Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 14
il che però camminerà nel supposto che la peste sia dissolvente, come
poi cercheremo. Teofrasto anch’egli il loda; e l’Untzero tiene che
questo spirito sia uno de’ migliori medicamenti contro la peste sì per
preservarsi, come per curarsi, e cita moltissimi autori che sono dello
stesso parere. In fatti la ragione s’accorda con tale sentenza, se non
che avendo esso del corrosivo, potrebbe lo stomaco risentirne grave
nocumento, ove con qualche intemperanza e senza la compagnia di molto
fluido si prendesse. L’olio di vitriuolo anch’esso è stimatissimo.
Entra esso nel seguente
_Sudorifero XIV._
℞. _Estratto di cardo santo, sale d’assenzio, ana scrup. 1; sale di
cardo santo mez. scrup.; triaca dram. 1; acqua triacale e di cardo
santo, ana onc. 1; olio di vitriolo gocc. 15. Mesci, e fanne bevanda._
Le bevande tutte hanno da esser caldette. Già si sa che per far sugo di
qualunque erba convien pestarla in mortaio, spremerla forte, e lasciare
che il sugo deponga le parti più grosse. Chi avesse abborrimento al
sugo dell’erbe crude, le faccia cuocere in poca acqua e non tanto che
sfumi tutto il balsamico, e spremute poi ben bene esse erbe, ne beva
quella decozione, entro la quale chi ancor volesse far cuocere un poco
di carne, può farlo.
Buona parte dei sudoriferi fin qui descritti è stata da me a bello
studio trascelta, per essere d’ingredienti e materie facili a trovarsi
e a manipolarsi, e di poca spesa, sul riflesso di somministrar
consigli, e soccorsi alla gente povera o poco comoda, cioè ai più del
popolo. Del resto i medici, la giurisdizione de’ quali io non pretendo
di usurpare, potranno suggerirne non pochi altri di composizioni
più strepitose, le quali può essere che facciano miglior effetto, ma
può anche essere che non uguaglino talvolta il valore d’alcune più
semplici. Certo s’io riferissi come utile sudorifero una modesta bevuta
d’aceto fortissimo con un poco di sale, questo non avrebbe passaporto
presso di alcuni; e pure per attestato di qualche insigne medico,
non poca gente colta dalla peste s’è osservata guarir prestissimo
dal pericolo con tale sudorifero preso sul principio del male, perchè
cagione a loro d’un sudor copiosissimo. In una cosa poi non si potrà
fallare, e sarà nell’aggiungere, quando non manchi il comodo, ad alcuni
de’ suddetti diaforetici qualche ingrediente antipestilenziale di più,
come sarebbe un poco di mitridato, di triaca o di diascordio, o pure
qualche acido, come l’aceto, il sugo di cedro, l’olio o spirito di
vitriuolo, il sale d’assenzio, o simili. Veggo ciò fatto da eccellenti
medici. E perciocchè alle prove si può trovare che alcuni sudoriferi
riescano deboli pel bisogno degli appestati, ne riferirò alcuni altri
più potenti nel seguente capitolo, e finirò il presente con rapportare
la ricetta d’un’acqua ed estratto di maggior vigore, ma troppo
laboriosa, insegnata e praticata dal Diemerbrochio con felicissimo,
per quanto egli scrive, e maraviglioso successo nella peste del
suo paese. La mischiava però egli con alcun altro de’ medicamenti
antipestilenziali poco fa accennati, o con sale di ruta, o di cardo
santo, o di scordio, o con estratto d’angelica, o di cardo santo, o
coll’aceto bezoartico riferito di sopra nel capo III, ovvero con bolo
armeno o con terra sigillata.
_Acqua sudorifica._
℞. _Radici d’ostruzio, o sia d’imperatoria, petasitide, angelica,
carlina, valeriana, ana onc. 2 e mez.; radici d’enula campana, scorze
d’aranci secche, ana onc. 3; erbe scordio, assenzio, ana onc. 2; cardo
santo onc. 3; fiori di rose rosse mez. onc., di stecade dram. 3; bacche
di ginepro onc. 2 e mez.; grani di cardamomo minore dram. 5; cinnamomo
eletto onc. 1. Tutte queste cose sieno secche, si tritino insieme e si
pestino grossamente in mortaio di pietra, infondendovi poi vino bianco
buono mediocre lib. 22, acqua di rose lib. 2. Serrato bene il vaso,
stieno per 10 dì in infusione, e dipoi vi si aggiungano queste altre
erbe verdi e fresche, tagliate minutamente e pestacchiate, cioè foglie
di ruta manip. 6, tanaceto manip. 4, rosmarino, pimpinella, ana manip.
1 e mez. Stieno insieme in infusione per altri 8 o 10 giorni, movendole
ogni dì con una bacchetta. Dipoi mettivi dentro sugo di cedro lib. 2.
Stieno in infusione per 3 o 4 altri giorni, e poi fatto bollir tutto
leggermente al fuoco, si coli, e si sprema gagliardamente nel torchio.
La colatura spremuta si distilli in bagno maria, o nella rena, per
lambicco di vetro_.
Soggiugne l’autore la preparazione d’un estratto dalle fecce nel modo
seguente:
_Quello che dopo la distillazione resta nel fondo, aggiuntavi acqua di
cardo santo, s’ha da colare per carta sorbitrice; e tal colatura s’ha
da essiccare a lento fuoco, tanto che giunga a consistenza d’estratto
il quale si ha da salvare pel bisogno. Abbiamo dato il nome di
Magistrale a questo estratto._
CAPO VI.
_Altri medicamenti per curar la peste. Quali usati ne’ contagi
del 1630 e 1656. Canfora commendata assai, e varie composizioni
canforate. Solfo, e suoi pregi contro la pestilenza. Bolo armeno,
triaca, diascordio, ed altri antidoti o lodati, o riprovati._
Per espugnare l’interno veleno della peste hanno sempre studiato i
medici, ma senza trovar finora medicamento alcuno sicuro, specifico ed
universale. In difetto di ciò si sono eglino rivolti a prescrivere que’
rimedi che per la loro naturale attitudine sono o paiono contrari ai
veleni, ed atti ad impedire o correggere la corruzione, o il troppo o
troppo poco moto dei fluidi del corpo umano, e non senza apparenza di
aver eglino con ciò aiutata di molto la natura, allorchè ne seguita la
sanità degl’infermi. Egli è incredibile, quanta copia di radici, erbe,
fiori, frutta, semi, oli, pietre, sali, estratti, siroppi, conserve,
conditi, minerali, polveri, elettuari, ecc., ci venga posta davanti nei
libri loro col bell’elogio di medicamenti efficaci o mirabili contro la
peste, sì semplici come composti. Io non prenderò qui ad esporre, come
fa l’Untzero con assai curiosa minutezza, ad una per una tutte l’erbe,
radici, frutta, ecc., che servono o si pensa che possano servire contro
i morbi pestilenziali. Non crederebbono nè pure gli altri a me, siccome
io non credo a tanti discorsi prolissi degli altri intorno alla virtù
di sì gran copia di medicamenti. E dopo ancora che avessi riferito
tutto, ci resterebbe da imparare a fare il medico (che tale non sono
nè pur io) per sapere a chi convengano questi medicamenti, e come
s’abbia a mescolare ed usare ora questo ed ora quello; cosa nondimeno
anche difficile per i medici stessi, perchè dipendente dal giudizio
pratico e dalla prudenza, con la quale, per colpire nel segno, s’hanno
da considerare non solamente il mal della peste, ma ancora i sintomi
che l’accompagnano, e il temperamento, le forze degl’infermi, ed altre
non poche circostanze, dalle quali nascono diverse indicazioni. Mi
ristringerò io dunque a notar solamente i primari e più facili de’
medicamenti e rimedi che sono creduti a proposito per guarire, piacendo
a Dio, il morbo della pestilenza. E sono principalmente, per quanto
ho ricavato da vari autori, gli aromatici e balsamici, de’ quali vien
creduto che possano col loro sale volatile oleoso resistere, diciamo
così, alla corruzione degli umori; e i diaforetici, o sia sudoriferi,
prescritti con intenzione di espellere fuori della cute il veleno
pestilenziale, ed aiutar la crisi più salutevole che possa tentar la
natura. Hanno pure tra questi alessifarmaci il luogo loro e le lor
lodi molti acidi, i quali possono in alcune pesti impedire o levare
lo squagliamento e sfibramento degli umori e del sangue, e talvolta
ancora, secondo il parere d’alcuni, o col precipitare o col dar tuono
alle fibre, contribuire all’operazione del sudore, alla quale dee
allora particolarmente mirare la diligenza dei medici.
E primieramente nella peste del 1630, per quanto apparisce
dall’Avvertimento stampato allora in Modena, si vede che in molte
città fu costume, subito che appariva la vanguardia più ordinaria del
morbo contagioso, cioè febbre mista con dolore di capo, il prendere in
bevanda alquanto di polvere, creduta cordiale, con un poco di brodo
o acqua di scorzonera, ed ungere la regione del cuore con olio del
Granduca o del Mattiuolo. Poco dopo si bevea una dramma di triaca o di
elettuario del Mattiuolo, distemperata in 6 once dell’acqua suddetta,
o in altra simile, per promuovere il sudore, dopo il quale solevano
uscire i carboni, o buboni. Il corno di cervo, la terra sigillata e gli
occhi di granchio si costumavano ancora con profitto; cose nondimeno
che non veggo tenute per rimedi di gran forza contro il ferocissimo
assalto della pestilenza. Anzi essendo stato osservato da altri che
i coralli, gli occhi di granchio e la creta sono medicamenti che
opprimono l’acido e levano l’appetito, perciò vien consigliato che
si vada cauto a valersene nelle pesti, le quali pur troppo sogliono
indurre inappetenza. Non trovo poi qual altro preciso rimedio
giovasse allora, se non era il ben curare i carboni e i buboni; del
che parleremo a suo luogo. È bensì notato ivi che tutti gli altri
esperimenti contro la febbre pestilenziale di quel tempo riuscivano
vani, e che nella forma suddetta quasi tutti cominciarono a guarire; il
che però si noti essere stato avvertito solamente nella declinazione
della peste, lasciando ciò dubitare che forse nel suo furore anche il
mentovato metodo riuscisse inutile, siccome avviene allora di tanti
altri medicamenti.
Nel contagio di Roma del 1656 per quanto abbiamo dal cardinal Gastaldi,
parve che giovassero le seguenti cose: Cioè, scoperta in alcuno la
malattia pestilenziale, ungergli la region del cuore con olio del
Mattiuolo o della comunità di Ferrara o del Granduca e simili; dargli
prontamente bocconi cordiali di confezion di giacinto, d’alchermes
e altri di tal fatta; nel secondo giorno fargli bere sugo di cedro
mischiato con acqua triacale e con alquante gocciole di spirito di
vitriuolo e con polvere di bolo armeno in brodo o acque distillate
di galega, scabbiosa, sonco, scorzonera e simili alessifarmaci.
Di più parea salutifero l’applicare i vescicanti nel principio,
particolarmente alle gambe. Si osservò ancora giovevole nello stesso
ardore della febbre il bere orzate, e spezialmente nel tempo estivo,
temperandosi anche la sete col tenere in bocca sal prunello. Bernardino
Cristini espone anch’egli il metodo da sè tenuto in medicare nella
medesima peste di Roma. Certo farà egli prendere più coraggio a chi
subito voglia accomodar la sua fede a quanto egli lasciò scritto nel
suo libro intitolato _Arcana Riverii_. Chi però non crede sì tosto alle
magnifiche promesse dei chimici, nè si lascia incantare dai grandi o
strani nomi delle cose, anderà lento a fidarsene.
Secondo lui, per medicare allora gl’infetti, non v’era cosa più potente
delle confezioni ristorative in forma soda o liquida, prese per bocca,
e massimamente giovavano i bezoartici diaforetici, o sia sudoriferi.
Prescriveva egli in forma soda il seguente
_Antidoto curativo._
℞. _Conserva di fiori di borraggine, di rose, di viole, ana mez. onc;
fiori di cedro, di pomi medici, di anthos, ana dram. 2; conserva di
tutto cedro, radici di tormentilla, d’angelica, bistorta, scorzonera,
contrajerva, ana dram. 1; confezion d’alchermes, di giacinto, ana dram.
1 e mez.; unicorno vero, bezoartico animale, corna di cervo, bezoartico
solare, joviale, lunare, minerale, ana mezza dram. Mischia insieme, e
prendine un cucchiaio per volta cinque o sei volte il dì, come ancor
nella notte._
_Antidoto curativo in forma liquida._
℞. _Acqua di cardo santo, di scorzonera, di ruta capraria, di
borraggine, di scordio, di acetosa di rose, di tutto cedro, ana onc.
6; spirito di zolfo, dram. 1; essenza di triaca, di contrajerva, di
ginepro, d’angelica, di carlina, di tormentilla, di bistorta, scorze
di cedro, elixir vitae, elissire di proprietà, balsamo di vita, balsamo
di salute, ana mez. scrup. Mischia insieme, e prendine 2 onc. per volta
quattro o cinque volte il dì e altrettante la notte._
Questi medicamenti, se crediamo all’enfasi del suddetto autore, faceano
dei miracoli, richiamando uomini ad una nuova vita; e quantunque
possa parere diversamente a molti medici, pure tal sorta di rimedj
fra gl’infiniti che furono adoperati, questa dice egli che fu divina.
Aggiunge d’aver egli dato ad alcuni infermi con dei bezoartici bolo
armeno e terra sigillata che a questo effetto son decantati da molti
per mirabili; ma che in quel contagio servivano solamente a far del
male, nè mai operavano bene. Ordinava egli per le stanze dei malati,
affinchè non s’infettassero anche le camere e case dei sani, alcuni
profumi di legni di ginepro, cipresso, incenso, mirra, belzoino,
storace calamita e simili. Erano profumi più gagliardi quei ch’egli
due volte il giorno adoperava nelle stanze sue e de’ suoi amici, cioè
le fecce di regolo antimoniale; ma perciocchè riesce troppo ingrato
l’odore solfureo, vi aggiungeva pastelli composti di storace o altri
simili grati odori, con che egli e tutti i suoi amici si conservarono
sempre sanissimi in mezzo ai lazzeretti.
Passiamo noi innanzi a cose forse più sicure. E primieramente la
canfora nella cura della peste è esaltata dal Goclenio, dal Cratone,
dal Minderero, dal Sennerlo e da altri per uno de’ più potenti ed
efficaci rimedj, e alcuni la tengono quasi il migliore di tutti. Fra
gli altri l’Etmullero scrive che la canfora leva la palma a tutti gli
altri alessifarmaci nella peste. Certo in lodarla assai s’accordano i
migliori medici, considerata la sua qualità e attesi i buoni effetti
che ne ha fatto veder la sperienza. Perciò abbiamo dagli autori varj
medicamenti, ne’ quali entra la canfora. Il Minderero loda come più
utile di tutti i più preziosi bezoartici, purchè non vi sieno dolori
gagliardi di capo o di ventricolo, la seguente polvere descritta anche
dal Platero e del Diemerbrochio, e commendata dal Follino.
_Polvere canforata._
℞. _Zucchero candito dram. 3; zenzero bianco dram. 2; canfora dram.
1. Si faccia polvere. La dose è di dram. 1 in liquore conveniente e si
beva._
Il Riverio prescrive quest’altra, di cui dice essersi egli felicemente
servito.
_Altra polvere canforata._
℞. _Bezoartico minerale dram. 3; sal prunello dram. 2; canfora dram.
1. Se ne formi polvere e se ne prenda dram. 1 in acqua di cardo santo o
altra conveniente._
Il Cratone si valeva d’un elettuario lodato poi come eccellente da
altri medici. Eccone la ricetta.
_Elettuario canforato._
℞. _Scordio dram. 3; tormentilla, dittamo bianco, zedoaria, genziana,
angelica, garofanata, ana dram. 1; zafferano, canfora, ana scrup. 2.
Polverizzato sottilissimamente si spruzzi con acqua di cardo santo, in
cui sieno state disciolte 2 dramme di triaca, e con sciroppo di sugo di
cardo si formi elettuario._
Fu anche dal suddetto Cratone composta e poi lodata da altri la seguente
_Polvere canforata._
℞. _Radici di tormentilla dram. 3; dittamo bianco dram. 2; osso di cuor
di cervo, sandalo rosso, ana dram. 1; canfora scrup. 2. Mischia insieme
e fanne polvere. La sua dose è di dram. 1 in liquore conveniente._
Cornelio Gemma formò un altro elettuario canforato con dire d’averne
egli e suo padre provato felici effetti.
_Altro elettuario canforato._
℞. _Canfora part. 1; zenzero bianco part. 2; zucchero rosato part. 4;
vino quanto basta. Mescolato tutto ben bene, se ne formi elettuario, e
se ne dia una dramma all’infermo per farlo sudare._
Più generoso o almen più composto è questo
_Altro elettuario canforato._
℞. _Canfora, dittamo eretico, scordio, radici di angelica, di zedoaria,
cinnamomo, zenzero, ana dram. 1; noce moscata dram. 2; bolo armeno mez.
dram., seme di ruta, macis, zafferano, ana scrup. 1; muschio gran. 7;
zucchero bianco, vino odoroso, ana quanto basta. Si formi il tutto a
guisa d’oppiata._
Giovanni Poppio disciolta la canfora in aceto ne dava un cucchiaio
all’infermo. Giovanni Hartmanno racconta che nella peste del 1611 giovò
ad assaissimi la seguente
_Acqua canforata._
℞. _Spirito di vino ottimo lib. 1; canfora scelta dram. 7 e scrup. 1
per la state, e dram. 10 e scrup. 2 pel verno. Mischia insieme, tritata
prima la canfora, la quale si scioglierà tosta sensa fuoco. Appendi
in una pezza croco orientale mez. scrup. Lo spirito di vino diverrà di
color d’oro. L’acqua si conservi in un vetro capace e non pieno, cioè
lasciandone vota la quinta o sesta parte._
Mattia Untzero forma uno spirito triacale con canfora da darne una
dramma e mezza o pur due dramme in alquanto d’acqua di cardo santo, per
far sudare: il che narra egli essere egregiamente succeduto nella peste
di Halla del 1610. Eccone la composizione:
_Spirito triacale canforato._
℞. _Triaca vecchia onc. 5; mirra rossa onc. 2 e mez.; croco orientale
mezz. onc., spirito di vino ottimo onc. 10. Posto tutto in boccia di
vetro e sovrapposto lambicco cieco, nel cui becco sieno prima poste
dram. 2 di canfora, stia in infusione per 8 dì in luogo caldo; poi si
distilli in bagno maria a fuoco lentissimo e ne avrai spirito triacale
sottilissimo_.
Se vogliam credere al suddetto Untzero, purchè con dram. 5 di questo
spirito triacale si mescolino dram. 3 di spirito di tartaro ottimamente
rettificato sopra colcothar di vitriuolo, cioè sopra vitriuolo
bruciato, e dram. 1 e mez. di vitriuolo, si ha una composizione
mirabile, contenente tutti i requisiti per la perfetta cura de’
morbi pestilenziali e superiore a tutti gli altri antidoti contra la
pestilenza. Una tal composizione certo sarà da stimarsi; ma l’Untzero
fu chimico di professione, e perciò magnifico nelle promesse. L’olio
pestilenziale dell’Einisio medico veronese scrivono che facesse delle
maraviglie nella peste della sua patria, di maniera che gli fu dopo
la morte alzata una statua. Si compone di parti eguali d’olio di
canfora, olio di succino, olio di scorze di cedro ben mischiate, con
prenderne dieci o quindici gocce, secondo le circostanze. Entra anche
la canfora nell’acque triacali e cordiali composte dagli autori contra
la pestilenza; ma è tempo di finirla.
Mi sono steso forse più del dovere intorno all’uso della canfora;
ma mi dee essere perdonato, perchè son persuaso che veramente possa
trarsene gran benefizio in tempi di peste. Solamente è da avvertire col
Sennerto che chi è debole di capo o di ventricolo, o ha abborrimento
alla canfora, dee medicarsi con altro, e massimamente essendo utile per
altre ragioni l’andare allora mutando medicamenti. Di più hanno alcuni
avvertito che trattandosi della preservazione i medicamenti o gli
odori canforati possono indebolire negli uomini la virtù generativa. Ho
veduto impugnata da altri tal opinione, ma dappoichè il Diemerbrochio
attesta d’aver egli dovuto medicare varie persone che per l’uso d’essa
canfora aveano patito il suddetto difetto, non so se non consigliare
a chi ha interesse di conservarsi quella virtù, il valersene per la
preservazione con gran riguardo. Per altro quando si tratta d’infermi
di peste s’hanno a dar loro liberamente gli antidoti canforati, dovendo
maggiormente ad essi premere la conservazion della vita, giacchè la
canfora è in questo credito di contribuir cotanto a risanar dalla
peste.
Già di sopra abbiam detto essere il solfo per la sua qualità uno de’
più efficaci rimedj contra gli spiriti pestilenziali per preservarsi da
loro. Aggiungiamo ora che può il medesimo produrre ottimi effetti anche
nella cura di chi già ha contratta la peste, e che tutti gli autori
s’accordano in chiamarlo un potente rimedio contra quel morbo, di modo
che Paracelso (autore però, il quale non si può negare che non abbia
avuto parecchie idee stravaganti) scrive che il solfo e il sale bastano
alla cura della peste, nè bisognarvi altri medicamenti. Servono, come
abbiam già osservato, i fiori di zolfo per promuovere il sudore;
e congiunti con estratto d’enula campana vien creduto che giovino
assaissimo; ma più, secondo il parere di alcuni, gioveranno se con esso
loro si unirà un poco di triaca e di canfora. Il Sennerto descrive
una composizione di questi fiori, dice egli, efficacissima contra la
peste; ed altri medici ne commendano fortemente l’uso e la virtù. Ma
lo Zvelfero ha più fede al solfo depurato che alla preparazione dei
suddetti fiori. Sopra tutto poi vien decantato l’elisire pestilenziale,
composto d’essi fiori di zolfo dal Crollio, e predicato per singolare
e miracoloso contra il morbo pestilenziale da molti e massimamente
dall’Untzero che dice d’averne fatte felicissime prove nella peste
del 1610 allorchè tal rimedio veniva preso per tempo nel principio
del male, con far sudare due o tre volte. Tanto il Crollio, quanto
l’Untzero furono spargirici, e però bisogna andar cauto in prestar
loro fede. Tuttavia la qualità degl’ingredienti basta essa sola ad
accreditare di molto questa composizione. Così fosse ella men faticosa
e meno astrusa per la manipolazione, onde potessero parteciparne i più
del popolo. Si fa nella seguente forma:
_Elisire pestilenziale del Crollio._
℞. _Fiori di solfo preparati spargiricamente onc. 3. Mettivi sopra
olio di bacche di ginepro rettificato in bagno, tanto che vi stia sopra
all’altezza di tre o quattro dita. Aggiungi olio di succino tre volte
rettificato in bagno, e sia tanto come la quarta parte dell’olio di
ginepro. Stieno insieme in fuoco di ceneri o di rena, movendoli spesso,
acciocchè i fiori senza bruciarsi si sciolgano e diventino liquidi.
Poscia_
℞. _Triaca di Venezia lib. 1, da cui con ottimo spirito di vino
estrarrai la tintura, la quale separata dallo spirito di vino serberai
in disparte. Estrarrai col medesimo spirito tintura di radici d’elenio,
angelica, bacche di ginepro pestate, ana onc. 3. Presa questa tintura
separata in bagno dallo spirito di vino, la mescolerai colla tintura
della triaca, e vi metterai sopra gli olj di ginepro e d’ambra uniti
co’ fiori di zolfo, e filtrati prima per carta sorbitrice; poi lascerai
per 14 giorni sopra lentissimo calore di ceneri tutta la composizione,
dimenandola di quando in quando._
_La dose per la preservazione è di una o due gocciole in vino o
aceto ogni mattina, o pure in cadauna settimana 8 o pur 10 gocciole
a digiuno, aspettando il sudore. Chi è preso dalla peste, subito nel
principio ne prenda da uno o due scrupoli in vino o aceto di ruta o
altro conveniente liquore, e sudi._
Il bolo armeno vien descritto da Galeno per un singolare antidoto
contra la peste, preso in un bicchier di vino bianco mediocre. Il
Cristini, siccome vedemmo, sente diversamente; ma quasi tutti gli altri
medici s’accordano in ciò con Galeno, aggiungendo ancora non pochi
d’averne scorto colla sperienza buon effetto. Le qualità d’una peste,
diverse per lo più da quelle dell’altre, possono esser cagione che in
una non riesca ciò che si provò per utile in un’altra. Molto poi più
sono da stimare quegli altri due nobili e certo antichissimi antidoti,
cioè la triaca d’Andromaco e il mitridato di Damocrate, le virtù
de’ quali contra i veleni e contra quello ancor della peste, hanno
già conseguita dal consenso di molti scrittori e dalla sperienza di
tanti secoli una competente approvazione, essendosi trovato aver essi
già fatto dei miracoli, ma giovato più in tali casi che innumerabili
altri medicamenti, esaltati con gran bocca da chi cerca il bel titolo
d’inventore e di autore, col proporre nuove ricette e screditar le
antiche. Presi questi antidoti discretamente, e con varj riguardi
all’età e qualità delle persone, servono o vien creduto che servano
mercè della qualità dei loro ingredienti atta non meno a difendere
dalla malignità degli spiriti velenosi e dalla corruzione, le viscere
e gli umori del corpo umano; che ad espellere per li pori della
cute colla lor qualità sudorifica il veleno stesso della pestilenza.
L’elettuario dell’uovo, la triaca del Monavio ed altre nuove triache
di varj autori, vengono anch’esse predicate per molto utili ne’ casi
di pestilenza; e quantunque non manchino valentuomini che antepongano
loro di molto la triaca ordinaria e il mitridato suddetti, nulladimeno
potrà esserne giovevole l’uso. Il Sennerto rapporta un medicamento
composto dal celebre Ticone Brac (se però è vero) di triaca, fiori di
zolfo, ecc.; ma per essere troppo prolisso e non facile a manipolarsi,
io il tralascio con tutte le sue lodi. Così l’antidoto magno, o sia
elettuario del Mattiuolo, se noi vorremo ascoltare una gran folla
di medici è anch’esso un rimedio felicissimo contra la peste. Alcuni
altri non lo stimano tanto, non bastando i grandi epiteti dei lodatori
per far che sia veramente grande la virtù d’un medicamento, siccome
non basta un’eterna filza d’ingredienti a formare un antidoto di
mirabil efficacia, e tanto più perchè non è peranche deciso che molti
ingredienti non perdano la lor forza e virtù, ammassati con tanti
altri e non possano con ciò diventare anche nocivi. Quell’antidoto è
quasi il compendio d’un’intiera spezieria. I moderni si servono più
volentieri di medicamenti semplici che composti, per quanto possono.
Contuttociò io non vieto, nè biasimo ad alcuno il seguire ancor qui
la corrente, e valersi di quell’elettuario con isperanza di frutto.
Il diascordio bensì del Fracastoro (la cui dose è di prenderne in
bevanda dram. 1 con sugo d’acetosella onc. 2, sugo di cedro onc. 1,
specie cordiali di gemme scrup. 2, aceto onc. 1, mischiando tutto) vien
comunemente dai medici di maggior reputazione creduto e predicato per
un insigne antidoto contra la peste, perchè è concorsa la sperienza
ad accreditarlo per tale. Il Minderero, che ne fa de’ grandi elogi, e
sperimentollo con felicità nel contagio de’ suoi giorni, stima che per
le persone delicate, come i fanciulli e per le donne gravide, sia il
diascordio medicamento anche più sicuro della triaca e del mitridato,
siccome men calido d’essi. Debbo nondimeno avvertire che nel contagio
di Palermo del 1624, 1625 e 1626 fu provato per esperienza che gli
appestati guarivano più facilmente con cose rinfrescative, come cucuzze
lunghe, latte, sugo di limoni, ecc., che con triache ed altre robe di
sostanza ed aromatiche. Forse nel clima caldo della Sicilia saranno
riusciti giovevoli tali rimedj che in altri poi non riusciranno; o
pure noi crediam troppo a certi strepitosi antidoti composti, e perciò
trascuriamo i semplici, che talora sono i migliori, e non badiamo ad
altri metodi forse più utili. Certo il P. Filiberto Marchino attesta
anch’egli che il metodo suddetto di Palermo riuscì più giovevole nella
peste di Firenze del 1630. I saggi medici ne faranno le prove ne’ tempi
di bisogno.
Oltre all’acqua triacale del Diemerbrochio, descritta nell’antecedente
capitolo e da lui celebrata assaissimo per gli effetti da lui osservati
in valersene durante la peste del suo tempo, si leggono nei libri di
medicina oltre acque triacali, bezoartiche e cordiali del Sassonia,
del Sennerto, del Porzio, del Quercetano, del Langio, del Bauderon, del
Mattiuolo, del Platero, ecc., che tutte possono probabilmente servire,
siccome ancora varj altri decotti, estratti, aceti bezoartici, apozemi,
quintessenze, ecc., riferiti dall’Untzero, dal Diemerbrochio e da
altri. Non la finirei mai, se volessi copiarli tutti e massimamente
quei recipe che empiono le facciate de’ libri e danno da faticar ben
bene agli speziali. Mi basterà di rapportarne solamente quattro altri,
lodati non poco dai professori della presente materia. Il primo è una
bevanda, la quale per attestato del cardinal Gastaldi giovò assaissimo
nella pestilenza di Roma.
_Bevanda antipestilenziale._
℞. _Radici di carlina, zedoaria, angelica, scordio, dittamo cretico,
scorzonera, cinnamomo, croco orientale, ana dram. 1; mirra, mastice,
aloè socotrino, ana mez. dram. Facciasi polvere di tutto, la cui dose
è una dramma con un’oncia di sciroppo di limoni e 3 onc. d’acqua di
acetosa. Si prenda prima del sonno, essendo attissima a liberar dalla
peste._
_Decotto antipestilenziale._
℞. _Radici di calendola, di elenio, fiori di ruta, di nepeta, di
poi cercheremo. Teofrasto anch’egli il loda; e l’Untzero tiene che
questo spirito sia uno de’ migliori medicamenti contro la peste sì per
preservarsi, come per curarsi, e cita moltissimi autori che sono dello
stesso parere. In fatti la ragione s’accorda con tale sentenza, se non
che avendo esso del corrosivo, potrebbe lo stomaco risentirne grave
nocumento, ove con qualche intemperanza e senza la compagnia di molto
fluido si prendesse. L’olio di vitriuolo anch’esso è stimatissimo.
Entra esso nel seguente
_Sudorifero XIV._
℞. _Estratto di cardo santo, sale d’assenzio, ana scrup. 1; sale di
cardo santo mez. scrup.; triaca dram. 1; acqua triacale e di cardo
santo, ana onc. 1; olio di vitriolo gocc. 15. Mesci, e fanne bevanda._
Le bevande tutte hanno da esser caldette. Già si sa che per far sugo di
qualunque erba convien pestarla in mortaio, spremerla forte, e lasciare
che il sugo deponga le parti più grosse. Chi avesse abborrimento al
sugo dell’erbe crude, le faccia cuocere in poca acqua e non tanto che
sfumi tutto il balsamico, e spremute poi ben bene esse erbe, ne beva
quella decozione, entro la quale chi ancor volesse far cuocere un poco
di carne, può farlo.
Buona parte dei sudoriferi fin qui descritti è stata da me a bello
studio trascelta, per essere d’ingredienti e materie facili a trovarsi
e a manipolarsi, e di poca spesa, sul riflesso di somministrar
consigli, e soccorsi alla gente povera o poco comoda, cioè ai più del
popolo. Del resto i medici, la giurisdizione de’ quali io non pretendo
di usurpare, potranno suggerirne non pochi altri di composizioni
più strepitose, le quali può essere che facciano miglior effetto, ma
può anche essere che non uguaglino talvolta il valore d’alcune più
semplici. Certo s’io riferissi come utile sudorifero una modesta bevuta
d’aceto fortissimo con un poco di sale, questo non avrebbe passaporto
presso di alcuni; e pure per attestato di qualche insigne medico,
non poca gente colta dalla peste s’è osservata guarir prestissimo
dal pericolo con tale sudorifero preso sul principio del male, perchè
cagione a loro d’un sudor copiosissimo. In una cosa poi non si potrà
fallare, e sarà nell’aggiungere, quando non manchi il comodo, ad alcuni
de’ suddetti diaforetici qualche ingrediente antipestilenziale di più,
come sarebbe un poco di mitridato, di triaca o di diascordio, o pure
qualche acido, come l’aceto, il sugo di cedro, l’olio o spirito di
vitriuolo, il sale d’assenzio, o simili. Veggo ciò fatto da eccellenti
medici. E perciocchè alle prove si può trovare che alcuni sudoriferi
riescano deboli pel bisogno degli appestati, ne riferirò alcuni altri
più potenti nel seguente capitolo, e finirò il presente con rapportare
la ricetta d’un’acqua ed estratto di maggior vigore, ma troppo
laboriosa, insegnata e praticata dal Diemerbrochio con felicissimo,
per quanto egli scrive, e maraviglioso successo nella peste del
suo paese. La mischiava però egli con alcun altro de’ medicamenti
antipestilenziali poco fa accennati, o con sale di ruta, o di cardo
santo, o di scordio, o con estratto d’angelica, o di cardo santo, o
coll’aceto bezoartico riferito di sopra nel capo III, ovvero con bolo
armeno o con terra sigillata.
_Acqua sudorifica._
℞. _Radici d’ostruzio, o sia d’imperatoria, petasitide, angelica,
carlina, valeriana, ana onc. 2 e mez.; radici d’enula campana, scorze
d’aranci secche, ana onc. 3; erbe scordio, assenzio, ana onc. 2; cardo
santo onc. 3; fiori di rose rosse mez. onc., di stecade dram. 3; bacche
di ginepro onc. 2 e mez.; grani di cardamomo minore dram. 5; cinnamomo
eletto onc. 1. Tutte queste cose sieno secche, si tritino insieme e si
pestino grossamente in mortaio di pietra, infondendovi poi vino bianco
buono mediocre lib. 22, acqua di rose lib. 2. Serrato bene il vaso,
stieno per 10 dì in infusione, e dipoi vi si aggiungano queste altre
erbe verdi e fresche, tagliate minutamente e pestacchiate, cioè foglie
di ruta manip. 6, tanaceto manip. 4, rosmarino, pimpinella, ana manip.
1 e mez. Stieno insieme in infusione per altri 8 o 10 giorni, movendole
ogni dì con una bacchetta. Dipoi mettivi dentro sugo di cedro lib. 2.
Stieno in infusione per 3 o 4 altri giorni, e poi fatto bollir tutto
leggermente al fuoco, si coli, e si sprema gagliardamente nel torchio.
La colatura spremuta si distilli in bagno maria, o nella rena, per
lambicco di vetro_.
Soggiugne l’autore la preparazione d’un estratto dalle fecce nel modo
seguente:
_Quello che dopo la distillazione resta nel fondo, aggiuntavi acqua di
cardo santo, s’ha da colare per carta sorbitrice; e tal colatura s’ha
da essiccare a lento fuoco, tanto che giunga a consistenza d’estratto
il quale si ha da salvare pel bisogno. Abbiamo dato il nome di
Magistrale a questo estratto._
CAPO VI.
_Altri medicamenti per curar la peste. Quali usati ne’ contagi
del 1630 e 1656. Canfora commendata assai, e varie composizioni
canforate. Solfo, e suoi pregi contro la pestilenza. Bolo armeno,
triaca, diascordio, ed altri antidoti o lodati, o riprovati._
Per espugnare l’interno veleno della peste hanno sempre studiato i
medici, ma senza trovar finora medicamento alcuno sicuro, specifico ed
universale. In difetto di ciò si sono eglino rivolti a prescrivere que’
rimedi che per la loro naturale attitudine sono o paiono contrari ai
veleni, ed atti ad impedire o correggere la corruzione, o il troppo o
troppo poco moto dei fluidi del corpo umano, e non senza apparenza di
aver eglino con ciò aiutata di molto la natura, allorchè ne seguita la
sanità degl’infermi. Egli è incredibile, quanta copia di radici, erbe,
fiori, frutta, semi, oli, pietre, sali, estratti, siroppi, conserve,
conditi, minerali, polveri, elettuari, ecc., ci venga posta davanti nei
libri loro col bell’elogio di medicamenti efficaci o mirabili contro la
peste, sì semplici come composti. Io non prenderò qui ad esporre, come
fa l’Untzero con assai curiosa minutezza, ad una per una tutte l’erbe,
radici, frutta, ecc., che servono o si pensa che possano servire contro
i morbi pestilenziali. Non crederebbono nè pure gli altri a me, siccome
io non credo a tanti discorsi prolissi degli altri intorno alla virtù
di sì gran copia di medicamenti. E dopo ancora che avessi riferito
tutto, ci resterebbe da imparare a fare il medico (che tale non sono
nè pur io) per sapere a chi convengano questi medicamenti, e come
s’abbia a mescolare ed usare ora questo ed ora quello; cosa nondimeno
anche difficile per i medici stessi, perchè dipendente dal giudizio
pratico e dalla prudenza, con la quale, per colpire nel segno, s’hanno
da considerare non solamente il mal della peste, ma ancora i sintomi
che l’accompagnano, e il temperamento, le forze degl’infermi, ed altre
non poche circostanze, dalle quali nascono diverse indicazioni. Mi
ristringerò io dunque a notar solamente i primari e più facili de’
medicamenti e rimedi che sono creduti a proposito per guarire, piacendo
a Dio, il morbo della pestilenza. E sono principalmente, per quanto
ho ricavato da vari autori, gli aromatici e balsamici, de’ quali vien
creduto che possano col loro sale volatile oleoso resistere, diciamo
così, alla corruzione degli umori; e i diaforetici, o sia sudoriferi,
prescritti con intenzione di espellere fuori della cute il veleno
pestilenziale, ed aiutar la crisi più salutevole che possa tentar la
natura. Hanno pure tra questi alessifarmaci il luogo loro e le lor
lodi molti acidi, i quali possono in alcune pesti impedire o levare
lo squagliamento e sfibramento degli umori e del sangue, e talvolta
ancora, secondo il parere d’alcuni, o col precipitare o col dar tuono
alle fibre, contribuire all’operazione del sudore, alla quale dee
allora particolarmente mirare la diligenza dei medici.
E primieramente nella peste del 1630, per quanto apparisce
dall’Avvertimento stampato allora in Modena, si vede che in molte
città fu costume, subito che appariva la vanguardia più ordinaria del
morbo contagioso, cioè febbre mista con dolore di capo, il prendere in
bevanda alquanto di polvere, creduta cordiale, con un poco di brodo
o acqua di scorzonera, ed ungere la regione del cuore con olio del
Granduca o del Mattiuolo. Poco dopo si bevea una dramma di triaca o di
elettuario del Mattiuolo, distemperata in 6 once dell’acqua suddetta,
o in altra simile, per promuovere il sudore, dopo il quale solevano
uscire i carboni, o buboni. Il corno di cervo, la terra sigillata e gli
occhi di granchio si costumavano ancora con profitto; cose nondimeno
che non veggo tenute per rimedi di gran forza contro il ferocissimo
assalto della pestilenza. Anzi essendo stato osservato da altri che
i coralli, gli occhi di granchio e la creta sono medicamenti che
opprimono l’acido e levano l’appetito, perciò vien consigliato che
si vada cauto a valersene nelle pesti, le quali pur troppo sogliono
indurre inappetenza. Non trovo poi qual altro preciso rimedio
giovasse allora, se non era il ben curare i carboni e i buboni; del
che parleremo a suo luogo. È bensì notato ivi che tutti gli altri
esperimenti contro la febbre pestilenziale di quel tempo riuscivano
vani, e che nella forma suddetta quasi tutti cominciarono a guarire; il
che però si noti essere stato avvertito solamente nella declinazione
della peste, lasciando ciò dubitare che forse nel suo furore anche il
mentovato metodo riuscisse inutile, siccome avviene allora di tanti
altri medicamenti.
Nel contagio di Roma del 1656 per quanto abbiamo dal cardinal Gastaldi,
parve che giovassero le seguenti cose: Cioè, scoperta in alcuno la
malattia pestilenziale, ungergli la region del cuore con olio del
Mattiuolo o della comunità di Ferrara o del Granduca e simili; dargli
prontamente bocconi cordiali di confezion di giacinto, d’alchermes
e altri di tal fatta; nel secondo giorno fargli bere sugo di cedro
mischiato con acqua triacale e con alquante gocciole di spirito di
vitriuolo e con polvere di bolo armeno in brodo o acque distillate
di galega, scabbiosa, sonco, scorzonera e simili alessifarmaci.
Di più parea salutifero l’applicare i vescicanti nel principio,
particolarmente alle gambe. Si osservò ancora giovevole nello stesso
ardore della febbre il bere orzate, e spezialmente nel tempo estivo,
temperandosi anche la sete col tenere in bocca sal prunello. Bernardino
Cristini espone anch’egli il metodo da sè tenuto in medicare nella
medesima peste di Roma. Certo farà egli prendere più coraggio a chi
subito voglia accomodar la sua fede a quanto egli lasciò scritto nel
suo libro intitolato _Arcana Riverii_. Chi però non crede sì tosto alle
magnifiche promesse dei chimici, nè si lascia incantare dai grandi o
strani nomi delle cose, anderà lento a fidarsene.
Secondo lui, per medicare allora gl’infetti, non v’era cosa più potente
delle confezioni ristorative in forma soda o liquida, prese per bocca,
e massimamente giovavano i bezoartici diaforetici, o sia sudoriferi.
Prescriveva egli in forma soda il seguente
_Antidoto curativo._
℞. _Conserva di fiori di borraggine, di rose, di viole, ana mez. onc;
fiori di cedro, di pomi medici, di anthos, ana dram. 2; conserva di
tutto cedro, radici di tormentilla, d’angelica, bistorta, scorzonera,
contrajerva, ana dram. 1; confezion d’alchermes, di giacinto, ana dram.
1 e mez.; unicorno vero, bezoartico animale, corna di cervo, bezoartico
solare, joviale, lunare, minerale, ana mezza dram. Mischia insieme, e
prendine un cucchiaio per volta cinque o sei volte il dì, come ancor
nella notte._
_Antidoto curativo in forma liquida._
℞. _Acqua di cardo santo, di scorzonera, di ruta capraria, di
borraggine, di scordio, di acetosa di rose, di tutto cedro, ana onc.
6; spirito di zolfo, dram. 1; essenza di triaca, di contrajerva, di
ginepro, d’angelica, di carlina, di tormentilla, di bistorta, scorze
di cedro, elixir vitae, elissire di proprietà, balsamo di vita, balsamo
di salute, ana mez. scrup. Mischia insieme, e prendine 2 onc. per volta
quattro o cinque volte il dì e altrettante la notte._
Questi medicamenti, se crediamo all’enfasi del suddetto autore, faceano
dei miracoli, richiamando uomini ad una nuova vita; e quantunque
possa parere diversamente a molti medici, pure tal sorta di rimedj
fra gl’infiniti che furono adoperati, questa dice egli che fu divina.
Aggiunge d’aver egli dato ad alcuni infermi con dei bezoartici bolo
armeno e terra sigillata che a questo effetto son decantati da molti
per mirabili; ma che in quel contagio servivano solamente a far del
male, nè mai operavano bene. Ordinava egli per le stanze dei malati,
affinchè non s’infettassero anche le camere e case dei sani, alcuni
profumi di legni di ginepro, cipresso, incenso, mirra, belzoino,
storace calamita e simili. Erano profumi più gagliardi quei ch’egli
due volte il giorno adoperava nelle stanze sue e de’ suoi amici, cioè
le fecce di regolo antimoniale; ma perciocchè riesce troppo ingrato
l’odore solfureo, vi aggiungeva pastelli composti di storace o altri
simili grati odori, con che egli e tutti i suoi amici si conservarono
sempre sanissimi in mezzo ai lazzeretti.
Passiamo noi innanzi a cose forse più sicure. E primieramente la
canfora nella cura della peste è esaltata dal Goclenio, dal Cratone,
dal Minderero, dal Sennerlo e da altri per uno de’ più potenti ed
efficaci rimedj, e alcuni la tengono quasi il migliore di tutti. Fra
gli altri l’Etmullero scrive che la canfora leva la palma a tutti gli
altri alessifarmaci nella peste. Certo in lodarla assai s’accordano i
migliori medici, considerata la sua qualità e attesi i buoni effetti
che ne ha fatto veder la sperienza. Perciò abbiamo dagli autori varj
medicamenti, ne’ quali entra la canfora. Il Minderero loda come più
utile di tutti i più preziosi bezoartici, purchè non vi sieno dolori
gagliardi di capo o di ventricolo, la seguente polvere descritta anche
dal Platero e del Diemerbrochio, e commendata dal Follino.
_Polvere canforata._
℞. _Zucchero candito dram. 3; zenzero bianco dram. 2; canfora dram.
1. Si faccia polvere. La dose è di dram. 1 in liquore conveniente e si
beva._
Il Riverio prescrive quest’altra, di cui dice essersi egli felicemente
servito.
_Altra polvere canforata._
℞. _Bezoartico minerale dram. 3; sal prunello dram. 2; canfora dram.
1. Se ne formi polvere e se ne prenda dram. 1 in acqua di cardo santo o
altra conveniente._
Il Cratone si valeva d’un elettuario lodato poi come eccellente da
altri medici. Eccone la ricetta.
_Elettuario canforato._
℞. _Scordio dram. 3; tormentilla, dittamo bianco, zedoaria, genziana,
angelica, garofanata, ana dram. 1; zafferano, canfora, ana scrup. 2.
Polverizzato sottilissimamente si spruzzi con acqua di cardo santo, in
cui sieno state disciolte 2 dramme di triaca, e con sciroppo di sugo di
cardo si formi elettuario._
Fu anche dal suddetto Cratone composta e poi lodata da altri la seguente
_Polvere canforata._
℞. _Radici di tormentilla dram. 3; dittamo bianco dram. 2; osso di cuor
di cervo, sandalo rosso, ana dram. 1; canfora scrup. 2. Mischia insieme
e fanne polvere. La sua dose è di dram. 1 in liquore conveniente._
Cornelio Gemma formò un altro elettuario canforato con dire d’averne
egli e suo padre provato felici effetti.
_Altro elettuario canforato._
℞. _Canfora part. 1; zenzero bianco part. 2; zucchero rosato part. 4;
vino quanto basta. Mescolato tutto ben bene, se ne formi elettuario, e
se ne dia una dramma all’infermo per farlo sudare._
Più generoso o almen più composto è questo
_Altro elettuario canforato._
℞. _Canfora, dittamo eretico, scordio, radici di angelica, di zedoaria,
cinnamomo, zenzero, ana dram. 1; noce moscata dram. 2; bolo armeno mez.
dram., seme di ruta, macis, zafferano, ana scrup. 1; muschio gran. 7;
zucchero bianco, vino odoroso, ana quanto basta. Si formi il tutto a
guisa d’oppiata._
Giovanni Poppio disciolta la canfora in aceto ne dava un cucchiaio
all’infermo. Giovanni Hartmanno racconta che nella peste del 1611 giovò
ad assaissimi la seguente
_Acqua canforata._
℞. _Spirito di vino ottimo lib. 1; canfora scelta dram. 7 e scrup. 1
per la state, e dram. 10 e scrup. 2 pel verno. Mischia insieme, tritata
prima la canfora, la quale si scioglierà tosta sensa fuoco. Appendi
in una pezza croco orientale mez. scrup. Lo spirito di vino diverrà di
color d’oro. L’acqua si conservi in un vetro capace e non pieno, cioè
lasciandone vota la quinta o sesta parte._
Mattia Untzero forma uno spirito triacale con canfora da darne una
dramma e mezza o pur due dramme in alquanto d’acqua di cardo santo, per
far sudare: il che narra egli essere egregiamente succeduto nella peste
di Halla del 1610. Eccone la composizione:
_Spirito triacale canforato._
℞. _Triaca vecchia onc. 5; mirra rossa onc. 2 e mez.; croco orientale
mezz. onc., spirito di vino ottimo onc. 10. Posto tutto in boccia di
vetro e sovrapposto lambicco cieco, nel cui becco sieno prima poste
dram. 2 di canfora, stia in infusione per 8 dì in luogo caldo; poi si
distilli in bagno maria a fuoco lentissimo e ne avrai spirito triacale
sottilissimo_.
Se vogliam credere al suddetto Untzero, purchè con dram. 5 di questo
spirito triacale si mescolino dram. 3 di spirito di tartaro ottimamente
rettificato sopra colcothar di vitriuolo, cioè sopra vitriuolo
bruciato, e dram. 1 e mez. di vitriuolo, si ha una composizione
mirabile, contenente tutti i requisiti per la perfetta cura de’
morbi pestilenziali e superiore a tutti gli altri antidoti contra la
pestilenza. Una tal composizione certo sarà da stimarsi; ma l’Untzero
fu chimico di professione, e perciò magnifico nelle promesse. L’olio
pestilenziale dell’Einisio medico veronese scrivono che facesse delle
maraviglie nella peste della sua patria, di maniera che gli fu dopo
la morte alzata una statua. Si compone di parti eguali d’olio di
canfora, olio di succino, olio di scorze di cedro ben mischiate, con
prenderne dieci o quindici gocce, secondo le circostanze. Entra anche
la canfora nell’acque triacali e cordiali composte dagli autori contra
la pestilenza; ma è tempo di finirla.
Mi sono steso forse più del dovere intorno all’uso della canfora;
ma mi dee essere perdonato, perchè son persuaso che veramente possa
trarsene gran benefizio in tempi di peste. Solamente è da avvertire col
Sennerto che chi è debole di capo o di ventricolo, o ha abborrimento
alla canfora, dee medicarsi con altro, e massimamente essendo utile per
altre ragioni l’andare allora mutando medicamenti. Di più hanno alcuni
avvertito che trattandosi della preservazione i medicamenti o gli
odori canforati possono indebolire negli uomini la virtù generativa. Ho
veduto impugnata da altri tal opinione, ma dappoichè il Diemerbrochio
attesta d’aver egli dovuto medicare varie persone che per l’uso d’essa
canfora aveano patito il suddetto difetto, non so se non consigliare
a chi ha interesse di conservarsi quella virtù, il valersene per la
preservazione con gran riguardo. Per altro quando si tratta d’infermi
di peste s’hanno a dar loro liberamente gli antidoti canforati, dovendo
maggiormente ad essi premere la conservazion della vita, giacchè la
canfora è in questo credito di contribuir cotanto a risanar dalla
peste.
Già di sopra abbiam detto essere il solfo per la sua qualità uno de’
più efficaci rimedj contra gli spiriti pestilenziali per preservarsi da
loro. Aggiungiamo ora che può il medesimo produrre ottimi effetti anche
nella cura di chi già ha contratta la peste, e che tutti gli autori
s’accordano in chiamarlo un potente rimedio contra quel morbo, di modo
che Paracelso (autore però, il quale non si può negare che non abbia
avuto parecchie idee stravaganti) scrive che il solfo e il sale bastano
alla cura della peste, nè bisognarvi altri medicamenti. Servono, come
abbiam già osservato, i fiori di zolfo per promuovere il sudore;
e congiunti con estratto d’enula campana vien creduto che giovino
assaissimo; ma più, secondo il parere di alcuni, gioveranno se con esso
loro si unirà un poco di triaca e di canfora. Il Sennerto descrive
una composizione di questi fiori, dice egli, efficacissima contra la
peste; ed altri medici ne commendano fortemente l’uso e la virtù. Ma
lo Zvelfero ha più fede al solfo depurato che alla preparazione dei
suddetti fiori. Sopra tutto poi vien decantato l’elisire pestilenziale,
composto d’essi fiori di zolfo dal Crollio, e predicato per singolare
e miracoloso contra il morbo pestilenziale da molti e massimamente
dall’Untzero che dice d’averne fatte felicissime prove nella peste
del 1610 allorchè tal rimedio veniva preso per tempo nel principio
del male, con far sudare due o tre volte. Tanto il Crollio, quanto
l’Untzero furono spargirici, e però bisogna andar cauto in prestar
loro fede. Tuttavia la qualità degl’ingredienti basta essa sola ad
accreditare di molto questa composizione. Così fosse ella men faticosa
e meno astrusa per la manipolazione, onde potessero parteciparne i più
del popolo. Si fa nella seguente forma:
_Elisire pestilenziale del Crollio._
℞. _Fiori di solfo preparati spargiricamente onc. 3. Mettivi sopra
olio di bacche di ginepro rettificato in bagno, tanto che vi stia sopra
all’altezza di tre o quattro dita. Aggiungi olio di succino tre volte
rettificato in bagno, e sia tanto come la quarta parte dell’olio di
ginepro. Stieno insieme in fuoco di ceneri o di rena, movendoli spesso,
acciocchè i fiori senza bruciarsi si sciolgano e diventino liquidi.
Poscia_
℞. _Triaca di Venezia lib. 1, da cui con ottimo spirito di vino
estrarrai la tintura, la quale separata dallo spirito di vino serberai
in disparte. Estrarrai col medesimo spirito tintura di radici d’elenio,
angelica, bacche di ginepro pestate, ana onc. 3. Presa questa tintura
separata in bagno dallo spirito di vino, la mescolerai colla tintura
della triaca, e vi metterai sopra gli olj di ginepro e d’ambra uniti
co’ fiori di zolfo, e filtrati prima per carta sorbitrice; poi lascerai
per 14 giorni sopra lentissimo calore di ceneri tutta la composizione,
dimenandola di quando in quando._
_La dose per la preservazione è di una o due gocciole in vino o
aceto ogni mattina, o pure in cadauna settimana 8 o pur 10 gocciole
a digiuno, aspettando il sudore. Chi è preso dalla peste, subito nel
principio ne prenda da uno o due scrupoli in vino o aceto di ruta o
altro conveniente liquore, e sudi._
Il bolo armeno vien descritto da Galeno per un singolare antidoto
contra la peste, preso in un bicchier di vino bianco mediocre. Il
Cristini, siccome vedemmo, sente diversamente; ma quasi tutti gli altri
medici s’accordano in ciò con Galeno, aggiungendo ancora non pochi
d’averne scorto colla sperienza buon effetto. Le qualità d’una peste,
diverse per lo più da quelle dell’altre, possono esser cagione che in
una non riesca ciò che si provò per utile in un’altra. Molto poi più
sono da stimare quegli altri due nobili e certo antichissimi antidoti,
cioè la triaca d’Andromaco e il mitridato di Damocrate, le virtù
de’ quali contra i veleni e contra quello ancor della peste, hanno
già conseguita dal consenso di molti scrittori e dalla sperienza di
tanti secoli una competente approvazione, essendosi trovato aver essi
già fatto dei miracoli, ma giovato più in tali casi che innumerabili
altri medicamenti, esaltati con gran bocca da chi cerca il bel titolo
d’inventore e di autore, col proporre nuove ricette e screditar le
antiche. Presi questi antidoti discretamente, e con varj riguardi
all’età e qualità delle persone, servono o vien creduto che servano
mercè della qualità dei loro ingredienti atta non meno a difendere
dalla malignità degli spiriti velenosi e dalla corruzione, le viscere
e gli umori del corpo umano; che ad espellere per li pori della
cute colla lor qualità sudorifica il veleno stesso della pestilenza.
L’elettuario dell’uovo, la triaca del Monavio ed altre nuove triache
di varj autori, vengono anch’esse predicate per molto utili ne’ casi
di pestilenza; e quantunque non manchino valentuomini che antepongano
loro di molto la triaca ordinaria e il mitridato suddetti, nulladimeno
potrà esserne giovevole l’uso. Il Sennerto rapporta un medicamento
composto dal celebre Ticone Brac (se però è vero) di triaca, fiori di
zolfo, ecc.; ma per essere troppo prolisso e non facile a manipolarsi,
io il tralascio con tutte le sue lodi. Così l’antidoto magno, o sia
elettuario del Mattiuolo, se noi vorremo ascoltare una gran folla
di medici è anch’esso un rimedio felicissimo contra la peste. Alcuni
altri non lo stimano tanto, non bastando i grandi epiteti dei lodatori
per far che sia veramente grande la virtù d’un medicamento, siccome
non basta un’eterna filza d’ingredienti a formare un antidoto di
mirabil efficacia, e tanto più perchè non è peranche deciso che molti
ingredienti non perdano la lor forza e virtù, ammassati con tanti
altri e non possano con ciò diventare anche nocivi. Quell’antidoto è
quasi il compendio d’un’intiera spezieria. I moderni si servono più
volentieri di medicamenti semplici che composti, per quanto possono.
Contuttociò io non vieto, nè biasimo ad alcuno il seguire ancor qui
la corrente, e valersi di quell’elettuario con isperanza di frutto.
Il diascordio bensì del Fracastoro (la cui dose è di prenderne in
bevanda dram. 1 con sugo d’acetosella onc. 2, sugo di cedro onc. 1,
specie cordiali di gemme scrup. 2, aceto onc. 1, mischiando tutto) vien
comunemente dai medici di maggior reputazione creduto e predicato per
un insigne antidoto contra la peste, perchè è concorsa la sperienza
ad accreditarlo per tale. Il Minderero, che ne fa de’ grandi elogi, e
sperimentollo con felicità nel contagio de’ suoi giorni, stima che per
le persone delicate, come i fanciulli e per le donne gravide, sia il
diascordio medicamento anche più sicuro della triaca e del mitridato,
siccome men calido d’essi. Debbo nondimeno avvertire che nel contagio
di Palermo del 1624, 1625 e 1626 fu provato per esperienza che gli
appestati guarivano più facilmente con cose rinfrescative, come cucuzze
lunghe, latte, sugo di limoni, ecc., che con triache ed altre robe di
sostanza ed aromatiche. Forse nel clima caldo della Sicilia saranno
riusciti giovevoli tali rimedj che in altri poi non riusciranno; o
pure noi crediam troppo a certi strepitosi antidoti composti, e perciò
trascuriamo i semplici, che talora sono i migliori, e non badiamo ad
altri metodi forse più utili. Certo il P. Filiberto Marchino attesta
anch’egli che il metodo suddetto di Palermo riuscì più giovevole nella
peste di Firenze del 1630. I saggi medici ne faranno le prove ne’ tempi
di bisogno.
Oltre all’acqua triacale del Diemerbrochio, descritta nell’antecedente
capitolo e da lui celebrata assaissimo per gli effetti da lui osservati
in valersene durante la peste del suo tempo, si leggono nei libri di
medicina oltre acque triacali, bezoartiche e cordiali del Sassonia,
del Sennerto, del Porzio, del Quercetano, del Langio, del Bauderon, del
Mattiuolo, del Platero, ecc., che tutte possono probabilmente servire,
siccome ancora varj altri decotti, estratti, aceti bezoartici, apozemi,
quintessenze, ecc., riferiti dall’Untzero, dal Diemerbrochio e da
altri. Non la finirei mai, se volessi copiarli tutti e massimamente
quei recipe che empiono le facciate de’ libri e danno da faticar ben
bene agli speziali. Mi basterà di rapportarne solamente quattro altri,
lodati non poco dai professori della presente materia. Il primo è una
bevanda, la quale per attestato del cardinal Gastaldi giovò assaissimo
nella pestilenza di Roma.
_Bevanda antipestilenziale._
℞. _Radici di carlina, zedoaria, angelica, scordio, dittamo cretico,
scorzonera, cinnamomo, croco orientale, ana dram. 1; mirra, mastice,
aloè socotrino, ana mez. dram. Facciasi polvere di tutto, la cui dose
è una dramma con un’oncia di sciroppo di limoni e 3 onc. d’acqua di
acetosa. Si prenda prima del sonno, essendo attissima a liberar dalla
peste._
_Decotto antipestilenziale._
℞. _Radici di calendola, di elenio, fiori di ruta, di nepeta, di
- Parts
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 01
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 02
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 03
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 04
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 05
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 06
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 07
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 08
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 09
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 10
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 11
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 12
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 13
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 14
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 15
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 16
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 17
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 18
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 19
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 20
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 21
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 22
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 23
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 24
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 25
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 26
- Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 27