Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3 - 13

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Raccontavano i nostri antichi che nello spazio di quel tempo, in cui non
doveva comparir sulle scene, stavasene egli ritirato nel suo gabinetto a
leggere qualche libro di pietà. M. Ginguené cita il seguente aneddoto di
Raff come uno de' più grandi effetti della musica. La principessa di
Belmonte in Napoli era inconsolabile della morte di suo marito: un mese
era già scorso senza che essa potesse mandar fuori un sol lamento e
versare una sola lagrima. Sul tramontar del sole veniva essa a
passeggiare ne' suoi giardini, ma nè l'aspetto del più bel cielo, nè la
riunione di tutto ciò che l'arte aggiungeva sotto a' suoi occhi alle
grazie della natura, nè l'oscurità stessa toccante della notte potè mai
produrre in essa quelle tenere commozioni, che dando uno sfogo al
dolore, gli tolgono ciò che ha di pungente e d'intollerabile. Raff
trovandosi allora per la prima volta in Napoli, volle veder quei
giardini, celebri per la loro amenità. Gli venne permesso; ma
raccomandogli di non avvicinarsi a quel tale boschetto, ove sedevasi la
principessa. Una delle sue cameriere sapendo che Raff era nel giardino,
propose alla signora di permettergli che venisse a salutarla. Raff si
accostò, ed era già instruito di quel che doveva fare. Dopo alcuni
istanti di silenzio, la stessa donna pregò la principessa di dare il
permesso che un cantante così famoso, che non aveva mai avuto l'onore di
cantare alla di lei presenza, potesse almeno farle sentire il suono di
sua voce. Non essendo stata la risposta un positivo rifiuto, Raff
interpretò quel silenzio ed essendosi messo un poco in disparte, cantò
quella canzonetta di Rolli _Solitario bosco ombroso_. La sua voce, che
era allora in tutta la sua freschezza, e una delle più belle e delle più
toccanti che si siano intese, la melodia semplice, ma espressiva di
quell'aria, le parole perfettamente adattate al luogo, alle persone,
alle circostanze, tutto questo insieme ebbe tale possanza sopra organi
che da gran tempo sembravano chiusi, e induriti dalla disperazione, che
cominciarono a scorrer le lacrime in abbondanza. Nè frenar queste si
poterono per il corso di più giorni, e così salvarono l'ammalata, che
senza quella salutevole effusione avrebbe immancabilmente perduta la
vita. Raff verso il 1783 viveva a Monaco nella Baviera come musico della
corte, e benchè in un'età assai avanzata cantava ancora con molta
grazia.
RAFFAELE (Benvenuto conte di san), torinese, regio direttore degli studj
a Torino, è autore di due belle _Lettere sull'arte del suono_ inserite
nella raccolta degli opuscoli di Milano, vol. 28 e 29. La prima tratta
maestrevolmente _de' Principj dell'arte del suono del violino_: “La più
parte de' maestri di suono, egli dice, male istituiti eglino, istituir
non possono i loro scolari. Avvezzi a non ragionar sopra l'arte,
anzicchè stender l'occhio a misurarne l'ampiezza, vanno striscion come
bachi per le calcate vie di una mera e disordinata pratica. Questa sola
li guida; e quanto è cieca la scorta, altrettanto forza è, che ciechi
sien essi, e ciechi divengan altresì i discepoli.” Nel cap. 1 addita
egli _quale, e come esser dee lo stromento_: dice, che i migliori
violini sono i fatti dallo _Stainer_, dagli _Amati_, dagli _Stradivari_,
da' _Guarneri_, dal _Bergonzi_, dal poco noto, eppur di fama degnissima
_Cappa_ di Saluzzo: che il violino vuole essere vecchio anzichenò. Tre
cose, dicea il _Geminiani_, pretendono le mie orecchie, _Musica di tre
giorni, Suonator di quarant'anni, e violino di ottanta_. Al qual detto
il _Tartini_ mettea una saggia restrizione, dicendo: _datemi un violino
vecchio, ma non decrepito come sono io._ Un solo violino si debba avere
alla mano; il cangiare soventi fa sì, che l'intuonazione non mai si
rinfranca. Nel capitolo secondo dà egli i _principj generali dell'arte
del suono sopra il violino_. Nella scambievole corrispondenza di una
mano che guida l'arco, e dell'altra che scorre sul manico, sta tutta
l'arte. Nel cap. 3 tratta _dell'esattezza del suono_; nel cap. 4 _della
verità del suono_; nel cap. 5 _degli abbellimenti del suono_. Aggiugnere
abbellimenti a ciò che sta scritto nè sempre è lecito, nè sempre
vietato; nè sempre conviene, nè sempre disdice. Quattro opportuni
riguardi sono da prescriversi nell'abbellire: _sobrietà, opportunità,
leggiadria, pulizia_. Ecco un piccol saggio della precisa, e brieve
maniera d'insegnare l'arte del suono, usata da questo dotto scrittore.
La seconda lettera scritta con la stessa eleganza e concisione di stile,
è piuttosto storica anzichè didattica, ed ha per soggetto _Le
rivoluzioni dell'arte del suono appo i moderni_. L'A. riduce a quattro
le scuole principali di violino degli ultimi tempi: quella del
_Corelli_, quella del _Tartini_, la tedesca di _Stamitz_, e l'ultima
attuale, la quale fa a suo avviso nella musica lo stesso effetto, che
tra le sette dell'antica filosofia l'Eccletticismo, mentre al par d'esso
con certo libero orgoglio a niun maestro s'attiene con servil
sommissione; ma dovunque ritrova il bello, sel prende, e il riveste, e
il fa suo, non ricopiando da vil plagiario, ma racconciandolo da prode
imitatore con ingegnosa e certamente lodevole maestria. Queste due
lettere piene di utilissimi precetti, e di osservazioni assai giudiziose
e filosofiche sull'arte in generale dovrebbero andar per le mani non che
de' soli violinisti, ma de' maestri di cappella eziandio, e di tutti
generalmente gli artisti. Il conte di S. Raffaele si è fatto ancor
distinguere come eccellente compositore per sei duetti di violino
pubblicati dapprima in Londra nel 1770, ed in appresso a Parigi 1786.
RAGUENET (Francesco), dottore sorbonico, sin dalla più tenera età,
applicossi allo studio delle belle lettere, che egli proseguì eziandio
dopo avere abbracciato lo stato ecclesiastico. Nel 1722 fu egli trovato
morto in sua casa in età di 60 anni. La città di Roma onorollo col
diritto di cittadinanza per la di lui opera intitolata _Monumens de
Rome_: per mostrare agl'Italiani la sua gratitudine l'abb. Raguenet
pubblicò nel 1704 il suo libro _Parallèle des Italiens et des Français,
en ce qui regarde la musique et l'Opéra_, Paris in 8vo, che fu occasione
di una guerra letteraria. La musica degl'italiani è secondo lui molto
superiore per ogni riguardo alla francese; primo per riguardo alla
lingua, di cui tutte le parole, tutte le sillabe distintamente si
profferiscono; 2. per rapporto al genio de' compositori, alla magia
dello strumentale, all'uso degli eunuchi, all'invenzione delle macchine.
Egli fu il primo che con questo suo libro cercò di aprire gli occhi de'
francesi sul cattivo stato della musica in Francia. Mr. de Fontenelle,
benchè imbevuto della _musica la più francese_, secondo l'espressione
del d'Alembert, ma filosofo pieno di moderazione, reconne, come Censore,
questo giudizio: _Io credo che l'impressione di quest'opera sarà
graditissima al pubblico, purchè sia capace d'equità._ Ma ella sollevò
contro al suo autore molti antagonisti, ai quali oppose egli un altro
scritto col titolo: _Réponse à la Critique du Parallèle_ in 8vo.
RAMEAU (Giov. Filippo) nacque a Dijon nel 1683, apprese da fanciullo i
principj della musica da suo padre organista della cattedrale, e dopo
aver fatti de' profondi studj sul contrappunto, viaggiò alcun poco per
l'Italia, e venne finalmente a stabilirsi in Parigi. Quivi impiegò il
suo tempo a dar lezioni di cembalo, e a far delle ricerche sulla teoria
della musica. In quell'epoca il gusto della fisica e delle mattematiche
era già cominciato a divenir generale in Francia: Rameau volle
applicarvisi; ma non ebbe la pazienza o le disposizioni necessarie per
riuscirvi. Avendo letto, che un corpo sonoro posto in vibrazione faceva
sentire, oltre il suono principale, la sua _duodecima_ e la sua _decima
settima_, provossi a stabilire su tal fenomeno la sua teoria musicale.
Egli sostenne che tutte le regole sino allora prescritte non erano che
delle tradizioni oscure e sparse a tastoni, senza nesso e senza alcun
fondamento: si propose a ridurle tutte ad un piccol numero di principj,
ch'egli pretese dedurre dalle leggi, o bene o male intese, della fisica.
Siccome le opinioni di quest'uomo celebre hanno avuto gran corso in
Francia, e nell'assoluta mancanza, che vi era colà di libri elementari
scritti a norma de' buoni principj, quelli di Rameau furono commentati,
semplificati e moltissimo lodati da autori celebri, per cui acquistarono
gran nome, così non sarà discaro ai lettori di quì darne un'idea.
Se pongonsi ad esame i diversi accordi, di cui si fa uso
nell'accompagnamento, si riconoscerà facilmente che questi possono tutti
ridursi alle diverse combinazioni di certe riunioni di suoni. Per
esempio, gli accordi _Ut-mi-sol_, _Mi-sol-ut_, _Sol-ut-mi_, chiaramente
non sono che tre combinazioni de' suoni _ut_, _mi_, e _sol_, gli accordi
_Sol-si-re-fa_, _Si-re-fa-sol_, _Re-fa-sol-si_, _Fa-sol-si-re_, sono
quattro combinazioni de' suoni _sol-si-re-fa_; nelle quali ognuno de'
suoni è preso successivamente per base, essendo assolutamente
indifferente la disposizione de' suoni superiori. Or, se si considera
uno di questi accordi, che sono composti de' medesimi suoni, come
l'accordo principale, gli altri potranno esser riguardati come loro
dipendenze. Ciò era stato detto dagli antichi, i quali riguardavano come
accordo principale quello, in cui tutti i suoni si trovan nell'ordine di
terze, e riguardavano gli altri accordi composti de' medesimi suoni come
rivolti del primo. Alcuni _ignoranti scrittori_ han fatto autore Rameau
di siffatta considerazione: per convincersi della falsità della loro
asserzione, basta volgere uno sguardo su i libri del _Zarlino_, del
_Berardi_, e d'altri, e vedrassi che una tale considerazione, per altro
verissima, era familiare agli antichi. Quel che appartiene a Rameau, è
lo avere preteso ridurre tutte le leggi dell'armonia a quelle, che
regolano gli accordi principali. A tal effetto egli chiama questi
accordi _accordi fondamentali_, _fondamentale_ la nota, che serve loro
di basso, e finalmente, _basso fondamentale_ un basso ipotetico formato
delle sole regole fondamentali. Ciò posto, egli prescrive le regole,
secondo le quali può formarsi quel basso, cioè secondo le quali gli
accordi fondamentali possono succedersi: e secondo lui, l'armonia sarà
regolare tutte le volte, che gli accordi de' quali è formata, essendo
ridotti ai loro accordi fondamentali, le successioni di questi si
troveranno conformi alle regole da lui stabilite. Ma per disavventura
nulla è più falso di questa sua pretensione: l'esperienza e
l'enumerazione de' casi fanno vedere: 1. che una successione
fondamentale, conforme alle regole di Rameau, può avere delle
successioni derivate cattivissime; 2. che al contrario alcune
successioni derivate, ottime e generalmente ammesse, spesso derivano da
successioni fondamentali, ch'egli rigetta come viziose. A queste
riflessioni aggiungasi ancora, che molti accordi, universalmente
ricevuti, non trovan luogo nei quadri di Rameau, ed egli non può
spiegarne le successioni. Per tutte queste ragioni il di lui sistema non
ottenne l'approvazione di niun valente pratico, e di veruna delle buone
scuole dell'Italia e della Germania. Rameau aveva gran premura di averne
l'approvazione dalla società de' filarmonici di Bologna, che ne rimise
l'esame al cel. P. Martini: ciò si ricava da una sua lettera al medesimo
de' 6 Luglio 1759. “I trattati ed i sistemi sull'armonia, egli vi dice,
non si sono moltiplicati senza frutto e senza successo, se non perchè
non vi si era ancor ravvisato il fenomeno del corpo sonoro. Egli è da
questo stesso fenomeno che io ho visto nascere le riflessioni, che ho
l'onore di sommettere al savio giudizio dell'Istituto: io lo attendo
colla più grande impazienza: qualunque sia per essere, sarà egli per me
infinitamente pregevole. Se non merito l'approvazion vostra, mi
renderete almeno l'inestimabil servigio di farmi conoscere i miei
errori.” (_V. Mem. del P. Martini, p. 105_). Ma dal silenzio dello
stesso Rameau, e de' di lui partigiani ben può dedursi, che l'affare non
ebbe il successo ch'egli bramava: imperocchè quanto non avrebbe fatto
egli valere l'approvazione di sì illustre accademia, e di un sì
accreditato teorico come il Martini? Tuttavia, sebben molte idee, sulle
quali è fondato il sistema del basso fondamentale, come le pruove, su di
cui egli l'appoggia, si fossero cominciate a scorgere prima di lui;
sebbene nella determinazione ch'egli ha fatta de' suoi elementi, regni
una confusione d'idee, che rende difettosa la maggior parte delle sue
regole d'armonia; sebbene egli medesimo abbia esposto il suo sistema con
molta oscurità ed una faticante profusione di dimostrazioni di fisica e
di geometria, che non hanno verun rapporto al suo primario oggetto, non
è men vero ch'egli fu il primo a tirar l'attenzione dei didattici sulla
teoria dei rivolti, e a dare a quegli che sono venuti dopo di lui il
mezzo di far meglio, presentando loro un corpo di dottrina imponente pel
suo totale. Così il dotto _Eximeno_ nel tempo stesso di attaccare la sua
teoria, _degno nondimeno lo stima di somma lode per aver dato a
conoscere il vero ed unico regolatore dell'armonia, e per aver date
delle regole utilissime di pratica_. Quì cade in acconcio l'osservare
che il basso fondamentale proposto dall'Eximeno come il vero ed unico
regolatore dell'armonia è tutt'altro di quello del Rameau, come
chiaramente si vede dalla sua opera medesima, e da ciò che ne dice egli
stesso in una sua lettera, che va in fine del suo libro in difesa alle
oggezioni di un maestro romano. “Or vedete, egli scrive, quanto
storditamente parla il vostro maestro Pandolfo: i francesi non conoscono
altro basso fondamentale, se non quello che ha stabilito il Sig. Rameau;
_ed egli suppone, che io metta quel basso per fondamento della mia
teorica, mentre prometto di rifiutare la teorica del Rameau. Io non ho
preso se non che il nome di basso fondamentale_.” (p. 461). Il ridicolo
autore delle _Riflessioni critiche sul presente dizionario_ o per mala
fede, o per non capire gli autori che legge, volle dare ad intendere
aver io falsamente asserito che l'illustre Eximeno rovesciato aveva il
sistema di Rameau del basso fondamentale. Possiamo a costui rispondere
con le stesse parole di questo autore. “Se prometto di rifiutare il
basso fondamentale regolato colla legge della generazione de' suoni
stabilita dal Rameau, non è un parlar da matto opporre contro di me ciò
che prometto di rifiutare?” Ma questo stordito censore è uno di quelli,
che a ragione vengono chiamati dallo stesso Eximeno i _Cabbalisti della
musica_ (ibid. p. 464): basta leggere l'opera stessa di questo dotto
autore per ismentirlo. Fra gl'italiani, che attaccarono la teoria del
Rameau, debbonsi annoverare il Conte Riccati, il P. Sacchi, e il
Manfredini nell'ultimo capitolo delle sue regole armoniche: fra i
Tedeschi Forkel, Scheibe e Chladni. In Francia se il suo sistema ebbe
per alcun tempo qualche successo, _è oggi giorno in un totale
abbandono_, dice Mr. Choron, ed è stato anche dottamente confutato da
MM. Framery e Suard in più articoli dell'Enciclopedia metodica, da M.
Suremain nella sua opera analitica e filosofica _Théorie
acoustico-musicale_, a Paris 1793, e dal testè citato M. Choron (_V.
Discor. prelim. p. XXII_). Non può negarsi tuttavia, che molte cose non
si trovino utilissime alla pratica nelle di lui opere, perchè egli
possedeva a dir vero, meglio l'arte che la scienza della musica. A lui
dee altresì la Francia la prima rivoluzione musicale nel genere
drammatico, avvicinandosi un poco più al gusto italiano del suo tempo e
discostandosi dal cammino battuto da' fautori di Lulli, _non quanto
avrebbe voluto, ma quanto gli fu almeno possibile_, dice M. d'Alembert.
Rameau seppe dare alla sua cantilena più d'abbellimenti e di varietà, a'
suoi cori più di moto e di effetto. Che se negar non gli si può
dell'estro, e della fantasia, deesi convenire altresì, che ha troppo
amato il fracasso, che ha mancato di sensibilità, che il suo canto è
bizzarro e il più delle volte di cattivissimo gusto, e tanto in ciò egli
è meno scusabile, in quanto conosceva i migliori modelli in questo
genere, avendo inteso nel suo viaggio in Italia, le opere di Scarlatti,
di Leo, di Durante; e che il solo motivo che gli impedì a seguire le
loro tracce, fu la ridicola gelosia, _che in ogni tempo_, dice M.
Choron, _ha animati i musici francesi contro i compositori italiani_. La
sua armonia piena zeppa di dissonanze è poco adatta allo stile
drammatico, e lo stesso di lui encomiatore M. Chabanon si dichiara
contro l'idea, che egli aveva di dipingere, principalmente nello
strumentale. “Voler sottomettere agli occhi l'arte de' suoni, egli dice,
si è un torle la natura: quest'intenzione ad altro non serve che ad
incomodare l'immaginazione del musico, ed a fissarla sopra di alcune
piccole rassomiglianze dubbiose cui sagrifica tutto, e a distrarlo dalle
ricerche della bella melodia, che la sola costituisce la vera musica, e
che forma la vera dipintura. Il musico, che vuol dipignere co' suoni ciò
che cade solamente sotto il senso della vista, lavora in fatti più per
gli occhi, che per le orecchie. Se Rameau dipinge le onde agitate,
l'allineamento delle note descrive la linea curva delle onde, s'egli
dipinge un fuoco artificiale come in _Achante et Cephise_, si veggono le
note innalzarsi come altrettanti razzi.” (_Elog. de M. Rameau a Paris
1765_). Non può nemmeno negarsi, che questo cel. artista non abbia avuto
una coltura di spirito poco ordinaria alle persone del suo mestiere, e
la penetrazione di un uomo che sa riflettere su la sua arte. “Chi dice
un dotto musico, (così egli scriveva a M. _de la Motte_ chiedendogli le
parole di un dramma per metterlo in musica), intende dir ordinariamente
un uomo, a cui nulla sfugge nella combinazion differente delle note; ma
si crede costui assorbito talmente in queste combinazioni, che vi
sagrifica tutto, il buon senso, il sentimento, lo spirito e la ragione.
Ma questi allora non è che un musico della scuola, e d'una scuola in cui
non si tratta che di note, e niente più; di maniera che si ha ragione di
preferirgli un musico che si picca meno di scienza che di gusto. Quegli
frattanto il di cui gusto non è formato che per via di comparazioni alla
portata di sue sensazioni, non può tutto al più riuscir eccellente che
in certi generi, cioè in quei relativi al suo temperamento. È egli
naturalmente tenero? esprimerà bene la tenerezza. Il di lui carattere è
vivace, ameno, scherzevole, ec.? la sua musica vi corrisponderà per
allora, ma fate che egli esca da' caratteri che gli sono naturali, voi
più non lo riconoscerete. Per altro come egli cava tutto dalla sua
immaginazione senza verun soccorso dell'arte, per mezzo dei rapporti
colle sue espressioni, egli si logora alla fine. Nel suo primo fuoco,
era tutto brillante, ma questo fuoco si consuma a misura che egli vuol
riaccenderlo, e più non si trova in lui che ripetizioni e freddure. Per
il teatro vi vuole un musico, che studii la natura prima di dipignerla,
e che per la sua scienza sappia fare la scelta de' colori e delle loro
gradazioni, di cui il suo spirito e 'l suo gusto gli avrebbero fatto
sentire il rapporto colle espressioni necessarie ec.” È d'uopo in somma
riconoscere in Rameau col filosofo di Ginevra, che non era per altro suo
grande amico, _un grandissimo talento, molto fuoco, più di abilità che
di fecondità; più di sapere che di genio, o almeno un genio soffocato
dal troppo sapere_. Le sue opere di teoria musicale sarebbero ancora
state più utili, se egli non avesse avuta la debolezza e la vanità di
applicare la geometria e la fisica alla musica, e pretendere di
cavar dalle medesime le regole di un'arte unicamente fondata
sull'organizzazione e la natura dell'uomo. Eccone i loro titoli: 1.
_Traité de l'harmonie, réduite à ses principes naturels_, 1722 in
4º. — 2. Nouveau Système de musique théorique, 1726 in 4º. — 3.
Génération harmonique, ou Traité de la musique théorique et pratique,
1737 in 8vo — 4. _Dissertation sur l'accompagnement_, 1731 in 8vo — 5.
_Dissertation sur le principe de l'harmonie_, 1750 in 8º. — 6. _Nouvelles
réflexions sur la démonstration du principe de l'harmonie_, 1752 in
8º. — 7. _Réponse à une lettre de M. Euler_, 1752 in 8º. — 8.
_Observations sur notre instinct pour la musique_, 1754 in 8º. — 9.
_Erreurs sur la musique dans l'Encyclopédie_, 1755, in 8º. — 10. _Code de
musique pratique_, 1760, 2 vol. in 4º. “Le opere teoriche di Rameau,
dice il filosofo di Ginevra, hanno di singolare che fecero gran fortuna
senza quasi esser lette, e molto meno il saranno dacchè d'Alembert si
prese la pena di fare in un picciol volume in 8vo il compendio di tutta
la sua dottrina”: al che si può aggiungere che niuno oggidì farassi più
a leggerle dopo che da più celebri autori se n'è dimostrata l'inutilità,
ed il poco profitto che se ne può trarre. Dopo il 1760 Rameau aveva
rinunziato a qualunque specie di fatica, e godette nel riposo della
fortuna e della riputazione che si era fatta colle sue produzioni: Luigi
XV avevagli accordata una pensione, e delle lettere con cui lo
dichiarava nobile, e cavaliere dell'ordine di S. Michele, ma prima di
mettersene in possesso venne egli a morire li 17 settembre del 1764.
RAMOS (Bartolomeo) Pereira, o Pereja, fu celebre professore di musica
nell'università di Salamanca, d'onde venne l'anno 1482 chiamato ad
occupar la cattedra di musica eretta dianzi in Bologna da Niccolò V.
Quivi nello stesso anno pubblicò il suo _Trattato di Musica_, in latino,
divenuto rarissimo. “Ramos, dice Arteaga, sarà sempre dalla memore
posterità annoverato fra i più grandi inventori. Egli ebbe il coraggio
di svelar all'Italia gli errori di Guido Aretino e di scoprire le
debolezze e le inconseguenze insieme del suo sistema.” Guardando con
occhio filosofico la musica ritrovò un utile temperamento, volendo
alterate le ragioni della quarta e della quinta, e sebbene dovè soffrire
le opposizioni del Burzio, e del Gaffurio, pur fu poi dopo un secolo
sostenuto e promosso dal Zarlino, e trionfò alla fine sì nella pratica,
che nella teorica de' musici. Egli è citato come il primo a far valere
lo sperimento della risonanza moltiplice di certi corpi sonori, secondo
la legge degli aliquoti, sperimento, che è divenuto sì celebre per
l'abuso che se n'è fatto nella teoria della musica, e per tutti i
sistemi ai quali si è fatto servire di base.
RAMLER (Guglielmo), professore di belle lettere, e dopo il 1787
direttore del teatro nazionale a Berlino, pubblicò in Lipsia
_Introduction aux belles-lettres_, in 8º, 1758. In quest'opera tratta
egli a lungo della musica. Nelle memorie per servire ai progressi della
musica di Marpurg, vol. 2, vi ha di Ramler: _Défense de l'Opéra en
musique, e Recueil des idées de Remond de St-Mard_ sullo stesso
argomento. Egli è anche autore della sublime cantata, _la morte di
Gesù_, suo capo d'opera per la poesia, come per la musica di Graun.
RANGONI (Giov. Battista), letterato fiorentino, e grand'amatore di
musica, pubblicò in Livorno nel 1790, _Saggio sul gusto della musica_,
in 12º, dove trovansi delle interessanti notizie intorno a' più moderni
virtuosi italiani.
RASPE (Rodolfo) di Hannover, professore nel collegio di Cassel, nel
1776, era in Londra. Egli pubblicò _Essai sur l'architecture, la
peinture et l'opéra musical, traduit de l'Italien par le comte
Algarotti_. Nella _nouvelle Bibliothèque des belles lettres_ vi ha di
lui una _Dissertation sur l'harmonie_.
RAVEZZOLI, romano, così profondo nello studio della composizione che
all'età di venticinque anni venne eletto maestro di cappella di San
Pietro in Roma, dopo avere trionfato de' suoi concorrenti quasi tutti
avanzati in età. Per vendicarsene, fecero essi malignamente entrare
contro il divieto una donna nel Vaticano, ove abitava Ravezzoli. Venne
perciò dinunziato e posto in prigione nel Castel Sant'Angelo, dove
languì di miseria e di afflizione sino alla morte. Nella sua malinconia
egli compose nella prigione parole e musica di un duetto che scrisse sul
muro col carbone, di cui possedevane una copia il Sig. Camillo Barni da
Como abile compositore ed eccellente suonator di violoncello. Dopo la
morte di Ravezzoli, che avvenne verso il 1754, la donna introdotta nel
suo alloggio del Vaticano confessò che il giovane compositore era stato
vittima della gelosia de' suoi rivali.
RAYMOND (G. Marie), professore di matematica e di fisica nel collegio di
Chambery, membro dell'Accad. imperiale delle Scienze e di più società
letterarie, nel 1811 pubblicò in Parigi _Lettre à M. Villoteau, touchant
ses vues sur la possibilité et l'utilité d'une théorie exacte des
principes naturels de la musique_, un vol. in 8º. “A niuno è venuto mai
in pensiero, dice sensatamente questo scrittore, di avanzare, senza
rischio di esser messo in ridicolo, che non abbisognan regole nella
pittura e nella scultura, nell'eloquenza e nella poesia; per quale
singolarità la sola musica potrà far di meno di regole e di principj?
Non è egli forse in conseguenza di sì strana eccezione che le sue opere
sono soggette ad appassire? Le opere di musica impresse si fan camminare
senza data: di tutte le arti la musica è l'unica, le di cui produzioni
non osano palesar l'epoca della loro nascita, sul timore senza dubbio di
esser condannate ad un presto oblio. Non è dessa la più forte prova che
le sue produzioni non hanno avuto che il capriccio per ispirazione e la
sola moda per guida? Se la tale musica pretende esser vera, come cessa
di esserla? Se dipinge il sentimento, come dunque le sue pitture, giuste
in un tempo, finiscono con divenir ridicole in un altro? Non è questo un
contrassegno certo che l'artista non ha seguito niun sodo principio, e
che la musica non ha trovato sinora il vero linguaggio della ragione e
del gusto? A questa medesima incertezza delle basi dell'arte è d'uopo
attribuire i giudizj tanto diversi e sovente tanto opposti, che recansi
tuttogiorno sulla musica, sul suo oggetto, sulle sue bellezze, sul
carattere ch'ella dee sviluppare in ciascuna situazione, e che vi sono,
per così dire, altrettante poetiche musicali quanti vi ha scrittori in
questo genere. Non è questo un vero scorno per l'arte l'ignorar tuttora
quali sono i suoi elementi fondamentali?” (pag. 94). Egli diè inoltre al
pubblico: _Determination des bases physico-mathématiques de la musique,
ou Essai sur l'application des nouvelles découvertes de l'acoustique à
l'art musical, suivi d'un appendice sur quelques systèmes d'écriture
musicale_, Paris 1812. L'argomento di quest'opera è una compiuta
spiegazione delle considerazioni e delle viste indicate dall'autore
nella prima lunga annotazione che è alla fine della sullodata lettera a
M. Villoteau. A questa ha egli unito nello stesso volume tre altri suoi
opuscoli: 1. _De la musique dans les Églises_, ove valorosamente
combatte il parer di coloro, i quali hanno ardito avanzare che l'uso
della musica nelle chiese è generalmente una specie di profanazione; 2.
_Lettre à M. Millin sur l'utilité du rétablissement des maîtrises de
chapelle dans les Cathédrales de France._ “Tutti gli artisti, egli vi
dice, non sono de' Pergolesi, degli Haydn, de' Mozart, de' Cherubini.
Non è se non per mezzo di una tradizione sostenuta che può mantenersi e
perpetuarsi lo stile grandioso e puro, che richieggono le solennità
della Religion cristiana. Su questa porzione esistono de' gran modelli;
il loro studio, la loro imitazione occupar dee continuamente l'artista
che si consacra alla chiesa: è d'uopo adunque che vi siano delle scuole
addette a questo genere di composizione e di esecuzione, nelle quali
possa formarsi il gusto mercè un lungo esercizio, dopo aver succhiato di
buon ora i principj che debbono dirigerlo.” 3. _Réfutation d'un Système
sur le caractère attribué a chacun des sons de la gamme, et sur les
sources de l'expression musicale_. Nulla concorre maggiormente ad
estinguere le arti ed eziandio le scienze quanto l'abuso de' sistemi.
“Allorchè io parlo dell'abuso de' sistemi, dice il dotto autore, io sono
ben lontano dal biasimare le teorie filosofiche che tanti lumi han
recato nelle arti e nelle scienze. Si sa benissimo che non debbonsi
confonder le teorie propriamente dette co' sistemi, anzichè non vi ha al
contrario cosa più adatta a far rovinare le vane ipotesi, quanto un
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