Del governo della peste e della maniera di guardarsene - 07
senza licenza del deputato ardisca levare o far levare qualsivoglia
roba da alcuna casa, monistero o altro luogo ove sia stato alcun
malato o morto, ancorchè non infetto di mal contagioso. Che a niuno
sia permesso l’introdurre lettere o altre robe, fuorchè per le porte
aperte della città e con participazione de’ deputati, sotto pena della
galera ed anche della vita, al qual castigo furono sottoposte per
ordine espresso del papa ancora le persone ecclesiastiche, secolari e
regolari e costituite in dignità. Che i confessori, medici, cerusici,
barbieri, mammane, sospetti o esposti, e i lor servitori, i beccamorti
e ogni altra persona non possano estrarre senza licenza del deputato
roba di qualunque sorta dalle case o luoghi segnati per cagione di
sanità, ancorchè la levassero per pagamento de’ lor crediti o per loro
mercede o per limosina o per convertirla in suffragio delle anime o per
iscarico della coscienza de’ padroni o per espressa commessione de’
medesimi. E qualora ne sieno state asportate, tutti, sì asportatori,
come complici e consapevoli, debbano in termine di tre giorni sotto
pena della vita e confiscazione, a cui sieno sottoposte d’ordine
del vescovo anche le persone ecclesiastiche, darne esatta notizia al
tribunal destinato, stante il troppo danno che nasce dal commercio,
maneggio e traffico di robe non espurgate; con promettere l’impunità
ai denunzianti, purchè non sieno già carcerati o inquisiti per tal
fatto. Si dee aggiungere una proibizion rigorosa di non poter vendere,
comperare, prestare e permutare senza licenza sì fatti mobili, panni e
vesti usate di qualsivoglia sorta; e per ogni maggior cautela proibir
l’introduzione in città di mobili e suppellettili, a riserva delle
biancherie di bucato, degli arnesi di cantina, rami o altri metalli,
vietando nella stessa guisa, se sarà creduto bene, il poter dare a
tingere o a lavare ad altri senza licenza le suppellettili, lasciando
solo che ognuno possa lavar le sue in sua casa o all’acqua corrente.
Essendo poi stato conosciuto anche dagli antichi che il maggior male
vien dal contatto di robe e mobili infetti, una volta si bruciava
una gran quantità d’esse, a fin di levar l’occasione alla gente
inavvertita o maliziosa ed avara di tirar addosso a sè stessi la morte
e di parteciparla ad altri. Ma perciocchè il ripiego di bruciar tante
robe, oltre che riusciva di non poca afflizione e danno ai padroni e
di pregiudizio ancora al pubblico, e tanto più se l’incendio si faceva
entro la città per cagion degli aliti pestiferi che ne esalano, era
anche cagione che tutti s’ingegnassero di nascondere e trafugar le robe
infette senza espurgarle, del che non può darsi uno sproposito più
pregiudiziale: furono dunque inventate espurgazioni regolate, mercè
delle quali si possono conservar quasi tutte le masserizie, vesti e
mobili delle case infette e sospette. Basta oggidì solamente consegnare
al fuoco i pagliacci o pur le sole paglie, i guanciali, i cuscini,
i cenci o sia gli stracci ed altre robe di minor conto che abbiano
immediatamente servito agli appestati, siccome ancora le piume dei
materassi, poichè si possono molto bene espurgar le lane e le fodere
d’essi.
In tre maniere pertanto può farsi l’espurgazion delle robe. La prima
si è d’esporle all’aria aperta, spiegandole e aprendole ben bene,
affinchè possano giocar in esse e in tutte le lor parti per molto tempo
il sole e l’aria, e battendole di quando in quando con bacchette. Ciò
si dimanda sciorinare, e col Ficino e col Mercuriale credo anch’io
che possano bastare venti giorni a tal sorta di spurgo; con avvertenza
però, che se fosse tal tempo solamente umido o spirassero scirocchi,
non sarebbe tolto ogni pericolo. La seconda è di mettere in una
caldaia d’acqua bollente, e di far bollire le robe capaci, e di lavar
le altre che possono sofferirlo, nell’acqua corrente, e di bagnare
e pulire la superficie degli altri mobili con aceto o simili potenti
antipestilenziali liquori. In Roma trovarono la forma di valersi a tal
effetto di folli che nell’acqua di canale andavano coi loro martelli
movendo e purgando le robe. Alle merci nuove, come lane, bombaci,
sete, lini e simili, che non possono senza gran discapito bagnarsi,
basterà la sciorinatura. La terza maniera è quella de’ profumi, cioè di
accender materie odorose, al fumo delle quali esposte le robe infette
o sospette, perdono qualunque spirito velenoso da loro contratto.
Ancor questo è un costume antico, e si praticavano profumi anche nelle
antiche pesti; ma se n’è fatto conoscere dipoi maggiormente l’utilità
del P. Maurizio da Tolone cappuccino, che gli adoperò con grande
utilità del pubblico in varie città, e massimamente in Genova nella
peste del 1656 siccome abbiamo dal suo Trattato politico. Esporrò
io qui il metodo suo, siccome quello che a me sembra il più facile,
plausibile ed utile.
Prescrive egli tre sorte di profumi, de’ quali ecco la composizione:
_Profumo per espurgare le case ed altre suppellettili grosse; e dose
per comporne cento libbre._
_Solfo lib._ 5.
_Rasa di pino lib._ 5.
_Antimonio crudo lib._ 3.
_Orpimento lib._ 3.
_Mirra lib. 3._
_Incenso comune lib._ 3.
_Ladano lib._ 2.
_Cubebe lib._ 2.
_Grani di ginebro lib._ 2.
_Pepe lib._ 4.
_Zenzero lib._ 4.
_Cumino lib._ 4.
_Cipero rotondo lib._ 2.
_Calamo aromat. lib._ 2.
_Aristolochia lib._ 2.
_Euforbio lib._ 4
_Crusca o sia remolo e breno lib._ 50.
_Profumo più violento; e dose di cento libbre per purgare i lazzeretti,
le sepolture, ed altre robe bisognose di maggior purgazione che le
case._
_Solfo lib._ 6.
_Rasa di pino lib._ 6.
_Orpimento lib._ 4.
_Antimonio lib._ 4.
_Arsenico lib._ 1.
_Assa fetida lib._ 3.
_Cinabro lib._ 3.
_Sale armoniaco lib._ 3
_Litargirio lib._ 4.
_Cumino lib._ 4.
_Euforbio lib._ 4.
_Pepe lib._ 4.
_Zenzero lib._ 4.
_Crusca lib._ 50.
_Profumo più soave, appellato della sanità; e dose di cento libbre._
_Incenso lib._ 5.
_Gomma lib._ 3.
_Storace lib._ 4.
_Mirra lib._ 5.
_Cannella lib._ 4.
_Noci moscate lib._ 2.
_Anisi lib._ 6.
_Iride di Firenze lib._ 6.
_Ladano lib._ 5.
_Pepe lib._ 8.
_Solfo lib._ 4.
_Crusca lib._ 46.
Tanta quantità d’ingredienti spaventerà forse alcuni e rincrescerà ad
altri; ma io per me tengo essere bensì utili, ma non essere necessari
molti d’essi, e bastare per li primi due profumi i principali d’essi
ingredienti che sono presso a poco i sei primi. E per conto dell’ultimo
profumo della sanità, dovrebbono bastarne alcuni altri, fra’ quali
non si dee mai tralasciare il solfo, la cui virtù contra gli spiriti
pestilenziali è di troppo momento, anzi sola basterebbe allo spurgo
delle case e delle robe. Che se ancora tali aromati mancassero alla
povera gente, procuri essa almeno di prendere legno o foglie e grani di
cipresso e di ginepro, rosmarino, timo, lavanda, salvia, maggiorana,
absintio o sia medichetto, o sia assenzio, melissa ed altre erbe
simili di sano e potente odore, e ben secche le riduca in polvere,
e mescolatele con un poco di solfo, ne faccia profumo. Le ragioni
fisico-mediche comprovano il valor di tali profumi; e Francesco
Ranchino con altri stima essere maggior l’efficacia di quei che son
fetenti o velenosi; ma io lasciando tali ricerche, mi ristringo alla
sperienza e all’uso, per quanto c’insegna il mentovato cappuccino.
Il profumo, dice egli, della sanità è un preservativo mirabile; e
se dall’uomo, cui convenga trattar con altri ed esporsi ad evidente
pericolo di restar ferito, sarà applicato a sè e alle vesti prima
di partirsi di casa, non si contrarrà il veleno pestilenziale, mercè
della qualità contraria impressa avanti da quel fumo, la cui virtù da
me scoperta (dovea dire, ancora da me conosciuta alle prove, perchè
ancora i vecchi usarono tali profumi, e il suddetto Ranchino, medico
di Mompeliere ne avea fatto molto prima un Trattato a posta per lo
spurgo della peste) la provarono i maestrati di Genova, i quali,
benchè più fiera che mai incrudelisse la peste, ad ogni modo, uscendo
per soddisfare nella città alle obbligazioni delle cariche loro, mai
più per divin favore non s’infettarono. Impedirono cotali profumi
che non si dessero alle fiamme tante robe, come si faceva prima con
danno incredibile de’ particolari, e pericolo della stessa città per
altri conti. Per mezzo d’essi non si smarrisce cosa alcuna, nè meno
abbandonandosi dagli abitanti le lor case, e si toglie a’ ladri la
comodità di rubare.
Questi profumi mutano l’aria delle case. Giovano, è vero, ancora i
gran fuochi ne’ cortili e innanzi alle finestre; ma non s’hanno a
tralasciare gl’interni delle medesime. Vero è che le robe sospette o
infette, purchè possa in tutte le lor parti giocar l’aria e il sole, se
vi stiano esposte per lungo tempo, si purgano abbastanza. Senza questo
si coverà quel veleno e potrà far gran danno anche molti anni dopo. Più
sono stimabili i profumi perchè in termine di ventiquattro ore restano
purgatissime le case e i lazzeretti medesimi e insino i letti degli
appestati; laddove le robe esposte all’aria han bisogno di quaranta
giorni, tempo molto lungo per una purga, e sono sottoposte a vari
accidenti di pioggia e ladri, e ad altri incomodi.
I profumi si fanno così. Bisogna chiuder porte, finestre e cammino;
e sopra una corda distribuire e collocar le vesti infette, lenzuola,
coperte, ecc., scucendole prima. Poi prese quattro o cinque libbre
di fieno molto secco, e compresso ben questo fieno vi si ponga sopra
tanto profumo, quanto capirà in ambe le mani unite insieme per due
volte; e poscia ricoprir questo con altro poco fieno spruzzato d’aceto,
acciocchè quella materia non si consumi se non a poco a poco. Si
attacchi il fuoco dalla parte di sotto in due o tre luoghi del fieno,
sostenendolo con bacchetta; e non si parta il profumatore, se nol vedrà
ben acceso. Dopo di che si ritiri ognuno, e si chiudano le porte molto
bene. Alcuni persuadono l’esporre anche dipoi le robe all’aria libera,
e il maneggiarle e batterle con verghe. Sarà utile, ma non è forse
necessario.
Per le robe non infette, ma sospette, basterà aprir le casse, le
credenze, gli armari, le scatole, gli scrigni, ecc. Le robe preziose
si potran coprire con qualche tovaglia o tela grossa, affinchè non
ricevano in sè la parte più grossa e terrea del fumo. Le vesti, ove sia
argento, e così i vasi d’argento patiscono notabilmente, come ancora le
pitture; e però si può adoperar loro qualche leggier profumo in camera
aperta, o pure esporli all’aria e al sole per quindici dì. Alle robe
solamente sospette si può adoperare il solo profumo della sanità. Per
l’espurgazion delle case infette è necessario il primo dei suddetti
profumi, fatto il quale, si lascino per tre giorni ben chiuse la casa e
le stanze; e dipoi spalancate le porte e finestre, si faccia che l’aria
vi giuochi e ne scacci il cattivo odore. Si può dipoi, occorrendo,
far ivi qualche soave profumo, per liberar le camere dal puzzo. Oltre
a ciò è ottimo consiglio il fare, e prima e poscia, scopar ben bene
tutte le stanze e insino i cammini, e in fine imbiancar di nuovo le
muraglie; e credo io che gioverebbe ancora il solo bagnarle con acqua
ove fosse stemperata calce viva. Certo la calce smorzata con acqua
entro le camere infette, è creduta bastante col suo penetrante fumo
a dissipare o consumare i semi nascosi del contagio; e la sperienza
lunga ha poi fatto conoscere che il dare più d’una mano d’essa alle
pareti, riesce uno spurgo delle case sicuro ed egualmente comodo a’
poveri che a’ ricchi. Deesi pur lavare il pavimento ed altri mobili
delle stanze, purchè ne sieno capaci, con un forte liscivo o aceto;
avvertendo di non lasciare indietro alcun ripostiglio o masserizia
e mobile capace di simili lavande e sospetto d’infezione, con levar
via insino le tele de’ ragni, e mandar lontano dalla casa tutte le
immondezze ivi raccolte e bruciarle. Natal Conti narra che nella peste
di Venezia del 1576 più di tutti gli altri giovarono dodici Grigioni, i
quali tra due o al più quattro giorni, purgavano le robe contagiose; nè
molti, quantunque diligentissimi perscrutatori, poterono intendere il
modo da lor tenuto. Usavano diversi, spessi ed efficacissimi profumi,
e praticando nelle case senza nocumento alcuno, restituirono le robe
purgate ai padroni che più non ne sentirono danno. Così era vicina
nell’anno 1675 a rimanere affatto spopolata per cagion della peste
l’isola e città di Malta; ma chiamati colà i profumatori di Marsiglia,
non diversi nell’operare dal P. Maurizio da Tolone, seppero così ben
profumare case, robe e persone, che indi a poco cessò interamente
quella terribile pestilenza.
Per li lazzeretti e per le sepolture, ove imprudentemente fossero
stati seppelliti cadaveri d’appestati, a fine di non perderne l’uso
e di levar anche i pericoli, caso che s’aprissero un giorno, usava
il suddetto cappuccino il secondo de’ profumi, cioè il più violento.
In Genova nella peste del 1656 purgò egli 430 tombe, ripiene sino al
colmo, colla seguente ingegnosa invenzione. Fece fare un tabernacolo di
legno, cioè il telaio d’una gran cassa quadrata lungo e largo dodici
palmi; e fattolo tutto al di fuori coprire e foderar molto bene di
tela incerata, di modo che non potesse il fumo aver uscita, lasciava
nelle parti che poggiavano in terra due fenestrelle quadrate di
quattro palmi l’una, acciocchè per l’una d’esse si aprisse il sepolcro
e per l’altra si preparasse o presentasse il profumo. Questo telaio
si andava postando sopra cadauna sepoltura; e mentre questa dall’una
delle fenestrelle facilmente s’apriva, dall’altra si accendeva e
spingeva dentro la composizione violenta. Ciò terminato, tutte e due
subito si chiudevano; e quel terribil fumo penetrando nelle tombe, non
solo soffocava e distruggeva il veleno pestilenziale, ma corrodeva
e consumava i cadaveri stessi. Dopo un’ora estinto il profumo, si
rimoveva il cassone dall’avello, e in esso gittata copiosa quantità
di terra, e calata poi con una fune nel vacuo rimanente nuova materia
da profumare ben aspersa di solfo pesto, vi si lasciava accesa, con
riporre al suo luogo la pietra e suggellarla diligentemente con
calcina, acciocchè il profumo di dentro purgasse ogni cosa. Dopo
qualche anno si poteano liberamente aprire ed usar quelle sepolture.
Ma chi abbonderà di giudizio, non avrà mai bisogno di fare espurgar
le tombe, perchè in tempi di peste non permetterà che alcuno sia ivi
seppellito.
Già è manifesto doversi espurgar tutte le robe infette o sospette,
sieno del paese o della città, sieno forestiere, nè poter queste
rientrar nel commercio degli uomini e de’ padroni stessi, se non sarà
preceduto lo spurgo: sopra che debbono farsi ordini rigorosissimi, con
replicarli ed accrescerli, affinchè tutto venga denunziato fedelmente
ai deputati, ancorchè fossero robe d’altri, e benchè rubate; nel qual
caso non si procederà criminalmente contra i ladri denunzianti. In
Roma, ove ogni cosa dovea portarsi agli espurgatorj e ben lontano,
con quel grave incomodo che si può facilmente immaginare, ma che si
può anche schivare usando i sopra insegnati profumi, i deputati allo
spurgo prendeano per sè una nota di tutte le robe loro consegnate,
e un’altra simile ne lasciavano ai padroni. Erano costituite gravi
pene ai deputati che levassero cosa, benchè di minimo valore,
portata allo spurgo: il che dee praticarsi in ogni sistema. Le gioie,
danari, ori ed argenti si purgavano senza levarli dalle case dove si
trovavano, e doveano subito consegnarsi ai padroni, o non essendovi
essi, portarli al Monte di Pietà in credito d’essi padroni o eredi.
Era vietato a tutti, ed anche agli ecclesiastici, l’entrare senza
licenza negli espurgatorj, siccome luogo infetto o sospetto. Sogliono
anche deputarsi religiosi per sovrastanti allo spurgo; e i medesimi
assistono all’inventario delle robe, entrando anch’essi nelle case per
impedire che i ministri non rubino. Sempre poi dee avvertirsi che gli
espurgatori e i condottieri di robe infette o sospette non hanno da
praticar con altri, e saran tenuti a portare abiti e segni distinti,
siccome gente sospetta. Nella nostra città fu nel 1630 prudentemente
pubblicata intimazione che i mobili e le case da espurgarsi non si
potessero espurgare nè far espurgare senza l’intervento dei pubblici
deputati e senza servare il modo prescritto per tal funzione; ed
altrimenti facendo, dovea riputarsi nullo, e rifarsi lo spurgo. Le
città ricche alle spese del pubblico fanno espurgar case e robe o
almeno esentano i poveri da tale aggravio. Quantunque poi molti de’
beccamorti ed espurgatori sogliono resistere al mal contagioso,
tuttavia per ogni buon fine vien loro consigliato e prescritto,
allorchè hanno da entrar in case ammorbate, il prendere prima qualche
antidoto e il non andarvi digiuni. Abbiano sempre la lor sopravveste di
tela incerata ed anche alle mani guanti di simil materia. Entrino colà
portando avanti a sè vasi di fuoco che faccia fumo. Entrati, aprano
le finestre e gli usci, ritirandosi, finchè l’aria abbia fatto un poco
di sventolamento, e dispersi que’ maligni vapori. Dopo di che facciano
l’uffizio loro. Altri sogliono, e saggiamente entrar nelle case infette
con de’ soffioni accesi, composti di polvere da fuoco, salnitro,
canfora, carbone di salce, e con un poco d’acquavite, o pure con torcia
da vento accesa. Per alcuni già avvezzi a trattar dimesticamente con
gli spiriti pestilenziali, parran forse superflue alcune di queste
precauzioni; ma pur troppo quello è un nimico da non fidarsene mai; e
però anche gli espurgatori abbiano manopole, legni lunghi, graffi di
ferro, mollette, forchette ed altri ordigni per maneggiare il men che
potranno colle mani le robe.
A fin poi di ben comprendere la somma importanza e necessità di una
esatta e fedele espurgazion delle case e robe infette, ha ciascuno
da imprimersi altamente nell’animo che tali robe e case facilmente
possono portar la morte a’ padroni stessi e a qualunque altra persona
che le maneggi o le abiti, non solamente allorchè dura la peste, ma
eziandio dappoichè essa è cessata. Quella di Roma nell’anno 1656 finì
verso la metà di marzo; ma per l’occultare che suol farsi delle robe
infette e non spurgate, il male ripullulò, con succedere varie morti
anche per alcuni mesi dipoi, finchè, replicate le diligenze, restò esso
affatto espugnato circa il principio dell’agosto. In tali casi, benchè
fosse stato restituito il commercio colle terre e città confinanti,
è necessario levarlo francamente di nuovo, col bandire sè stesso dai
sani, così esigendo la buona politica e la carità cristiana; e s’ha
poi da restituire a poco a poco la comunicazione, secondochè detterà la
prudenza. In Marsilia l’anno 1649, già cessata la peste e restituito il
commercio, dal contatto d’alcune vesti non ancora purgate fu riacceso
il fuoco in alcuni quartieri della città, il quale con rigoroso governo
fu sì valorosamente ristretto che non s’innoltrò in altre parti della
città con incendio maggiore. Il che si noti ancora, per chiudere,
occorrendo, quelle contrade che sole fossero infette, tentando la
preservazione di quelle che fossero sane. Gli editti pubblicati in
Modena l’anno 1630 fanno giustamente sospettare o credere che anche
dopo il dì tredici di novembre (in cui la festa che tuttavia si fa,
venne instituita, perchè in quel dì non morì alcuno di contagio)
succedessero casi di peste entro la medesima città, essendo rimaso
nel solo seguente gennaio affatto estinto il malore per le diligenze
che si replicarono. Quello ancora che dee far più spavento, si è la
sicura testimonianza di Filippo Ingrascia, celebre medico, il quale
narra che finita in Palermo la peste, per cui egli tanto scrisse ed
operò, questa da lì ad un anno ripullulò, e sì fieramente, come se
non vi fosse stata dianzi; colpa di robe non purgate e portate colà da
altri luoghi non peranche liberi dal male. Così, terminato affatto in
Firenze il contagio l’anno 1631, e restituita col commercio la pubblica
tranquillità, vi fu esso di bel nuovo portato da Livorno nel 1632. Come
si potè il meglio fu fatto riparo a questo nuovo assalto con rimettere
il lazzeretto e usar le altre diligenze, tanto che si credette con
grande allegrezza della città estinto il malore. Ma sul principio del
1633 divampò esso in un più grave incendio per cagione di panni infetti
venduti agli Ebrei e seminati per la città. E però anche finita la
peste, bisogna invigilare a’ casi che seguono, perchè questo è un male
che rifiglia. Nè per altro è credibile che si rinnovi tanto spesso in
Costantinopoli e in altre città del Turco la pestilenza, se non perchè
ivi troppo bestialmente si sprezzano o si trascurano gli spurghi. Il
Fracastoro, Giorgio Garnero, Alessandro Benedetto, Erasmo Edeno, Mattia
Untzero ed altri scrittori raccontano vari casi di robe infette che
dopo molti mesi ed anche anni, tirate in luce e toccate infettarono
le persone. Tralascio tanti altri esempi, bastando questi per ben
concepire che grave tradimento, sì del pubblico come di sè stesso,
commetta chiunque nasconde robe, vesti e masserizie infette senza i
convenevoli spurghi, e quanto sia biasimevole e nociva in questo punto
la negligenza o indulgenza de’ magistrati.
CAPO X.
_Cautela per esentar dallo spurgo varie robe. Provvisioni per
gli cani e gatti. Monete ed altri metalli se suggetti a portar
infezione. Regole per le robe ed animali. Luoghi eletti pel
commercio de’ commestibili, e maniera di farlo. Se si dia
contagio disseminato o dilatato dalla malizia. Riflessioni
intorno a’ mali effetti del terrore, e cautele._
Noteremo ora altri ricordi intorno all’infezione che può venir dalle
robe, e intorno allo spurgo delle medesime. E primieramente a fin di
salvarne molte dalla necessità dello spurgo, riuscirà di maggior quiete
e minore incomodo del pubblico, e di sommo vantaggio de’ particolari
prima che nella casa succeda accidente alcuno di peste, il levare
dalle guardarobe e stanze tutti i mobili, le scritture, pitture ed ogni
altra suppellettile che non servisse all’uso quotidiano o non potesse
bisognare in que’ pericolosi tempi, e far tutto rinchiudere in una o
più stanze con far sigillare le porte di essa o di esse camere per mano
di pubblico ministro, e con sigillo del pubblico o almeno con sigillo e
rogito di pubblico notaio, di maniera che nessuno possa entrarvi senza
rompere quel sigillo. Operando così, qualora dipoi avvenisse disgrazia
di peste in quella casa, le robe tutte ivi rinserrate s’intenderanno
non suggette all’incomodo degli spurghi. In Ferrara nel 1630 fu per
buona precauzione ordinato agli ufiziali del monte di pietà e a’
banchieri ebrei di mettere in luogo separato i pegni da loro presi per
l’addietro, e non di confonderli coi susseguenti, bollando le stanze
ove li riponevano, con sigillo e notizia del pubblico o in altra
maniera che assicurasse non aver eglino dipoi maneggiate più quelle
robe.
Gli animali irragionevoli possono ricevere nei loro peli o piume gli
spiriti pestilenziali e portarli seco e comunicarli a chi degli uomini
non si guarda, benchè eglino per l’ordinario nulla ne patiscano,
essendo cosa notissima che la peste d’una spezie d’animali non suol
ferire quei dell’altre spezie, ma sì ben dilatarsi e comunicarsi
per mezzo ancora di chi non ne resta internamente infetto. Così
all’incontro è avvenuto ed avviene nella terribil mortalità delle
bestie bovine, che da tre anni in qua va devastando senza rimedio
tanti territorj di Lombardia, ed entra, mentre sto scrivendo, anche
nel nostro paese, con far parimente una misera strage nel regno di
Napoli, nello Stato della chiesa romana, in Olanda e in altre parti
dell’Europa, mentre gli uomini praticando con buoi e vacche infette
senza provarne eglino danno alcuno nella persona portano via quegli
alimenti velenosi e infettano disavvedutamente le stalle, proprie o
d’altrui. Perciò in tempo di peste convien provvedere al pregiudizio
che possono recare i cani e gatti col portare nella lor pelle alle case
e persone sane l’infezione raccolta altrove, siccome ce ne assicurano
Marsilio Ficino, Guglielmo Grattarolo ed altri. Sogliono perciò le
ben regolate città allora far editto che si uccidano tali bestie, e
il pubblico d’alcune ha talvolta pagato sei o otto giulj per cadaun
cane ucciso, purchè fosse d’altri. Dovendosi nondimeno osservare che
nel 1630 per essere stati ammazzati tanti gatti in Padova, fu quella
città col suo territorio soggetta per gli due anni seguenti ad una
mirabil quantità di sorci; parrebbe più sicuro ripiego il solamente
ordinare che tutti custodissero con diligenza, anche per proprio bene,
i loro gatti e cani, con facoltà poi ed ordine di ammazzar quelli
che uscissero delle case e vagassero per le strade o per le case
altrui. Si può esser più rigido co’ cani cittadini, perchè la lor vita
regolarmente importa poco al pubblico, e sarebbe sciocchezza il volere
unicamente per lusso esporre a un gran pericolo la propria e l’altrui
vita.
Per poi regolarsi bene nel commercio o contatto degli altri animali
e delle altre robe, si osserveranno le seguenti regole tratte da’
migliori maestri. Alcuni (e fra essi l’Ingrascia, il Mercuriale e il
Diemerbrochio) tengono che l’oro, l’argento e gli altri metalli non
ricevano nè serbino contagio; e il suddetto Ingrascia fa sapere agli
altri medici che piglino pur le monete allegramente, mentre anch’egli
faceva lo stesso insino dagli appestati, e così caldi caldi se li
metteva in tasca, non avendo operato diversamente gli altri medici
e cerusici del suo paese, e tutti senza infezione e danno. Certo la
superficie de’ metalli per sè stessa, a cagione della lor densità
e freddezza, non par capace di ritener gli spiriti velenosi della
peste. Tuttavia perchè può essere attaccata qualche ruggine, feccia,
untume o altra materia impura o terrea ad essi metalli, e massimamente
a’ danari, e con ciò unirsi gli aliti pestilenziali, e possono i
medesimi essere stati toccati dal sudore d’un infetto: per ogni maggior
cautela si dee ritenere o non abbandonare la regola inveterata di
purgarli, mettendoli in aceto o in acqua ben calda. Le pietre preziose
anch’esse si porranno solamente in acqua, acciocchè non restino
offese dall’aceto. Da altri si crede che la carta e per conseguente le
lettere non contraggano nè ritengano l’infezione per cagione della lor
superficie consistente e liscia. Trattandosi nondimeno di risparmiare
i pericoli, s’ha da ritener la saggia cautela di profumare o bagnar
coll’aceto le carte sottili da scrivere o da stampare, e di profumare
i libri, ma con più diligenza; e non sarebbe se non bene il tenere,
dopo i profumi, la carta grossa e i cartoni e le pergamene all’aria per
molti giorni. Per conto poi delle lettere suddette, costume lodevole
si è il profumarle ben bene, bagnandole anche prima con aceto, e il
tagliare i pieghi affinchè entro vi penetri il profumo. Gli espurgatori
di esse lettere debbono contenersi come gente sospetta, e perciò
non trattar co’ sani, e hanno anch’essi da preservarsi con guanti,
incerate, profumi, ecc. Le lettere che vengono da paese infetto o non
si debbono ammettere, o convien aprirle e profumarle con più diligenza.
Che se ne’ pieghi delle lettere si chiudesse altro che carta, s’ha da
provvedervi con aprirle; avvertendo di deputare per sì geloso ufficio
persone timorate di Dio, ed anche religiose che prendano giuramento di
non rivelare i fatti altrui.
I vasi di vetro coperti di paglia o vimini si purghino col profumo;
se nudi, con acqua sola. Ogni sorta di panno, corde e tele, sì di seta
come di lino, canapa, bambagia, e massimamente di lana, si purghi per
due ore col profumo della sanità. Le piume, i peli e le pelli d’ogni
animale, quando non sieno salate di fresco ed umide, sono soggette a
ricevere e comunicar l’infezione; e però si debbono ben purgare o con
profumi o con esporle per molto tempo all’aria e al sole. I cavalli,
buoi, vitelli, muli ed altri giumenti e le capre, purchè si facciano
prima transitar per acqua ovvero sieno immersi più volte in essa o
lavati interamente due o tre volte con essa, potranno ammettersi,
avvertendo però che vengano nudi; perchè portando capezze, corde,
roba da alcuna casa, monistero o altro luogo ove sia stato alcun
malato o morto, ancorchè non infetto di mal contagioso. Che a niuno
sia permesso l’introdurre lettere o altre robe, fuorchè per le porte
aperte della città e con participazione de’ deputati, sotto pena della
galera ed anche della vita, al qual castigo furono sottoposte per
ordine espresso del papa ancora le persone ecclesiastiche, secolari e
regolari e costituite in dignità. Che i confessori, medici, cerusici,
barbieri, mammane, sospetti o esposti, e i lor servitori, i beccamorti
e ogni altra persona non possano estrarre senza licenza del deputato
roba di qualunque sorta dalle case o luoghi segnati per cagione di
sanità, ancorchè la levassero per pagamento de’ lor crediti o per loro
mercede o per limosina o per convertirla in suffragio delle anime o per
iscarico della coscienza de’ padroni o per espressa commessione de’
medesimi. E qualora ne sieno state asportate, tutti, sì asportatori,
come complici e consapevoli, debbano in termine di tre giorni sotto
pena della vita e confiscazione, a cui sieno sottoposte d’ordine
del vescovo anche le persone ecclesiastiche, darne esatta notizia al
tribunal destinato, stante il troppo danno che nasce dal commercio,
maneggio e traffico di robe non espurgate; con promettere l’impunità
ai denunzianti, purchè non sieno già carcerati o inquisiti per tal
fatto. Si dee aggiungere una proibizion rigorosa di non poter vendere,
comperare, prestare e permutare senza licenza sì fatti mobili, panni e
vesti usate di qualsivoglia sorta; e per ogni maggior cautela proibir
l’introduzione in città di mobili e suppellettili, a riserva delle
biancherie di bucato, degli arnesi di cantina, rami o altri metalli,
vietando nella stessa guisa, se sarà creduto bene, il poter dare a
tingere o a lavare ad altri senza licenza le suppellettili, lasciando
solo che ognuno possa lavar le sue in sua casa o all’acqua corrente.
Essendo poi stato conosciuto anche dagli antichi che il maggior male
vien dal contatto di robe e mobili infetti, una volta si bruciava
una gran quantità d’esse, a fin di levar l’occasione alla gente
inavvertita o maliziosa ed avara di tirar addosso a sè stessi la morte
e di parteciparla ad altri. Ma perciocchè il ripiego di bruciar tante
robe, oltre che riusciva di non poca afflizione e danno ai padroni e
di pregiudizio ancora al pubblico, e tanto più se l’incendio si faceva
entro la città per cagion degli aliti pestiferi che ne esalano, era
anche cagione che tutti s’ingegnassero di nascondere e trafugar le robe
infette senza espurgarle, del che non può darsi uno sproposito più
pregiudiziale: furono dunque inventate espurgazioni regolate, mercè
delle quali si possono conservar quasi tutte le masserizie, vesti e
mobili delle case infette e sospette. Basta oggidì solamente consegnare
al fuoco i pagliacci o pur le sole paglie, i guanciali, i cuscini,
i cenci o sia gli stracci ed altre robe di minor conto che abbiano
immediatamente servito agli appestati, siccome ancora le piume dei
materassi, poichè si possono molto bene espurgar le lane e le fodere
d’essi.
In tre maniere pertanto può farsi l’espurgazion delle robe. La prima
si è d’esporle all’aria aperta, spiegandole e aprendole ben bene,
affinchè possano giocar in esse e in tutte le lor parti per molto tempo
il sole e l’aria, e battendole di quando in quando con bacchette. Ciò
si dimanda sciorinare, e col Ficino e col Mercuriale credo anch’io
che possano bastare venti giorni a tal sorta di spurgo; con avvertenza
però, che se fosse tal tempo solamente umido o spirassero scirocchi,
non sarebbe tolto ogni pericolo. La seconda è di mettere in una
caldaia d’acqua bollente, e di far bollire le robe capaci, e di lavar
le altre che possono sofferirlo, nell’acqua corrente, e di bagnare
e pulire la superficie degli altri mobili con aceto o simili potenti
antipestilenziali liquori. In Roma trovarono la forma di valersi a tal
effetto di folli che nell’acqua di canale andavano coi loro martelli
movendo e purgando le robe. Alle merci nuove, come lane, bombaci,
sete, lini e simili, che non possono senza gran discapito bagnarsi,
basterà la sciorinatura. La terza maniera è quella de’ profumi, cioè di
accender materie odorose, al fumo delle quali esposte le robe infette
o sospette, perdono qualunque spirito velenoso da loro contratto.
Ancor questo è un costume antico, e si praticavano profumi anche nelle
antiche pesti; ma se n’è fatto conoscere dipoi maggiormente l’utilità
del P. Maurizio da Tolone cappuccino, che gli adoperò con grande
utilità del pubblico in varie città, e massimamente in Genova nella
peste del 1656 siccome abbiamo dal suo Trattato politico. Esporrò
io qui il metodo suo, siccome quello che a me sembra il più facile,
plausibile ed utile.
Prescrive egli tre sorte di profumi, de’ quali ecco la composizione:
_Profumo per espurgare le case ed altre suppellettili grosse; e dose
per comporne cento libbre._
_Solfo lib._ 5.
_Rasa di pino lib._ 5.
_Antimonio crudo lib._ 3.
_Orpimento lib._ 3.
_Mirra lib. 3._
_Incenso comune lib._ 3.
_Ladano lib._ 2.
_Cubebe lib._ 2.
_Grani di ginebro lib._ 2.
_Pepe lib._ 4.
_Zenzero lib._ 4.
_Cumino lib._ 4.
_Cipero rotondo lib._ 2.
_Calamo aromat. lib._ 2.
_Aristolochia lib._ 2.
_Euforbio lib._ 4
_Crusca o sia remolo e breno lib._ 50.
_Profumo più violento; e dose di cento libbre per purgare i lazzeretti,
le sepolture, ed altre robe bisognose di maggior purgazione che le
case._
_Solfo lib._ 6.
_Rasa di pino lib._ 6.
_Orpimento lib._ 4.
_Antimonio lib._ 4.
_Arsenico lib._ 1.
_Assa fetida lib._ 3.
_Cinabro lib._ 3.
_Sale armoniaco lib._ 3
_Litargirio lib._ 4.
_Cumino lib._ 4.
_Euforbio lib._ 4.
_Pepe lib._ 4.
_Zenzero lib._ 4.
_Crusca lib._ 50.
_Profumo più soave, appellato della sanità; e dose di cento libbre._
_Incenso lib._ 5.
_Gomma lib._ 3.
_Storace lib._ 4.
_Mirra lib._ 5.
_Cannella lib._ 4.
_Noci moscate lib._ 2.
_Anisi lib._ 6.
_Iride di Firenze lib._ 6.
_Ladano lib._ 5.
_Pepe lib._ 8.
_Solfo lib._ 4.
_Crusca lib._ 46.
Tanta quantità d’ingredienti spaventerà forse alcuni e rincrescerà ad
altri; ma io per me tengo essere bensì utili, ma non essere necessari
molti d’essi, e bastare per li primi due profumi i principali d’essi
ingredienti che sono presso a poco i sei primi. E per conto dell’ultimo
profumo della sanità, dovrebbono bastarne alcuni altri, fra’ quali
non si dee mai tralasciare il solfo, la cui virtù contra gli spiriti
pestilenziali è di troppo momento, anzi sola basterebbe allo spurgo
delle case e delle robe. Che se ancora tali aromati mancassero alla
povera gente, procuri essa almeno di prendere legno o foglie e grani di
cipresso e di ginepro, rosmarino, timo, lavanda, salvia, maggiorana,
absintio o sia medichetto, o sia assenzio, melissa ed altre erbe
simili di sano e potente odore, e ben secche le riduca in polvere,
e mescolatele con un poco di solfo, ne faccia profumo. Le ragioni
fisico-mediche comprovano il valor di tali profumi; e Francesco
Ranchino con altri stima essere maggior l’efficacia di quei che son
fetenti o velenosi; ma io lasciando tali ricerche, mi ristringo alla
sperienza e all’uso, per quanto c’insegna il mentovato cappuccino.
Il profumo, dice egli, della sanità è un preservativo mirabile; e
se dall’uomo, cui convenga trattar con altri ed esporsi ad evidente
pericolo di restar ferito, sarà applicato a sè e alle vesti prima
di partirsi di casa, non si contrarrà il veleno pestilenziale, mercè
della qualità contraria impressa avanti da quel fumo, la cui virtù da
me scoperta (dovea dire, ancora da me conosciuta alle prove, perchè
ancora i vecchi usarono tali profumi, e il suddetto Ranchino, medico
di Mompeliere ne avea fatto molto prima un Trattato a posta per lo
spurgo della peste) la provarono i maestrati di Genova, i quali,
benchè più fiera che mai incrudelisse la peste, ad ogni modo, uscendo
per soddisfare nella città alle obbligazioni delle cariche loro, mai
più per divin favore non s’infettarono. Impedirono cotali profumi
che non si dessero alle fiamme tante robe, come si faceva prima con
danno incredibile de’ particolari, e pericolo della stessa città per
altri conti. Per mezzo d’essi non si smarrisce cosa alcuna, nè meno
abbandonandosi dagli abitanti le lor case, e si toglie a’ ladri la
comodità di rubare.
Questi profumi mutano l’aria delle case. Giovano, è vero, ancora i
gran fuochi ne’ cortili e innanzi alle finestre; ma non s’hanno a
tralasciare gl’interni delle medesime. Vero è che le robe sospette o
infette, purchè possa in tutte le lor parti giocar l’aria e il sole, se
vi stiano esposte per lungo tempo, si purgano abbastanza. Senza questo
si coverà quel veleno e potrà far gran danno anche molti anni dopo. Più
sono stimabili i profumi perchè in termine di ventiquattro ore restano
purgatissime le case e i lazzeretti medesimi e insino i letti degli
appestati; laddove le robe esposte all’aria han bisogno di quaranta
giorni, tempo molto lungo per una purga, e sono sottoposte a vari
accidenti di pioggia e ladri, e ad altri incomodi.
I profumi si fanno così. Bisogna chiuder porte, finestre e cammino;
e sopra una corda distribuire e collocar le vesti infette, lenzuola,
coperte, ecc., scucendole prima. Poi prese quattro o cinque libbre
di fieno molto secco, e compresso ben questo fieno vi si ponga sopra
tanto profumo, quanto capirà in ambe le mani unite insieme per due
volte; e poscia ricoprir questo con altro poco fieno spruzzato d’aceto,
acciocchè quella materia non si consumi se non a poco a poco. Si
attacchi il fuoco dalla parte di sotto in due o tre luoghi del fieno,
sostenendolo con bacchetta; e non si parta il profumatore, se nol vedrà
ben acceso. Dopo di che si ritiri ognuno, e si chiudano le porte molto
bene. Alcuni persuadono l’esporre anche dipoi le robe all’aria libera,
e il maneggiarle e batterle con verghe. Sarà utile, ma non è forse
necessario.
Per le robe non infette, ma sospette, basterà aprir le casse, le
credenze, gli armari, le scatole, gli scrigni, ecc. Le robe preziose
si potran coprire con qualche tovaglia o tela grossa, affinchè non
ricevano in sè la parte più grossa e terrea del fumo. Le vesti, ove sia
argento, e così i vasi d’argento patiscono notabilmente, come ancora le
pitture; e però si può adoperar loro qualche leggier profumo in camera
aperta, o pure esporli all’aria e al sole per quindici dì. Alle robe
solamente sospette si può adoperare il solo profumo della sanità. Per
l’espurgazion delle case infette è necessario il primo dei suddetti
profumi, fatto il quale, si lascino per tre giorni ben chiuse la casa e
le stanze; e dipoi spalancate le porte e finestre, si faccia che l’aria
vi giuochi e ne scacci il cattivo odore. Si può dipoi, occorrendo,
far ivi qualche soave profumo, per liberar le camere dal puzzo. Oltre
a ciò è ottimo consiglio il fare, e prima e poscia, scopar ben bene
tutte le stanze e insino i cammini, e in fine imbiancar di nuovo le
muraglie; e credo io che gioverebbe ancora il solo bagnarle con acqua
ove fosse stemperata calce viva. Certo la calce smorzata con acqua
entro le camere infette, è creduta bastante col suo penetrante fumo
a dissipare o consumare i semi nascosi del contagio; e la sperienza
lunga ha poi fatto conoscere che il dare più d’una mano d’essa alle
pareti, riesce uno spurgo delle case sicuro ed egualmente comodo a’
poveri che a’ ricchi. Deesi pur lavare il pavimento ed altri mobili
delle stanze, purchè ne sieno capaci, con un forte liscivo o aceto;
avvertendo di non lasciare indietro alcun ripostiglio o masserizia
e mobile capace di simili lavande e sospetto d’infezione, con levar
via insino le tele de’ ragni, e mandar lontano dalla casa tutte le
immondezze ivi raccolte e bruciarle. Natal Conti narra che nella peste
di Venezia del 1576 più di tutti gli altri giovarono dodici Grigioni, i
quali tra due o al più quattro giorni, purgavano le robe contagiose; nè
molti, quantunque diligentissimi perscrutatori, poterono intendere il
modo da lor tenuto. Usavano diversi, spessi ed efficacissimi profumi,
e praticando nelle case senza nocumento alcuno, restituirono le robe
purgate ai padroni che più non ne sentirono danno. Così era vicina
nell’anno 1675 a rimanere affatto spopolata per cagion della peste
l’isola e città di Malta; ma chiamati colà i profumatori di Marsiglia,
non diversi nell’operare dal P. Maurizio da Tolone, seppero così ben
profumare case, robe e persone, che indi a poco cessò interamente
quella terribile pestilenza.
Per li lazzeretti e per le sepolture, ove imprudentemente fossero
stati seppelliti cadaveri d’appestati, a fine di non perderne l’uso
e di levar anche i pericoli, caso che s’aprissero un giorno, usava
il suddetto cappuccino il secondo de’ profumi, cioè il più violento.
In Genova nella peste del 1656 purgò egli 430 tombe, ripiene sino al
colmo, colla seguente ingegnosa invenzione. Fece fare un tabernacolo di
legno, cioè il telaio d’una gran cassa quadrata lungo e largo dodici
palmi; e fattolo tutto al di fuori coprire e foderar molto bene di
tela incerata, di modo che non potesse il fumo aver uscita, lasciava
nelle parti che poggiavano in terra due fenestrelle quadrate di
quattro palmi l’una, acciocchè per l’una d’esse si aprisse il sepolcro
e per l’altra si preparasse o presentasse il profumo. Questo telaio
si andava postando sopra cadauna sepoltura; e mentre questa dall’una
delle fenestrelle facilmente s’apriva, dall’altra si accendeva e
spingeva dentro la composizione violenta. Ciò terminato, tutte e due
subito si chiudevano; e quel terribil fumo penetrando nelle tombe, non
solo soffocava e distruggeva il veleno pestilenziale, ma corrodeva
e consumava i cadaveri stessi. Dopo un’ora estinto il profumo, si
rimoveva il cassone dall’avello, e in esso gittata copiosa quantità
di terra, e calata poi con una fune nel vacuo rimanente nuova materia
da profumare ben aspersa di solfo pesto, vi si lasciava accesa, con
riporre al suo luogo la pietra e suggellarla diligentemente con
calcina, acciocchè il profumo di dentro purgasse ogni cosa. Dopo
qualche anno si poteano liberamente aprire ed usar quelle sepolture.
Ma chi abbonderà di giudizio, non avrà mai bisogno di fare espurgar
le tombe, perchè in tempi di peste non permetterà che alcuno sia ivi
seppellito.
Già è manifesto doversi espurgar tutte le robe infette o sospette,
sieno del paese o della città, sieno forestiere, nè poter queste
rientrar nel commercio degli uomini e de’ padroni stessi, se non sarà
preceduto lo spurgo: sopra che debbono farsi ordini rigorosissimi, con
replicarli ed accrescerli, affinchè tutto venga denunziato fedelmente
ai deputati, ancorchè fossero robe d’altri, e benchè rubate; nel qual
caso non si procederà criminalmente contra i ladri denunzianti. In
Roma, ove ogni cosa dovea portarsi agli espurgatorj e ben lontano,
con quel grave incomodo che si può facilmente immaginare, ma che si
può anche schivare usando i sopra insegnati profumi, i deputati allo
spurgo prendeano per sè una nota di tutte le robe loro consegnate,
e un’altra simile ne lasciavano ai padroni. Erano costituite gravi
pene ai deputati che levassero cosa, benchè di minimo valore,
portata allo spurgo: il che dee praticarsi in ogni sistema. Le gioie,
danari, ori ed argenti si purgavano senza levarli dalle case dove si
trovavano, e doveano subito consegnarsi ai padroni, o non essendovi
essi, portarli al Monte di Pietà in credito d’essi padroni o eredi.
Era vietato a tutti, ed anche agli ecclesiastici, l’entrare senza
licenza negli espurgatorj, siccome luogo infetto o sospetto. Sogliono
anche deputarsi religiosi per sovrastanti allo spurgo; e i medesimi
assistono all’inventario delle robe, entrando anch’essi nelle case per
impedire che i ministri non rubino. Sempre poi dee avvertirsi che gli
espurgatori e i condottieri di robe infette o sospette non hanno da
praticar con altri, e saran tenuti a portare abiti e segni distinti,
siccome gente sospetta. Nella nostra città fu nel 1630 prudentemente
pubblicata intimazione che i mobili e le case da espurgarsi non si
potessero espurgare nè far espurgare senza l’intervento dei pubblici
deputati e senza servare il modo prescritto per tal funzione; ed
altrimenti facendo, dovea riputarsi nullo, e rifarsi lo spurgo. Le
città ricche alle spese del pubblico fanno espurgar case e robe o
almeno esentano i poveri da tale aggravio. Quantunque poi molti de’
beccamorti ed espurgatori sogliono resistere al mal contagioso,
tuttavia per ogni buon fine vien loro consigliato e prescritto,
allorchè hanno da entrar in case ammorbate, il prendere prima qualche
antidoto e il non andarvi digiuni. Abbiano sempre la lor sopravveste di
tela incerata ed anche alle mani guanti di simil materia. Entrino colà
portando avanti a sè vasi di fuoco che faccia fumo. Entrati, aprano
le finestre e gli usci, ritirandosi, finchè l’aria abbia fatto un poco
di sventolamento, e dispersi que’ maligni vapori. Dopo di che facciano
l’uffizio loro. Altri sogliono, e saggiamente entrar nelle case infette
con de’ soffioni accesi, composti di polvere da fuoco, salnitro,
canfora, carbone di salce, e con un poco d’acquavite, o pure con torcia
da vento accesa. Per alcuni già avvezzi a trattar dimesticamente con
gli spiriti pestilenziali, parran forse superflue alcune di queste
precauzioni; ma pur troppo quello è un nimico da non fidarsene mai; e
però anche gli espurgatori abbiano manopole, legni lunghi, graffi di
ferro, mollette, forchette ed altri ordigni per maneggiare il men che
potranno colle mani le robe.
A fin poi di ben comprendere la somma importanza e necessità di una
esatta e fedele espurgazion delle case e robe infette, ha ciascuno
da imprimersi altamente nell’animo che tali robe e case facilmente
possono portar la morte a’ padroni stessi e a qualunque altra persona
che le maneggi o le abiti, non solamente allorchè dura la peste, ma
eziandio dappoichè essa è cessata. Quella di Roma nell’anno 1656 finì
verso la metà di marzo; ma per l’occultare che suol farsi delle robe
infette e non spurgate, il male ripullulò, con succedere varie morti
anche per alcuni mesi dipoi, finchè, replicate le diligenze, restò esso
affatto espugnato circa il principio dell’agosto. In tali casi, benchè
fosse stato restituito il commercio colle terre e città confinanti,
è necessario levarlo francamente di nuovo, col bandire sè stesso dai
sani, così esigendo la buona politica e la carità cristiana; e s’ha
poi da restituire a poco a poco la comunicazione, secondochè detterà la
prudenza. In Marsilia l’anno 1649, già cessata la peste e restituito il
commercio, dal contatto d’alcune vesti non ancora purgate fu riacceso
il fuoco in alcuni quartieri della città, il quale con rigoroso governo
fu sì valorosamente ristretto che non s’innoltrò in altre parti della
città con incendio maggiore. Il che si noti ancora, per chiudere,
occorrendo, quelle contrade che sole fossero infette, tentando la
preservazione di quelle che fossero sane. Gli editti pubblicati in
Modena l’anno 1630 fanno giustamente sospettare o credere che anche
dopo il dì tredici di novembre (in cui la festa che tuttavia si fa,
venne instituita, perchè in quel dì non morì alcuno di contagio)
succedessero casi di peste entro la medesima città, essendo rimaso
nel solo seguente gennaio affatto estinto il malore per le diligenze
che si replicarono. Quello ancora che dee far più spavento, si è la
sicura testimonianza di Filippo Ingrascia, celebre medico, il quale
narra che finita in Palermo la peste, per cui egli tanto scrisse ed
operò, questa da lì ad un anno ripullulò, e sì fieramente, come se
non vi fosse stata dianzi; colpa di robe non purgate e portate colà da
altri luoghi non peranche liberi dal male. Così, terminato affatto in
Firenze il contagio l’anno 1631, e restituita col commercio la pubblica
tranquillità, vi fu esso di bel nuovo portato da Livorno nel 1632. Come
si potè il meglio fu fatto riparo a questo nuovo assalto con rimettere
il lazzeretto e usar le altre diligenze, tanto che si credette con
grande allegrezza della città estinto il malore. Ma sul principio del
1633 divampò esso in un più grave incendio per cagione di panni infetti
venduti agli Ebrei e seminati per la città. E però anche finita la
peste, bisogna invigilare a’ casi che seguono, perchè questo è un male
che rifiglia. Nè per altro è credibile che si rinnovi tanto spesso in
Costantinopoli e in altre città del Turco la pestilenza, se non perchè
ivi troppo bestialmente si sprezzano o si trascurano gli spurghi. Il
Fracastoro, Giorgio Garnero, Alessandro Benedetto, Erasmo Edeno, Mattia
Untzero ed altri scrittori raccontano vari casi di robe infette che
dopo molti mesi ed anche anni, tirate in luce e toccate infettarono
le persone. Tralascio tanti altri esempi, bastando questi per ben
concepire che grave tradimento, sì del pubblico come di sè stesso,
commetta chiunque nasconde robe, vesti e masserizie infette senza i
convenevoli spurghi, e quanto sia biasimevole e nociva in questo punto
la negligenza o indulgenza de’ magistrati.
CAPO X.
_Cautela per esentar dallo spurgo varie robe. Provvisioni per
gli cani e gatti. Monete ed altri metalli se suggetti a portar
infezione. Regole per le robe ed animali. Luoghi eletti pel
commercio de’ commestibili, e maniera di farlo. Se si dia
contagio disseminato o dilatato dalla malizia. Riflessioni
intorno a’ mali effetti del terrore, e cautele._
Noteremo ora altri ricordi intorno all’infezione che può venir dalle
robe, e intorno allo spurgo delle medesime. E primieramente a fin di
salvarne molte dalla necessità dello spurgo, riuscirà di maggior quiete
e minore incomodo del pubblico, e di sommo vantaggio de’ particolari
prima che nella casa succeda accidente alcuno di peste, il levare
dalle guardarobe e stanze tutti i mobili, le scritture, pitture ed ogni
altra suppellettile che non servisse all’uso quotidiano o non potesse
bisognare in que’ pericolosi tempi, e far tutto rinchiudere in una o
più stanze con far sigillare le porte di essa o di esse camere per mano
di pubblico ministro, e con sigillo del pubblico o almeno con sigillo e
rogito di pubblico notaio, di maniera che nessuno possa entrarvi senza
rompere quel sigillo. Operando così, qualora dipoi avvenisse disgrazia
di peste in quella casa, le robe tutte ivi rinserrate s’intenderanno
non suggette all’incomodo degli spurghi. In Ferrara nel 1630 fu per
buona precauzione ordinato agli ufiziali del monte di pietà e a’
banchieri ebrei di mettere in luogo separato i pegni da loro presi per
l’addietro, e non di confonderli coi susseguenti, bollando le stanze
ove li riponevano, con sigillo e notizia del pubblico o in altra
maniera che assicurasse non aver eglino dipoi maneggiate più quelle
robe.
Gli animali irragionevoli possono ricevere nei loro peli o piume gli
spiriti pestilenziali e portarli seco e comunicarli a chi degli uomini
non si guarda, benchè eglino per l’ordinario nulla ne patiscano,
essendo cosa notissima che la peste d’una spezie d’animali non suol
ferire quei dell’altre spezie, ma sì ben dilatarsi e comunicarsi
per mezzo ancora di chi non ne resta internamente infetto. Così
all’incontro è avvenuto ed avviene nella terribil mortalità delle
bestie bovine, che da tre anni in qua va devastando senza rimedio
tanti territorj di Lombardia, ed entra, mentre sto scrivendo, anche
nel nostro paese, con far parimente una misera strage nel regno di
Napoli, nello Stato della chiesa romana, in Olanda e in altre parti
dell’Europa, mentre gli uomini praticando con buoi e vacche infette
senza provarne eglino danno alcuno nella persona portano via quegli
alimenti velenosi e infettano disavvedutamente le stalle, proprie o
d’altrui. Perciò in tempo di peste convien provvedere al pregiudizio
che possono recare i cani e gatti col portare nella lor pelle alle case
e persone sane l’infezione raccolta altrove, siccome ce ne assicurano
Marsilio Ficino, Guglielmo Grattarolo ed altri. Sogliono perciò le
ben regolate città allora far editto che si uccidano tali bestie, e
il pubblico d’alcune ha talvolta pagato sei o otto giulj per cadaun
cane ucciso, purchè fosse d’altri. Dovendosi nondimeno osservare che
nel 1630 per essere stati ammazzati tanti gatti in Padova, fu quella
città col suo territorio soggetta per gli due anni seguenti ad una
mirabil quantità di sorci; parrebbe più sicuro ripiego il solamente
ordinare che tutti custodissero con diligenza, anche per proprio bene,
i loro gatti e cani, con facoltà poi ed ordine di ammazzar quelli
che uscissero delle case e vagassero per le strade o per le case
altrui. Si può esser più rigido co’ cani cittadini, perchè la lor vita
regolarmente importa poco al pubblico, e sarebbe sciocchezza il volere
unicamente per lusso esporre a un gran pericolo la propria e l’altrui
vita.
Per poi regolarsi bene nel commercio o contatto degli altri animali
e delle altre robe, si osserveranno le seguenti regole tratte da’
migliori maestri. Alcuni (e fra essi l’Ingrascia, il Mercuriale e il
Diemerbrochio) tengono che l’oro, l’argento e gli altri metalli non
ricevano nè serbino contagio; e il suddetto Ingrascia fa sapere agli
altri medici che piglino pur le monete allegramente, mentre anch’egli
faceva lo stesso insino dagli appestati, e così caldi caldi se li
metteva in tasca, non avendo operato diversamente gli altri medici
e cerusici del suo paese, e tutti senza infezione e danno. Certo la
superficie de’ metalli per sè stessa, a cagione della lor densità
e freddezza, non par capace di ritener gli spiriti velenosi della
peste. Tuttavia perchè può essere attaccata qualche ruggine, feccia,
untume o altra materia impura o terrea ad essi metalli, e massimamente
a’ danari, e con ciò unirsi gli aliti pestilenziali, e possono i
medesimi essere stati toccati dal sudore d’un infetto: per ogni maggior
cautela si dee ritenere o non abbandonare la regola inveterata di
purgarli, mettendoli in aceto o in acqua ben calda. Le pietre preziose
anch’esse si porranno solamente in acqua, acciocchè non restino
offese dall’aceto. Da altri si crede che la carta e per conseguente le
lettere non contraggano nè ritengano l’infezione per cagione della lor
superficie consistente e liscia. Trattandosi nondimeno di risparmiare
i pericoli, s’ha da ritener la saggia cautela di profumare o bagnar
coll’aceto le carte sottili da scrivere o da stampare, e di profumare
i libri, ma con più diligenza; e non sarebbe se non bene il tenere,
dopo i profumi, la carta grossa e i cartoni e le pergamene all’aria per
molti giorni. Per conto poi delle lettere suddette, costume lodevole
si è il profumarle ben bene, bagnandole anche prima con aceto, e il
tagliare i pieghi affinchè entro vi penetri il profumo. Gli espurgatori
di esse lettere debbono contenersi come gente sospetta, e perciò
non trattar co’ sani, e hanno anch’essi da preservarsi con guanti,
incerate, profumi, ecc. Le lettere che vengono da paese infetto o non
si debbono ammettere, o convien aprirle e profumarle con più diligenza.
Che se ne’ pieghi delle lettere si chiudesse altro che carta, s’ha da
provvedervi con aprirle; avvertendo di deputare per sì geloso ufficio
persone timorate di Dio, ed anche religiose che prendano giuramento di
non rivelare i fatti altrui.
I vasi di vetro coperti di paglia o vimini si purghino col profumo;
se nudi, con acqua sola. Ogni sorta di panno, corde e tele, sì di seta
come di lino, canapa, bambagia, e massimamente di lana, si purghi per
due ore col profumo della sanità. Le piume, i peli e le pelli d’ogni
animale, quando non sieno salate di fresco ed umide, sono soggette a
ricevere e comunicar l’infezione; e però si debbono ben purgare o con
profumi o con esporle per molto tempo all’aria e al sole. I cavalli,
buoi, vitelli, muli ed altri giumenti e le capre, purchè si facciano
prima transitar per acqua ovvero sieno immersi più volte in essa o
lavati interamente due o tre volte con essa, potranno ammettersi,
avvertendo però che vengano nudi; perchè portando capezze, corde,
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