Donne e fanciulle - 06

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— Acutissima, — ripetè Gin confermando. — È naturale.
E varcò la soglia, si diresse al letto su cui era composto il cadavere.
Rimase immobile a guardarlo, col cappello tra le mani, senza riconoscere
quelli che stavano in un angolo della camera a singhiozzare.
Per Laura, per la sua donna, per la fiamma rossa, per l'orgoglio!...
Aveva la fronte spaccata e la ferita diventava enorme, prolungata da una
riga di sangue che filava giù per la tempia destra, giù per la guancia,
fino all'angolo delle labbra. Era placido, ma bianco, interamente bianco
nel volto.
Per Laura, una giovinezza florida spezzata a ventisei anni, come se
Laura fosse stata la gioia, l'ebbrezza, tutta la vita medesima, tutto un
avvenire impareggiabile! Egli, Gin, aveva preso il tè con lei poche ore
prima, e assai quietamente le aveva fatto qualche carezza; e poteva
quando voleva, farle indossare o farle togliere l'abito rosso con cui
era apparsa l'ultima volta agli occhi di Silvio; ed era sua, come una
cosa bella, da otto lunghi anni, e per altri anni, per sempre, sarebbe
stata sua, a suo capriccio, a suo gusto.... Silvio Baldeschi n'era
morto.
Gin si scosse e andò con un turbamento sincero a baciar la mano alle
signore che singhiozzavano, a condolersi con gli uomini.
— È terribile, è terribile! — egli disse, gettando ancora uno sguardo
alla fronte bianca spaccata.
Quindi uscì, riprese la vettura e tornò a casa. In verità, non sentiva
più nulla; un prepotente, con la minaccia della morte, aveva voluto
rubargli l'amore di Laura; poi si era ucciso, mantenendo la parola.
— Era un buon giuocatore! — pensò Gin.
Non sentiva più nulla, se non il desiderio di rivedere Laura subito,
d'assicurarsi che era a casa, scombuiato puerilmente dal pensiero
assurdo che potesse non esservi più. E non trattenne un largo respiro di
sollievo quando la trovò nella sua camera, distesa a metà sul letto, gli
occhi chiusi.
Gin s'avvicinò cautamente, e s'indugiò a guardarla come capisse infine
tutta la malinconia leggiadra di quel volto, che per lui non aveva
maschera d'orgoglio ed era dolcemente femmineo. La chiamò sottovoce.
Ella sbarrò gli occhi senza muoversi, glieli fissò in volto senza
parlare, poi li richiuse.
— Ebbene, Laura, — disse Gin, chinandosi fin quasi a metter la testa
presso la testa della giovane. — Si giuocava un giuoco d'inferno intorno
a noi, la vita di qualcuno, la mia, forse la tua. E una vita è
scomparsa....
Tacque; percorse di nuovo con lo sguardo tutta la bella persona agile e
forte.
Di sotto le palpebre chiuse di Laura sfuggivano le lagrime e scendevano
lungo la guancia. Gin aveva visto poco prima filare il sangue giù per la
guancia di Silvio. Lagrime e sangue per lui, per il suo amore e per il
suo diritto. L'uomo aspro e beffardo, che non aveva detto quasi mai
parole care alla sua donna, sentì una vampa di gelosia ardergli il
cuore, e le sue labbra si dissuggellarono.
— Ti amo, Laura, — disse con un'esitanza timorosa. — Mi ami, tu?
E aspettò la risposta trepidando, come avesse chiesto l'amore a una
donna nuova, che non aveva mai conosciuta prima di quel giorno.
Laura stette con gli occhi chiusi e la testa reclinata sul letto, ma
allungò un braccio, ne ricinse il collo di Gin, trasse questi a sè, e
gli mise la bocca sulla bocca, in silenzio.


NINNÌ NON È GELOSA.

In piedi innanzi al grande specchio, nella sua camera da letto, ha tolto
i pettini dai capelli che sono balzati giù, neri e violenti, per le
spalle; poi li ha raccolti, li ha fermati ancora in una massa scomposta;
e di nuovo li ha liberati, lasciandoli fluire da tutte le bande.
Siccome questo giuoco ha il potere d'irritare sordamente suo marito,
Ninnì lo ha fatto tre volte, ed è in via di farlo la quarta. È vestita,
o meglio è avvolta in una vestaglia della quale poco si capisce;
un'ondata, una spuma di merletti la circonda intera, e le braccia un po'
magre sbucano da quella groviglia di trine, alzandosi ora a sciogliere i
capelli, ed ora a riappuntarli. Mentre lavora così assiduamente, finisce
un lungo discorso:
— Potevi dirmelo, vedi? Potevi dirmelo che andavi da quella scempia; ci
sarei venuta anch'io! Non indovino perchè tu vi sia andato solo, o
indovino troppo.... Già, è una stupidina; e per ciò ti piace.... Basta
che una donna sia stupida perchè tu le faccia la corte.... Sei un
sentimentale.... Mi rincresce dirtelo; con quelle tue arie da
moschettiere, non sei che un sentimentale, e di quindici in quindici
giorni mi tiri fuori un'amicizia nuova; naturalmente per una donna....
Adesso tocca alla Marnoldi.... Non so intendere, poi, come tu vada a
perderti colla Marnoldi. Una volta non potevi soffrire le bionde, e
questa è così bionda che pare si sia messa in testa una parrucca di
stoppa....
— Ninnì — interrompe Giorgio con voce calma. — Non farmi una delle
solite scene!...
Giorgio è seduto in una poltroncina, le mani nelle tasche, le gambe
distese. La poltrona è, come la tappezzeria della camera, bianca a
triplici righe d'incarnato, e il sole che entra da una bifora, inonda
gaiamente tutta la stanza.
L'uomo è vestito con un abito di mattina color d'avorio; i suoi occhi
seguono l'instancabile ginnastica di Ninnì, la quale ha annodato la
quarta volta i capelli, e sta per liberarli di nuovo. Dal battere delle
palpebre e da un certo moto delle labbra, si intuisce che lo sforzo di
Giorgio per padroneggiarsi è grande.
— Lascia stare Ninnì ti prego! — dice la signora bella. — Quando ne hai
fatta qualcuna o mediti di farla, mi contorni di Ninnì, e siamo pari. È
ridicolo! Anche ieri a tavola, davanti al duca di Telmi e alla
Gualchieri mi hai regalato tre o quattro Ninnì, dei quali non sentivo
alcun bisogno.
Tace; i capelli sono scappati per la quinta volta. Giorgio ha acceso una
sigaretta e guarda con attenzione il soffitto dove, tra nuvole pallide,
è dipinta una pioggia di fiori, che un putto ridanciano butta all'aria
da un gran canestro. Dal mezzo pende un grappolo di lampadine
elettriche, il cui raggio è velato la notte con una fitta frangia d'oro
e rosa.
— Scene? — esclama Ninnì di repente, come si ricordasse. — Scene di che?
— Scene di gelosia, — spiega Giorgio pacatamente.
Ninnì s'è rivolta con un balzo; anzi ha fatto un giro su sè stessa....
Ha il viso bianco, capriccioso, ardito, che può piacere e non piacere;
ma la linea dall'omero al fianco, dal fianco al ginocchio, dal ginocchio
al piedino s'intravede, ed è stupenda. Giorgio l'ha sposata per la linea
e centomila lire di rendita.
— Gelosa? Gelosa io?... T'inganni, Cocco! — ella esclama, con uno
sfavillìo nello sguardo.
C'è questa differenza tra marito e moglie. Il marito dice Ninnì alla
moglie quando vuol quietarla e blandirla; la moglie dice Cocco al marito
quando è furiosa e ogni altra maniera d'aizzarlo, compresa la cascata
dei capelli, non ha sortito alcun esito.
Infatti a sentirsi chiamar Cocco, come un pappagallo, Giorgio ha dato un
guizzo e le sue mani hanno stretto nervosamente i bracciuoli della
poltrona; ma è riuscito a vincersi ancora. Così, dritta, gli occhi
luccicanti d'ira, le narici frementi, i capelli abbandonati a fiotti,
vestita e non vestita, Ninnì è veramente bella; Giorgio non ha alcuna
voglia d'attaccar briga, perchè Ninnì è veramente bella.
— Ah tu credi ch'io sia gelosa? — ella esclama con una risata un po'
stridula. — Ma no, caro, t'inganni! Gelosa della Marnoldi! Non mi degno!
Ho troppo orgoglio, io, troppa dignità, per discendere a queste
bassezze. Non ti piaccio, non ti garbo, ne preferisci un'altra? E sta
bene. Come dite voi? _De gustis e coloris_....
Giorgio interrompe con un gesto, quasi volesse cacciarsi le mani nei
capelli.
— _Non est disputando_, — conclude imperterrita Ninnì. — Gelosa no,
davvero! Soltanto, questo voglio ed esigo: che se hai una favorita, non
me la metta sotto il naso; che tu non vada a trovarla, solo, in giorni
in cui non riceve, e poi venga a dirmelo. Se godi le _petites entrées_
della Marnoldi o di qualunque altra sciocca, sii discreto anche con me,
sopratutto con me!... Non mi pare di domandar troppo! Ma gelosa no,
gelosa no davvero! Non sono stata mai gelosa di alcuna, se pure mille
volte più bella di me. Io sono corazzata dal mio orgoglio, e mi
vergognerei d'un sentimento così volgare.
Giorgio accende un'altra sigaretta.
— Oh, io sarei gelosa! — prosegue Ninnì, avvicinandosi al marito. — Come
puoi tu pensare questo? Mi conosci ben poco, se supponi che io mi pieghi
fino a contrastarti a un'altra. Ti piglino pure, ti rapiscano anche:
s'accorgeranno presto che non metteva conto di portarti via alla tua
povera moglie!... Gelosa!... E così mi conosci? Già, bisogna
confessarlo; a conoscere una donna, tutti, presto o tardi, arrivano,
fuor che il marito. Il duca di Telmi mi conosce meglio di te; se
dicessero al duca di Telmi che io sono gelosa....
Giorgio s'è alzato di scatto; e frenandosi immediatamente, affondate le
mani nelle tasche della giacca, è uscito senza volgersi. Poi ha dato
ordine di sellare ed è andato a fare la sua passeggiata a cavallo.
Ninnì non è gelosa. Il più spesso ha torto, ma quando dice che non è
gelosa, non le si potrebbe negar ragione.
Basta che Giorgio faccia l'elogio non di una donna, ma d'un
abbigliamento femminile, perchè il cuore di Ninnì sanguini in silenzio;
e non dice verbo, la giovane, e non si spiega. Ma alzando gli occhi,
Giorgio vede un piccolo muso e una piccola fronte corrugata.
— Che hai?
— Niente.
— Non vai a vestirti?
— No: grazie.
— Come, non usciamo? Non volevi fare una trottata?
— No; va tu. Io ho un po' d'emicrania.
Non si esce. Allora, pazientemente, lentamente, con un lungo lavorìo
d'inquisizione, Giorgio comincia a indagar la causa dell'emicrania, che
è cattivo umore, che è dispetto. E Ninnì tace. Tace una, due, dieci
volte, fin che Giorgio trova la via, e con accorta sbadataggine ritorna
al discorso di prima:
— Sicuro; la Palmieri sta benissimo con quel suo abito grigio tutto
attillato.... È una figuretta, come dire? una figuretta elastica, magra,
ma gentile; e quel suo abito grigio.... Che hai? Ti senti poco bene?
Ninnì, sdraiata sul divano, col capo all'indietro, ha dato un sobbalzo;
le sue piccole mani si son chiuse a pugno. Sembra che le tanaglino le
carni, e Giorgio sorride leggermente.
— Giorgio, te ne prego, finiscila! — grida Ninnì quasi implorando. —
Finiscila con quella tua Palmieri, con quella tua figuretta elastica e
gentile!... Ho capito, ho capito: l'abito grigio è una meraviglia.... Tu
non hai occhi che per le altre; se l'avessi indossato io, quell'abito
grigio, non te ne saresti neanche accorto.... Ma io non ho la figuretta
elastica, si sa, la figuretta gentile....
— Tu sei tutta adorabile, — dice Giorgio, chinandosi per baciarla.
— Tutta adorabile! — ripete Ninnì, respingendolo bruscamente. — E quando
vede le altre, lui, saltella come una cavalletta.... E per chi, poi? Per
quella Palmieri che ha due piedi i quali mi rammentano gli _sky_ e due
orecchie a ventola.... Che orecchie!... Non sono gelosa, sai? Non mi
degno....
Ninnì non è gelosa; non si degna.
Una volta ha fatto una cosa molto semplice. Era a pranzo con Giorgio,
sola; non c'erano invitati; e Giorgio tornato dal tè della principessa
Gualchieri, s'era messo a lodarne la bocca, soltanto la bocca dalla
linea sinuosa, dalle labbra vive e lievemente ombrate per una
impercettibile pelurie....
Ninnì ha fatto allora una cosa semplice: afferrato un lembo della
tovaglia, ha rovesciato a terra piatti, bottiglie, bicchieri, posate,
salierine, vasetti da fiori, quanto v'era sulla tavola, mentre il
domestico che serviva, restava duro e impassibile ad attendere gli
ordini.
— Non sono gelosa! — ha dichiarato poi. — Ma che tu, anche davanti ai
domestici, senta il bisogno di mostrarti quale sei, un libertino, è cosa
veramente insopportabile!
Per Ninnì, tutto è insopportabile. Sfugge i convegni mondani quanto le è
possibile, perchè l'esperienza le ha insegnato che un marito e una
moglie per bene son come due estranei in società e non devono mai
trovarsi insieme, se non vogliono essere uccisi dal ridicolo. Il marito
si occupa delle signore, mentre gli uomini gli corteggiano la moglie. E
ne viene per Ninnì un martirio atroce; deve difendersi da molti esperti
ganzerini che la circuiscono con madrigali e con dichiarazioni, e deve
aver l'occhio a Giorgio; ma il più spesso Giorgio è in una sala e Ninnì
in un'altra; la giovane non può correre a cercarlo, nè svelare
l'angoscia che la rode, e le leggi mondane le impongono di star ferma,
di sorridere e di rispondere e di dare il braccio al duca di Telmi e di
ballare col principe Gualchieri e di farsi accompagnare al buffet da un
terzo (mio Dio, Giorgio è con la Marnoldi!), e di essere gaia,
spensierata, amabile, un po' civetta, un tantino scettica. Che cosa le
manca?
Le manca Giorgio, ai balli e ovunque. Vorrebbe essere il bicchiere
ch'egli reca alle labbra, il libro che tien fra le mani, il lastrico su
cui posa il piede, e vorrebbe nello stesso tempo ch'egli fosse libero e
potesse vivere con piacere.... Vorrebbe molte cose contradditorie, e un
bel giorno arrischia di perdere interamente la testa.
Durante una passeggiata a cavallo ha notato che la premura di Giorgio
per la marchesa Rusticucci oltrepassa il segno della convenienza, e che
tra l'uno e l'altra si scambiano occhiate e sorrisi, che Ninnì definisce
per “terribili„. Fa tutta la sua cavalcata senza schiudere labbro, non
badando affatto al duca di Telmi, il quale s'affretta a essere con lei
così premuroso come Giorgio è con la marchesa, ma non gli toccano, al
più, che sorrisi gelidi, e Ninnì si dimentica anche di ringraziarlo.
All'indomani piomba dalla marchesa Rusticucci. Questa non riceve ed è
anzi per uscire, ma udendo il nome di Ninnì, le va incontro, le tende le
mani amichevolmente: e Ninnì le dice con voce rauca:
— Ti piace Giorgio? Ti piace mio marito? Vuoi portarmelo via?
Al veder la faccia scombuiata dell'altra, capisce lo sproposito che ha
commesso, e aggiunge subito:
— Oh te ne supplico, perdonami!... Non sono gelosa; ma gli voglio tanto
bene!... Sono venuta in casa tua a offenderti.... Ti domando perdono....
La marchesa che ha dieci anni più di Ninnì, i capelli biondi un po'
tinti e un po' finti, e parecchie date fatali nel suo calendario,
sorride, se la stringe al petto e la racconsola; anzi la conduce a
passeggio in carrozza perchè si distragga, ed è molto buona con lei....
Ma avverte Giorgio, più tardi:
— Quella vostra pupa bisognerà educarla, se non volete che un giorno o
l'altro vi dia qualche seccatura. Non è ancora _dressée_....
Per _dresser_ la piccola tigre, Giorgio fa sforzi sovrumani, e non vi
riesce.
Egli era sincero, in principio, raccontava tutto: “La tale mi piace;
Tizia si veste bene; Sempronia riceve con molto garbo„. Ma non è stato
possibile seguitar per la via. Agli occhi di Ninnì, ogni donna
menzionata da Giorgio con parole lusinghiere era un'amante, cosicchè si
sarebbe detto che egli ne seducesse una la mattina e una la sera. Allora
Giorgio non ha più aperto bocca, e si è guardato accuratamente
dall'esprimere un'opinione intorno alle amiche di sua moglie; e questa
cautela ha dato per frutto che ogni qualvolta Ninnì ha scoperto che
Giorgio è andato a trovare la Marnoldi o la Palmieri ed è stato zitto,
il silenzio del marito le è parso indizio certissimo di tradimento.
Giorgio s'è anche provato a discutere, dimostrando a Ninnì ch'egli
l'adora ed è fedele; che se non fosse fedele, non sarebbe tanto sciocco
da additar con espressioni ammirative proprio quelle che non dovrebbe
mettere in troppa luce; che un po' di galanteria, d'innocuo
corteggiamento, è necessario al ben vivere....
— È necessario? — ha osservato Ninnì. — E allora, te la troverò io, la
donna da corteggiare per il ben vivere.... Deve essere simpatica a
me.... Te la troverò io....
E l'ha trovata, con immenso stupore di Giorgio.
Egli credeva che sua moglie dovesse comparirgli innanzi un giorno con
qualche amica gobba o guercia o almeno sessantenne; e non è a dirsi la
meraviglia di lui allorchè dalle preferenze concesse, dalle espressioni
di simpatia, dall'intimità ostentata, ha potuto comprendere che Ninnì si
fida di Tatiana Cordiglieri.
Tatiana Cordiglieri è un'importazione; figlia del principe Sebastow, —
al Caucaso i grandi proprietari hanno tutti il titolo di principe, o se
lo prendono, insieme col treno che li conduce all'estero, — Tatiana ha
ventitrè anni, e da due è sposa al vecchio conte Cordiglieri, deputato
al Parlamento.
Si sa che l'on. Cordiglieri ha fatto enormi sacrifici pecuniari per il
partito liberale-conservatore, il quale lo rimerita chiamandolo
“l'illustre Uomo„ con l'U maiuscola; i partiti restituiscono sempre i
quattrini a questa maniera. E l'illustre Uomo se n'è compensato,
sposando Tatiana Sebastow, della quale erano assai più tangibili e
sicuri i milioni che il titolo di principessa.
— Corteggiala pure, — ha detto Ninnì a Giorgio quasi sfidandolo. — È una
slava; carattere fiero, dritto, leale.... Le slave son meglio delle
italiane; non si lascian pigliare all'amo del sentimentalismo; poi sono
fredde e logiche, e non mancano ai loro doveri....
Giorgio si è chiesto invano quando e come sua moglie abbia appreso tanta
scienza etnografica; ma ha visto che Tatiana è molto graziosa: carnato
scuro con occhi cilestrissimi; capelli castani a riflessi dorati;
statura al disotto della media, per le quali stature sono state scoperte
apposta le statuette di Tanagra. E gode una libertà sconfinata, perchè
l'onorevole Cordiglieri deve aver delle slave la stessa opinione che
Ninnì.
Tatiana ride spesso, di tutti e di tutto; ma nervosamente, con qualche
improvviso sprazzo di malinconia, che indica una lacuna nel suo
sentimento, un dubbio nella sua vita, una volontà oscura e inquieta, che
potrebbe chiarirsi domani. Le piace molto l'Italia, e in un anno ne ha
imparato la lingua, che parla con lieve accento esotico, dimenticando
spesso gli articoli e le doppie, e moltiplicando le dentali, ma
piacevolmente.
— Caro Giorgio Nicolajevic, — dice talora sorridendo. — Io farò qualche
follia per il vostro magnifico paese....
— Speriamo, speriamo! — risponde Giorgio con umiltà.
E a Ninnì rende conto delle sue impressioni.
— Hai ragione; è un carattere di ferro. Come vuol bene a suo marito! Non
vede altri al mondo, e sarebbe ridicolo corteggiarla.
— Sarebbe ridicolo anche perchè è brutta, — risponde Ninnì. — Non mi
dirai che quella pelle di rame con quegli occhi di porcellana e i
capelli di tutti i colori siano gli attributi d'una bella donna. Ma è
tanto buona e tanto seria, poveretta, che io le voglio bene come a una
sorella....
L'on. Cordiglieri è a Roma, in procinto di fare altri sacrifici pel
partito liberale-conservatore; l'illustre Uomo sta guadagnandosi anche
l'I maiuscola. Ha lasciato Tatiana in provincia, perchè la sua giovane
moglie, dopo averla sognata da lontano, ha sentito d'un tratto una certa
avversione per la capitale, e teme che l'aria non le convenga.... Sta
benissimo dov'è, tra Ninnì e Giorgio che le tengono una così bella
compagnia.
Giorgio, specialmente, le tien compagnia. Da quando per imprevisto
decreto di Ninnì, Tatiana è diventata sua sorella, Giorgio s'è fatto più
assiduo e audace, ne parla senza timore, si abitua al suo tè troppo
aromatico e alla sua automobile troppo veloce; non fa una gita con Ninnì
se non abbia al fianco Tatiana, rassegnandosi a far qualche gita con
Tatiana anche se non ha al fianco Ninnì.
— È peccato, — osserva questa un giorno,-è peccato che non sia felice.
Si capisce che non è felice, non è vero? perchè muta così bizzarramente
d'umore....! Io so; le manca un bimbo, un piccolo bambino che dia uno
scopo alla sua vita.... Se avesse un bambino, sarebbe felice....
Giorgio non risponde, e accende una sigaretta.
La Marnoldi, la Rusticucci, la Palmieri, tutte quelle che Ninnì chiamava
con pochissimo rispetto “le favorite„, non dicono mai parola di Tatiana
Cordiglieri; hanno il silenzio ironico e si divertono a chiedere a
Giorgio se veramente il tè si dice _ciai_ in russo e se “ti amo„ si
traduce proprio _Ya lublù tibià_.... Giorgio sta duro ed evita
d'incontrarle.
Il duca di Telmi serra più dappresso Ninnì, che si stupisce della sua
costanza quasi rabbiosa. Egli è attento, ostinato, longanime; ma quando
gli viene alle labbra una insinuazione sulla condotta di Giorgio, se la
ringóia, lisciandosi la barba stupenda.
Poi, d'un tratto, passa un'ombra di malinconia nella vita di Ninnì.
— Sai? — annunzia a Giorgio. — Perdiamo Tatiana!... Va a Roma, a
raggiungere suo marito. Così, improvvisamente, bruscamente; non è più
d'un mese, mi diceva che non avrebbe messo piede a Roma fin che suo
marito non fosse venuto a prenderla; aveva paura delle febbri, come
tutti gli stranieri che non ci sono mai stati.... E ora, eccola che
parte!... Mi dispiace molto, molto; le volevo bene, te l'ho detto, come
a una sorella.... E non tornerà, vedrai; si abituerà a Roma....
— Tornerà, — dichiara Giorgio pacatamente. — Non trovo affatto strano
che una moglie raggiunga il marito. Avrà qualche cosa da dirgli....
Segue un breve silenzio; Ninnì si raccoglie a meditare, aggrondata la
fronte e riunite le labbra a un piccolo muso.
— Giorgio!...
— Che hai?
— Non l'avrai mica disgustata con la tua corte? Non le avrai snocciolato
le solite sciocchezze della figuretta gentile ed elastica? Con le slave
non si possono dire queste cose.... Mi dispiacerebbe per lei,
intendiamoci; parlo per lei, non per me. Io non sono gelosa....
— Non sei gelosa, lo so, non ti degni!... Ma ti pare, Ninnì? Corteggiare
una tua sorella? E poi così fredda e logica, così diversa dalle
italiane, così nemica del sentimentalismo?... Ah, bisogna dirlo alto: le
slave non mancano ai loro doveri....
E perchè Ninnì non gli veda gli occhi che ridono, Giorgio s'inchina ad
accendere la sigaretta, tenendo il cerino tra le mani chiuse a coppa,
come se nel salotto soffiasse un vento infernale....


LA SIGNORINA EMPIASTRO.

Pochi giorni prima di prendere congedo dalla famiglia Grifi,
l'istitutrice si degnò di confidarsi con la cameriera. Era
un'istitutrice francese, la quale parlava l'italiano con sufficiente
esattezza; e doveva essere sostituita da un'istitutrice inglese, la
quale parlasse il francese con sufficiente esattezza.
— Io sono contenta d'andarmene, — disse Mademoiselle. — Non posso
lagnarmi della signora e del signore, che mi han trattato sempre bene.
Ma la signorina! Come fate voi a resistere? Come si può starle vicino
senza impazzire? In un anno, ho percorso tutta una _Via Crucis_ che non
dimenticherò più. Me ne vado, e sono contenta. Sono contenta di lasciar
la casa e la signorina Empiastro....
La cameriera, stupefatta a udir così definita brutalmente la piccola
Nora Grifi, non trovò risposta; ma il soprannome di signorina Empiastro
per la fanciulla di sedici anni tutta gentile, le parve disgraziato e
ingiusto.... E quando Mademoiselle se ne fu andata coi molti bei regali
che i signori Grifi non mancarono di farle, la cameriera osò aprirsene
con Nora.
Andò una mattina, come di solito, a svegliarla assai presto; e mentre la
giovinetta, appoggiata ai guanciali, i capelli bruni sparsi sugli omeri,
centellava la sua cioccolata, e guardando fuor dalla finestra aperta a
piè del letto, sorrideva al bel sole e al cinguettìo insolente dei
passeri in giardino, la cameriera le chiese se non le dispiaceva che
Mademoiselle avesse lasciata la casa.
— No, vedi, non me ne importa nulla! — rispose Nora scuotendo il capo. —
Non me ne importa nulla, perchè non potevo volerle bene.... Avevo
provato a volerle bene, ma mi sono accorta che la infastidivo, che non
intendeva rinunziare per me alla sua poca libertà, che mi guardava come
avessi voluto incatenarla.... E allora, non le ho voluto bene....
Restituì il vassoio alla ragazza e gettate le coltri, infilati i piedini
nelle pianelle, avvoltasi nell'accappatoio color di fiamma viva, s'avviò
per correre al suo bagno.... Ma si fermò di repente, come pensierosa,
mentre la cameriera la guardava nella dorata luce solare, dritta e
fresca a guisa d'un fiore porpureo.
— La colpa è mia! — disse Nora a mo' di conclusione. — Io non so voler
bere. Stanco tutti. Ho stancato la mamma e il papà e Mademoiselle e le
mie amiche.... Mi chiamano la signorina Empiastro....
— Come, lei sa?... — esclamò la ragazza sbalordita.
— Lo sai tu pure, mi sembra?
— Me lo ha detto Mademoiselle ieri l'altro.... — balbettò la cameriera.
— Vedi? Lo sanno e lo dicono tutti!... La signorina Empiastro significa
una fanciulla che ha bisogno di voler bene, e non sa voler bene coi
dovuti riguardi, e si attacca troppo, e annoia e infastidisce e
irrita.... Io sono la signorina Empiastro....
Spiccò un salto, a pie' pari, come un puledro che caracollasse, e prima
d'entrare nell'alcova, si affacciò alla finestra, guardò i cimi degli
alberi agitati dallo svolazzare dei passeri, li salutò con molti cenni
del capo e rise; poi scomparve. La cameriera udì il tuffo nell'acqua, e
corse a deporre il vassoio per tornar nell'alcova ad asciugare la
fanciulla.
In casa, Nora Grifi comandava; le mettevano al fianco una istitutrice
d'un qualunque paese che non fosse italiano, e la lasciavano
sbizzarrire. La mamma e il papà non la vedevano che all'ora della
colazione e del pranzo, e perchè v'eran quasi sempre invitati, si
scambiavano anche in quell'ora poche parole. Tutto il resto della
giornata era libera; studiava il piano, faceva molti sgorbi
all'acquerello o col lapis, andava a passeggio con l'istitutrice,
s'indugiava in giardino, ch'era la sua più cara proprietà e veniva
coltivato da lei, leggeva i romanzi permessi, sbrigava la corrispondenza
con qualche amica lontana, e si comprava tutto ciò che le aveva destato
una curiosità, la quale non durava più di ventiquattr'ore. Aveva
comperato un grammofono, una bicicletta, una macchina per proiezioni,
una gelatiera istantanea, gli oggetti più strani dei quali aveva appreso
le virtù e le meraviglie dagli avvisi delle riviste; poi li aveva
regalati per far posto ad altre compere....
Non comperava se non per andar nei magazzini e nei negozi a vedere molta
roba accatastata; era il suo divertimento del pomeriggio; le piaceva
l'odor del cuoio, delle stoffe seriche, delle confetterie, e ne
inventava ella stessa, sentendo l'odore dell'argento e dei merletti e
dei gioielli. Qualche volta in un negozio s'imbatteva nella mamma, che
dopo averle detto una parola garbata, raggiungeva la sua carrozza e la
lasciava con l'istitutrice.
Nora non ricordava d'aver mai fatto una passeggiata lunga con sua madre.
Quanto al papà, era giusto; aveva la Banca, la Borsa, e non poteva
sciupar tempo con la signorina Empiastro, che gli si sarebbe appesa al
braccio e avrebbe ciangottato una infinità di piccole sciocchezze per
tutta la durata del passeggio.
I signori Grifi avevano lungamente sognato d'avere un erede; dopo
quattro anni di matrimonio, era nata una femmina, Nora, e la delusione
era stata cocente. La trattavan bene, le concedevano tutto, la
guardavano con indulgenza; ma non si curavano di capirla, nè di farsi
capire. Ella, del resto, aveva già le sue afflizioni: le istitutrici e i
fidanzamenti. La casa era frequentata da gentiluomini brillanti,
ufficiali di cavalleria e aristocratici che avevan vissuto. Di tanto in
tanto, benchè Nora non avesse più di sedici anni, qualcuno si faceva
innanzi, tastava terreno con la mamma e il papà, e si ritirava.
Piaceva, Nora. Era savia, nonostante la sua sventataggine; era bella,
allegra, ricca, seducente per mille inconscie seduzioni femminili. E sua
madre non per altro, se non per obbligo di coscienza, l'avvertiva ch'era
stata chiesta la sua mano.
— Non per oggi, nè per domani, intendiamoci! — soggiungeva. — Sono
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