Donne e fanciulle - 04

Total number of words is 4360
Total number of unique words is 1683
35.9 of words are in the 2000 most common words
50.1 of words are in the 5000 most common words
57.4 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
— E allora? Ci son tanti uomini, tanti giovani.... — mormora il
cronista.
— Lei pensa che la ragazza doveva darsi a lei? Avrebbe fatto un buon
negozio, disgraziata!... Non ci sono tanti uomini, come non ci sono
tante donne; qualche volta, c'è un uomo solo, c'è una donna sola; ed è
la volta in cui ci si uccide....
— Talchè, lei crede, direttore, che si sia uccisa perchè l'amico l'ha
abbandonata?
— Non credo nulla....
— E tutti dicono invece che si è uccisa pel silenzio, — insiste il
giovanotto.
Io non rispondo e ascolto. Ascolto, — cosa strana, — il silenzio, che è
quasi materiale, quasi tangibile, che si può ascoltare come uno
strepito.... È il silenzio delle campagne sepolte sotto la neve, quel
silenzio che disperderebbe senza eco la voce più forte.... Ecco d'un
tratto, di lontano, vien l'onda metallica d'uno scampanìo affievolito,
velato, sordo; poi cessa, a poco a poco, e il silenzio si stende di
nuovo, implacabile, senza confine.... Ecco ancora: il grido gutturale
d'un gondoliere, che gira con la sua gondola l'angolo d'un palazzo:
_Sta....i!_ E null'altro, per un quarto d'ora, per un'ora, forse fino a
domani.... L'acqua cade monotona e sul ponte passano adagio adagio,
guardando i gradini lubrici, le figurette nere.... Perchè non si sarebbe
uccisa, abbandonata e sola in questo insopportabile manto di silenzio,
straniera fra stranieri?
— Come si chiamava?
— Wanda, era polacca; diciannove anni; fuggita di casa con quel signore
che lei ha visto a teatro.... Ha lasciato una lettera per la sua
famiglia, e si è tirata un colpo di rivoltella al cuore....
— Male; si sbaglia quasi sempre; meglio in bocca o alla tempia; meglio
di tutto, una rivoltella per ciascuna tempia....
— Direttore, lei ha fatto studi speciali? — mi chiede il cronista
esitando.
— Non si sa mai....
— Con una rivoltella sola, Wanda non ha sbagliato! — dichiara il
giovanotto trionfalmente.
— L'ammiro. Aveva il polso fermo.
— Le polacche non ischerzano! — dichiara di nuovo il giovanotto.
E la frase mi fa ridere. Se ben mi ricordo, deve avere avuto un'amante
polacca, l'anno scorso, incontrata a una pensione di Lido. Egli parla da
conoscitore....
— Non si è mai lagnata della partenza del suo amico, Wanda Zablinsky, —
insiste. — Ma sempre del silenzio, della malinconia, della pioggia....
Diceva d'avere imaginata una Venezia tutta diversa, tutta diversa.
— Voleva il caldo in dicembre? Fa caldo a Varsavia, in dicembre?...
Perchè l'ha condotta a Venezia, quell'imbecille? Doveva condurla al
Cairo....
— Ma il silenzio? A Varsavia questo silenzio non c'è!
— E se il silenzio le faceva tanto male, perchè non è partita? A Londra,
a Parigi, a Roma, a Napoli, c'è il rumore, il bel rumore che vi fa
vivere della vita altrui, e vi fa dimenticar la vostra....
— S'è perduta, s'è smarrita, è rimasta, ed è morta, — dice il cronista.
— Lei parla come una pietra tombale.
Ma non parliamo più, nè io, nè lui. L'ombra è discesa repentinamente dal
cielo bigio, e nell'ombra splendono sul campo i fanali a gas,
illuminando il lastrico bagnato; qua e là, dentro le finestre, rilucono
le lampade a petrolio....
— Viene a vederla? — riprende il giovane.
— Andiamo.
Il cronista m'accompagna per le _calli_ dove non sempre si può tener
l'ombrello aperto, in causa della strettezza; e incontriamo pochi
viandanti, appena riconoscibili alla fioca luce del gas. In verità, per
godere questa ombra e questo silenzio, occorre un'anima temprata alla
solitudine e sicura di sè; per non soffrirne, un'anima indifferente e
molle.... Che importano il silenzio e l'ombra a questi veneziani miei
amici, che hanno qui le case, la famiglia, la gioia?... La loro gioia è
sepolta nell'ombra e nel silenzio, come lo scrigno dell'avaro in un
sotterraneo misterioso.
Ma Wanda Zablinsky non aveva più nulla: fuggita di casa per un uomo, e
abbandonata dall'uomo pel quale era fuggita, la famiglia lontana, la
gioia perduta.... E il silenzio l'ha presa tutta e l'ha schiacciata.
Mi fermo. Il cronista è innanzi all'albergo; parla col portiere, poi col
direttore. Quest'ultimo mi viene incontro, e mi saluta.
— Non lascio passare nessuno, — dice. — Ma lei, la stampa non ha
barriere.... Abbiamo telegrafato alla famiglia.... Se ne parlerà ancora
molto? Queste chiacchiere ci recano danno.... Io avrei piacere che la si
finisse.... Fortunatamente abbiamo pochi forestieri, in questa
stagione.... Che caso! È dispiaciuto a tutti.... Un caso di nevrastenia;
non poteva sopportare il silenzio. Povera bambina! Le signore hanno
mandato fiori, molti fiori.... Vedrà.... È al numero trentaquattro,
secondo piano....
Salgo. La porta del numero trentaquattro è vigilata da una guardia di
città, che mi lascia passare, riconoscendo il cronista.
E varcata appena la soglia, un profumo denso mi si precipita incontro,
un profumo di violette, di tante violette, che la stanza illuminata ha
preso il colore d'ametista carico. Violette dovunque, sciolte sul
cassettone, sul tavolino, sparse a terra, annodate a guisa di ghirlanda
intorno allo specchio, il quale rifletteva ieri l'imagine della
fanciulla e rifletterà domani l'imagine d'un passante annoiato.
E che silenzio! Veramente il silenzio è assai greve in questa camera.
_Ce silence, ce maudit silence!_ Le finestre guardano sul Canalazzo, che
una bruma pesante ha invaso; non si vede più nulla, e la notte è calata
prima del tempo. S'ode battere ritmicamente una goccia dalla grondaia
sulla tettoia che ripara l'entrata dell'albergo: è un colpo isocrono,
esatto, che segna il tempo come un pendolo, e dice che piove, che
continua a piovere.... E null'altro. Ho guardato ogni cosa: c'è sul
cassettone un pettine di tartaruga chiara costellato di _strass_, che
scintillano tra le violette; più qua un nodo di velluto nero, disposto
forse per esser messo tra i capelli, e un piccolo specchio da mano,
chiuso in una cornicetta d'avorio.
Ho guardato ogni cosa; all'altro lato della camera è il letto col
cadavere, ma non ho ancora osato gettarvi lo sguardo, e sento gli occhi
del cronista che immobile nel mezzo della camera deve fissarmi con
curiosità, non comprendendo la mia ripugnanza.
E infatti, ho torto.
Non c'è nulla di ripugnante nello spettacolo che mi si para innanzi,
quando a capo scoperto mi avvicino al lettuccio d'ottone rilucente.
Wanda è distesa, le mani lungo i fianchi, i capelli lunghissimi tutti
sciolti; indossa un abito di velluto nero, che dà un risalto terribile
al pallore del volto, e tramuta i capelli in un vero fiume d'oro lucido.
Ha gli occhi chiusi, cerchiati d'azzurro, e le labbra bianche.
E le donne, dopo averla composta, l'hanno quasi sepolta sotto le viole,
cosicchè il letto e i guanciali paiono una distesa di fiori su cui la
giovane si sia adagiata per riposare.
— Ma che cosa è? — dico stupito, sottovoce.
Presso il volto della morta vedo un altro visetto con gli occhi aperti,
sorridente, un visetto da bimba, che il cumulo delle viole m'aveva di
prim'acchito nascosto.
— È la sua bambola, — mi risponde il cronista sottovoce. — L'hanno
trovata al suo fianco e ve l'hanno lasciata.
La bambola! È una bambola bionda, vestita di velluto nero, come la
fanciulla; e ride con gli occhi aperti, mettendo in quel muto spettacolo
ferale una nota di vita, un'espressione ribelle di vivacità, che fa
pensare alla bambola come a persona vera.... Era la sua amica, e le si è
stesa al fianco, e sarà seppellita con lei. Gli occhioni azzurri mi
fissano allegri e ingenui, quasi dicessero: — Non rattristarti: io e
Wanda stiamo bene, riposiamo tra queste viole belle; è molto piacevole
riposare così.... Io l'ho vista piangere ed ora dorme tranquilla; io so
tutti i suoi segreti, e so che ha fatto bene a morire.... Non
risvegliarla: lasciala passare!... —
La bambola sembra veramente felice di trovarsi con la padroncina, con
tanti fiori, e i suoi occhi ridono e il suo visetto roseo ha un
significato di soddisfazione quasi comica.
— Non ha lasciato lettere? — chiedo sottovoce.
— Una lettera, che fu sequestrata, alla famiglia. Mi pare d'averglielo
detto.
— E all'amante, nulla?
— Nulla.
— Bene. Il disprezzo!
E non so perchè, questo mi fa tanto piacere che m'accorgo di parlare ad
alta voce.
— È tornata alla bambola! — concludo con voce più sommessa.
A vederla così bianca, così bionda, così giovane, composta nell'abito di
velluto nero, chiuso al collo severamente, si pensa che l'amore sia un
frutto ancora acerbo per lei, e che la bambola le convenga meglio.
La straniera abbandonata nella città del silenzio è tornata alla
bambola, come alla sola amica verace.
Ieri sera, hanno avuto un colloquio: tutt'e due bionde e vestite di
velluto, tutt'e due smarrite e ingenue hanno scambiato i loro piccoli
pensieri.
— Io sono sola, — ha detto la fanciulla. — E soffro, soffro molto. Che
devo fare?
— Io non soffro, — ha risposto la bamboletta di cera e legno. — Sono
allegra perchè non ho cuore che batta. Senti che rido?
— Il mio cuore batte troppo, batte orribilmente, e mi fa male.... Non
posso ridere.... Vedi che piango?
— Perchè non lo fermi, il tuo cuore? Fermalo, se ti fa male, e potrai
ridere, dopo.
— Tu credi?
— Sì: io ho visto una volta un orologiaio, presso la vetrina in cui
vivevo prima che tu mi comprassi, ho visto un orologiaio il quale ha
fermato il suo orologio, che avanzava e correva disperatamente, che
batteva come il tuo cuore.... Il cuore non è il tuo orologio? E se è
pazzo e ti fa male, tu devi fermarlo.
Allora la fanciulla ha adagiata la bambola sul letto, e ha preso l'arma.
— Aspettami. Ora lo fermo.
E posando il capo sul guanciale presso il capo della bambola, ha
lasciato partire il colpo.
— Ecco, il cuore è fermo! — ha detto la bambola. — È fermo, e non ti fa
più male. Dormiamo.
La fanciulla s'è addormentata per sempre, e la bambola, con quel suo
lieve riso, con gli occhi azzurri sbarrati, ne vigila il sonno e mi
guarda per dirmi che tutto va bene.
— Usciamo! — mormoro sottovoce. — Lasciamole stare!...
Raggiungiamo la soglia e apriamo cautamente la porta; ma prima
d'abbandonare la camera color d'ametista, spengo la luce elettrica.
— Così dormiranno meglio, — osservo al mio compagno.
Egli annuisce con un cenno del capo, senza comprendere; e usciti
dall'albergo, riprendiamo in silenzio la via, per le _calli_ taciturne e
oscure....


LA FILOSOFIA DI MINNI.

Minni tornò a casa verso le cinque d'una pesante giornata sciroccale.
Aveva fatto gli acquisti pel pranzo e recava un paio d'involtini con la
carta rosea, tenendoli nella piegatura delle braccia. Senza curarsi
della folla che si stendeva da piazza Colonna a piazza Barberini, aveva
percorso tutta la strada col passo svelto e leggiero, temendo d'essere
soprappresa dalla penombra del crepuscolo.
E giunta a casa, in quella strana via Campania, che, a un passo da Villa
Umberto e da via Veneto, sembra ancora la strada d'un villaggio, non
selciata, deserta, popolata la sera dai gatti, Minni salì una scala ed
entrò nella sua camera al primo piano.
Ella abitava da lunghi mesi col marito quella vasta camera mobigliata in
via Campania. Nel mezzo era il letto di ferro, assai largo; a destra,
Minni aveva improvvisato un gabinetto da toeletta con un bel lavabo e
mille piccole cose per l'abbigliamento; a sinistra, un'agrippina, sulla
quale Minni aveva drappeggiato una stoffa di seta a colori vivaci; e
v'era la tavola da pranzo, che si trasformava poi in tavola da lavoro, e
disposte ai capi, due poltroncine. Così in quell'angolo, la sala da
pranzo succedeva al salottino, secondo le ore; e una grande lampada a
petrolio illuminava e riscaldava il luogo, poichè non v'era stufa.
Minni, bionda e graziosa, una di quelle donne il cui corpo stupisce per
l'esatta perfezione delle linee e la cui anima chiude insospettati
tesori d'energia, stese la tovaglia, mise sulla tavola due piatti, due
posate, due bicchieri; e sopra un piatto più grande espose tutto il
pranzo: salame, formaggio, ulive, una scatola di sardine. Poi v'erano
una bottiglia d'acqua, un fiaschetto di vino, il pane.
Minni guardò un istante quei poveri preparativi, e per renderli meno
tristi, piantò in mezzo alla tavola un vasetto di vetro con un mazzolino
di fiori. Accese la grande lampada a petrolio, che doveva riscaldar la
camera, e aspettando l'ora che il marito facesse ritorno, sedette
sull'agrippina a leggere.
Leggeva un romanzo nel quale i milioni danzavano una ridda vertiginosa
con le avventure più gaie. Da tempo, Minni leggeva soltanto per non
pensare, per non sentire la miseria immeritata, e appena la distraevano
dalla lettura le grida e gli schiamazzi dei monelli, i quali verso
l'imbrunire s'impadronivano delle strade circostanti e facevano chiasso
sino a sera.
Alle sette, ella udì aprir l'uscio nel corridoio, e indi a poco s'aperse
la porta della camera, ed entrò Giorgio.
— Buona sera, _Blì_! — egli disse.
Dacchè l'aveva sposata, Giorgio s'era fatta l'abitudine di chiamar
Minni, con i vezzeggiativi più curiosi. Il nome di lei, Emma, era
diventato Minni, e le era rimasto; ma ogni poco, Giorgio glielo mutava
con voci monosillabiche, nelle quali egli metteva un senso d'amore e di
protezione come per un bambino.
— Quante belle cose avete comperato! — disse Giorgio, gettando
un'occhiata alla tavola, mentre si levava il cappello e il soprabito.
Minni sorrise debolmente.
— Hai fame? — ella chiese.
— No, niente, sono stanco! — rispose Giorgio, avvicinandosi e baciandola
sulla bocca. — Una noia spaventevole, tutto il giorno. E tu?
— Io ho fame. Ora preparo il caffè, e poi mangiamo.
Ella andò ad accendere la macchinetta pel caffè, e Giorgio sedendo
sull'agrippina diede un'occhiata al libro che Minni aveva deposto sulla
tavola.
— “Sì principe, — lesse Giorgio ad alta voce — il mio banchiere è pronto
a rilasciarvi subito uno _chèque_ di trecentomila franchi. Non avete che
da dare un ordine„.
— Ma quanto è stupido, _Mì_, questo vostro libro! — disse Giorgio
chiudendolo.
— Son tutti lo stesso, — osservò Minni.
— Io credo che gli _chèques_ non esistano! Sono esistiti mai, al mondo,
i banchieri e i principi?... Ne ho perduta l'abitudine....
— Anch'io! — disse Minni. — Non credo più al danaro.
— Il male si è che ci credono gli altri! — mormorò Giorgio.
Minni sedette a tavola, e l'uomo guardò la sua piccola moglie nella
quale egli aveva riposto tanta tenerezza, alla quale egli si sentiva
invincibilmente legato da un'affezione e da una gratitudine senza
limiti.
La giovane apparteneva a famiglia già ricca e aveva conosciuto con
Giorgio e gustato gli agi della vita; poi una serie di rovesci, alcune
speculazioni infelici, una causa civile promossa da alcuni parenti,
avevano piombato l'una e l'altro nelle più crudeli strettezze, quasi
nella miseria.
E Minni era rimasta ferma, aspettando con coraggio il ritorno alla
ricchezza, obbedendo alle necessità di quel periodo di sventure,
lavorando d'ago con le piccole mani che in altri tempi eran cariche di
gioielli, dimenticando tutte le cure, tutte le mollezze, tutte le
superfluità in mezzo alle quali e per le quali sembrava vivere un
giorno.
Ella mangiava ora con Giorgio il misero pranzo, ed era tranquilla.
Giorgio si levò a darle un bacio.
— Sei molto carina! — egli disse. — Ti voglio molto bene, lo sai?
Ella alzò le sopracciglia con un significato di dubbio.
— Non far la scettica, suvvia! — esclamò Giorgio, il quale non perdeva
la calma se non quando si dubitava della sua parola. — Sai che ti voglio
bene; molto, troppo!...
Giorgio era di giusta statura, un po' pallido, con occhi chiari, dallo
sguardo mobile e vivace. I capelli e i baffi aveva neri, la fronte alta,
il mento breve. Vestiva un abito scuro, lucido nei gomiti, opera di un
modesto sarto, che aveva la botteguccia in via Sardegna; ma Giorgio
indossava fieramente il suo abito invecchiato, come un giorno aveva
indossato la marsina con la gardenia all'occhiello in casa della
duchessa di Monfalcone.
— E voi siete mia, tutta mia? — egli riprese, — siete tutta mia?
— Che meraviglia, — disse Minni pacatamente. — Non sai come io ti amo?
— Sta bene, sono soddisfatto, — dichiarò Giorgio, con un'affermativa
della testa e uno schioccar della lingua, che fecero ridere Minni.
Ella era veramente tutta sua, quantunque sdegnasse o non osasse
dirglielo sempre. Innanzi a quell'uomo che toccava la trentina, e dopo
sei anni di matrimonio, ella sentiva ancora una specie di soggezione
delicata; orgogliosa e timida, sapeva amare pertinacemente e conservar
tuttavia qualche cosa di quella verecondia, che acuisce la compiacenza
dell'uomo e non gli permette di giungere rapidamente alla sazietà.
Minni era innamorata di Giorgio e non glielo aveva mai detto, non aveva
forse mai trovato il coraggio di dirglielo; quand'egli la interrogava,
ella gli rispondeva con una frase indiretta. Egli sentiva l'amore nei
suoi baci, nel suo gesto, fors'anco nei capricci non infrequenti, coi
quali ella si divertiva a irritarlo, per giungere poi a una
riconciliazione tumultuosa e piena di voluttà.
E dentro all'anima, vigile e inquieta, Minni serrava anche una gelosia
sfrenata per Giorgio, del quale non era sicura, conoscendone le
abitudini giovanili, lo scetticismo allegro, il gusto per l'avventura
difficile e intricata.
Non aveva a lodarsi niente, niente, di lui. Egli pareva un sentimentale,
e ingannando involontariamente sè stesso e gli altri con quella maschera
di sensibilità gentile e delicata, riusciva a piacere; piaceva in modo
speciale “a quelle oche di ragazze„, come diceva Minni nelle sue ore di
gelosia; le quali oche lo sapevano pure ammogliato, ma gli sfarfallavano
intorno, per curiosità o per civetteria, non imaginando a qual brutto
giuoco giuocassero.
Tutto il periodo d'agiatezza trascorso con Giorgio era stato per Minni
una strada seminata di triboli e d'inquietudini. Aveva sorpreso e
interrotto parecchi idillii, che Giorgio aveva annodato qua e là, con
una scaltrezza acuta e irritante; non era arrivata ad assodar nulla di
grave, ma era uscita da quella sorda lotta con tanto timore, che i primi
rovesci finanziarii, in grazia dei quali Giorgio aveva dovuto rinunziare
alla sua futile e piacevole vita, erano stati accolti da Minni con una
rassegnazione, che somigliava a un compiacimento.
Nella tristezza, nel disagio, nel dubbio dell'avvenire, Giorgio era
almeno interamente e veramente suo; viveva al suo fianco, la confortava,
sentiva il dovere di non darle altri crucci, il bisogno di proteggerla;
e in questa certezza, Minni trovava molta consolazione.
Mentre prendevano il caffè, Giorgio disse:
— Domani, gran pranzo al _restaurant_! Mi sono fatto anticipare metà
dello stipendio: cento lire. —
Minni non parve molto sollecita di accettare.
— Abbiamo bisogno di tante cose, caro, — ella osservò. — Tu devi farti
accomodare il soprabito, che ha la fodera strappata.
— È bellissimo, di fuori! — esclamò Giorgio, alzando le spalle, e
gettando un'occhiata al soprabito, che pendeva dall'attaccapanni.
— E io devo farmi qualche cosa per l'inverno, una giacca e un cappello,
— seguitò Minni, sicura di vincerlo.
— Allora, niente pranzo? — disse Giorgio rattristato. — Ancora
formaggio, salame e ulive? E pensare che io non ho alcuna vocazione per
imitar gli anacoreti della Tebaide!... Andremo a pranzo al _restaurant_:
una rondine non fa primavera. Tanto più poi, ora che....
Si morse le labbra e tacque, accese una sigaretta, e incominciò la sua
passeggiata, tra il letto e il cassettone, dalla finestra alla porta.
— Ora che cosa? — incalzò Minni, guardandolo.
— Nulla: sciocchezze.
— Hai qualche notizia che non vuoi dirmi. Perchè non vuoi dirmi?... È
una bella notizia? indovino?
E Minni gli andò incontro, lo fermò, lo fissò negli occhi.
— Siete una bambina. _Scì!_ — egli disse chinandosi a baciarla sulle
labbra. — Volete sapere tutto, tutto, anche quello che non esiste....
Minni tornò tristemente alla tavola, sparecchiò, chiamò la servetta
della casa perchè lavasse i piatti e le posate. Per piegar la tovaglia,
Minni si faceva aiutare da Giorgio, e l'uno a un capo, l'altra
all'altro, tiravano, stendevano, se la strappavano di mano: qualche
volta, Giorgio la buttava addosso a Minni, e afferrata la donna, se la
portava tra le braccia ridendo, così avvolta nel manto bianco.
Ma quella sera, ella non chiamò Giorgio: fece da sola, e poi riprese il
libro, si stese sull'agrippina, e cominciò a leggere la storia del
principe e dei suoi milioni.
Giorgio seguitava a passeggiare e a fumare, sogguardando d'ora in ora il
viso rannuvolato di Minni; prevedeva una gragnuola di rimproveri.
— Dimmi, — egli si decise finalmente, sedendo ai piedi dell'agrippina
sopra un piccolo sgabello e carezzando le ginocchia della donna — dimmi,
vuoi sapere?...
— Oh no, non me l'hai confidato subito, e ora non m'importa più! — ella
rispose, fingendo di continuar la lettura.
— Ascoltami dunque, — seguitò Giorgio, mentre le toglieva il libro dalle
mani. — Ma devi promettermi di non credere una parola.
— Come?
— Sì, non voglio che tu t'illuda con delle speranze. Non v'è ancor nulla
di certo, e tutto può sfumar da un giorno all'altro. Sarebbe troppo
bello, troppo bello, se le cose avvenissero come io spero. Dunque, non
crederai, non galopperai con la fantasia, non ti tormenterai coi
progetti.... È inteso?
— È inteso, — ripetè Minni, che vibrava già di speranze, e sentiva già
la fantasia accendersi e partire.
Allora Giorgio raccontò che Riccardo Pizzi, il proprietario della
cartiera presso la quale egli era impiegato, l'aveva proposto a un
gruppo di azionisti come direttore d'una grande casa editrice, che si
voleva fondare a Milano e che avrebbe assunto proporzioni colossali. Le
trattative erano avviate bene; duravano da più che quindici giorni e si
sarebbero concluse fra breve; ma v'erano parecchi altri candidati a quel
posto, alcuni fortemente protetti da raccomandazioni cospicue, altri da
parentele e da simpatie.
— Insomma, — concluse Giorgio, — non c'è da sperare nulla, capisci?
— E ti darebbero un grosso, grosso stipendio? — interrogò Minni, che
sperava già tutto.
— Così! — disse Giorgio, aprendo le braccia quant'erano lunghe. — Uno
stipendio principesco. Non so ancora, ma un grosso stipendio c'è, e la
partecipazione agli utili, e mille vantaggi.... Partiremmo subito....
— E che bravo, quel tuo Pizzi! — esclamò Minni.
Giorgio rise.
— Povero Riccardo, tanto buono! — disse poi. — Non lo lascio mai
tranquillo, non passa giorno senza una baruffa, ma mi vuol bene, e
vorrebbe vedermi più su, più in alto, felice, allegro.... E tu, non
soffrirai a lasciar Roma per Milano?
— Mi comprerai una bella pelliccia! Non avrò freddo. E in casa, un bel
fuoco; e andremo a teatro, e io potrò mangiare i _marrons glacés_.
Giorgio si alzò d'un tratto, e riprese a passeggiare, accendendo
un'altra sigaretta. Scosse bruscamente la testa, per cacciar la
tentazione di sognare, di lasciarsi travolgere dalle illusioni, che lo
avevano già tante volte ingannato.
— Ora non parliamone più, — disse, tornando alla donna. — Vedi che
domani potremo uscire a pranzo.
— Sì, e dirai a Pizzi che io sono molto, molto contenta, e che gli
voglio proprio bene!
— Oh là, là! — esclamò Giorgio ridendo. — Non faccio, io, queste
ambasciate!
Ma ormai l'abbrivo era preso, e mentre Giorgio ascoltava il miagolìo dei
gatti di via Campania, Minni snocciolò tutti i suoi progetti, e come
avrebbe addobbata la casa, e dove avrebbe passate le vacanze estive, e
in qual maniera avrebbe rifatto la sua guardaroba....
— Ma tu, — s'interruppe — tu avrai molto da lavorare, di'?
Più tardi, in letto, presso la cara donna bionda che s'era addormentata
cingendogli il collo con le braccia, Giorgio pensò che quella vita
umile, quella povertà fieramente sopportata, avevano un senso di poesia
forse indimenticabile.
E sentendo il cuore di Minni battere tranquillo, sciolse adagio le
braccia della donna, dispose meglio sotto la testa di lei il
guancialetto di seta azzurra, e la baciò piano piano sulle labbra e
sugli occhi.
*
Ma per più d'un mese, non si ebbero altre notizie. Le trattative con
Riccardo Pizzi e con Giorgio Spinarosa furono interrotte, perchè
sembrava che a Milano non fossero tutti d'accordo sulle proporzioni,
sullo scopo, sui particolari della impresa che volevasi tentare.
L'inverno calò a Roma abbastanza rigido: vi fu perfino una nevicata di
ventiquattr'ore, e Minni stette molto in casa, a leggere, ad agucchiare.
Non appena v'era un po' di sole, ella andava a Villa Umberto col suo
libro, sedeva su una gradinata in Piazza di Siena, e vi rimaneva fino al
tramonto, allorchè il parco meraviglioso cominciava a diventare umido.
E allora Minni correva in qualche negozio a far le provviste, o passava
da una rosticceria di via del Tritone a comperare un pollo allo spiedo e
certi involtini di carne e di riso, che si chiamavano “supplì„, e che
facevano ridere Giorgio a vederli.
— _Supplì, supplì_, supplizio davvero! — esclamava. — Te l'avevo detto,
_Mì_, di non sperare! Non ne azzecchiamo una, piccoletta mia! I milanesi
ci hanno abbandonato anche loro, e bisognerà pensare ad altro: scommetto
che il direttore è stato scelto, la Casa fondata, e intanto non ci levan
di pena, e ci menano garbatamente pel naso. —
Minni piangeva. Era stanca di quella lotta contro la miseria, che non
aveva nemmeno il diritto d'andar per le strade con gli abiti a
brandelli, e che doveva ostentare un sorriso, nel timore d'incontrare
occhi indiscreti. Minni vestiva ancora con eleganza, grazie a un
risparmio rigoroso, e benchè schivasse gli incontri, era tuttavia così
accurata nell'abbigliamento, in ogni minuzia della sua eterna toilette
grigia, da potere sfidare la curiosità crudele delle amiche e degli
indifferenti.
La sua figurina aggraziata dava risalto a ciò che indossava, e la vanità
femminile era salva, quantunque sempre sospettosa.
Ma la monotonia di quella vita senza mai un piacere, senza mai un'ora di
distrazione, pesava sul cuore della donna giovane e ne irritava i nervi.
La sua compagnia in casa eran le grida, gli schiamazzi, la musica
selvaggia dei monelli di via Campania; e fuori di casa, un libro
qualunque preso a prestito in una biblioteca circolante.
A poco a poco, ella aveva conosciuto tutti i passeggiatori abituali di
Villa Umberto: coppie d'amanti, vecchi e signore col cagnolino, damine
accompagnate da una serqua di marmocchi e di bambinaie, pensionati
meditabondi, ricche annoiate che passavan pei viali in carrozza,
sognando probabilmente i sogni più vacui.
Qualche volta entrava al giardino del lago, e stava a guardare le anitre
e le oche, invidiando la loro vita incosciente. Pel giardino del lago i
passanti erano radi, e in quelle giornate d'inverno si diffondeva una
malinconia tenue, fatta quasi sacra dal silenzio prolungato; il libro
posava sulle ginocchia di Minni, ed ella si perdeva a fantasticare,
mentre le anitre diguazzavano nel laghetto e si rizzavano a batter
l'ali.
Se le veniva il pensiero di Giorgio, ella si confortava un poco; perchè
Giorgio non mutava d'umore, non perdeva speranza, non dubitava mai. Egli
aspettava qualche cosa, e sarebbe stato impacciato a dire che cosa
fosse, ma aspettava con una fiducia tanto strana, tanto ostinata, da
snebbiar le paurose apprensioni della donna.
— Siamo troppo giovani per andare a fondo! — egli diceva.
No, non voleva andare a fondo, Giorgio Spinarosa. La sua anima ricca
d'orgoglio, il suo corpo robusto, si ribellavano all'idea che la vita
dovesse oscuramente naufragare in quella miseria. Egli voleva, egli
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Donne e fanciulle - 05
  • Parts
  • Donne e fanciulle - 01
    Total number of words is 4445
    Total number of unique words is 1654
    32.9 of words are in the 2000 most common words
    47.5 of words are in the 5000 most common words
    55.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 02
    Total number of words is 4349
    Total number of unique words is 1514
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    61.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 03
    Total number of words is 4344
    Total number of unique words is 1572
    36.7 of words are in the 2000 most common words
    51.6 of words are in the 5000 most common words
    59.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 04
    Total number of words is 4360
    Total number of unique words is 1683
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    50.1 of words are in the 5000 most common words
    57.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 05
    Total number of words is 4308
    Total number of unique words is 1615
    37.1 of words are in the 2000 most common words
    53.0 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 06
    Total number of words is 4521
    Total number of unique words is 1657
    35.1 of words are in the 2000 most common words
    49.7 of words are in the 5000 most common words
    57.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 07
    Total number of words is 4402
    Total number of unique words is 1650
    35.4 of words are in the 2000 most common words
    49.5 of words are in the 5000 most common words
    56.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 08
    Total number of words is 4352
    Total number of unique words is 1659
    34.5 of words are in the 2000 most common words
    49.0 of words are in the 5000 most common words
    56.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 09
    Total number of words is 4389
    Total number of unique words is 1645
    35.0 of words are in the 2000 most common words
    51.0 of words are in the 5000 most common words
    58.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 10
    Total number of words is 4401
    Total number of unique words is 1571
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    54.7 of words are in the 5000 most common words
    61.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Donne e fanciulle - 11
    Total number of words is 2390
    Total number of unique words is 1070
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    54.2 of words are in the 5000 most common words
    61.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.