro battuto, all'anticamera dal soffitto a cassettoni pallidamente
dorati, ai mobili che avevan le spalliere rôse dai tarli e la stoffa
serica sdrucita, agli specchi di grandezza mediocre la cui luce spenta
pareva arrugginita dal tempo.
— Che trappola! — pensò Ada, mentre aspettava nel salotto penombroso. —
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