Donne e fanciulle - 01

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LUCIANO ZÙCCOLI

DONNE
E FANCIULLE

La marmotta
Il dialogo delle bambole — La filosofia di Minni
L'amore degli altri — Ninnì non è gelosa
La signorina Empiastro — Ada e Fosca
Giorgina e i suoi uomini
Piccolo «Skating» — La moglie innamorata — Colmàr

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
=12.º migliaio.=


PROPRIETÀ LETTERARIA.
_I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda._
Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera,
dal 10.º migliaio in avanti, che non porti il timbro a secco
della Società Italiana degli Autori.
Milano, Tip. Treves — 1920.


PREFAZIONE.

Già il titolo del volume spiega che di ciascuna delle novelle qui
raccolte è protagonista una donna o una fanciulla, dell'aristocrazia,
della borghesia ricca, delle classi medie, del popolo. Ma non dice, il
titolo, che il libro è molto indulgente, e devo dirlo io. Quando non
sian buone e ingenue, queste mie donne, sono colpevoli per colpa degli
altri, come avvien quasi sempre nella vita; perchè io credo che la
responsabilità della donna si sia esagerata sempre, e in questi ultimi
tempi sia stata portata alle stelle da alcuni scrittori, i quali voglion
vedere nella donna La Nemica, per antonomasia, con iniziali maiuscole.
Di maiuscolo, a mio credere, non v'è il più delle volte che l'asinità
dell'uomo; epperò il mio libro è indulgente, e raffigura la donna come
una creatura di grazia, che gli uomini possono condurre a perdizione più
presto e più sovente di quel che la donna non conduca a perdizione gli
uomini; e dà alla donna una responsabilità ben piccola dei malanni che
può commettere, e a cui gli uomini la incitano per il loro interesse
egoistico, o l'incoraggiano storditamente con l'esempio.
E se vogliamo a una semplice raccolta di novelle dare un senso riposto e
un significato che sconfini dalla letteratura, diciamo che il libro è
antifemminista. Antifemminista, perchè annulla quasi la responsabilità
della donna, strumento duttile di gioia o di dolore nelle mani dell'uomo
savio o malvagio o sciocco. Ma sia detto questo incidentalmente, perchè
voglio tenermi lontano da discussioni, le quali sono inutili e uggiose,
e desidero piuttosto chiarire, con la brevità che è necessaria, il
concetto al quale mi sono ispirato, e non in questo libro soltanto, per
vedere e giudicare la vita femminile.
In verità, la donna, che è da alcuni considerata come una creatura
malefica, «instrumentum diaboli», non diventa pericolosa se non quando è
mal conosciuta e mal trattata; e io conservo l'illusione che, salvo casi
patologici i quali non ci riguardano e sono oggetto di studii speciali,
la donna sia capace di molto bene, purchè l'uomo che le è al fianco
sappia incuorarla.
Creatura delicata per la sua impressionabilità viva e profonda, non
appena l'uomo sopraggiunge nella sua vita, ella gli si volge per
interrogarlo. Senonchè, il più delle volte egli non risponde, perchè non
sa; o risponde il falso, ora dipingendole la vita come un chiostro in
cui ella sarà avvinta per adorare il suo padrone e signore, ora
facendole credere che la vita è una cosa leggera, arguta, piacevole,
tutta spumante di capricci e di soddisfazioni. Comunque la donna agisca
poi, l'uomo è il solo responsabile delle azioni di lei. Molti uomini i
quali si lagnano dell'infedeltà della donna, non si lagnano, chi ben
veda, che di se stessi, come i genitori i quali lamentano la mala
riuscita dei figli, danno una cattiva idea dell'ambiente in cui li
allevarono e dell'educazione che hanno loro impartita.
La donna è fatalmente infedele all'uomo che non la comprende, non la
cura, non la educa, perchè la donna ha in sè un fermento di ribellione
istintiva, che solo un'attenzione assidua e generosa può distruggere.
Direi per ciò che nel campo sentimentale non è tradito se non l'uomo che
vuol esserlo. Perchè la donna non chiede di meglio che di essere fedele,
anche per la naturale sua inclinazione, la quale la consiglia a tenersi
lontana dalle ansie, dai pericoli, dalle fatiche dell'inganno. Non
chiede di meglio, ma essendo per natura sua oscuramente e infantilmente
vendicativa, le asprezze e le volgarità, le offese e le negligenze
dell'uomo cadono in un terreno che produrrà i frutti più tossici non
appena l'occasione se ne presenti.
Contrariamente a quel che si pensa in generale, l'adulterio femminile
non è già la rivelazione d'un «punctum minoris resistentiae» della
donna, ma d'un «punctum minoris resistentiae» dell'uomo a cui ella
appartiene; o piuttosto l'effetto delle deficienze del marito che delle
deficienze della moglie.
È raro l'uomo il quale dia all'amore tutta l'importanza a cui questo
sentimento ha diritto: siamo in tempi gravi, il rispetto umano ci
obbliga a sogghignare di ciò che noi chiamiamo sentimentalismi, e per
far più presto, molti uomini giungono al matrimonio dopo una lunga
esperienza della donna da trivio, la sola esperienza rapida e poco
dispendiosa che la fretta degli affari conceda. Alla vigilia di legarsi
per tutta la vita a una donna, non hanno della donna che un concetto
fisico e dell'amore un sorridente disdegno.
Ed è doloroso che di questa ignoranza oggi si faccia pompa come di
squisita saviezza e ci si avvicini al matrimonio come ad una vettura di
piazza, trascinata da un cavallino qualunque, che è la donna, il quale
correrà certamente per il solo fatto che c'è un cocchiere. Qualche volta
il cavallino s'impenna, rovescia cocchiere e carrozza....
E allora l'uomo ricorre al codice o al colpo di rivoltella, perchè ha
ragione lui, e il cavallino doveva correre.
Eppure, di ben poco si nutre la scienza dell'amore: di bontà e di
apparenze gentili. Gli uomini non sanno che bene spesso tutto dipende da
una parola. Alle parole la donna dà gran peso: un uomo avveduto con una
frase opportuna, con una piccola garbata parola può vincere
l'irritazione della sua compagna. La donna ha sete di parole buone e
affettuose e le preferisce talora a un regalo; in generale gli uomini
ignorano questa ingenua virtù femminile che si accosta per essere
accarezzata con una frase; e in una discussione non sanno aver pazienza,
trascuran l'arte di tacere, trattano la donna come un avversario
temibile armato di terribili argomentazioni alle quali altre bisogna
opporne senza pietà per debellarlo. Se sapessero indulgere alla mancanza
di logica, che sovente è la caratteristica delle argomentazioni
femminili, e, non volendo stravincere, se sapessero spiare il momento
per quella parola buona e tenera, che la donna desidera sempre, le
discussioni terminerebbero presto senza lasciare strascichi, senza
giungere a violenze, che si possono perdonare, ma che non si dimenticano
più.
Ho detto che la donna è una creatura delicata; prima di me un classico,
il Michelet, l'ha definita «un être malade». Per quella sua delicatezza,
ella non tollera la volgarità, e l'uomo è sopra tutto e prima di tutto
una creatura contesta di volgarità.
Egli parla dei suoi amori con cruda spavalderia; e la donna per
abitudine e per prudenza non ne parla mai in alcun modo. Egli si vanta
delle sue conquiste o, quando è discreto, le lascia indovinare. Ci son
degli uomini, — e mi dispiace dirlo, son la maggioranza, — i quali
preferiscono al possedere una donna il comprometterla. La donna ha
l'abitudine del silenzio e del segreto in tutto quello che si riferisce
all'amore; — l'uomo è, per quel che si riferisce all'amore, assai
loquace.
Il suo linguaggio del resto, è in generale, largo e sbracato: un
vocabolario da taverna non è affatto eccezionale in bocca a un uomo che
parla con altri uomini familiarmente, ma è lontano dalle abitudini
mentali della donna, la quale non se ne servirà se non il giorno in cui
avrà disceso tutta la scala della perdizione.
È dunque assai facile, per questa diversità di costume, di vita,
d'abitudine, che l'uomo offenda la naturale suscettibilità della donna,
credendo che perchè egli l'ha avuta, tutto gli sia permesso; e molte
ferite son fatte nei primi tempi d'intimità piuttosto con le parole che
con le azioni.
Una donna veramente appassionata può prestarsi a tutti i capricci e i
desiderii dell'uomo che ama e che ha scelto; ma difficilmente perdona
all'uomo che le rammenti con parole volgari le voluttà segrete a cui
egli ha saputo persuaderla in nome della passione. Ella ben comprende
che la soglia dell'alcova non dev'essere profanata, che l'amore perde il
suo fascino quando lo si descriva troppo, che l'uomo ha l'obbligo della
discrezione anche di fronte alla donna da lui posseduta, se non vuole
abituarla alla fredda impudicizia, la quale toglie ogni attrattiva e
ogni merito alla voluttà.
L'uomo che non tien conto di queste sottili accortezze e di questi
pudori tenaci, arrischia di vedersi tradito presto; l'allieva della sua
depravazione verbosa, avvezza a non arrossir più dei vocaboli che
offendono peggio degli atti e che non hanno scusa, sarà assai mal
preparata a difendersi dagli assalti che una donna giovane e bella deve
sostenere.
*
Noi usiamo essere severi con la donna che cade; sia essa fanciulla
libera di sè, sia legata già a un uomo col vincolo del matrimonio.
Fingiamo d'ignorare quali battaglie deve affrontare una donna per
conservarsi onesta; dimentichiamo quali tentazioni la circondino, in
alto e in basso della scala sociale, e quali avvedute insidie spiino la
sua debolezza, la sua impressionabilità, il suo bisogno d'amore e di
protezione. «Le donne sono deboli, — ha detto Pitagora, — perchè non
sono sostenute che dal cuore.»
E male sostenute, possiamo aggiungere, e mal difese dal cuore che
consiglia loro la pietà. Il più gran numero di donne non cadono già per
un traviamento dei sensi, contro i quali hanno freni più forti dei
nostri, perchè non illanguiditi dall'abitudine del piacere; ma per un
consiglio di pietà. Esse non sanno resistere allo spettacolo dell'uomo
che soffre per averle, nè sanno distinguere il vero innamorato capace di
esser loro vicino non solo nell'ora del godimento ma pur nell'ora del
pericolo, dal seduttore professionale che recita con sapiente ipocrisia
una sua vecchia commedia, e ha già deciso d'abbandonarle non appena le
avrà avute.
Le tentazioni sono innumerevoli intorno alla donna, fatte di lusinghe e
di adulazioni, d'insistenza e d'audacia; ora esaltata, ora intimorita,
ora impietosita, deve combattere una battaglia diuturna per difendersi,
e passa ogni giorno attraverso un'atmosfera di desiderio e di libidine,
che le soffia in faccia il suo alito bruciante.
Se resiste, l'uomo non gliene dà merito; è una insensibile, una frigida,
non ha nervi. Se cede, tutti la condannano; è una sensuale, una
depravata, una incosciente.
Caratteristica mi è sempre parsa la frase di Giorgio Byron: «Un passo di
là dal decoro è per la donna un passo verso il precipizio.» Questo
medesimo Giorgio Byron confessa nel suo giornale d'avere sedotte almeno
cinquanta donne, d'averle persuase a far con lui il passo di là dal
decoro verso il precipizio. Ciò non gli impedì di scrivere la sua
sentenza generale per le donne che hanno ascoltato lui, per le donne che
ascolteranno gli altri.
È molto maschile questa disinvoltura, e Giorgio Byron, il quale fu
cavalleresco per l'indipendenza dei popoli, si dimenticò spesso di
essere cavalleresco per le donne che non avevano saputo resistergli. Fu,
insomma, un uomo, ampiamente, e diede ragione ad Helvetius, il quale
scriveva essere la donna come una tavola imbandita, che si guarda con
occhio cupido prima del pranzo e annoiato dopo pranzo.
Noi vogliamo che la donna sia onesta; ma ciascuno di noi ha lavorato più
volte e con entusiastico accanimento a debellare o a mettere in pericolo
quella onestà che sbarrava il cammino ai nostri desiderii. Sempre pronti
a dettar norme di ben vivere e a creare eccezioni per il nostro piacere,
non teniamo poi conto alcuno delle lotte che la donna ha dovuto
sostenere per osservar quelle norme e per respingere quelle eccezioni.
L'onestà ci pare una cosa facile ed ovvia, quantunque abbiam passato
molto tempo della nostra vita a studiare agguati e a tendere lacciuoli
per farvi incappare la donna che voleva essere onesta.
Una certa equità nel giudicare la donna caduta è necessaria.
Alla nostra onestà di uomini, la quale consiste, poco su poco giù, nel
non violare il codice, non si oppongono tanti accorgimenti nemici quanti
vengono preparati alla onestà femminile, che è di natura ben più
difficile.
Un cassiere mal pagato che maneggia ogni giorno centinaia di migliaia di
lire, è assai meno meritevole di stima che una donna maltrattata dal
marito, la quale non cede alle lusinghe dei corteggiatori. Il primo può
anche avere innanzi agli occhi la visione del carcere, sufficiente a
trattenerlo da un'appropriazione indebita; l'altra non ha che la visione
d'una felicità luminosa e infinita, che ogni giorno il corteggiatore le
descrive.
In basso la donna è insidiata dalla povertà. Nulla mi par così pietoso
nel mondo come lo spettacolo d'una fanciulla povera; a lei negate non
soltanto le soddisfazioni della vanità, pur forte in ogni cuore di
donna, ma gli agi, le comodità, le cure, che al suo corpo gentile e
fragile sarebbero necessari. E intorno le stanno uomini, i quali pongono
tutto lo sforzo dell'ingegno e dell'eloquenza nel dimostrarle che se
cederà ai loro desiderii e si toglierà dal cammino diritto, potrà
adornarsi e curare la sua persona e la sua eleganza, ed essere
invidiata, e vivere in un perpetuo gaudio. Il lavoro l'intristisce, il
timore del domani la sciupa, i cattivi alimenti e la cattiva abitazione
la fan deperire. E lavora. Lavora fin che trovi un uomo della sua
condizione che voglia sposarla. Egli la sposa, ma non la toglie alla
fatica quotidiana perchè non può; e un giorno s'ubbriaca e la batte.
Più su, le tentazioni che serrano tutt'intorno la donna non sono meno
terribili. Se in basso la mancanza degli agi può tradirla, in alto sono
gli agi che la insidiano, è il suo fascino medesimo che fa pullulare i
desiderosi, è talvolta la mancanza dei figli, è la maggior coltura che
le dà maggiori bisogni sentimentali, è la vita stessa con le sue
convenienze, i suoi divertimenti, le visite, i teatri, le feste, che le
moltiplica intorno le seduzioni, è la trascurataggine del marito, che
non sa difenderla e proteggerla, e si fa vivo il giorno in cui l'accusa
e la giudica....
La nostra povera onestà maschile, la quale, ripeto, è sufficientemente
solida quando non incappi nel codice, ignora questa via crucis di
tentazioni. Noi non siamo tutti i giorni pregati e supplicati di rubare
o di apporre firme false a una cambiale, come una donna giovane e bella
è tutti i giorni supplicata di darsi all'uno e di mancar fede all'altro.
E se fossimo con tanta insistenza pregati di commettere il male, non so
quanti di noi non lo commetterebbero, salvochè non avessimo gli occhi
sempre intenti al codice.
Come possiamo essere severi con la donna caduta, se teniam conto di
tutte le trappole che furon poste attraverso alla sua strada? Dobbiamo
noi farla responsabile delle adulazioni che han trovato la via del suo
cuore, delle minacce che l'hanno impaurita, delle insistenze che l'hanno
avvinta, delle abili finzioni che l'hanno illusa?
I veri responsabili, gli uomini, scompaiono nell'ombra.
Quando tornate a casa di tarda notte e v'imbattete in una donna da
trivio che vi sorride e vi chiama, non pensate mai che un giorno ella fu
vergine, che deve aver amato, che si è data a qualcuno, il quale l'ha
abbandonata poi sul lastrico, e non vi chiedete dov'è questo «qualcuno»
mentre la donna segue la sua via d'abiezione e di morte?... Quel
«qualcuno» può essere il medesimo uomo, il quale vi ha testè accolto
nella sua casa ospitale, dove tutto sorrideva e tutto era bello.... Non
vogliamo condannarlo? Ma bisognerebbe essere ingiusti fino alla
bestialità per condannare in sua vece la donna, che vent'anni addietro
gli ha creduto ed è rotolata giù per la scala del vizio fino alla
prostituzione.
*
Che la donna sia irresponsabile socialmente parlando, è dimostrato da un
fatto a tutti noto: non sente l'amicizia. È rarissimo il caso che vi fa
incontrare due donne le quali siano legate da una amicizia
disinteressata e sincera.
La donna odia la donna. Somiglia in questo alla gallina. In un pollaio,
guai alla gallina che si ferisce e perde sangue! Tutte le altre le si
precipitano addosso, e a colpi di becco e di zampe la fanno a brani. È
la loro solidarietà, il loro sentimento d'amicizia.
La donna non è diversa; odia la sua compagna segretamente fin che l'odio
non possa manifestarsi ed erompere con gioia selvaggia. E quando mai
sarà il giorno in cui l'odio avrà questa soddisfazione? Quando,
naturalmente, la donna sia caduta e in pericolo.
In occasione di due processi celebri, Steinheil e Tarnowsky, io mi son
piaciuto a interrogar molte donne sulla sorte che avrebbero riservata
alle imputate. E ricordiamo che le imputate eran dipinte come donne
affascinanti, quale per bellezza, quale per grazia femminile. Nessuna
delle signore che io interrogai espresse un pensiero d'indulgenza,
nessuna avrebbe accordato le attenuanti; tutte augurarono la pena di
morte, e qualcuna, — piccola gallina feroce, — si rammaricò che la morte
non si potesse dare con lunga e squisita tortura.
La donna odia la donna, e non ha dunque il ristoro di quel sentimento
che è tra gli uomini assai forte. Gli esempii classici dell'amicizia
sono nella letteratura attinti alla vita maschile, da Patroclo e Achille
a Damone e Pizia. Non si ricordano coppie di amiche le quali sian
passate attraverso i secoli con l'aureola del sentimento nobilissimo.
Sappiamo che cosa sono le amicizie femminili di collegio, traviamenti
della pubertà inquieta; più avanti la lotta per la vita, quell'implacato
spirito di gelosia che è così acceso tra le donne, schiera le une contro
le altre. Esse rinunziano alla terribil forza della solidarietà sociale
e sessuale con una incoscienza maravigliosa, per procedere sole nella
loro via; rinunziano all'amicizia per l'amore.
Dall'amore, cioè dall'uomo, la donna si aspetta tutto, gioia, tutela,
famiglia, aiuto morale e materiale, soddisfazione alle piccole vanità e
ai mille desiderii che da fanciulla è andata maturando. Per ciò la sposa
è superba e invidiata; per ciò, spietate nel loro odio, le une sorridono
delle altre, che abbian vista andar fallita una promessa o una speranza
di fidanzamento.
Ma comunque l'uomo si presenti, sotto le spoglie d'un marito o quale un
amante, egli sarà la guida e il maestro. La fanciulla è stata educata in
un collegio, nel quale le hanno insegnato molte cose inutili o sciocche
o contrarie al vero; poi dalla madre, che ha continuato quella
educazione lontana da ogni soffio vitale, quella educazione che in certi
casi può riassumersi nella raccomandazione di abbassar gli occhi quanto
più è possibile, e di vedere e capire quanto meno è possibile.
Fortunatamente l'una e l'altra educazione s'accordano anche in un punto,
in un solo punto che abbia valore sociale e potenza di difesa:
nell'insegnare e sviluppare il pudore della fanciulla. È questo il solo
presidio di molte donne.
La bella candida oca è consegnata dall'amore, dunque, nelle mani
dell'uomo, il quale dovrebbe plasmarla e avviarla alle prove
dell'esistenza, perchè egli è forte, ed essa debole.
*
Egli è forte.
Tra le menzogne convenzionali della nostra società, una sopra tutte mi
sembra patente: quella che riguarda la forza morale dell'uomo.
Chiunque abbia vissuto con qualche intensità e abbia avuto maniera
d'osservare uomini di diverse classi sociali, sa che l'uomo forte è un
esemplare tutt'altro che comune. Quando non ondeggino tra una timidezza
e un'audacia irragionevoli, passando come tutti i deboli da un
abbattimento eccessivo a un'insensata e inopportuna arditezza, gli
uomini al cospetto delle avversità trovano difficilmente l'energia per
fronteggiare gli ostacoli e gli avvedimenti per superarli.
La bella serenità risoluta, indice della vera forza morale, è rara; più
rara l'intelligenza pacata che giova a preparare tutto un piano di
difesa e ad attuarlo con sagacia.
In verità quella prima menzogna della forza maschile non è se non la
conseguenza d'un'altra menzogna: l'ipotesi della lotta per la vita.
Mentre ovunque si parla di lotta e di lotte, molte esistenze crescono,
fioriscono e si spengono senza conoscer da vicino nè la lotta, nè le
lotte, molte esistenze si svolgono con un meccanismo sicuro, e giungono
pacificamente alla loro meta.
Considerate, ad esempio, l'enorme numero di professioni regolate da
leggi di gerarchia e di anzianità, la professione degli impieghi, la
professione delle armi, le altre innumerevoli in cui basta uno spirito
mediocre per avere una mediocre agiatezza; aggiungete da una parte il
rispettabile numero dei ricchi, e dall'altra le organizzazioni che han
tolto la combattività all'individuo, lo hanno ridotto a gregario e lo
fanno obbedire a una disciplina bassa e stupida; non dimenticate tutti
quelli che non tendono ad alte vette, non pensano a grandi mutamenti,
non conducono vita intensa di piaceri e di commozioni, e tutti quelli i
quali non abbiano una personalità tanto spiccata da crearsi intorno
ostacoli e nemici.... E poi dite quanti davvero lottano nella vita,
quanti ne conoscono le ore torbide, le ingiustizie amare, i giorni
pànici, gli istanti delle grandi risoluzioni.... Quanti?... Io ho dovuto
sorridere più d'una volta, vedendomi innanzi qualche piccolo uomo, che
mi parlava di lotte sostenute, di guerre e di patèmi, come avesse dovuto
respingere da solo un intero esercito. E sapevo benissimo che tutta la
sua attività era rivolta ad ottenere la croce di cavaliere della Corona
d'Italia. Avuta la quale, non si sarebbe più udito parlare dell'atleta.
Molti son foggiati a questa maniera. A sentirli, si scambierebbero per
cacciatori di tigri; poi la citazione d'un giudice conciliatore o
l'obbligo di testimoniare in un processo li fa sbiancar di terrore.
La mancanza di lotta fa la mancanza di forza. La vita degli uomini
comuni ha questi due segni: pace e debolezza; e fin che la pace dura, i
deboli e i forti si somigliano, e si può lasciare che quelli menino
vanto delle virtù di questi, augurando ai primi di non imbattersi mai
nei secondi.
La lotta è rara, e perciò la forza è rara; il caratterisma principale
della vita è la mediocrità delle gioie e dei dolori, la volgarità del
meccanismo. Pochi uomini hanno il diritto di parlar delle lotte della
vita come le avessero viste da vicino, ma tutti ne parlano con gravità
sapiente, cosicchè a un giovane credulo la vita dovrebbe apparire come
una mischia furiosa in cui migliaia sono i caduti, pochi i vincitori.
Manca invece alla grande maggioranza il maestro, il dolore; quel dolore
che noi fuggiamo per istinto e che è fonte d'esperienza, che nei cuori
ben fatti consiglia pietà e simpatia invece che odio e sfiducia.
La vita dei più si svolge senza dolore. Messi al riparo da ogni colpo
perchè non hanno grandi ambizioni, non mirano in alto, non risvegliano
inimicizie, non si presentano con una personalità temibile, gli uomini
comuni procedono per una marcia regolare in terreno piano, e nel loro
bilancio morale l'attivo e il passivo hanno proporzioni sufficientemente
eque.
È dunque ingiusto guardar la vita e parlarne con espressione di
corruccio.
Singolarmente avversa e dura per taluni pochi, è onesta per la grande
maggioranza alla quale non chiede sforzi eccessivi, e dà un profitto
adeguato allo sforzo. Non tutti quelli che declamano contro la vita,
hanno lo scrupolo di coscienza di chiedersi che cosa han fatto per
meritare meglio di quanto hanno avuto.
Se si conviene, — e bisogna convenire, — che per tre quarti dell'umanità
la lotta e il dolore non sono se non imagini retoriche, si deve pur
convenire che l'uomo è un debole, il quale mangia, beve, procrea, e fa
correre la voce che l'uomo è forte. Quando parla di energie e di
battaglie, sembra uno di quei guerrieri giapponesi d'or sono
cinquant'anni, che si coprivano il volto con mostruose maschere;
volevano incutere paura, e cadevano a centinaia sotto i proiettili degli
uomini senza maschera.
*
L'infinita quantità di donne insignificanti che s'incontrano in tutti i
paesi è pullulata dall'insipienza dell'uomo, il quale non s'è avvisto
che la sua donna non aveva carattere e non ne aveva egli stesso tanto da
foggiar quello della donna che gli apparteneva. L'ha lasciata poltrire e
disfarsi nello stagno della sua impersonalità.
E non intendo con questo rilievo pronunziare alcun anatema, bensì notare
appena una necessità sociale; la massa è naturalmente sfornita di
qualità d'ordine superiore, e maschi e femmine si confondono in una
folla grigia che occupa molto spazio e forma l'opinione pubblica.
Ma di certo, se in quella folla che passa e s'avvia alla morte come al
coronamento d'una vita tutta animale, noi ci facessimo a ricercar
qualche tipo che avrebbe potuto salire alla classe intellettualmente più
alta e moralmente più sensibile, staccandosi in qualche maniera dalla
massa grigia, lo troveremmo con maggior facilità tra le donne che tra
gli uomini.
L'impressionabilità femminile non è che il germe; s'atrofizza e muore se
non gelosamente custodito e pazientemente sviluppato; dà frutti copiosi,
mortali o salutari, se l'uomo accorto lo coltiva. E qualche altra virtù
è nella donna, che può formarne la personalità; come lo spirito di
sacrificio, che gli uomini apprezzano solo egoisticamente, e la tendenza
ad affezionarsi a idee, cose e persone, della quale gli uomini
approfittano per tramutar la devozione in servitù.
Perchè un'anima femminile si apra con fiducia e prenda quella forma che
diciamo carattere, dev'essere trattata con dignità. La donna ha bisogno
di sentire bensì che chi le sta al fianco è più forte di lei, ma che non
ha nulla da temerne; e lo comprenderà quando vedrà che l'uomo, il quale
rivolge tutta la sua forza morale contro le avversità del destino, è
sereno con lei e indulgente, e se la corregge non la umilia, e se può
vincerla in logica e in fermezza e in coraggio, non ne ride e non ne
mena vanto. La donna ha bisogno, in altri termini, di sentire che è
diversa dal suo compagno, ma non inferiore. La scienza dice che questo
non è vero, che l'inferiorità della donna è manifesta; ma socialmente è
necessario che non si abusi di queste verità scientifiche, perchè
l'alcova non è il laboratorio, e la famiglia non è una società
d'antropologia: e la scienza facile in mano degli imbecilli è assai più
dannosa dell'ignoranza.
Fra tanti orgogli che si son voluti riconoscere alla donna, uno è stato
negletto; l'orgoglio d'essere stimata. Nulla meglio avvilisce una donna
e alla lunga ce la rende nemica, che il tenerla lontana da ogni nostro
pensiero, l'ascoltarla con distrazione, il tacerle cose le quali si
potrebbero narrarle senza danno, l'appartarla e il richiuderla in una
cerchia d'indifferenza sdegnosa, il farle sentire ch'ella è, sopra
tutto, uno strumento pel nostro piacere.
*
Ma io mi avvedo che se mi abbandonassi a notar qui le riflessioni che ho
potuto raccogliere in una vita d'esperienza, scriverei un proemio
sproporzionato al libro e alla sua indole. Non dimenticherò che questa
raccolta di novelle appartiene, vuole appartenere semplicemente alla
letteratura, e quanto sono andato esponendo, lungi dall'avere
un'intenzione polemica, non ha che il fine di spiegare a qual concetto
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