Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 08

briglie o selle, si dovranno tali arnesi profumare o almeno lavar con
lisciva o con sapone. A’ castrati ed agnelli e alle pecore, se avranno
pelle, e molto più se questa sia ben lanuta, sarà necessaria maggior
diligenza, per essere certo che la lana riceve e nutrisce più delle
altre cose il veleno pestilenziale. I polli, i capponi, le galline
e gli uccellami tutti, quando abbiano le piume, insegnano alcuni che
non basti il tuffarli nell’acqua, ma che si ricerchi l’immergerli più
volte nell’aceto, ovvero per più sicurezza, spogliatili delle piume,
abbrostolirli; ma altri tengono che sia sufficiente una buona lavata
con acqua pura.
L’uova cavate dalle ceste e poste sulla nuda terra, si prenderanno
senz’altro con rimetterle in altre ceste; e lo stesso può farsi per
le erbe e frutta e per le carni fresche senza pelle. Andrà nulladimeno
più sicuro chi laverà con acqua robe tali. L’olio può prendersi colle
nude pelli senza altra diligenza, purchè non vi si lascino corde oltre
a quella che lega sufficientemente la bocca della pelle, la quale non è
capace d’infezione. Il pane, vino, zucchero, i limoni, cedri e aranci,
il mele, i salumi e formaggi, gli aromati, le robe medicinali, le cere
e le droghe d’ogni sorta si possono ricevere liberamente, avvertendo
solo di levare gli invogli, le corde, i secchi, le carte, le casse,
i vasi, i barili ove fossero tali robe. Così le farine, il frumento,
frumentone, o sia grano turco, e tutti gli altri grani e legumi si
possono liberamente prendere, a riserva sempre de’ sacchi e d’altri
simili invogli ed arnesi, che si debbono lasciare indietro o profumare
o lavar con acqua secondo la loro qualità.
Ed a fine di regolar bene colle maggiori cautele possibili il
commercio tra chi conduce o vende e chi ha da comperare grani, vino
ed altre grasce e commestibili che abbiano detto esenti dal portar
seco infezione, è da fuggirsi per quanto si può l’avvicinamento delle
persone e il contatto delle vesti, de’ sacchi e d’ogni altra roba che
possa, coll’aver seco la peste, pregiudicare a chi è sano. Per questo
ottima regola si è il deputar certi siti e luoghi aperti, fuori, se si
può mai, della città, con piantar ivi due file di cancelli o palizzate,
che impediscano dall’una parte e dall’altra il passaggio e contatto
de’ cittadini e paesani. Le robe vendute si depongono in terra, o
sopra lenzuoli o coperte stese in terra, quando si possa, e poi vanno
a prenderle i compratori. I vini ed altri liquori si vôtano da quei
di fuori ne’ vasi deposti in terra dai cittadini, senza toccar punto
essi vasi. Il danaro che si sborsa sarà purgato per ogni buon fine da
chi il riceve, bagnandolo in aceto. E perciocchè troppo è necessario
che vengano alla città le grasce o vettovaglie, e ciò dee anche farsi
senza pregiudizio della salute de’ condottieri; sarà libero a questi il
poter andare e venire colle loro fedi di sanità, purchè non si levino
dal diritto cammino e si guardino di praticar per viaggio con genti
sospette. A qualche osteria deputata in mezzo al cammino dovrà farsi
la posata dai vetturali. Fuori della città saranno deputate osterie
per loro soli; e si farà il commercio della roba da loro condotta ai
cancelli posti fuori d’essa città, in maniera che i sani esteri non
pratichino coi sospetti cittadini. Nulla si dovrà consegnare se non
alla presenza de’ commissari, che invigileranno all’esecuzione degli
ordini, affinchè non segua miscuglio nè contatto. I consoli o massari
delle arti si troveranno ad essi cancelli per istabilire i prezzi e far
tosto pagare e sbrigare i condottieri. Si vieterà ai commessari delle
porte il comperare e mercantar le vettovaglie portate ai cancelli,
per rivenderle poi ai bottegai, benchè per altro sia da procurare che,
mancando compratori, vi sia qualche deputato il quale comperi quelle
robe, affinchè si tenga viva ne’ rustici e in altre persone estere
la voglia di condurne e di accrescere il mercato, e a fine ancora di
spedire in breve i poverelli del contado, aspettati a man giunte dalla
misera lor famigliuola con qualche soccorso.
Con queste ed altre simili precauzioni un popolo sano può aver
commercio di vettovaglie con un altro infetto, senza contrarne la
stessa disgrazia. E perciò, posto ancora che l’uno bandisca l’altro,
si può ai confini fare una specie di mercato, quando vi sia bisogno
di ricevere o comperar grasce, obbligando però tutti a non far questo
commercio se non ne’ luoghi destinati e sotto gli occhi de’ deputati
da ambedue le parti. In Modena fu fatto editto che niuno potesse
toccar vettovaglie, frutti e simili commestibili prima d’averli
pagati. Nelle città, e massimamente in quelle di gran popolazione,
bisogna provvedere che tutta la gente non concorra ad un luogo solo per
comperar da vivere, perchè ci vuol poco ad intendere che mescolandosi
e fregandosi insieme moltissimi, alcuni pochi infetti, de’ quali ne
trapela sempre fuori qualcheduno, possono appestar gli altri; pericolo
a cui sono sottoposti tanto i poveri quanto i ricchi, quelli per
andarvi in persona, e questi pel commercio con la servitù. Tutte le
botteghe ove si vendono robe soggette a ricevere infezione e quelle
dei commestibili, e così le spezierie, dovranno tener chiuse le loro
porte o con rastrelli o in altra forma, di modo che niuno v’entri, ma
si eseguisca la consegna delle robe o per le finestre o pei cancelli;
nè si faccia adunanza entro o davanti bottega alcuna. Specialmente si
usino tali riguardi alle botteghe de’ fornai e a’ macelli, o sia alle
beccherie. Le stesse cautele possono proporzionatamente osservarsi
nel somministrar cibi ed altre robe agl’infetti o sospetti di mal
contagioso, potendosi ciò bene spesso fare senza accostarsi loro e
senza toccare i loro vasi e robe. Nella peste di Roma del 1656 furono
pubblicate sagge istruzioni, raccolte poi tutte dal cardinale Gastaldi
nel suo Trattato della Peste, con insegnar al popolo la maniera di
governarsi nel commercio delle robe e persone. Altre ne furono fatte
pei deputati ai quartieri ed ai mercati fuori della città; pei medici,
cerusici, speziali, osti, guardarobieri, soldati di guardia ed altri
ministri de’ lazzeretti; pei deputati all’espurgazione delle case e
robe infette o sospette, insegnando ancora la maniera di far tali
spurghi. Così nel 1680 furono stampati in Ferrara vari ordini da
osservarsi in sospetti e tempi di contagio da tutti gli uffiziali della
sanità, con un editto ancora del vescovo pei conventi delle monache,
mentre allora la peste di Vienna metteva molta apprensione all’Italia
tutta. È degna quell’opera di essere studiata e tenuta davanti agli
occhi dai maestrati delle altre città, alla prudenza de’ quali in tempo
di contagio apparterrà il vedere quali e quante istruzioni s’abbiano a
formare e pubblicare, secondo le forze e il sistema di ciascuna.
Hanno in oltre i maestrati da invigilare non solamente per impedire
che il morbo non si comunichi e dilati inavvertentemente per lo
commercio delle persone e robe infette o sospette, ma ancora per vedere
che non sia esso accresciuto dalla malizia e diabolica ingordigia
degli scellerati. È cosa che fa orrore, anzi può comparir tosto come
incredibile, cioè che si dieno delle pesti suscitate o dilatate per
via di veleni, polveri ed unzioni pestifere. Alcuni negano che ciò sia
avvenuto mai o possa avvenire; ma superiori in numero e più accreditati
sono quelli che l’asseriscono, e citano i casi. Raccontano essi che
nella peste di Casale del 1536 furono giustiziati molti i quali in
numero di 40 s’erano congiurati per moltiplicare la mortalità con
unguenti e polveri pestilenziali. Niccolò Polo scrive succeduto lo
stesso in Franchestein l’anno 1606. Ercole Sassonia e il celebre nostro
Falloppia attestano il medesimo della peste de’ loro tempi, ed altri
narrano fatta la medesima scelleraggine in diverse pesti di Ginevra,
Parma, Padova e d’altre città. Non importa che io citi gli autori.
Mattia Untzero nel lib. 1, cap. 17 del suo Trattato della Peste ne ha
raccolto molti. Ma nessun caso è più rinomato di quel di Milano, ove
nel contagio del 1630 furono prese parecchie persone che confessarono
un sì enorme delitto, e furono aspramente giustiziate. Ne esiste ivi
tuttavia (e l’ho veduta anch’io) la funesta memoria nella Colonna
infame posta ov’era la casa di quegli inumani carnefici. Il perchè
grande attenzione ci vuole affinchè non si rinnovassero più simili
esecrande scene.
Tuttavia avvertano i saggi maestrati e i lettori che una tal vigilanza
non degenerasse poi in superstizione e in timori ed in apprensioni
spropositate, dalle quali potrebbono poi nascere altri non meno
gravi disordini. Il punto è di particolare importanza, e però bisogna
pesar bene e tenersi a mente anche le seguenti riflessioni: Egli è
facilissimo, secondo me, che sia accaduto spesso ed accada spessissimo
anche di nuovo ne’ tempi di peste ciò che veggiamo tante volte accadere
nei mali straordinari o non molto usitati delle donne e de’ fanciulli
del volgo, mentre con gran leggerezza s’attribuiscono quasi tutti
a malie e stregherie e ad invasioni di spiriti cattivi, giungendosi
anche talvolta non solo a sospettare, ma a credere streghe certe povere
donne che altro delitto non hanno se non quello d’esser vecchie. Molto
più senza paragone possono occorrere tali sospetti nell’inusitato ed
orrendo spettacolo d’una pestilenza, al mirar tante morti, e tanti che,
di sani che erano, restano all’improvviso estinti. Basta che un solo
cominci a sparger voce, benchè dubbiosa e timida, che quella misera
e non mai più veduta carnificina proceda da stregherie, unguenti, o
polveri di veleno artefatto, affinchè tal voce prenda gambe e corpo, e
diventi una indubitatissima verità in mente dei più del popolo. Il solo
aver letto o inteso a dire che si danno e si sono date dilatazioni di
peste per empia e crudel manifattura d’alcuni, è bastante a cagionare
in molti una fiera apprensione dello stesso, e che l’apprensione
gagliarda ad ogni picciol rumore od osservazione passi in ferma
credenza. In que’ tempi sì calamitosi, nei quali, per attestato di
chi n’ha veduta la prova, non si può dire quanto sia il terrore del
popolo, passando esso insino a farne molti stolidi ed insensati, egli è
troppo facile il concepir simili spaventi, e che alla fantasia sembri
poi di trovar qua e là fattucchierie, e unti i martelli delle porte,
o le panche o i vasi dell’acqua santa nelle chiese, e sparse polveri
pestifere, e simili altre visioni.
Da questo stravolgimento di fantasmi nasce poi un’incredibil miseria
di molti che temono la morte anche dove non l’hanno da temere; e
alcuni si muoiono, anche senza peste, di pura apprensione e spavento.
Anzi si giunge ad imprigionar delle persone, e per forza di tormenti
a cavar loro di bocca la confessione di delitti ch’eglino forse non
avranno mai commesso, con far poi di loro un miserabile scempio sopra
i pubblici patiboli. Questa malattia dell’immaginazione è vecchia
in altri simili; ed è curioso quanto abbiamo dal famoso arcivescovo
e scrittore Agobardo, il quale nel libro _de Grandine et tonitruis_
al cap. XVI narra che, insorta a’ suoi tempi, cioè nell’anno 810, la
mortalità de’ buoi, quale ancor noi abbiamo provata, si ficcò nella
mente a molti che tale disavventura procedesse da Grimoaldo duca
di Benevento, il quale, per esser nemico di Carlo Magno imperadore,
avesse mandato in Francia persone a spargere polveri micidiali pe’
campi, monti e prati. Furono presi non pochi su questo sospetto, ed
alcuni ancora trucidati; e il mirabile era che taluno confessava questo
delitto, senza mai porsi mente come potesse formarsi una polvere sì
giudiziosa e discreta che desse morte ai soli buoi e non agli altri
animali. Così Agobardo. Ma i tormenti (torno a dirlo) hanno il segreto
di far confessare misfatti anche agl’innocenti. Ho trovato gente savia
in Milano che avea buone relazioni dai loro maggiori, e non era molto
persuasa che fosse vero il fatto di quegli unti velenosi, i quali si
dissero sparsi per quella città, e fecero tanto strepito nella peste
del 1630. Anzi ho osservato esserne stato in dubbio lo stesso cardinale
Federigo Borromeo, arcivescovo allora di Milano, personaggio di santa
ed immortale memoria e gran filosofo ancora, il quale fece insigni
azioni durante quella pestilenza, e potè parlarne con fondamento. Fu
anche più orrida la scena nella terribilissima peste del 1348, poichè,
sparsa la voce che alcuni, e specialmente i Giudei, fossero quegli
che con vari veleni e malie avessero introdotta e dilatata quella
incredibile mortalità, furono trucidati molti Cristiani, e moltissime
poi migliaia d’Ebrei per la Francia e per la Germania, di modo che lo
stesso papa Clemente VI fu mosso dalla carità cristiana a soccorrere
e proteggere con varie Bolle quella povera gente, al certo non rea di
questo delitto. Bisogna dunque andar adagio in profferir sentenze e in
avvalorar sospetti allorchè si spargono tali voci. Nel presente anno
1713 abbiamo co’ nostri occhi veduto nella nostra città che rumori,
che paure e cavate di sangue abbia cagionato la voce disseminata
che si mirasse di notte una fantasima per le contrade. Oh! molti la
videro; ma loro la fece vedere la sola precedente apprensione e paura,
la quale è un’industriosa dipintrice, massimamente in tempo di notte.
Quel solo che si può credere senza veruna difficoltà essere avvenuto
qualche volta e poter di nuovo avvenire, si è che qualche scellerato
possa in tali occasioni valersi di veleni o d’unguenti pestiferi per
incamminare all’altro mondo qualche particolare e determinata persona,
la quale non avesse gran fretta o voglia d’andarvi, per isperanza di
cogliere i loro danari, o saccheggiare le loro case: il che avrà anche
dato motivo a più larghi e generali sospetti, e al che si dee ben por
mente, invigilando specialmente alla condotta de’ beccamorti, gente
ingordissima, e di chi volesse fare il medico e il cerusico allora
senza le legittime licenze ed approvazioni della sua abilità e fedeltà.
Per altro, che si dieno congiure di gente la quale con simili unti e
veleni si metta a far morire il popolo alla rinfusa, io non m’indurrei
a crederlo se non dopo una grande evidenza. La peste sola ha troppa
possanza d’empiere una città di stragi, senza ricorrere ad altre
incerte e straordinarie cagioni, lasciata la visibile e certa. Che se
faransi ben eseguir le regole fin qui prescritte non sarà facile che
alcun particolare insidj alla vita altrui, perchè tolta la comodità di
poter rubare o trasportar le robe infette, sarà anche tolto il prurito
di rubar prima la vita alle persone comode con falsi medicamenti e
veri veleni. Dirò in fine ch’io concepisco per cosa possibile che
infuriando la peste in una città, naturalmente compariscano talvolta i
martelli delle porte ed altri corpi duri come unti, qualora sia umida
o sciroccale l’aria, poichè la gran dissipazione e svolazzamento che
allora si fa di spiriti e vapori sì da tanti infermi come da tanti
cadaveri, può esser cagione che si fermi sulla superficie di alcuni
corpi qualche untuosità, se pure il gran terrore non fa allora prendere
per untumi la sola umettazione dell’aria e dello scirocco.


CAPO XI.
_Preparamento di lazzeretti per gl’infetti e pei sospetti.
Regole per luoghi tali. Danni che provengono dai lazzeretti;
sequestri ed altri rigori. Precauzioni necessarie. A chi si possa
permettere il sequestro. Attenzione sopra i beccamorti._

Un’altra gran cura de’ maestrati della sanità in tempo di peste ha
da esser quella de’ lazzeretti, per prepararli sul principio, se già
sieno fatti, o pure per costruirli, se mancassero, con provvederli di
tutto il bisognevole, cioè di ministri, letti, mobili, medicamenti,
vettovaglie, ecc. Sieno questi separati, se si può, dal corpo della
città, ma non molto lontani, in sito d’aria buona, ed abbiano le
stanze che non comunichino l’una con l’altra, acciocchè sia diviso chi
abita, e ricevano aria più tosto dalla tramontana che dal mezzogiorno,
dovendosi tener chiuse le finestre allorchè spirano dalle parti
meridionali venti caldi, sempre mal sani, ma specialmente in tempo
di peste. Abbiano fosse e mura d’intorno che impediscano ai sani il
commerciare e l’accostarsi, e agl’infermi il fuggire; con due sole
porte ben custodite dalle guardie, per l’una delle quali entrino
gl’infermi ed escano i cadaveri, e per l’altra passino gli uffiziali e
le vettovaglie. Il cimitero sia per un gran tratto distante da essi,
acciocchè i suoi vapori non arrivino ad accrescer l’infezione di chi
sta ne’ lazzeretti. Le case o camere degli uffiziali sieno segregate
anch’esse in buona forma dalle camere degl’infetti; anzi, se mai si
può, la loro abitazione sia separata affatto dallo stesso spedale,
poichè, per attestato de’ saggi, ciò ajuta di molto per conservar
quelli che operano in servigio degli appestati. Si provvederà d’uno
o più sacerdoti che ministrino i sacramenti e celebrino la messa
nella cappellina aperta da tutti i lati, la quale sarà situata in
mezzo al cortile, onde gl’infermi tutti dalle loro camere possano
vedere il santo sacrifizio. S’abbia ivi, se si può, un medico; ed
è indispensabile l’avervi uno o più cerusici, speziale, cuochi,
vivandieri, o sia provveditori del vitto, beccamorti, oste, o sia
dispensiere de’ cibi, con un direttore supremo ed altri uffiziali
subalterni e serventi, tanto uomini quanto donne per servigio dell’uno
e dell’altro sesso, che ivi ha da essere segregato. Tali basse persone
sogliono allora non difficilmente trovarsi, avvertendo eziandio che ai
disubbidienti del popolo si cambia talvolta la pena da loro meritata
nell’aggravio di servire ai lazzeretti: nel che però si dee camminare
con pesatezza, perchè la forza è un duro maestro al ben fare. Si
tenga nota del nome, cognome e parrocchia di chi vi entra e della sua
morte, occorrendo, per avvisarne poi il paroco o altri uffizi, cosa
da ricordarsi anche pel resto della città. Si faccia anche provvisione
di molte donne lattanti, avendole pronte pei fanciulli sani, ma rimasi
orfani e abbandonati per la morte de’ suoi. E in difetto di nutrici, si
procurino per tempo molte capre, le quali sono ottime balie in caso di
necessità, come s’è tante volte provato. Alle donne che lattano bisogna
levare, immediatamente che s’ha indizio del loro male, i fanciulli,
con poscia provveder cagnoline che tirino il latte loro, quando ve ne
sia bisogno. Si terranno rinchiuse tali bestie come se fossero persone
sospette; e infettandosi esse (il che succede) debbono tosto ammazzarsi
e prontamente seppellirsi in fosse profonde.
Due lazzeretti indispensabilmente convien costituire. Il primo per
gl’infetti, ove debbono condursi senza dilazione coloro che si scoprono
aver segni o infermità pestilenziale; e l’altro per gli sospetti,
cioè per condurvi coloro che non sono già infetti, ma hanno praticato
con infetti o robe infette. Egli è una crudeltà somma l’obbligare
quest’ultima sorta di persone ai lazzeretti degli appestati, perchè
potendo facilmente essere elle con tutto il sospetto ben sane, la
carità e giustizia esige che non si espongano al gravissimo pericolo
di divenir veramente infette nel coabitar con tanti altri appestati. Se
in questo secondo lazzeretto alcuno si scoprirà ferito dalla peste, si
trasferisca subito all’altro degl’infetti, acciocchè non si ammorbino
gli altri; e si profumi la stanza sua per renderla abitabile ad altri
che sopravvengano. Chi dei sospetti dopo 20 giorni resta sano, si
licenzj; e può in questo lazzeretto tenersi unita cadauna famiglia, con
che però, se venisse ad ammalarsi alcuno in essa con segni d’infezione,
e perciò s’avesse immediatamente da trasferire all’altro lazzeretto,
debba il resto della famiglia cominciar da capo la contumacia de’
sospetti. Ma avvertasi che prima di licenziare alcuno tanto da questo
quanto dall’altro lazzeretto, s’hanno di nuovo da purgare le vesti e
il corpo di lui. Cioè nel lazzeretto degl’infetti, risanato che uno
sia ben bene, v’ha da essere una gran caldaia d’acqua bollente in cui
si purgheranno le lenzuola, i panni e le vesti che servono o hanno
servito a lui, purchè sieno robe che soffrano tal purga; e si useranno
i profumi coll’altre robe incapaci di sofferir la caldaia. Intanto
il guarito, trattenendosi nudo in una stanza per un quarto d’ora, si
laverà o lascerà lavarsi il corpo con una buona lavanda d’aceto. A
chi dovrà licenziarsi dal lazzeretto de’ sospetti, basterà fare sì a
lui come a’ suoi panni un leggier profumo per lo spazio di mezz’ora.
Consigliano alcuni che i liberati dal male e dal chiostro degl’infetti
si facciano passare per alquanti giorni a quello dei sospetti. In tutti
e due i lazzeretti si faranno giornalmente dei profumi. Veggasi che
anche i poveri Ebrei costituiscano per lazzeretti della lor nazione
alcune case del loro ghetto colle necessarie provvisioni, ed abbiano
carretta a posta che in sito determinato fuori della città conduca i
loro cadaveri ad essere seppelliti. In difetto di fabbriche di pietra
pei lazzaretti, si sono talvolta fatte gran file di capanne alla
campagna aperta con tavole e travicelli a guisa de’ lazzeretti formali,
e tutto alle spese del pubblico. Dee anche avvertirsi che i condottieri
degl’infetti, siccome gente sospetta, debbono regolarsi come tutti
gli altri uffiziali e serventi de’ lazzeretti nell’abitare e vestire,
acciocchè ognuno fugga il commercio loro; ed essendo costoro per lo più
di genio ed impiego poco diversi da’ beccamorti, sarà necessario aver
sopra di loro una somma attenzione, perchè nel trasporto degl’infermi
non nascano que’ disordini, che non sono rari, di violenze, di ruberie
o di strapazzi a quei miseri pazienti. Chi poi potesse costituire un
terzo lazzeretto per i convalescenti a fine di condurvi i risanati
dalla peste, per assicurarsi meglio, farebbe un’utilissima provvisione.
Ciò si è praticato e si pratica dalle città doviziose. Ma le altre
appena han forza da reggere agli altri più necessari lazzeretti. Almeno
si noti ciò che scrive il P. Maurizio cappuccino colle seguenti parole:
Gli ammalati attuali s’hanno a separare dai convalescenti, perchè
questi sono molto più facili ad infettarsi dei primi, come in Genova,
Marsiglia e Tolone ed altrove ho diligentemente notato.
Null’altro dirò io intorno al governo de’ lazzeretti per non ingrossar
di troppo quest’opera. La prudenza de’ maestrati supplirà facilmente
a ciò ch’io tralascio; e il volume del cardinale Gastaldi risparmierà
loro la fatica di pensarvi molto. Più tosto mi preme di esporre qui
alcuni dei mali effetti e disordini che nascono dall’introduzione ed
uso tanto dei lazzeretti quanto dei sequestri degli infetti o sospetti
nelle loro case, in difetto di lazzeretti. Certo la sperienza ha
fatto vedere che tali ritrovamenti, utilissimi senza fallo, quando se
ne fa buon uso, accrescono, non diminuiscono i malori della peste,
se sono male usati. Il perchè presso alcuni scrittori è un punto
disputato forte, se talvolta sia maggiore l’utilità o il danno dei
lazzeretti, sequestri ed altri simili rigorosi rimedi politici. Se
crediamo a Lorenzo Candio e ad altri, nel 1478, essendo fiera la peste,
furono introdotti rigori inusitati, e cominciarono circa que’ tempi a
dirizzarsi lazzeretti (forse prima si mandavano gl’infetti alle sole
capanne, praticate anche dipoi in alcune città), e a mettersi pena la
vita per ogni minima cosa. La misera plebe spaventata e dal male e dai
rimedi del male, cadeva morta per tal timore impresso vivamente nella
loro immaginazione, massimamente al mirar tante morti ogni giorno. Si
facevano tutto dì ripari nuovi e consigli di medici, ma senza frutto e
sempre peggio. Finalmente aperti gli occhi, fu risoluto generosamente
di rallentare l’austerità; laonde cominciò a declinare il male, e in
breve cessò. Perciò non par buon consiglio l’usar talvolta eccessivi
rigori, sostenendo alcuni essere alle volte stati più quelli che in
tempi tali sono morti d’inopia e terrore senza peste, che gli altri
estinti di peste vera.
L’invenzione de’ lazzeretti e sequestri, soggiungono essi, apre l’adito
a mille ingiustizie, oppressioni e rubamenti, mentre quando non si
possa convenevolmente provvedere al bisogno degl’infermi e sequestrati,
è cagione che molti periscano di fame, di fetore, di doglia di cuore
e disperazione, essendo i lazzeretti d’ordinario mal tenuti e mal
provvisionati, e bene spesso serviti da gente empia e ladra. Il solo
timore d’essere condotto colà o di essere sequestrato, fa che molti
ascondano il male e conversino con gli altri; e senza medicarsi, e,
quel che è peggio, senza sacramenti, se ne muoiano e facciano morir
altri che alla buona hanno praticato con esso loro. Certo è che la
maggior parte naturalmente abborrisce l’essere strascinato sul carro
e il venir consegnato a gente non conosciuta e inumana, fra i puzzori
e le schifezze di tanti ammorbati. Che se vengono nelle lor case
sequestrati, niuno talora ardisce di dar loro mangiare e di medicarli,
morendo perciò alcuni abbandonati e disperati, anche per mali non
pestilenti, perchè nè pure i parenti osano entrare in casa di que’
meschini, per non esser poi anch’eglino sequestrati o condotti al
lazzeretto. E poi, chi è d’animo sì forte che non si atterrisse e non
cadesse in qualche o disperazione o passione straordinaria d’animo al
vedersi per ogni picciolo motivo di male, che talvolta nè pure è di
peste, levato e rapito improvvisamente, e con rigori e violenze, dal
proprio letto e casa, o dalle braccia de’ suoi più cari, con pericolo
ancora o perdita di tutte le robe sue (come tuttavia succede in qualche
paese d’Europa), e al mirarsi portato in massa con altri ammorbati in
que’ lazzeretti, che pur sono come tante beccherie, e luoghi regolati e
serviti per lo più da gente di poca o niuna carità, la quale non aiuta
nè consola, e se pur si risolve a soccorrere, il fa colla punta d’una
lunga picca, e con roba che non sollieva, ma accresce la miseria?
E per conto degli altri usi e rigori, egli è troppo facile l’avvilirsi
e il morire di spavento al vedere o sentire i ministri de’ lazzeretti
e i beccamorti andare attorno con facce orribili, abiti stravaganti e
voci spaventevoli, e portar via infermi e sani, vivi e morti, purchè
vi sia da rubacchiare. Nè si può dire che orrore spiri il frequente
suono di que’ loro campanelli. Certo si sa per relazione di persone
accreditate che molti da questi e simili spaventi oppressi, senza
essere appestati, vi lasciarono la vita. Perciò anche Livio narra
essersi in una peste mossi i Romani a rallentar tanti rigori; il che
fe’ in breve cessare la mortalità. Narrano parimente che ne’ contagi di
Firenze del 1325 e 1340 fu provveduto che si levassero via certi segni
funebri, certi suoni di campanelli per le strade, i quali aumentavano
la mestizia e il terrore ai poveri infermi, e che si rammentassero
loro i vivi e non mai i morti, con assicurarli di non muoverli dalle
loro case. In Bologna nella peste del 1527 fu ritrovato in fine per
miglior rimedio il levare i sequestri, e, lasciata la libertà e rimesso
il commercio, permettere che tutti comprassero e vendessero: con che,
tolta la strettezza, slargossi il cuore al popolo, e molti camparono
che sarebbono morti. Così in Venezia una volta e in alcune terre grosse
di Lombardia nel 1630 e 1631, dove moriva in quantità la povera gente,
nè si sapeva più che rimedio prendere, ho letto che furono levati i
sequestri, e subito que’ miseri tanto si rallegrarono, che uscendo
tutti all’aria libera e andando a procacciarsi le cose necessarie,
cominciarono a risanarsi la maggior parte, e cessò la mortalità.
Tali sono i sentimenti d’alcuni scrittori, ed io n’ho fatta menzione
non perchè s’abbia a mutare alcuna delle regole prescritte da
tanti saggi e praticate da loro, ma perchè questi disordini e
danni facciano ben tenere aperti gli occhi a’ maestrati, affinchè
i rimedi non diventino mali intollerabili anch’essi. Vero è che la
costituzione dei lazzeretti e il rigore dei sequestri soggiacciono a
diversi abusi; ma così è di tanti altri savi ritrovamenti e costumi
politici, il bene de’ quali non si ha da dismettere, perchè esso
non vada disgiunto per l’ordinario da molti pericoli e mali. Sicchè
considerino seriamente i maestrati di prevenire e rimediare, per
quanto si può, agli accennati abusi. Quando non possano provvedere