Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 4 - 08

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portoghese. Si trattava di determinare il genere della moderna musica;
sosteneva il Lusitano, che ella era nel genere diatonico, e 'l Vicentino
al contrario, che ella risultava da tutti e tre i generi, diatonico,
cromatico, ed enarmonico rimescolati insieme. Fece ciascuno scommessa di
due scudi d'oro a favor della sua opinione, e la questione fu rimessa
all'arbitrio di due preti cantori della cappella pontificia. Gli arbitri
ascoltarono le due parti per più sessioni dinanzi al cardinal di
Ferrara, e ad una assemblea di molti letterati, ed intendenti delle
scienze armoniche: essi decisero a pro del Lusitano. Ma il Vicentino
tacciolli d'ingiustizia, e sostenne che il cardinale suo protettore non
era rimasto meno di lui rivoltato del loro giudizio. Bottrigari nel suo
trattato del _Melone_ censura fortemente la sentenza degli arbitri, e
difende il parere del Vicentino sul fondo della quistione. Tentò
oltracciò il Vicentino di ridurre alla pratica quella sua teoria in un
nuovo stromento di sua invenzione, ch'egli chiamò _archicembalo_, e nel
1555 diè alla luce in Roma un gran vol. in fol. per ispiegarlo ed
insegnarne l'accordatura, col seguente titolo: _L'antica musica ridotta
alla moderna pratica, con la dichiarazione e con gli esempj dei tre
generi con le loro specie, e con l'invenzione d'un nuovo stromento, nel
quale si contiene tutta la perfetta musica, con molti segreti musicali,
ec._ In questa ed in siffatte opere de' nostri antichi italiani benchè
si trovino degli errori e de' pregiudizj, non sono però, al dir di
Requeno, affatto indegne della nostra stima, mentre i loro autori
cercando l'antica musica, avanzaronsi nella moderna, e rischiararono con
la loro pratica, e stabilirono varie corde dubbiose della nostra
armonia. Eran essi filosofi, e da filosofi ragionavano; ma non era
possibile, che sul principio delle loro scoperte giugnessero tosto alla
perfezione dell'arte, onde ha ben ragione l'ab. Arteaga di alzar la sua
voce contro a' maestri, e a' musici del nostro tempo, che col fasto
proprio dell'ignoranza vilipendono le gloriose fatiche degli altri
secoli. “Si trova pur fra voi, egli dice, chi sappia tanto avanti ne'
principj filosofici dell'arte propria, quanto sapevan quegli uomini del
secolo decimosettimo, che voi onorate coll'urbano titolo di seguaci del
rancidume?”
VIEL (M.) pubblicò nel 1784, alla fine di una sua operetta intitolata:
_Considération sur l'origine de la peinture et du langage_, una curiosa
memoria sui balbuzienti al cembalo. M. Viel propone il seguente
problema, che non è stato ancora sciolto dai fisiologi. _Perchè un
balbo, che non lo è più cantando, lo è non pertanto sul cembalo, e come
questa difficoltà può pervenire sino alle dita?_
VIENNE (M. de), musico francese, morto a Charcuton vicino a Parigi nel
1802 con molte sue composizioni di uno stile piacevole e cantante ha
rigenerata la musica degli stromenti da fiato. Egli ha inoltre
arricchito il teatro francese di alcune produzioni di gusto, come _les
Comédiens ambulans_, _les Visitandines_, _le Valet de deux maîtres_. La
sua più bell'opera è il suo _Méthode de flûte_, da lui riveduta,
corretta, e considerevolmente accresciuta alcun poco prima di sua morte.
VIEUZAC (Barrere de), membro di più accademie, e letterato di un gusto
luminoso, e costante per le belle arti in generale, e con ispezialità
per la musica. Egli ha scritto molte dissertazioni in forma di _lettere
sulla musica italiana_, e fra le altre _sulle più belle composizioni di
Cimarosa e di Paesiello_. Queste lettere sono inserite nel _Journal des
défenseurs de la patrie_, anno 1810, e 1811. Ha scritto inoltre _sulle
tre scuole di musica, italiana, tedesca e francese_, come sull'influenza
del clima di Parigi sulle arti; un'_eccellente notizia sul genio e le
opere musicali di Winter_; ed una _analisi di quelle di Dalayrac_.
VIGNOLES (Alfonso des), di una antica e nobil famiglia della Linguadoca,
venne a stabilirsi in Berlino sin dal tempo, in cui il re Federico I vi
eresse la Real Società delle Scienze, come uno de' primi suoi membri, e
vi divenne in appresso direttore della classe delle matematiche, posto
ch'egli occupò con distinzione sino alla morte. Egli divenne per la sua
decrepita vecchiezza il Decano di tutti i Letterati dell'Europa, e finì
i suoi giorni in età di 95 anni nel 1744. Oltre a un gran numero di
dotte opere abbiamo di lui _Remarques sur la musique des Anciens_
dirette a M. Achard, che M. Formey ha inserite nei tomi X, XI, e XV
della _Nouvelle Bibliothèque Germanique_. (_V. élog. des Acad. de
Berlin, t. 1, 1757_)
VILLEBLANCHE (Armand de), nato a Parigi nel 1786, ebbe in Inghilterra le
prime lezioni di composizione da M. de Marin suo parente, e poi dall'ab.
Roze in Parigi. Cramer fu suo maestro sul forte-piano, da cui apprese
egli tutti i secreti di quest'instromento. Abbiamo di lui tre opere di
sonate per forte-piano impresse nel 1811 sommamente pregevoli. La sua
musica sul dramma la _Colère d'Achille_ è stata ricevuta all'imperiale
accademia di musica.
VILLOTEAU (G. A.), professore di musica a Parigi, membro di più società
letterarie nato a Bellème nel 1760, è autore di una eccellente opera in
2 vol. in 8º, pubblicata a Parigi nel 1807 con questo titolo, _Mémoire
sur l'utilité d'une théorie exacte et complète des principes naturels de
la musique_. Essa non è come dice egli stesso, che una breve
introduzione ad un'opera più grande, ch'egli medita sull'analogia della
musica con le arti, che hanno per oggetto l'imitazion del linguaggio. M.
Fayolle ha data una dettagliata analisi di questi due ben grossi volumi
nelle sue _Quatre Saisons du Parnasse_ (Automne 1807) che non sarà
discaro ai lettori di qui riferire, non essendo sinora quest'opera
giunta sino a noi. L'A. tratta nella prima parte dell'arte musica
considerata ne' suoi rapporti più diretti, e più naturali col
linguaggio, e coi costumi. Prima di stabilire questo punto egli dà a
divedere quanto in generale si han poche idee distinte sulla natura
della musica, e quanto è falsa l'opinion di coloro nel sostenere che
quest'arte sia una cosa puramente arbitraria, che nulla imita, nulla
dipinge ed esprime; che non ha se non molto poca o niuna influenza sui
costumi, e che non dee essere ammessa nell'educazione se non come
esercizio di mero divertimento. Per prova del contrario egli dimostra
che la musica è fondata sullo studio delle modificazioni espressive
della voce; che la sua espressione è composta degli elementi medesimi
della espressione naturale del linguaggio; che quest'arte è cominciata a
formarsi dacchè gli uomini sono stati costretti pei loro bisogni, e le
diverse relazioni socievoli, d'interessare i loro simili alla loro
sorte, e che eglino han sentito la necessità di perfezionare
l'espressione naturale per renderla più energica; avvegnachè, per
giungere a tale scopo, attaccar si dovettero ad imitare gli accenti di
coloro, l'espression de' quali era la più perfetta: e questa prima
imitazione, dic'egli, fu il primo passo dell'arte. La musica, così unita
al linguaggio sin dalla sua origine, ebbe dunque una massima influenza
sui costumi; e quel che ci fa osservare l'autore era stato sentito dagli
antichi. Nella seconda parte tratta della musica riguardata sotto il
rapporto dell'arte, dalla prima epoca della sua depravazione presso i
Greci sino al tempo in cui ce ne è giunta la cognizione. L' A. si
applica a scovrirci le cagioni, che han fatto dicadere l'arte musica
dall'alto grado d'importanza, che ella già ebbe come quelle eziandio che
le han fatto perdere quella possente energia, che tanto impero le dava
sui costumi presso le più culte, come presso le più selvagge nazioni
dell'antichità. Espone un gran numero di fatti citati dagli antichi, per
avere contribuito alla corruzione dell'arte musica, e della morale:
prova egli quindi con un gran numero di autorità, e coll'esame delle
parti essenziali della teoria, dello studio, e della pratica delle
diverse arti, che hanno il linguaggio per oggetto, che elleno in origine
fecero parte della musica, e che ogni specie di discorso premeditato fu
anticamente cantato. Fa osservare oltracciò le tracce molto sensibili
che ciascuna di esse ha costantemente conservata della stretta unione,
che ebbe dal suo principio colla musica, benchè ne sia stata quindi
assolutamente distaccata. Giugne finalmente all'epoca della riforma del
musicale sistema de' Greci fatta da Guido Aretino. Queste due prime
parti sono seguite da note in supplemento storiche, e piene di una
scelta e vasta erudizione. Nella terza parte l'A. tratta dell'attuale
stato della musica nell'Europa dopo la riforma dell'antico sistema de'
greci introdotta da Guido d'Arezzo, e de' mezzi che contribuir possono
vie meglio alla di lei perfezione. Quì fa egli conoscere quel che v'ha
di vizio in cotale riforma con un parallelo del sistema riformato da
Guido con quello de' Greci: fa osservare gli inconvenienti, che
risultano dal moderno sistema, ed i vantaggi che offriva l'antico.
Esamina le conseguenze pregiudizievoli a' progressi dell'arte che ha
portate seco il moderno sistema, ed i moltiplici errori che sono
derivati da queste conseguenze medesime; il che gli dà agio di fare
alcune riflessioni sulle cognizioni necessarie ad un perfetto musico, e
'l mena a nuove considerazioni generali sulla natura, origine, ed
oggetto della musica. Consacra finalmente la quarta parte nell'esaminare
qual sia la vera origine, l'oggetto e lo scopo della musica.
Conseguentemente l'A. vi discute da prima le principali opinioni, che
sono state in diversi tempi spacciate sull'origine della musica. Egli
prova non essere quest'arte una invenzione arbitraria, o dovuta solo al
caso, ma che ella ci è stata inspirata dalla natura, e che piuttosto è
stata dallo stesso Dio offerta agli uomini anzicchè realmente inventata
da loro. Secondo lui quest'arte fu sin dal suo nascere essenzialmente
tradizionale; e che pel suo mezzo si sono conservate, comunicate e
perpetuate pel corso di un gran numero di secoli senza veruna
alterazione le leggi, le scienze, le arti, e tutte in somma le umane
cognizioni. Egli ne dà in prova, che la tradizione orale e cantata, che
fu per assai gran tempo la sola ammessa, necessariamente aveva da se
stessa un carattere di autenticità che non permetteva a quei che la
tramandavano di alterarla impunemente, mentre che qualunque altra
tradizione, e soprattutto la scrittura, potendo per contrario essere
clandestinamente trasmessa al favore del silenzio e dell'arcano, non
offeriva la sicurezza medesima; per altro questi monumenti muti di
rimembranza non facevano sullo spirito, e sul cuore un'impressione così
profonda e durevole come la voce, poichè assai volte negletti o
distrutti dal tempo, divenivano in appresso inintelligibili, o soggetti
a mille false interpretazioni. Perciò egli è, dice l'autore, che i più
antichi legislatori di tutte le nazioni civilizzate non permisero che la
tradizione fosse per altro mezzo conservata e propagata se non del
canto. L'ultimo capitolo contiene un epilogo di tutta l'opera, e le
principali ragioni sulle quali l'autore forma il giudizio, ch'egli reca
della musica. “Questa Memoria, dice M. Raymond, annunzia che il suo
autore non è solamente un professore distinto nella sua arte, ma che
egli è inoltre un letterato profondo nella cognizione delle lingue,
degli usi, e delle arti degli antichi, e ben capace di concepire le
utili riforme, che ci sarebbero d'uopo. Egli giudica dell'arte musica da
filosofo e da uomo sensibile: ammira le ricchezze della nostra musica, e
compiange l'abuso che se ne fa: propone una riforma, che tenderebbe a
ricondurla alla sua primitiva purezza; e se pur ciò non avviene, avrà
sempre la gloria e 'l conforto di aver concepito un util progetto.”
(_Lettre a M. Villoteau 1811_).
VINCI (Leonardo da), celebre pittore nato di buona famiglia nel castello
di Vinci presso Firenze, era uno di quei genj felici, a cui nulla costa
l'acquisto di quelle cognizioni, che i mezzani ingegni apprender non
possono senza una lunga ed ostinata fatica. Le scienze e le arti eran
familiari a questo grand'uomo, aveva inventata una specie di lira, che
divinamente suonava, ed egli fu dapprima in qualità di musico e di
virtuoso sul violino al servigio di Lud. Sforza duca di Milano, con un
assegnamento di 500 scudi. Teneva alla sua lira un manico di argento che
terminava con una testa di cavallo, ed egli cantava alle volte
accompagnandosi con quest'instromento. Dopo aver dipinto in Roma, in
Firenze, ed in Milano venne in Francia, ma morì poco dopo a Fontainebleu
nel 1520 in età di 75 anni fra le braccia del re, Francesco I, che erasi
portato a visitarlo nella sua malattia.
VINCI (Leonardo), compositore celebratissimo nella prima metà dello
scorso secolo, nato in Napoli, fu insieme con Pergolesi allievo nel
conservatorio _de' Poveri di G. C._ Nel 1725 diè in Venezia la sua prima
opera _Ifigenia in Tauride_, che ebbe tale successo, che le più grandi
città dell'Italia vollero averlo per compositore. La _Didone_ e
l'_Artaserse_ che fu l'ultimo dramma ch'egli scrisse, rappresentato in
Roma nel 1731, furono riguardati come i suoi capi d'opera. Il Vinci
mirabile nella forza, vivacità delle immagini, dice l'ab. Arteaga, prese
a perfezionare quella specie di composizione detta volgarmente
_recitativo obbligato_, la quale per la situazione tragica, che esprime,
pel vigore che riceve dalla orchestra, e pel patetico, di cui abbonda, è
lavoro pregiatissimo della musica drammatica. L'ultimo atto della
_Didone abbandonata_ modulato in gran parte da lui a questo modo è
preferibile a quanto han di più fiero e più terribile nella pittura i
quadri di Giulio Romano. (_Rivoluz. t. 2, p. 21_). Uno de' principali
meriti di questo gran musico, si è di aver cercato sempre a render
l'espressione della natura; egli fu rapito all'arte nella immatura età
di 42 anni nel 1732. Dicesi di avere avuto il veleno nel cioccolato. Si
vuole che egli avesse avuta l'imprudenza di vantarsi, che mentre era in
Roma aveva ottenuto i favori di una dama d'alto rango. Uno de' parenti
della medesima, trovandosi per allora in Napoli, ne fu informato, e
vendicolla dell'indiscretezza del Vinci con farlo avvelenare.
VIOTTI (Giov. Battista), nato in Piemonte è senza dubbio il primo
violinista del secolo. Nel 1782 portossi a Parigi, ove si è fatto
ammirare nell'esecuzione de' suoi concerti per un carattere originale,
che sembra fissare i limiti del genere, per una fecondità di fantasia,
per una felice arditezza, per un brio ed una vivacità temperata da un
gusto nobile e puro: vennero applauditi que' bei motivi, che dalle prime
misure annunziano il genio del compositore, e quei sviluppi di un
pensiero unico, in cui la progressione del sentimento porta al più
sublime grado l'effetto. Qual energia e qual grazia insieme nella di lui
esecuzione! come è finito negli _adagio_! come è brillante negli
_allegro_! La regina di Francia M. Antonietta volle, che Viotti venisse
a Versailles. Gli si assegna il giorno pel concerto: giungono tutte le
persone della corte, e comincia il concerto. Già le prime battute
dell'_a solo_ impongon silenzio, e la più grande attenzione, allorquando
tutto ad un tratto odesi gridare: _place à monseigneur le comte
d'Artois_. In mezzo al tumulto, Viotti si pone il violino sotto al
braccio, e va via, lasciando così tutta la corte con grande scandalo de'
spettatori. Da quel tempo in poi egli determinossi a non più suonare in
pubblico. Nel 1790, un deputato all'assemblea costituente, intimo amico
del Viotti, alloggiava sino a un quinto ordine della casa, egli aveva
consentito a dar quivi un concerto. Furonvi invitati dei gran principi e
delle dame d'alto rango: _Lungo tempo abbastanza_, disse Viotti, _noi
siamo discesi sino a loro; bisogna ora che essi saliscano sino a noi_.
Viotti aveva gran prontezza di spirito. Un giorno il ministro Calonne
dimandogli qual era il violino più giusto. _Quello_, egli rispose, _ch'è
meno falso_. Allorchè trovavasi insieme con M. Puppo, di cui non
apprezzava gran fatto il talento sul violino, diveniva allora più di lui
malizioso. Egli sapeva che il virtuoso Lucchese per ogni dove vantavasi
di essere scolare del Tartini, e che ciò era una falsità; allora egli
pregava M. Lahoussaye, vero allievo del Tartini, di sonare sulla maniera
del suo maestro dinanzi a Puppo, e diceva a costui: _Amico, senti bene
Lahoussaye, ed avrai un'idea dello stile del Tartini._ Sulla fine del
1792, Viotti passò in Londra, ove poco dopo diè un addio all'arte musica
per darsi interamente al commercio. Questo gran violinista conta tra
suoi allievi Rode, Alday, Libon, la Barre, Cartier, Vacher ed altri
bravi artisti. Egli ha fatto imprimere 25 concerti, un'opera di
quartetti, più opere di trio, che sono in gran pregio, e delle
variazioni per violino.
VIRBES (M. de), maestro di musica e di cembalo a Parigi, inventò nel
1771, il _cembalo acustico_, e circa 1777 _il clavicembalo armonioso e
celeste_. L'uno e l'altro ottennero i suffragi delle accademie di Londra
e di Parigi. Questi stromenti hanno di particolare, che senza tubi,
senza martelletti, e senza pedali imitano per via di corde d'acciajo
ordinarie il suono di quattordici o diciotto strumenti. Nel 1786 un suo
figlio fecesi sentire sopra un tal cembalo in un particolare concerto.
VITRUVIO Pollione da Formia, ora Mola di Gaeta, visse nel secolo d'oro
de' romani sotto Augusto. Egli, come a ragion riflette il dotto Andres,
non si appagò solo delle opere greche e latine risguardanti
l'architettura, ma s'immerse eziandio nello studio della fisica, e
passando alle matematiche non seppe starsi ne' primi elementi, ma
penetrò nelle più profonde speculazioni geometriche e meccaniche,
_musiche_ ed astronomiche d'Archita, d'Aristosseno, ec. (_T. 4.
dell'Origine de' progressi ec. p. 10_). Nel suo _Trattato di
Architettura_, ch'è l'unico rimastoci dell'antichità, ragiona egli a
lungo della musica, de' suoi effetti, e della maniera con cui debbonsi
costruire i teatri perchè più spicchi l'armonia. Tutti coloro che han
fatto de' comenti, o delle traduzioni di questo libro di Vitruvio, come
_Valla_, _Barbaro_, _Perrault_, il marchese _Galiani_ e più altri hanno
trattato lo stesso soggetto.
VITTORIA (Tommaso della), spagnuolo nativo di Avila rivale e
contemporaneo del cel. Palestrina, contribuì com'egli colle sue opere
alla perfezione della musica di chiesa, e alla gloria del canto
italiano. I suoi libri di teoria musicale furono stampati in Roma l'anno
1585, e assai pregiati a' suoi tempi. (_V. Lampillas Sag. Apolog. della
letterat. spagn. t. 2_).

VOGEL (Cristoforo), di Norimberga, studiò la musica sulle opere di Graun
e del Sassone. Nel 1776 essendo venuto in Francia il suo genio si accese
al sentire i capi d'opera di Gluck. Stabilì allora di prenderlo a suo
modello, e nel 1786 diè al pubblico la musica del _Toison d'or_ dedicata
a Gluck. Questo gran maestro nella sua risposta a Vogel così
esprimevasi: _Sulle altre vostre qualità quegli che più brilla, si è il
talento drammatico, onde di questo con tutto il mio cuore seco voi mi
congratulo. Egli è questo un talento tanto più raro, quanto nol dovete
voi già alla pratica, ma alla natura._ Una febbre maligna il tolse di
vita in età di 32 anni a' dì 28 giugno del 1788. Gluck lo chiamava _il
suo primogenito_. La sinfonia del Demofoonte, ch'egli morendo lasciò già
compito è un capo d'opera di espressione e di gusto; essa fu eseguita
nel 1791 ne' funerali degli uffiziali morti a Nancy, e produsse
grandissimo effetto.
VOGLER (Abate Giorgio Giuseppe), cavaliere dello speron d'oro,
cappellano della corte di Baviera, e dopo il 1786 maestro di cappella
del re di Svezia, nato a Virzburgo nel 1749, studiò il contrappunto in
Padova sotto il celebre P. Vallotti. Verso il 1776 venne a Manheim, ove
stabilì una scuola di musica, e ne diè de' corsi pubblici. Non fu
frattanto che l'anno d'appresso, ch'egli si fè conoscere dagli esteri
mercè la sua _Scuola di musica_, opera periodica di cui non ne pubblicò
che tre soli anni. I critici il censurarono allora di aver molte idee
non ben digerite, e di mancar di chiarezza. I viaggi ch'egli intraprese
dopo il 1780, per tutte le grandi città dell'Europa, han servito a far
conoscere i suoi talenti. Egli si è mostrato da per tutto
grand'organista, gran suonatore di forte-piano, gran compositore e dotto
autore insieme, onde vien detto il _Brown della musica_. È inventore
altresì di un organo di nuova specie, a cui ha dato il nome
d'_orchestrion_, perchè imitando tutti gli stromenti, rappresenta una
compiuta orchestra. Egli fecene costruire uno in Amsterdam, ove fecesi
sentire in un suo secondo viaggio con ammirazione di tutti. Le sue
composizioni abbracciano tutti i generi, e ve ne ha gran parte impressa:
le sue sonate per piano-forte sono pregiatissime. Vi ha inoltre di lui
gran numero di opere teoriche: tali sono, 1. _La teoria della musica e
della composizione_, Manheim 1776. — 2. _L'arte di formar la voce_, 1776,
ibid. — 3. _Esame della scuola di musica di Manheim_, 3 vol. — 4. _Molte
dissertazioni_, nelle notizie di Wetzler, 1779 e 1780. — 5. _Risposta a
diverse quistioni relative al suo sistema_, 1790. Nel 1800 l'ab. Vogler
pubblicò il suo _Choralsystem_, ossia _Sistema musicale_, Koppenhagen
ec. Egli è diviso in tre parti, di cui gli intendenti fanno moltissimo
caso (_V. Lichtenthal p. 8, in not._). Pio VI trovandosi a Spira fece
comporre dall'ab. Vogler un _Miserere_ a 4 voci con organo e bassi quivi
impresso nel 1782.
VOSS (Jean de) profferì un discorso in onore del cel. Haydn a Berlino,
li 9 Settembre 1809 nel salone detto Royal-Yorck, ove eransi radunati in
gran numero i musici, e gli amatori. Vi si eseguirono quindi molte
composizioni dell'Haydn, fra le quali, la sua cantata d'Arianna a Nasso,
a cui M. Schneider si era permesso di aggiungere gli accompagnamenti di
tutta l'orchestra, non essendo stata scritta dall'Haydn che per il solo
piano-forte.
VOSSIO (Gerardo-Giovanni), professore in Amsterdam molto abile nelle
belle-lettere, nella critica, nella storia e nell'antichità, si è fatto
gran nome presso i letterati per un'infinità di opere assai ben scritte,
piene di profondo sapere, e di solide osservazioni. Noi non farem qui
menzione che di alcune, nelle quali egli ha trattato diffusamente della
musica. Così nella sua opera: _De astium et scientiarum naturâ, et
constitutione_, parla dell'oggetto e criterio della musica, e delle
diverse sette degli antichi musici: della di lei antichità, e quanto
essa debba a Pitagora: chi è stato il primo a scriverne, e di alcuni
altri antichi scrittori di musica che si son perduti: dell'utilità della
musica: delle diverse parti, e generi della musica, de' primarj autori
greci di questa scienza, e finalmente de' latini. Nell'altra sua opera
_De scientiis mathematicis_ tratta ancora a lungo della musica
considerata come parte della matematica. Nelle sue _Institutiones
Poeticæ_ al secondo e terzo libro parla altresì di molte materie di
musica. Questo cel. letterato morì in Amsterdam nel 1649. Sua figlia
_Cornelia Voss_ viene annoverata tra le più colte donne del suo secolo:
ella aveva ancora delle cognizioni stese nella musica. In una lettera al
dotto Meursio suo padre la chiama _peritissima in ogni genere di
musica_. Ella annegossi nel 1638 nel passar che faceva in una vettura
sopra i ghiacci.
VOSSIO (Isacco), l'ultimo tra' figli del precedente, e il primo per la
erudizione, si rese molto abile nella storia e nella critica greca e
latina. Egli si stabilì in Inghilterra, fu canonico di Windsor, e morì
quivi nel 1689. Questo letterato aveva una prodigiosa memoria, ma
mancava di giudizio. Il suo ingegnoso libro _de Poematum cantu et
viribus rythmi_, Oxford 1675 in 8º, merita di esser letto da' poeti e
da' musici. Egli vi sostiene con autorità, e con ragioni, che gli
antichi greci han fatto uso dell'armonia simultanea, o contrappunto, e
schernisce con ingiurie i moderni per avere avuto l'arditezza di
negarlo, ed ammette come vere tutte le maraviglie attribuite all'antica
musica. Per divertire alquanto i lettori rapporteremo una sua curiosa
osservazione, lasciando a ciascuno la libertà di giudicare, quanto
l'immaginazion dell'autore, possa aver aggiunto alla realità del fatto.
Dice egli adunque essere un gran piacer il farsi strofinare o pettinare
da coloro, che lo fan bene in misura. Ed aggiunge d'esser più d'una
volta caduto fra le mani di parrucchieri così detti, che coi loro
pettini sapevano perfettamente imitare i movimenti d'ogni maniera di
canti e di ritmi, cosicchè colla più esatta precisione esprimevano ora i
giambi, ora i trochei, altre volte i dattili o gli anapesti, e talora
gli amebrachi, ed i peonii. Egli è certo però che sebbene non si trovin
da per tutto parrucchieri così eruditi, ad ogni passo e ad ogni momento
può osservarsi, quanto abbia di forza anche negli uomini più volgari
l'abitual sentimento della regolar misura del tempo. Qual contadino è sì
rozzo e sì sfornito d'orecchio, che intonando le sue villerecce canzoni
non faccia manifestamente sentire la regolarità degl'intervalli di
tempo, con cui son modulate le più semplici cantilene? Tanto è vero, che
_cantar senza misura non è cantare_, come sensatamente dice Rousseau; _e
che il sentimento della misura non essendo men naturale di quello
dell'intonazione, una di queste cose non ha mai potuto star senza
l'altra_.


W

WALKER (John), professore di musica in Londra, nel 1787 pubblicò nel
_Monthly Review_ una sua Dissertazione col titolo: _The melody of
speaking delineated_, etc. ossia _Sulla melodia del linguaggio, o la
declamazione insegnata come la musica per via di segni sensibili_. Vi dà
egli de' precetti per la modulazione e l'espressione degli affetti, e
delle passioni, dimostrata con alcuni scelti passaggi, tratti da'
migliori compositori.
WALLIS (John), professore di geometria nella università d'Oxford, e
membro della R. Società di Londra morto a Oxford nel 1703, ha
contribuito moltissimo ad illustrare l'antica musica con le sue
traduzioni dal greco delle opere armoniche di Tolomeo, e de' _Comentarj_
alle medesime di Porfirio, alle quali ha aggiunte delle dottissime
annotazioni. Trovansi queste nella superba edizione delle sue Opere
matematiche in 3 vol. in fol., a Oxford 1799. Hawkins nella sua _Storia
della musica_ rapporta una lettera del Dr. Wallis, in cui descrive un
rituale greco manoscritto trovato a Buda nel 1686, ch'egli crede più
antico almeno di tre secoli, cioè del sec. 13. Vi si trovano le note
musicali sotto gl'inni e le antifone greche solite cantarsi nella chiesa
di Costantinopoli, e la spiegazione inoltre di queste note, ch'erano
allora in uso, delle loro forme, de' loro nomi e del valor loro. “Senza
di queste cose, egli dice, non sarebbe intelligibile il resto
dell'opera, ed anche con tal soccorso vi abbisogna molta attenzione e
molta sagacità per comprendere e poter comparare questa musica colla
nostra. Egli è vero, che questo manoscritto è assai più moderno delle
opere di Aristosseno, e degli altri musici greci, essendo posteriore
allo stabilimento del cristianesimo, ma è il più antico di questo
genere, che ci sia stato conservato.”
WALTHER (Gio. Godefredo), dotto musico della corte e della chiesa di
Weimar, fu precettore del giovane principe, e della principessa sua
sorella. Egli è autore di un _Lexicon musicale_, o _Biblioteca di
musica_ in tedesco, 1732, a Lipsia. Vi si trovano non che gli antichi e
moderni musici, che si sono distinti nelle differenti nazioni sì nella
teoria, come nella pratica; tutto quel che si sa di ognuno di essi, e
quai scritti han lasciati; ma eziandio la spiegazione de' termini
tecnici della musica in uso nel greco, nel latino, nell'italiano, e nel
francese, con la più parte de' segni usitati, per ordine alfabetico.
Quest'opera è piena di molte ricerche, e compilata con maggior esattezza
di quella più recente di M. Gerber. L'autore dopo l'impressione
dell'opera proseguiva a raccorre degli altri materiali, che gli erano
sfuggiti, e che aveva nuovamente scoverti, ma non ebbe il tempo di
pubblicarne il Supplemento, essendo morto a' 23 di marzo del 1748.
WALTHER (D. Michele), figlio di Giov. Walther, uno de' migliori
contrappuntisti alemanni del sedicesimo secolo, è autore di una
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