Donne e fanciulle - 02

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mi sono attenuto, creando questa collezione di tipi femminili.
Che se mi si opponesse essere il mio concetto, indulgente e generoso
verso la donna, il frutto d'un'esperienza tutta personale, che non prova
nulla, potrei anche concedere; quantunque e la filosofia e l'arte e le
opinioni non siano mai altro che il frutto d'esperienze personali. E per
ciò il mondo è divertente, e nulla è definitivo e assoluto.
Per conto mio, potrò mutare d'idea sulla donna il giorno in cui ne avrò
trovata una capace di condurre a perdizione me; allora dirò anch'io
ch'ella non è se non una creatura malefica, «instrumentum diaboli», La
Nemica con le iniziali maiuscole....
Ma mi sembra tardi....
Febbraio 1911.
L. Z.


LA MARMOTTA.

I.
Che freddo, che freddo, faceva a Como, in gennaio!
Del Bisbino non era possibile scorgere la vetta, incappucciata in una
nuvola grigiastra; e sotto la nuvola s'ampliava una larga distesa di
neve; l'aria gelida soffiava di là, movendo le acque del primo bacino,
che s'accartocciavano per il brividìo.
Col bavero della pelliccia alzato fino alle orecchie, gli occhi bassi a
schivar certi mucchi di neve giallastra ond'era disseminata piazza
Cavour, Tullio Sciara accompagnava Estella in quella inutile
passeggiata; e correvano ambedue.
Estella gli lanciò un'occhiata di traverso, e disse a un tratto:
— Ha il naso rosso!
Tullio si toccò il naso istintivamente, e la sua amica diede in una
risata.
— Anche lei ha il naso rosso, — rispose Tullio per vendicarsi, — e le
gote rosse, e il mento rosso. Mi sembra una bambola di legno, da un
soldo. È tutta rossa!
— Io sono tutta rosa, — ella osservò pacatamente. — Sono sempre tutta
rosa. Mi vedrà all'albergo, quando rientreremo.
— Ma potevamo rimanerci! — protestò l'altro. — Che gusto c'è a
intirizzire per le strade?
— No; voglio vedere le mode, le mode di Como.... Quando fa freddo,
allora, non si uscirà più?
L'uomo tacque, e seguitò ad accompagnarla, correndo al suo fianco.
Bisognava farle la guardia; ordine di sua zia; e proprio a Tullio doveva
toccare di far la guardia a una ragazza di diciassette anni!
Era andato, nel pomeriggio stesso, a Milano, a trovare quella zia
d'Estella; una signora alta, capelli nerissimi, labbro superiore
ombreggiato da una forte lanugine, occhi neri dallo sguardo imperioso.
E aveva trovato la signora Anna Arrigoni in grande scompiglio, ed
Estella sbalordita, umiliata, perchè sentiva d'essere impacciosa.
Estella presso Anna sembrava più fragile e gentile; la giovinetta bionda
presso la scura matrona pareva d'un'altra razza, per le forme esili, per
le rose delicate del volto, per gli occhi azzurri senz'ombra. E perchè
la zia era inquieta e perplessa, Estella, seduta al suo fianco, rimaneva
muta, guardandosi intorno come a cercare un rifugio.
— Che me ne faccio, che me ne faccio, ora, di questa bambina? — andava
ripetendo la signora.
Parlava a Tullio? Parlava all'aria, o a sè stessa? Egli non avrebbe
saputo dire; ma notò che chiamava bambina sua nipote: abitualmente la
chiamava marmotta; e quando la rampognava, in giorni comuni, cominciava
sempre così: “Tu che sei una donna, oramai....„
— Ma che cosa è avvenuto? — disse lo Sciara.
— È avvenuto che mia figlia sta male, — rispose la signora. — Sa, mia
figlia maritata, Francesca? Veda qui: mi hanno telegrafato, e devo
partire per Brescia.... E che me ne faccio, che me ne faccio, ora, di
questa bambina?
— Non può telegrafare a suo padre, che venga a riprendersela? — domandò
Tullio.
La signora Arrigoni fece con la mano un gesto brusco, subito vinto, e
addolcita la voce, rispose:
— L'avevo pensato, naturalmente; ma, nel più fortunato dei casi, mio
cognato non può esser qui prima di domani, forse domani sera. Sta a
Bellagio, è medico; e non ci sono i forestieri che si pagano il
capriccio di svernare a Bellagio, come fosse la Riviera? Se ha qualche
malato di conto, non può allontanarsi....
Estella osò interloquire.
— Sì, zia, — disse, — ha proprio un malato inglese, un vecchio che deve
visitare tre volte al giorno. Me lo ha scritto, papà....
— Vede? — incalzò la signora. — E che me ne faccio, di questa bambina?
— Non ha un'amica alla quale confidarla? Un'amica, la quale possa
riaccompagnarla da suo padre?
Tullio aveva il dono d'irritare, quel giorno, la signora Arrigoni, e lo
comprese a un altro gesto di lei, non finito.
— Andare in cerca dell'amica, ora! — esclamò. — Mentre il terreno mi
scotta sotto i piedi.... Pensi che mia figlia sta malissimo, e vorrei
già essere al suo capezzale.... La mia Francesca!
Si alzò d'un tratto, e soggiunse, rivolta allo Sciara:
— Favorisca un istante.
Egli la seguì; entrarono in un altro salotto, sprofondato in tale
oscurità che Tullio inciampò prima in una poltrona, poi nel tappeto, e
da ultimo in un tavolino, sul quale si produsse un tintinnio che gli
fece comprendere che i ninnoli si baciavano.
Ma la signora non vi badò; ritta in mezzo alla camera, ritta e nera nel
nero, gli disse con voce solenne:
— Febbre puerperale!...
Lo Sciara non capì, e stette muto.
— Febbre puerperale! — ripetè la signora Arrigoni. — Ci son delle cose
che non posso dire davanti a Estella. Ma lei comprende l'importanza di
questa notizia; le ore sono preziose; mia figlia è in pericolo, devo
correre a Brescia.... Qualche volta una mamma, con una occhiata.... E
che me ne faccio di quella bambina?...
La voce della signora tremava ed era velata: la povera donna, in
procinto di dare in uno scoppio di lagrime, vibrava di sgomento e
d'impazienza.
Tullio si decise: le disse:
— Vuole che la prenda io, Estella, e la riaccompagni da suo padre?
Evidentemente, ella non aveva mai voluto, non aveva mai pensato altro.
Gli serrò le mani con forza, quasi con violenza:
— Grazie! — esclamò. — Non le disturba? Può partire subito?... Estella è
una bambina, tutti lo vedono; lei è un uomo maturo; nessuno potrà
giudicar male....
Lo Sciara aveva trent'anni, tredici più di Estella; a lui, veramente, la
differenza non sembrava così notevole da non sollevare mormorazioni per
un viaggio in quella compagnia; ma forse era acciecato dalla vanità
maschile, e non osò ribattere. Del resto, la signora aggiunse qualche
cosa, che gli dispiacque meno dell'“uomo maturo„.
— Dopo tutto, — ella disse, — una fanciulla si può sempre affidare a un
gentiluomo, qualunque sia la sua età.... Vogliamo combinare subito e
vedere l'orario?
Tornarono nella camera dov'era Estella, la quale non s'era mossa dalla
sua poltroncina, e con la testa reclinata sul petto meditava o piangeva
in silenzio.
— Tu va a vestirti, subito, a preparar le tue robe, — disse la signora
Anna.
La fanciulla uscì senza far motto; e appena ella fu scomparsa, la
signora Anna, dimentica di guardare l'orario, cominciò a parlare di sua
figlia Francesca e del matrimonio di lei, e di Brescia e di Milano, e
delle speranze ch'ella aveva in una pronta guarigione.
— Permetta, — interruppe Tullio. — Io faccio una corsa a casa e allo
studio, per avvertire gli impiegati della mia assenza; poi torno qui a
prendere Estella.
— Vada, vada. Anch'io devo prepararmi a partire. Ah, come le sono grata!
Ah, quanto le devo! Stasera sarò da Francesca, e potrò passare la notte
al suo capezzale.... Io le devo forse la vita di mia figlia.
E in questo modo e per questa ragione, Tullio Sciara si mise in viaggio
con Estella e si trovò a far da guardiano a una fanciulla di diciassette
anni.

II.
Ma subito s'accorse che la marmotta era un demonio.
Voltate le spalle alla zia, uscita di casa, Estella cominciò a ridere.
Dovevano caricare il suo piccolo baule sulla carrozza, e la fanciulla si
divertiva, accorgendosi che il bauletto impacciava il vetturale.
— A metà strada, — ella disse, — o va in aria il baule, o va in aria il
cocchiere!... Quanto mi piace!
Tullio le lanciò un'occhiata.
— Salga, — ordinò brevemente. — Arrischiamo di perdere la corsa....
— Ah, ne sarei felice! — ella esclamò. — Perdiamo la corsa, e così
stasera andiamo a teatro.
— Alla stazione, a galoppo! — disse Tullio al cocchiere.
Sedette a fianco d'Estella, e non aperse bocca.
Egli era pentito della sua generosità. Perchè sobbarcarsi a un'impresa
di quel genere? Perchè arrischiare d'imbattersi in un amico, il quale
non avrebbe mai creduto all'innocenza d'un simile viaggio? E se, invece
d'un amico, avesse trovato qualche cliente, di quei burberi moralisti
che vedono il male, soltanto il male, sempre il male?
— Accidenti alle donne! — pensava Tullio. — Ma la signora Anna era
disperata; avrebbe finito col darmi lei stessa l'incarico di portar via
la marmotta. È stato meglio offrirsi.... E poi, si tratta d'un male
tanto pericoloso. Febbre puerperale.... Già, io temo che non serva a
nulla; ma non potevo mica dirlo a una madre.... Come spiattellarle che
il viaggio sarà inutile, che sua figlia morirà lo stesso?... E se anche
morisse, la signora Anna avrebbe la consolazione d'abbracciare Francesca
un'ultima volta, di parlarle....
Lo scosse una risata d'Estella. La carrozza aveva traballato, passando
sulle rotaie del tram, e più aveva traballato il bauletto....
— Lo dicevo io, — osservò la fanciulla. — Il baule se ne va! Non
arriviamo alla stazione col cocchiere e col baule. O l'uno o l'altro lo
lasciamo per istrada!
E scoppiò nuovamente a ridere. Lo Sciara s'irritò.
— Perchè ride? — egli chiese ruvidamente. — Mi meraviglio: sua cugina è
ammalata, e lei non fa che ridere....
— Ha ragione, — rispose Estella abbassando gli occhi e mordendosi le
labbra. — Mi dispiace molto per Francesca; ma guarirà, non ne dubiti!
Deve avere un raffreddore....
— Un raffreddore! Che ne sa lei? — osservò Tullio.
— So che mia zia esagera sempre; quando uno s'ammala, deve morire; se
non muore, si tratta d'un caso straordinario. Ragiona così, la zia....
Del resto, non sapeva come sbarazzarsi di me, e ha colto questa
occasione.
— Lei è ingiusta e ingrata con sua zia! — dichiarò Tullio recisamente.
La carrozza ebbe un nuovo sobbalzo.
— Il cocchiere, il cocchiere! — gridò Estella ridendo. — Stavolta è il
cocchiere che va a capitombolo!
Tullio non potè nascondere un sorriso.
— La prego, — disse poi. — A me non piace scherzare, e ho altre cose per
la testa....
Infilate le mani nel manicotto, Estella si rannicchiò nel suo cantuccio,
e non disse più parola; ma sulle labbra porpuree le andava errando un
sorriso, e la fanciulla se le mordeva ad ogni trabalzo del legno per non
prorompere in una risata schietta.
Lo Sciara, guardandola di tanto in tanto, s'accorse che il suo viso era
tutto lievemente velato da una pelurie aurea appena percettibile, e notò
le ciglia d'oro ipocritamente abbassate, i capelli d'oro che sfuggivano
a ciocche ribelli di sotto al cappellino bigio.
Venne voglia di ridere anche a lui, vedendola così compunta, così
studiosa di mostrarsi grave.
— Quant'è carina! — pensò.
Ma non sapendo come trattarla, temendone l'audacia irriflessiva,
l'innocenza procace, la civetteria inconscia, aveva deciso di essere
burbero per tenerla a distanza e impedirle di commettere sciocchezze.
Non gli era mai avvenuto di osservarla da vicino e a lungo; l'aveva
vista parecchie volte in casa della signora Arrigoni, presso la quale
Estella fungeva da marmotta, e Tullio non se n'era mai occupato.
La grazia di lei gli pareva una rivelazione tutta nuova, e se ne sentiva
impacciato più che sorpreso, non avendo pensato mai che la marmotta di
casa Arrigoni era una giovinetta, e una giovinetta bella.
D'un tratto, ella alzò il capo e guardò in faccia il suo compagno.
— Che cosa ha per la testa? — domandò.
Tullio la fissò interrogativamente.
— Ma sì. Ha detto poco fa che ha altre cose per la testa, — riprese
Estella. — Quali cose?
— Ciò non la riguarda, — rispose lo Sciara, secco.
E pensò: — Che sfacciata!
Ella pensò: — Che asino!

III.
Alla stazione fu un grosso guaio.
Tullio era corso a prendere i biglietti, lasciando Estella innanzi al
banco dei giornali; e proprio dopo pochi passi lo Sciara s'era imbattuto
in un amico, in quell'Ernesto Giuliani, che tutti conoscevano per uomo
maligno e incredulo.
Il Giuliani era alto, smilzo, la pelle giallognola; e di fronte a lui,
Tullio Sciara, più basso, robustamente piantato, col volto dal colorito
acceso e la bella barba nera a punta, figurava benissimo.
Il Giuliani l'aveva visto discendere dalla carrozza con la fanciulla, e
gli aveva tenuto dietro fino allo sportello dei biglietti, ove
s'incontrarono.
— Parti? — domandò Ernesto Giuliani.
— Sì, una breve scappata, — mormorò Tullio.
— Ti ho visto in buona compagnia, con una ragazza magnifica.
— Mia nipote, — disse Tullio per troncare ogni investigazione.
— È una bellissima fanciulla, — insistette il Giuliani. — Non me ne
avevi mai parlato.
— Può darsi; la ritorno ai suoi parenti, a Bellagio.
— Ah, vai a Bellagio! Io vi farò compagnia fino a Como, perchè di là
devo procedere per la linea del Gottardo. Vado in Isvizzera per affari.
Tullio si morse le labbra. Non appena fu in possesso dei biglietti,
corse presso Estella, che teneva nelle mani un fascicolo illustrato.
— Quanti bei libri! — ella gli disse, accennando al banco ov'eran
disposti in ordine i volumi e i giornali.
— Sì, andiamo; non si tratta di questo, ora, — rispose Tullio
frettolosamente.
— Ne ho comperato uno, perchè aveva una copertina così elegante! —
seguitò Estella. — L'ho pagato una lira. È troppo?
E ciò dicendo. Estella gli porse il fascicolo. Tullio vi gettò
un'occhiata.
— Mio Dio! — esclamò. — Che cosa le viene in mente? _L'Almanach des
cocottes!_
E si mise il fascicolo in tasca, guatando Estella con un'occhiata irosa.
— Mi ascolti, — soggiunse, poco curandosi dell'espressione di stupore e
di malcontento ch'era sul viso della giovinetta. — Ho trovato un amico,
un seccatore. Gli ho detto che lei è mia nipote. Se quello sciocco ci
raggiunge, bisogna che ci diamo del tu; io farò da zio, e lei mi
chiamerà zio. Ha capito? Non mi chiami Sciara. Quello è un maligno, e
potrebbe pensar male.... Io non imaginava che ci avrebbe seguiti in
treno.... Speriamo che non ci veda; corra, corra....
Tutto questo era detto tra il frastuono della folla, dei fischi, tra il
fumo delle vaporiere, mentre si spediva il baule e poi correndo lungo il
binario per giungere al treno.... Estella rideva, e si volgeva ogni
tanto a guardare se il facchino la seguiva con le valigie....
Non avrebbe mai sognato nulla di più divertente; l'avventura aveva del
romanzesco; dar del tu allo Sciara, e fingersi sua nipote! Che
complicazione! Se almeno quel seccatore li avesse raggiunti davvero,
obbligandoli alla commedia! Ma chi era, ma dov'era? Come si poteva
dargli nell'occhio?
— Qua, — disse Tullio. — Salga! E tu, fa presto, metti giù la roba;
questa valigia nella rete; va, chiudi lo sportello.
Congedato così il facchino, Tullio esalò un grande sospiro di sollievo:
Estella si sporse dal finestrino a guardare.
— _Sapristi_! — esclamò lo Sciara. — Non si metta in mostra!... Il
Giuliani può vederla e salire.
Era precisamente ciò che Estella desiderava; ma obbedì e si ritrasse,
mettendosi a sedere di fronte a Tullio.
— Allora, — ella disse, — mi restituisca il mio libro.
— Che, che! — egli rispose. — Non è un libro per lei! Sono sciocchezze
da bambini, racconti noiosi....
— Non è vero niente affatto! — dichiarò la giovinetta con fermezza. — Io
voglio sapere che cosa sono queste _cocottes_ e voglio veder le
incisioni. Mi dia il libro!
— È inutile che lei insista. Il libro lo tengo io.
— Mi dia il libro, o mi metto a gridare! — minacciò Estella.
— Ma sì, ma benone, ma non mancherebbe altro! — esclamò Tullio
disperato. — Si metta a gridare, e così crederanno che.... Mi
arresteranno per ratto....
— Io voglio il mio libro....
— La finisca, la finisca. Ci vorrebbe suo padre qui!
— Col papà, io grido quando non mi obbedisce, — annunziò Estella.
Tullio stava per rispondere: “Suo papà è un imbecille„, ma si trattenne
in tempo. Rispose invece:
— Io non sono suo padre, l'avverto. Io non ho tenerezze paterne. Lei
gridi pure, e nascerà uno scandalo nel quale il suo buon nome....
Insomma, la prego di finirla.... Ha diciassette anni, non uno!...
Egli avrebbe continuato ancora a lungo, se in quell'istante lo sportello
non si fosse aperto, ed Ernesto Giuliani non fosse salito col più lieto
sorriso sulle labbra.
— Ti ho trovato! — egli disse. — Ho visto tua nipote affacciata....
Speravo che tu mi aspettassi....
Tullio scambiò uno sguardo d'intesa con la giovinetta e fece la
presentazione:
— Il mio amico Ernesto Giuliani; mia nipote Estella....
— Accidenti alle donne! — pensò poi, mentre il treno usciva dalla
stazione e ciascuna vettura passava sulla piattaforma, mandando uno
strepito sordo di ferramenta traballanti.

IV.
Se fosse stata veramente nipote di Tullio Sciara, Estella non avrebbe
fatto meglio.
Era una nipote birichina e civettuola, affettuosa e impertinente, che
dava del tu allo Sciara con una franchezza mirabile.
— Mio zio, — ella diceva al Giuliani, — mio zio è molto severo con me.
Anche ora, alla stazione, mi ha strappato di mano un libro che avevo
comperato col mio denaro....
— Ti prego di non ricominciare, — interruppe Tullio, il quale si sentiva
a disagio in quella commedia, e temeva sempre di commettere qualche
imprudenza che rivelasse al Giuliani la verità delle cose, o lo facesse
pensar male della fanciulla affidatagli.
— Insomma, — dichiarò Estella, — io voglio sapere che cosa sono le
_cocottes_. Lei, signor Giuliani, sa che cosa sono le _cocottes_?
Per prima risposta, Ernesto diede in una risata sonora, che fece
oscurare il viso della giovinetta.
— Mi perdoni, — disse poi, — mi perdoni, signorina; ma la domanda è così
impreveduta!... Le _cocottes_? Certamente, so che cosa sono; sono certi
cavallucci che si fanno con la carta. Ma non capisco....
— Capirà subito, — spiegò Estella. — Io ho comperato _l'Almanach des
cocottes_, e mio zio me l'ha tolto di mano, dicendo che non è una
lettura per me....
S'arrestò, al vedere il Giuliani che si smascellava dalle risa, tanto da
dover curvarsi e piegarsi, e da aver gli occhi pieni di lagrime.
— L'_Almanach des cocottes!_ — andava ripetendo. — Ah, ma che bella
idea! E dove l'ha scovato? Guarda se deve andare a pescare l'_Almanach
des cocottes!..._ Certo, è una lettura.... Ah, ma che bella idea, che
bella idea!
Estella ne fu indignata: fissava stupefatta il Giuliani, fissava Tullio,
il quale rideva a sua volta, trascinato dall'impeto allegro dell'amico;
e il viso della fanciulla si coperse d'ombra, mentre le sopracciglia le
si aggrottarono:
— Tu e lui, — disse allo Sciara, — siete d'accordo per prendervi beffe
di me; ma io voglio il mio almanacco.
— Le assicuro, — rispose il Giuliani, asciugandosi gli occhi, — le
assicuro, signorina, che nessuno si beffa di lei. Io non mi farei lecito
simile contegno; ma si ride per il caso; il caso d'una signorina, che
vuol leggere un almanacco in cui si parla di cavallucci di carta....
— Cavallucci, cavallucci! — ella borbottò. — Ma se sulla copertina c'era
una donna in camicia?...
Il Giuliani ricominciò a ridere; ma il volto mortificato d'Estella e il
broncio a cui s'erano raccolte le sue labbra lo persuasero a smettere.
Dovette pensare alle più paurose vicende, a uno scontro ferroviario, a
un'inondazione, alle ultime disgrazie lette nei giornali, per tornare
serio; e finalmente vi riuscì.
— Che vita si fa a Bellagio? — egli disse per sviare la conversazione. —
In questi mesi non dev'essere troppo piacevole il soggiorno.
Allora Estella raccontò la sua vita. Lei faceva la padrona di casa,
perchè il babbo era medico e la mamma sua era morta da anni. Vigilava
che tutto andasse bene, che l'appartamento fosse in ordine perfetto, che
la colazione e il pranzo fossero in tavola all'ora stabilita, e così
scorreva il giorno senz'avvedersene; e quando le rimaneva un po' di
tempo, leggeva i libri che le aveva regalato il papà, certi vecchi
libri, che ormai sapeva quasi a memoria. La primavera e l'estate erano
molto divertenti, perchè arrivavano i forestieri, e lei aveva alcune
amiche tra le villeggianti; ma in casa sua non veniva nessuno perchè suo
padre non voleva impacciarsi di visite; e l'inverno e l'autunno, la
povera Estella rimaneva tutta sola.
— Qualche volta, — proseguì, — la zia Anna viene a prendermi e mi
conduce a Milano; ma non vado d'accordo con la zia; è troppo pedante; e
dopo otto giorni ch'io sono da lei, io penso ad andarmene, e lei pensa a
sbarazzarsi di me....
Stette un momento in silenzio, poi, rammentando la sua parte, si volse a
Tullio, e aggiunse con perfetta sicurezza:
— Per ciò, zietto, quando vieni tu a trovarci è una gran festa; non è
vero? Lo zio mi porta sempre molti regali, molta roba bella di Milano, e
io gli voglio un gran bene. Non pei regali, s'intende, ma pel suo garbo,
perchè ci tiene compagnia, e sa fare certe conversazioni interessanti
con papà....
Tullio era scandalizzato. Ascoltava il racconto, dissimulando a fatica
la maraviglia per la fantasia della giovinetta, la quale descriveva
minutamente la vita con quello zio da commedia e inventava espressioni
di squisita tenerezza per lui. Egli pensava intanto che a Bellagio non
aveva messo piede da almeno dieci anni e non sapeva neppure dove stesse
di casa sua nipote.
Ma Estella insisteva con una volubilità d'imagini, con una padronanza
dell'argomento, con tal verosimiglianza di aneddoti e di particolari,
che Ernesto Giuliani fu tutto preso dal quadro di quella semplice vita
di famiglia, e non potè celare il suo entusiasmo.
— Hai un tesoro, — disse a Tullio, — un tesoro in tua nipote! Tienla
cara; ti vuol tanto bene!
— Che bestia! — pensò Tullio.
E rispose ad alta voce:
— Ma sì, ne sono orgoglioso.... Del resto, hai udito: io sono gentile,
io le porto i regali.... Faccio quel che posso, insomma....
Estella non battè ciglia, e la sua bocca non ebbe il minimo fremito di
riso; forse ella cominciava davvero a credere d'essere nipote di Tullio
Sciara....
Quando il treno rallentò, entrando nella stazione di Como, Ernesto
Giuliani ripetè alla giovinetta la sua ammirazione, e di nuovo la
raccomandò all'affetto dello zio. Estella accolse le lodi con modestia,
a occhi bassi, ma sicura e tranquilla.

V.
Il vetturale al quale Tullio aveva dato ordine di condurli all'imbarco
del battello, osservò che non v'erano battelli in partenza a quell'ora.
Tullio rimbeccò che v'era un battello diretto a Bellagio. Il vetturale
gli rispose sorridendo che la corsa era “facoltativa„, e che quel
giorno, non essendovi mercati, la corsa non si effettuava. Tullio
sfogliò l'orario, guardò, rilevò l'errore commesso.
Ne fu sbalordito e spaventato.
— Non c'è il battello, — egli disse alla ragazza con voce tremante. —
Come fare? Bisogna passar la notte insieme.
— Meglio, — rispose Estella, ridendo. — Andremo a teatro!
— Che teatro, che teatro! — esclamò Tullio sbuffando. — Io la condurrò
in un albergo, e quanto a me, dormirò in un altro....
Estella giunse le mani con atto di repentino terrore.
— No, — disse, — per carità, non mi abbandoni!...
Non voleva: aveva paura di rimanere sola all'albergo; che cosa avrebbero
pensato di lei? come avrebbe potuto dormire? chiudersi a chiave, stava
bene; ma chi assicurava che nella camera attigua non vi fosse un ladro?
Sarebbe morta per l'orrore soltanto a pensarvi....
Ella s'era tutta sbiancata in volto, e tremava davvero in tal modo, che
Tullio non potè nemmen tentare di persuaderla, non si sarebbe mai detto
fosse la medesima, che poco prima rappresentava la commedia con sì
astuta perizia.
Lo Sciara non insistette; salì in carrozza, diede l'indirizzo
dell'albergo, e si rassegnò, mentre Estella racconsolata rideva, gli
stringeva le mani in un impeto di gratitudine.
All'albergo offersero dapprima una camera con letto matrimoniale, poi
due camere comunicanti. Tullio dovette dire che la ragazza era sua
nipote, e chiedere due camere contigue, ma separate; e volgendosi,
s'accorse che il viso d'Estella, alle prime offerte del direttore
dell'albergo, s'era fatto di porpora.
— Finalmente, — pensò, — capisce qualche cosa; capisce l'impaccio di
questa situazione.... Accidenti alla signora Anna e a tutte le femmine!
Ma il turbamento d'Estella scomparve subito, e salendo le scale, ella
s'avvicinò allo Sciara, e gli disse sottovoce:
— Ancora nipote? Quanto mi piace!
Tullio chiuse fuggevolmente gli occhi. Era agitato lui, ora: la
freddezza, il dominio dei nervi lo abbandonavano d'un tratto; l'intimità
imprevista di quelle scene gli intorbidava il pensiero; e non poteva dir
nulla alla giovinetta, ch'era superba di sentirsi in mano di lui, sotto
la sua protezione.
Le camere belle, nitide, luminose, eran tappezzate con carta chiara; e
ciascuna aveva un camino nell'angolo, una tavola nel mezzo, un letto
tutto bianco; l'impiantito era lucido, quasi sdrucciolevole.
Estella fece portare subito le legna pei caminetti, e rimandò la
cameriera. Volle accendere ella stessa il camino nella camera di Tullio.
E deposto il cappello, gettati i guanti, inginocchiata, dispose le legna
sottili e poi le grosse, vi diede fuoco, e rimase a guardare la fiamma
che andava allargandosi tra le legna che crepitavano.
Tullio, seduto in una poltrona, fissava la figurina, così gentile con la
selva di capelli d'oro accendentisi ai riflessi del fuoco. Nulla di più
soave che la linea di quel corpo ancora un po' magro e aspro nei
contorni; nulla di più grazioso che i movimenti della giovinetta
inginocchiata, la quale seguiva con gli occhi le fiamme azzurrastre e
gialle, e andava perdendosi a poco a poco in qualche sogno....
Ma d'un tratto si riscosse, e balzò in piedi.
— Fra cinque minuti, — disse, — la camera sarà riscaldata.
Tullio sorrise senza rispondere.
— Sono contenta, — seguitò Estella. — Qui si sta molto bene. Non le pare
che si stia molto bene? Nessuno sa che noi siamo qui: è una vera fuga.
La zia ci crede a Bellagio, o in via di arrivarvi. Che mistero, che
segreto!
Lo Sciara interruppe:
— Ascolti. Nessuno deve sapere mai che abbiam passato la notte
all'albergo. Mai, ha capito? Noi partiremo domani in modo che suo padre
ci creda provenienti da Milano, e lei non dirà mai a nessuno quello che
ci è toccato stasera. Me lo promette?
— Glielo prometto, — rispose Estella.
— Forse lei non comprende, — soggiunse Tullio, notando un certo dubbio
nella giovinetta. — Ma comprenderà più tardi, quando conoscerà il mondo
e le sue cattiverie. Mi obbedisca senza discutere, se ha fiducia in me.
Ella rispose:
— Ma obbedirò certo, senza discutere. Io ho molta fiducia in lei!
Tullio sorrise di nuovo, guardandola. Ella era tanto placida, tanto
ingenua, ch'egli sentì quasi vergogna del turbamento ond'era stato colto
poco innanzi, e si rinfrancò d'un subito, come uscisse da un incubo.
— Suvvia, nipotina, — disse ridendo, — vuole che scendiamo a pranzare?
— Non osavo dirglielo, — rispose Estella con un breve rossore alla
fronte. — Ma io ho una fame da lupo, anzi da lupa.
— Andiamo, allora, lupetta!
E Tullio si credette così padrone di sè, che passò un braccio attorno al
busto della fanciulla, e, appoggiandosela al fianco, l'accompagnò per le
scale fino alla sala da pranzo.

VI.
Non c'era nessuno, nella sala ampia, illuminata a luce elettrica;
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