Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3 - 11

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maestro di cappella di S. Marco di Venezia, è autore di una
_Dissertazione sul progresso e la decadenza della musica italiana_,
Venezia 1813. La società Italiana di Scienze, Arti, e Belle-lettere
avendo proposto un premio per la miglior memoria su quell'argomento,
questo premio venne aggiudicato al Sig. Perotti.
PERRAULT (Claudio), dell'Accademia delle Scienze, e cel. architetto ne'
suoi _Comentarj_ a _Vitruvio_ da lui tradotto in francese ragiona a
lungo sulla musica degli antichi, ed in oltre alla fine del secondo
volume de' suoi Saggi di fisica vi ha di lui _Dissertation sur la
Musique des Ançiens_, Paris 1680, nella quale sostiene che i Greci non
ebbero cognizione della musica a più parti.
PERTI (Giac. Antonio) da Bologna, fu uno de' più gran professori
dell'antica scuola di quella città, ed uno degli autori classici per la
musica di chiesa, le sue opere ne son modelli. Una maschia e ben fondata
armonia, un'intelligenza ammirevole nelle disposizioni delle parti di
un'arte, tanto più grande, quanto è più nascosta, ecco i tratti che
dipingono quest'illustre maestro. Dopo di essere stato al servigio dei
gran duchi di Toscana, passò a quello dell'imperatore, dove è restato
quasi tutto il tempo di sua vita. Leopoldo e Carlo, che avevano molta
stima per lui, e che intendentissimi eran di Musica, lo colmarono di
onori e di considerevoli beni. Se questo compositore non si fosse reso
molto celebre per le sue belle produzioni, lo sarebbe divenuto solo per
essere stato il maestro del dotto P. Martini, il di cui merito, le
conoscenze, la dottrina, le opere, e la riputazione formano l'elogio del
Maestro. Perti morì in Venezia nel 1723.
PETRI (Giovan Samuele), precettore di musica alla scuola normale di
Halle, e professore nel ginnasio di Baudissin, racconta egli stesso come
cominciò i suoi studj dal frequentare le pubbliche lezioni di canto, _il
che far dovrebbero_, egli dice, _tutti i giovani che ne hanno il
comodo_. Bach ne' suoi trattenimenti spiegogli quello, che sino allora
aveva trovato d'oscurità nelle partiture di Telemann, di Graun, e del
Sassone, o quello ch'era sfuggito alle sue osservazioni. Petri pubblicò
quindi in tedesco la sua _Introduzione alla musica pratica_, Lauban
1767, ed essendosene spacciate prestamente tutte le copie, ne diede una
seconda edizione più accresciuta e corretta nel 1782, in tre vol. in 4º.
In quest'opera, che servir può di modello dello stile didattico, tratta
della musica in generale, del basso continuo, e di tutti gl'instromenti
in uso oggidì. A questo precede un'istoria breve sì, ma precisa e chiara
della musica, dalla sua origine sino al sec. 18º.

PFEFFINGER (Giacomo), mostrato avendo sin dall'infanzia gran
disposizione per la musica, i suoi primi passi in quest'arte furono
diretti in Strasburgo sua patria da Fil. Schmidt, letterato, musico, e
filosofo. Con la guida di un sì abile maestro, fece de' rapidi progressi
sul forte-piano, e nella conoscenza dell'armonia. Alla morte di
Schænfeld nel 1790, il senato di Strasburgo lo nominò maestro di
cappella della città e direttore della musica del Tempio-Nuovo. Fu a
quest'epoca ch'egli cominciò a far della musica uno studio più
particolare ed esatto; unissi allora col cel. M. Pleyel che era in quel
tempo maestro di cappella della cattedrale, e confessa egli stesso
dovere in gran parte il suo talento per la composizione a quell'insigne
artista, che gli facilitò lo studio di questa bell'arte di appresso i
principj di Fux. Intraprese nel 1791 insieme con Pleyel un viaggio in
Londra, ove restò sei mesi, e quivi ebbe occasione di unirsi in amicizia
coll'immortale Haydn, e di formare il suo gusto con lo studio e la
perfetta esecuzione degli oratorj di Hendel, che a giudizio de' veri
intendenti sorpassano ogn'altra composizione in questo genere in
subblimità e bellezza musicale. Pfeffinger ha pubblicato circa a 18
opere, sì per il forte-piano che per il canto. Le di lui composizioni
sono generalmente d'uno stile severo, ed annunziano della profondità di
cognizioni nell'armonia. Il suo gusto è deciso esclusivamente per gli
antichi.
PFEIFFER (Federico), bibliotecario dell'università di Erlang, e
professore di lingue orientali, pubblicò quivi una dissertazione nel
1779 _Sulla musica degli Ebrei_, in 4.º, la più compita e la più
perfetta opera che vi sia intorno a questa materia.

PIANTANIDA (l'Abate), scolare di Fioroni milanese ha composto molta
musica di chiesa, come mottetti, messe e vespri; il suo _Miserere_, _il
Credo_ sono in ispezialità molto pregiati. Quest'abate risiede
attualmente in Milano.
PICCINI (Nicolò), nato a Bari nel 1728, studiò la musica in Napoli sotto
il famoso Leo da prima, e quindi sotto il cel. Durante, che lo distinse
sempre con una particolare affezione in mezzo al gran numero de' suoi
allievi, e palesogli tutti gli arcani dell'arte. _Gli altri sono miei
scolari_ diceva egli alle volte, _ma questi è mio figlio._ Dopo dodici
anni di studio sortì Piccini finalmente dal Conservatorio nel 1754,
sapendo tutto quello ch'è possibile di sapere in musica, e pieno di un
fuoco, e d'un caldo d'immaginazione, che erano impazienti di fare la
loro esplosione. Il principe di Ventimiglia palermitano fu il primo a
produrlo in Napoli, lo propose al direttore del teatro de' Fiorentini,
ove lungamente regnato aveva il Logroscino, e gli fece comporre l'opera
_Le donne dispettose_. I partigiani dell'antico maestro formarono contro
il nuovo una così possente cabala, che senza la fermezza e la generosità
di quel principe, l'opera non si sarebbe rappresentata. Egli pagò
anticipatamente al direttore una somma di 2000 ducati, per ristoro del
danno che avrebbe ricevuto, se l'opera non sarebbe incontrata, ma fu
essa molto bene accolta dal pubblico, e Piccini datosi animo di quel
primo successo, compose negli anni seguenti _le Gelosie_, e _il Curioso
del proprio danno_, che furono non meno della prima applaudite, e
quest'ultima fu rimessa in iscena con nuovi applausi per quattro anni di
seguito, il che non si era mai fatto in Italia. Il suo genio acquistava
sempre delle nuove forze; e levossi ben tosto al genere serio nella
_Zenobia_, ch'egli compose nel 1756, per il gran teatro di S. Carlo.
Essa ebbe un incredibile incontro, che si è sostenuto tutte le volte che
è stata replicata. _L'Alessandro nell'Indie_, e la sua famosa
_Cecchina_, ch'egli scrisse in Roma, eccitò un'ammirazione che giunse
sino al fanatismo. Non v'ha esempio d'un successo più di questo
brillante, più meritato, più universalmente sostenuto. In tutti i teatri
d'Italia venne eseguita _la Cecchina_, e produsse da per tutto lo stesso
entusiasmo. In Roma contro all'usato, era questa da più mesi ancora in
teatro, e Roma era per così dire tutta in romore per il suo successa,
allorchè vi si trovò Jommelli che tornava da Stuttgard per venire in
Napoli. Al suo arrivo, non sentì parlare che della _Cecchina_, e del suo
autore: egli nulla ancora aveva inteso di lui, e quando era partito per
la Germania, Piccini era ancora nel Conservatorio. Infastidito di tutto
quel fracasso, _sarà_, disse egli in tuono di disprezzo, _qualche
ragazzo, e qualche ragazzata_: andò la sera al teatro, ascoltò dal
principio sino alla fine con somma attenzione, senza profferir parola,
nè fare un sol cenno. All'uscita, una calca di giovani e di dilettanti
il fermarono chiedendo il suo parere su quella musica: postosi in
serietà, _ascoltate_, disse loro, _la sentenza di Jommelli: questo è
inventore._ Egli compose nello spazio di venticinque anni 133 opere, di
cui la più parte sono de' capi d'opera: vi si ammira un vigore, una
varietà, una nuova grazia, e soprattutto uno stile brillante, animato, e
l'unione sì rara di tutte le qualità, che dar possono la natura e l'arte
al più sublime grado: egli ebbe il raro vantaggio di produrre molto, e
di produrre sempre delle cose eccellenti. Piccini ammirato sì dagli
esteri, che da' suoi compatriotti, era gagliardamente desiderato in
tutte le Capitali d'Europa. Parigi ebbe la fortuna di possederlo per
mezzo del marchese Caracciolo, quivi ambasciadore di Napoli, che molto
amava Piccini, assicurandogli nell'invitarlo una sorte vantaggiosa per
la sua numerosa famiglia. Le prime opere ch'egli scrisse in Francia, gli
mossero dei nemici molto accaniti, e gli valsero degli elogj forse
esaggerati: i francesi si divisero tra Gluck e Piccini, convenendo
frattanto che e l'uno e l'altro aveva disteso i confini dell'arte, ed
accresciuto i loro piaceri. Si sa con quale animosità sostennero i due
partiti l'opinion loro. Alla testa de' partigiani del compositore
tedesco distinguevasi l'ab. _Arnaud_, detto perciò il gran Pontefice de'
Gluckisti: e _Marmontel_ era il capo dei Piccinisti. Questa guerra fu
tutta d'epigrammi e di motteggi: ma quel che fu più disgustoso per
Piccini, si è che essa suscitogli degli intrighi imperdonabili: venne
criticato della più odiosa maniera, e se gli fece finalmente aborrire il
soggiorno di Parigi. Prese dunque il partito di tornare al suo paese, e
partì per Napoli nel 1791. Il nostro Sovrano fecegli la più lusinghevole
accoglienza, ordinogli tosto di scrivere pel teatro di S. Carlo, e gli
accordò una pensione. Egli compose l'oratorio di Gionata per la
quaresima del 1792, ed ebbe il più grande successo, ma avendo avuto
l'imprudenza di palesare in Napoli i suoi principj sulla rivoluzione
francese, rimase quivi perseguitato e in uno stato di abbandono, di
oppressione e d'indigenza, ch'egli sopportò da uomo di coraggio e da
filosofo. Allora fu ch'ei pose in musica un gran numero di salmi
tradotti dal Mattei per alcuni monasteri, dove sono rimaste le partiture
originali, l'autore non avendo l'agio di farseli copiare. Dopo che il re
accordogli un passaporto, tornò finalmente in Parigi. Le inquietudini, i
disagi provati nel lungo viaggio, alterarono la di lui salute. Dopo
avere prodigiosamente faticato, la sua fortuna non era molto brillante;
le sue pene morali accrebbero i suoi mali fisici; infermo e colpito di
paralisia, non tardò a soccombere a' suoi dispiaceri. Egli morì a Passy
nel 1800 di 72 anni. Piccini era dotato d'uno spirito vivace, esteso, e
culto. La letteratura latina ed italiana eragli familiare allorchè venne
in Francia, e pochi anni dopo non conosceva meno il fiore della
letteratura francese. Parlava e scriveva con gran purità l'Italiano, i
suoi principj della musica erano severi, avvengachè avesse egli
contribuito più che verun altro compositore a dar loro dell'estensione e
della flessibiltà. Qualunque ricchezza sapesse spargere al bisogno nella
sua orchestra, disapprovava non pertanto il lusso d'armonia, di cui
oggidì con troppa prodigalità si fa uso. Egli avrebbe voluto conservar
sempre alla voce il suo primato, e che i disegni figurati
degl'istromenti avessero sempre per iscopo di esprimer quello che le
parole, o l'azione de' personaggi, o il luogo della scena stessa
dinotano, e che la voce non può dipingere. Quegli accompagnamenti
caricati senza necessità, senz'oggetto, come oggigiorno si usa, non gli
sembravano che de' contrassensi ed abusi dell'arte. L'impiego simultaneo
di varj stromenti, i continovi effetti d'orchestra, le masse indigeste
d'armonia, ed una eterna affettazione di dissonanze, che sono oggi in
gran moda, erano a suo parere una vera mostruosità. “Se a ciascuno degli
istromenti, egli saviamente diceva, si riserbasse l'impiego, che la
natura stessa gli assegna, si produrrebbero degli effetti variati, si
giungerebbe a tutto dipingere, e a variare continuamente i suoi quadri;
ma si getta tutto alla rinfusa, tutto ad una volta e sempre. Si
stempera, s'indurisce così l'orecchio, nulla si dipinge al cuore, nulla
allo spirito.” Chi bramerebbe più distinte notizie sulla vita, i
sentimenti e le produzioni di questo illustre compositore, potrà
consultar con profitto la biografia che pubbliconne nel 1801 il di lui
amico M. Ginguené.
PICCINI (Luigi), figlio ed allievo del precedente nato in Napoli, venne
con lui in Parigi, e scrisse la musica di due drammi burleschi in
francese che ebbe degli applausi. Nel 1791 tornò in Napoli con suo
padre, e compose quivi _Ero e Leandro_, cantata per Mad. Billington;
_Gli accidenti inaspettati_, e _la Serva onorata_, in Venezia nel 1793;
_l'Amante statua_, in Firenze; _la notte imbrogliata_, in Genova; _Il
Matrimonio per raggiro_. Dopo aver passato sei anni come maestro di
cappella alla corte di Svezia, tornò in Parigi nel 1801, dove si è fatto
onore con varie sue composizioni per teatro, che sono più conosciute in
Francia che in Italia. _Alessandro Piccini_ di lui figlio è nato in
Parigi circa 1780; dall'età di 18 anni è professore di forte-piano.
Studiò la composizione sotto il celebre M. Lesueur, ed ha scritto la
musica di più drammi francesi: egli è ripetitore de' spettacoli della
corte ed accompagnatore dell'Accademia di Musica.
PICHL (Vincislao), compositore e direttore della musica dell'Arciduca
Ferdinando a Bruxelles, ed accademico-filarmonico, nel 1790 ha fatto
imprimere in Amsterdam sino a 16 opere, contenenti concerti per violino,
di cui è un ottimo professore, sinfonie, quartetti ec. Egli dimorò lungo
tempo in Italia e dal 1780 sino al 1790 era in Milano; fu allora ch'egli
propose al dotto P. Sacchi di risolvere la questione delle _quinte
successive_, non trovandosi contento delle ragioni che da' maestri sono
state prodotte. La lettera in risposta del Sacchi è diretta a M. Pichl,
e stampata in Milano nel 1780.
PIGEON DE SAINT-PATERNE (M.), interprete delle lingue orientali a
Parigi, è autore d'un'erudita _Memoria intorno alla musica degli Arabi_,
1790. (_V. Arteaga t. 2_)
PINDARO nacque a Tebe nella Beozia sei secoli prima dell'era cristiana.
Ebbe le prime lezioni di musica da suo padre, che suonava per
professione il flauto, studiò quindi sotto Mirti la poesia e la musica.
Questa donna distinta pe' suoi talenti si rese più famosa ancora per
avere annoverato fra' suoi discepoli Pindaro e Corinna (_V. il suo
artic. t. 2_). Si sa che i Beoti avevano molto gusto per la musica:
quest'arte fu da Pindaro posseduta coll'estensione della poetica,
essendo entrambe all'età sua unite insieme. Non bastando alla feconda
sua vena gli antichi metri, ne inventò de' nuovi con altri nuovi ritmi
eziandio per cantarli. Lo stromento, di cui si prevalse, fu il _magade_
di corde immobili: egli riuscì abilissimo nella lira e nella cetra. (_V.
Requeno t. 1_). Tutte le nazioni della Grecia lo ricolmarono di onori,
ed egli riportò più volte il premio ne' conflitti di poesia e di musica.
_Pausania_ racconta, come in tempo dei giuochi pitici a Delfo egli si
poneva a sedere coronato d'alloro sopra una scranna elevata, e dando di
piglio alla sua lira faceva sentire quei suoni che rapivano, ed
eccitavano da ogni parte grida d'ammirazione, e d'applausi (_lib. 10 c.
24_).
PISTOCCHI (Franc. Ant.) di Bologna, ottimo compositore del suo tempo è
principalmente riguardato in Italia come il fondatore della moderna
scuola di canto: essa si è resa celebre pel metodo d'insegnare, per la
varietà degli stili, e pel numero de' primarj maestri e cantanti che ne
sono sortiti. I più famosi allievi del Pistocchi, che divennero tanti
Capiscuola in Italia, nel sec. 18º furono il Bernacchi, il Pasi, il
Minelli, il Fabri tutti di Bologna, ed il Bartolino di Faenza. Tra i
scolari del primo basta rammentare Guarducci, Amadori, Raff, e Mancini,
che si è anche distinto fra i letterati pel suo bel libro intitolalo
_Riflessioni pratiche sul canto_. “I cinque allievi di Pistocchi, dice
il sullodato _Mancini_, benchè instruiti dal medesimo maestro,
differivano tra loro per il metodo e per lo stile, ciascuno di essi
essendo stato regolato secondo la naturale sua disposizione; e questo
esempio basta per dare a divedere che un buon maestro non dee limitarsi
ad un solo metodo co' suoi scolari, ma che per formare de' perfetti
cantanti, egli deve, profondamente sapere le diverse maniere di
dirigerli, e praticarle con giudizio. Chiunque avrà questo talento, sarà
sempre apprezzato dalle persone dell'arte, ec.” Pistocchi fiorì sul
principio del p. p. secolo, tra le sue composizioni è molto pregevole la
sua opera 3, pubblicata in Bologna nel 1707, che contiene dieci duetti e
due cantate a 3 voci.
PITAGORA nacque a Samo cinque secoli innanzi l'era cristiana: intraprese
lunghi viaggi presso le più culte nazioni, e dopo essersi arricchito di
vaste conoscenze, andò a stabilirsi a Crotona in Italia, e vi formò una
scuola, che si è resa celebre per i grand'uomini che produsse, sotto il
nome di _Setta Italica_. Non volle Pittagora arrogarsi, come gli altri,
il fastoso titolo di _Savio_, ma usò il primo il modesto nome di
_Filosofo_, cioè amatore della Sapienza. In riguardo alla musica, che
era da' Greci con ispezial cura coltivata, Pittagora vi si applicò
profondamente, ed a lui generalmente si attribuisce l'averla ridotta a
calcolo con qualche apparenza di scienza esatta. La sua teoria musicale,
diversa da quella che formarono in appresso i di lui seguaci i
Pittagorici, può vedersi bene sviluppata dal dotto ab. Requeno nella
seconda parte de' suoi Saggi t. 1, e nella quarta al 2º t. p. 189, egli
dà a divedere che questo grand'uomo, benchè senza pretenderlo, desse
origine ad un nuovo sistema armonico, non si discostò in nulla
dall'antichissima musica degli anteriori greci, nella quale fu
abilissimo; che egli non fu, come da tutti gli scrittori moderni si
vocifera, l'inventore del sistema armonico de' posteriori pittagorici:
ma che co' suoi calcoli altro non fece che scoprire nell'antico sistema
aritmetico gl'intervalli consoni, e notare le distanze della
fondamentale, in cui si trovavano. “Era Pitagora assai grande filosofo,
egli dice, per innalzare un sistema armonico da' pochi fatti scoperti e
verificati nell'antico sistema, fin allora applaudito nella nazione. Le
ragioni delle consonanze, da lui comunicate a' suoi scolari, e da questi
malamente intese, furono generalizzate e prese in astratto da' medesimi,
ed a poco a poco co' calcoli, senza fondamento di sperienze armoniche,
si allontanarono dall'antico sistema aritmetico di modo tale che ne
crearono un altro pieno di errori e di supposizioni, le quali fanno poco
onore a' loro seguaci” (_p. 199 t. 2_). Il racconto de' suoni armonici
trovati da Pitagora da' pesi diversi de' martelli d'un ferrajo, e del
gran numero delle maraviglie, che si pretende aver operato questo
filosofo per mezzo della musica, per quanto sia stato ricevuto da' Greci
e Latini, dagli antichi e moderni, dee nondimeno riporsi fra le favole
greche, e riggettarsi come privo di verisimiglianza, non che di verità.
Il Montucla, lo Stillingfleet, e M. Chladni hanno osservato non essere
conforme alla natura il formare un'armonia sensibile co' martelli
battuti su l'incudine, e molto più colle corde tese da tali pesi,
essendo i suoni piuttosto come le radici cubiche inverse de' pesi, e
come le radici quadrate della tensione (_Acustiq. p. 100_).
PITAGORA (Zacinto), diverso dell'antecedente fu capo d'una setta di
musici secondo ciò che ne riferisce Aristosseno (_Harmonic. p. 36_). Da
costui si rileva altresì ch'egli abbia scritto sulla musica, e secondo
Ateneo (_Lib. XIV_) fu inventore di un nuovo strumento musico detto
_Tripode_, _l'uso del quale_, egli dice, _durò per breve tempo, o perchè
era difficile a maneggiarsi, o per qualche altra ragione. Questo
instrumento, che fu in tanta ammirazione, subito dopo la di lui morte,
passò in disuso e in dimenticanza_. Pittagora fioriva circa cinque
secoli prima di G. C.

PLANELLI (cav. Antonio), letterato napoletano, _uomo fornito di ottime
cognizioni, di gusto delicato, e dolcissimi costumi_, come dice il
Mattei (_Nuovo sist. d'interpret. i trag. Greci_), pubblicò in Napoli un
eccellente libro intitolato: _Dell'opera in Musica_, in 8vo, 1772. Nella
Sezione 1 dimostra egli che s'intenda per opera in musica, fa la storia
de' suoi progressi e perfezione, e tratta assai dottamente delle belle
arti in generale. La Sez. 2 tratta del Melodramma. Nella 3, Sezione
della musica teatrale, dello stile proprio di ciascuna passione, e di
ciascuna parte di questa musica, della differenza tra la musica antica e
la moderna. La Sez. 4 si occupa della Pronunziazione dell'Opera in
musica. Le sez. 5 e 6, trattano della Decorazione e della Danza
dell'opera in musica; e l'ultima della Direzione, e Necessità, che ha
l'opera in musica del buon ordine, e come vi vada procurato il pubblico
costume. Questo trattato è ben scritto, e molto interessante: da per
tutto vi regna una non ordinaria erudizione, e buona lettura d'Autori
antichi, de' quali l'A. ha saputo fare uso ove bisognava, e ben
giudiziosamente. “Egli abbraccia, dice l'ab. Arteaga, in tutta la sua
estensione il suo oggetto. Le sue osservazioni circa le belle arti in
genere, e circa la musica, e direzione del teatro in particolare sono
assai giudiziose e proficue, e da pertutto respirano l'onestà, la
decenza e il buon gusto.” (_Disc. prelim._)
PLATONE, il celebre filosofo; nato in Atene passò la sua giovinezza
nello studio della musica e delle belle arti compagne: confessa egli
stesso, che prima che entrasse nella scuola del pitagorico Archita,
aveva egli imparata la musica degli antichi greci in iscuola, e nel
tempio ove con gl'altri suoi pari concorreva al canto delle leggi di
Solone ne' giorni festivi: onde è che ne' libri della Repubblica si
dichiara egli a favore di quest'arte per l'educazione. Platone, già
filosofo e calcolatore di sublime e audace ingegno per l'invenzione,
osservando la dissonanza degli stromenti accordati da' Pittagorici, e la
concorde melodia di quegli, che i greci antichi avevano lasciati per
l'uso de' tempj e della giovanile educazione; per non iscreditarsi co'
filosofi e per farsi nome con gli ignoranti pratici suonatori, stabilì,
che la musica pitagorica co' suoi calcoli dovesse destinarsi allo studio
della natura, e l'antica allo studio della religione e del costume. Per
far valere questa sua maniera di pensare, ci descrisse nel Timeo con le
armoniche proporzioni de' pitagorici la formazione dell'universo, e ne'
libri della Repubblica si dichiarò contro tutte le novità introdotte
nell'arte più severa degli antichi greci; e sì nell'una che nell'altra
opera mostra, non essere egli ignorante, anzi eruditissimo in ambidue i
sistemi di musica antico e moderno. Sentì egli sì bene l'insufficienza
del calcolo armonico ne' suoni degli instromenti, e quindi relegò
l'armonia pitagorica alle sfere, ove con le leggi de' tetracordi
potessero spiegarsi i loro movimenti, e la loro formazione con l'altra
dell'universo da non falsificarsi mai cogli stromenti armonici. Platone
fu tre volte in Sicilia, ed ebbe quivi lezioni di musica da Metello
d'Agrigento (_v. Requeno t. 1_). Morì finalmente in Atene circa 347 anni
prima di G. C.
PLAYFORD (John), mercante di musica, ed abile pratico in Londra è autore
di una buona opera intitolata: _Introduction to the skill of music_,
ossia _Introduzione all'arte della musica_, la di cui terza edizione è
del 1697. Il suo ritratto si trova nella storia di Hawkins.
PLEYEL (Ignazio), nato in Austria nel 1757, studiò la composizione sotto
il grande Haydn in Vienna, e fu il solo allievo ch'egli avesse fatto di
proposito. Nel 1786, Pleyel viaggiò in Italia, e fu da per tutto accolto
della più distinta maniera: scrisse _l'Ifigenia_ opera seria italiana,
la di cui musica ebbe grandissimo incontro in quella patria
dell'armonia. Nel 1787, venne egli chiamato a Strasburgo come maestro di
cappella, coll'onorario di quattro mila franchi, e dopo alcuni anni si è
stabilito in Parigi come mercante di musica e di cembali a piano-forte.
La più parte delle sue composizioni sono state impresse a Offenbach
presso il maestro di cappella André, autore del Giornale di musica per
le dame. Pleyel benchè abbia preso l'Haydn per _archetipo_ della sua
musica strumentale, ha cercato nondimeno di semplificare la melodia
collo scemare gli accordi e scarseggiare di transizioni, onde i suoi
lavori sono meno di quelli del suo maestro dignitosi e robusti: ma in
compenso la sua armonia ha una chiarezza, una grazia, che penetra
facilmente e contenta l'orecchio degli ascoltanti. Egli ha composto di
recente due opere di quartetti d'uno stile più forte, e d'un'armonia più
piena e robusta degli antecedenti.
PLINIO il seniore, nato in Verona, benchè abbia servito nelle armate di
più Imperatori, trovò da per tutto il tempo di darsi allo studio più
profondo della natura. Perì egli nella famosa eruzione del Vesuvio
l'anno 79 di G. C. allorchè restaron sepolte sotto le sue ceneri
Ercolano, Pompeja e molte altre città della Campania. La sua storia
naturale in 37 libri è una delle più importanti opere che ci
sopravanzino dell'antichità. Nel libro XI c. 51 tratta egli della voce e
del canto, e nel lib. XVI c. 36, rapporta in qual maniera costruivansi
le differenti specie di tibie o di flauti. (_V. Forkel, Hist. de la Mus.
t. 1_)
PLOTINO, filosofo della scuola de' posteriori Platonici, di cui
riferisce nella di lui vita Porfirio suo discepolo, ch'egli era
profondamente instruito in tutte le scienze, come ancora nella musica,
benchè esercitato non si fosse nella pratica. Che Plotino fosse versato
nella teoria della musica facilmente rilevasi dalle sue opere, ove ad
esempio di Pitagora e di Platone spiega col mezzo delle leggi
dell'armonia le cose naturali, come per esempio i movimenti de' corpi
celesti, e quelli della nostr'anima. (_V. Fabric. Bibl. Gr. t. 4_)
PLUTARCO, nato a Cheronea nella Beozia, uomo di una erudizione
universale, fiorì dall'impero di Nerone sino a quello di Adriano, e dopo
essere stato più volte in Roma morì in sua patria circa l'anno 120 di G.
C. Benchè in molte delle sue opere parli egli della musica, due
lascionne frattanto che trattano espressamente della medesima. L'una di
queste può considerarsi come un compendio benchè oscurissimo della
musica teorica, ed è il suo _Comento sul Timeo di Platone_: l'altra è
puramente istorica, ed è il suo _Dialogo sulla musica_, che M. Burette
ha tradotto in francese con lunghi comentarj e note, come veder si può
in più volumi, delle Memorie dell'Accad. delle Inscrizioni. Gli
interlocutori di quel dialogo sono _Lisia_ puro pratico, e _Soterico_
letterato di Alessandria; questi non danno che una mal digerita storia,
dell'origine e de' progressi dell'antica musica e dell'utilità
dell'armonia. Plutarco per bocca di Soterico (_dice l'ab. Requeno_)
“vuole spiegarci i tre generi di musica diatonica, cromatica ed
enarmonica: lo fa però così superficialmente e con tanto disordine
d'idee, che si scuopre ignorante del piano e de' precetti, su de' quali
ragiona; e solamente si rende stimabile per mostrarci lo stato, in cui
era allora questa famosa arte.” (_Tom. 1, pag. 284_)

POISSON (Leonardo), curato di Marcangis, diocesi di Sens, morto in
Parigi nel 1753, è autore d'un'eccellente opera intitolata: _Nouvelle
méthode, ou Traité théorique du plain-chant_, Paris 1745 in 8vo, vi si
trovano de' fatti curiosi, delle preziose ricerche e delle nuove
dottissime osservazioni.
POISSON (M.), professore di geometria nella scuola Politecnica, è autore
di una _Memoria sulla teoria del suono_, che si trova nel t. VII du
Journal ec. Chladni loda le sue ricerche come assai dotte (_V. Acoustiq.
p. 293_).
POLLUCE (Giulio) di Naucrate nell'Egitto, fu in Roma per la sua
erudizione, assai caro all'Imperatore Commodo, e per di lui ordine diè
scuola di umane lettere in Atene, ove morì in età di 58 anni. Tra le sue
opere una ve n'era intitolata _Certamen musicum_, di cui fa menzione
Suida, e che si è perduta; nel suo _Onomasticon_, ossia Vocabulario in X
libri, che tuttora ci rimane, vi ha molte notizie intorno agli
istromenti di musica in uso presso gli antichi, delle quali molto ne ha
profittato il Requeno trattando della divisione degli stromenti, tom. 2,
p. 404.
PONCE (Niccolò), celebre incisore, non che distinto letterato in Parigi,
nel 1805 diè al pubblico una memoria molto interessante _Sur les causes
des progrès et de la décadence de la musique chez les Grecs_. (_V. les
Quatre Saisons du Parnase p. 264_)
PONZIO (Pietro), nato in Parma nel 1532, abbracciò lo stato
ecclesiastico. Dotato delle più felici disposizioni per le scienze, e le
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