Danza macàbra - 1

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CAMILLO ANTONA-TRAVERSI

DANZA MACÀBRA

COMMEDIA IN QUATTRO ATTI

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1895.

TIPOGRAFIA MILITARE
_(Via Marsili N. 4)_


AL CHIARO PROFESSORE
G. P. ZULIANI

_Amico e maestro dilettissimo,_
_Firenze, 25 gennaio 1894._
Intitolando al chiaro nome di Lei questa mia commedia, io pago un debito
antico e per me sacro.
Chè di tutte le cose belle e buone che sono sulla terra, l'amicizia —
intesa e praticata come la intendevano e praticavano gli antichi romani
— è la più alta, la più gentile, la più sacra! oso anche dire la più
vera.
E Lei è stato sempre per me un amico, un fratello.
De' molti e salutari suoi consigli ho fatto in ogni tempo tesoro: e se
ho potuto dare al teatro italiano qualche commedia non del tutto
infelice, a Lei, a Lei solo, lo devo.
Confessandomene in pubblico, adempio un dolcissimo dovere; e dandole il
caro nome di maestro, dirò solo, e a mala pena, ciò che il cuore mi
detta.
Da Lei ho imparato ad amar l'arte sul serio: da Lei mi son venute le
prime norme dello scrivere per il teatro: dalla lettura delle sue
dottissime critiche l'insegnamento più utile e più salutare.
S'abbia, dunque, con la povera offerta di questa mia _Danza macàbra_ —
che la buona critica italiana ha giudicata degna figliuola delle
_Rozeno_ —, tutto il mio cuore e tutta la mia ineffabile gratitudine.
Con affetto di discepolo, di amico, di fratello m'è soprammodo caro
dichiararmi
Affezionatissimo
CAMILLO ANTONA-TRAVERSI.


_Al cortese che mi legge,_
Bologna, 1.º decembre '93.
Dimorando in Roma, dove passo i migliori mesi dell'anno, ho assistito,
in questa _fine di secolo_, a molte tragiche vicende; ma nessuna di esse
ha tanto commosso la mia fantasia, quanto lo sfasciarsi delle colossali
_fortune_ delle principesche famiglie romane.
Qual immensa rovina: qual crollo formidabile di tutto un passato
storicamente importante: quale sfacelo doloroso e terribile delle
maggiori glorie avite, delle più nobili tradizioni, delle più colossali
ricchezze, della vetusta opera di tanti secoli!
Chi, or sono pochi mesi, con la mente e il cuore pieni degli storici
ricordi delle maggiori famiglie del superbo Patriziato romano, si
raggirava — muto e silenzioso — per le sale ampie e solenni de' lor
palazzi, un giorno così sfolgoreggianti di una folle ricchezza, non
dubbia testimonianza di un fasto, ch'ebbe i più grandi splendori; e,
oggi, deserti d'ogni arazzo, d'ogni tappeto, d'ogni mobile, d'ogni
oggetto di lusso, d'ogni quadro, d'ogni vaso antico, d'ogni stemma
nobiliare, d'ogni segno della grandezza di un tempo; non isfuggiva,
certo, a un senso di sacro terrore e d'incommensurabile pietà.
Perchè si può essere, fin che si vuole, figli di questi giorni, così
densi di nobili aspirazioni verso un _presente_ più umano, più civile,
più sociale, più vicino alla religione predicata da Cristo, e
riaccostantesi assai più a' veri fini della natura e del consorzio
civile; ma non è possibile, per chi serbi almeno la scorza d'uomo, non
sentirsi profondamente commosso dinanzi alla maestosa rovina di tanti
secoli di nobiltà, di ricchezza e di gloria!

Certo la caduta del grande Patriziato romano è uno de' più benefici
effetti del tempo che è il nostro. Quando una casta — sia pur
storicamente gloriosa — ha percorso il ciclo assegnatole nel tempo, è
legge salutare e naturale che si consumi e perisca; rinnovellandosi
sotto altra forma, con altri aspetti; dando vita a nuove usanze, a nuove
idee, a nuovo e assai più confacente decoro.
Il crollo di tutto un passato di dispotismo, d'ingiustizia, di sfida a
ogni benessere umano e civile, di prepotenza, di assolutismo,
d'ignoranza e di superstizione volgare, non può non riempire di giubilo
ogni anima assetata dell'eterno Vero: ogni cuore anelante a quella
morale e sociale rigenerazione della impoverita e sofferente Umanità.
Ma, ripeto, l'artista e l'uomo di cuore non possono, al tempo stesso,
vedere sparire, senza un senso di dolorosa mestizia e di sincero
rimpianto, tutti i tesori artistici che, per tanti secoli, formarono il
maggiore e miglior ornamento di tanta gente secolarmente grande e
superba.
Portare sulla scena una di queste storiche famiglie romane: mettere i
Vecchi di fronte a' Giovani: colpire gli uni e gli altri in ciò che era,
sino a poco tempo fa, il lor più nobile retaggio; e in pieno petto:
rappresentarli ne' loro stessi vizj: dipingerli, qual sono, per la
maggior parte ignoranti, giocatori, scavezzacolli, sfaccendati,
filibustieri: coglierli nelle non possedute virtù pubbliche e private:
mostrare come i Giovani siano stati travolti dalla Borghesia, dalla
quale si fecero afferrare senza preparazione di sorta alcuna: mettere a
nudo la miseria intellettuale, la fastosa prosopopea, le meretricie
debolezze, i vizj delle lor dame: fare, in una parola, che si
distruggano per forza propria, anzichè per il nuovo impulso de' tempi
novissimi; e non isfuggire insieme a quel giusto senso di commiserazione
che pur devono e non possono non destare, parve a me, confesso,
argomento de' più importanti per un commediografo moderno.

Innamorato di un tal argomento: raccolti in Roma tutti i documenti
necessarj: studiate, da vicino, le cagioni di tanta aristocratica e
imperversante rovina, m'accinsi animoso all'opera; non senza dubitare —
confesso qui candidamente — delle povere mie forze e dell'ingegno
poverissimo.
Il lavoro, da quando nacque nella mia mente, e si tradusse sulla carta,
andò soggetto a innumerevoli trasformazioni. A mano a mano che davo vita
a' personaggi da me studiati nella vita, m'imbattevo in difficoltà
tecniche, non facilmente superabili. Si può voler essere _veristi_ fin
che si vuole sulla scena; e dichiarar guerra aperta a ogni
_convenzione_, a ogni _mezzuccio_ volgare: si può essere, come io sono,
sacerdote della dea Verità; tendere al _Vero umano_ semplicemente; ma
non è possibile sfuggire del tutto alle dure pretensioni e alle fatali
strettoje sceniche: di qui, solo di qui, difficoltà senza numero, che
solo coloro i quali hanno scritto almeno una volta per il teatro,
possono intender di leggieri.

In tanto, il mio ottimo Cesare Rossi — che, dopo il successo delle mie
_Rozeno_, da Lui e da' bravi attori della sua _Compagnia_ portate
trionfalmente per i maggiori teatri d'Italia, aveva riposto in me e
nell'arte mia la più cieca fiducia — non mi dava tregua; e mi tempestava
di lettere e di amichevoli sollecitazioni. E, come lui, così i suoi
attori, miei carissimi amici, interpreti assai degni delle mie povere,
ma sincere, commedie. Io, afflitto anche da una grave malattia
d'occhi, cagionata dal soverchio lavoro notturno, facevo orecchi di
mercante; e non cessavo, in tanto, dall'accarezzare e fermar meglio
nella mente i personaggi, cui vagheggiavo toglier dalla vita per
trasportare, senza ipocrisia e non senza coraggio civile, sopra la
scena.
Io promisi, almeno per quanto è consentito alla volontà umana, di
consegnare all'illustre Attore la mia _Danza macàbra_ perchè la
rappresentasse, nel mese di ottobre, al teatro _Alfieri_ di Torino. E,
detto fatto, mantenni la parola data.

Questa volta — grazie al cielo e al buon successo continuato delle
_Rozeno_ — non ebbi a soffrir davvero, nè ad aspettare più d'un anno,
per vedere questa mia _Danza_ brillare, od oscurarsi, all'incerto lume
della ribalta.
Uso a mantenere la mia parola, da Bologna, dov'era in cura de' miei
poveri occhi, mandai il _copione_ della _Danza_ a Torino: e una cara
lettera di Cesare Rossi m'avvertì che la _commedia_ sarebbe stata messa
subito in prova e studiata con gran diligenza e infinito amore.
«Il tuo lavoro — mi scriveva l'illustre Attore — pare a me, e a' miei
Compagni, superiore per _tecnica_ e _pensiero_ alle Rozeno: resta solo a
vedere se avrà, per il pubblico, la stessa _teatralità_. Te lo metto
subito _in prova_, e ti aspetto a Torino.»
Non avevo fatto leggere a nessun amico, e a nessun critico, la mia
_Danza_: e ciò non per sentimento d'immodestia o soverchia fiducia nelle
mie forze; sì bene perchè intimamente persuaso che qualunque
suggerimento, o consiglio, se da me trovato giusto, m'avrebbe costretto
a mancare alla parola data, e alla _andata in iscena_ a Torino; che i
giornali avevano già annunziata.
Ebbi solo la ventura d'incontrare a Bologna, di passaggio, un amico
carissimo, l'egregio prof. Zuliani, il ben noto e stimato critico
dell'_Italie_ e del _Diritto_; che già tanto conforto mi aveva dato
quando scrissi le _Rozeno_. Lo pregai di volermi dare un'ora sola del
suo tempo: ciò ch'egli fece con la solita tradizionale bontà. Udita che
ebbe la mia _Danza_, m'abbracciò e confortò a spedirla, senz'altro, a
Cesare Rossi. E io, lieto e rassicurato, conoscendo il grande valore e
la sincerità dell'amico mio, feci così com'egli mi disse.[1]
[1] Una _seconda lettura_ della mia _Danza_, feci, a dir vero,
pochi giorni dopo, ad alcuni amici e a diversi attori delle
_Compagnie_ Emanuel e Vitaliani nello storico caffè dell'_Arena
del Sole_. Il mio bravo POMPEO SANSONI così ne parla in una
corrispondenza da lui mandata allo _Scaramuccia_ (Firenze, 27
novembre, anno XXV, n.º 13):
«Il caffè dell'Arena del Sole, accoglie in ogni tempo,
personalità drammatiche. Comici, artisti critici, qui convengono
tutti; e non c'è attore o autore che, giungendo a Bologna, non
si senta attirato verso l'antico ritrovo intellettuale. Si
discute d'arte, di commedie nuove, di attrici; e si maligna
qualche volta anche un poco!
«Volete trovare il simpatico autore delle _Rozeno_? Cercatelo al
_Caffè dell'Arena_, e lo vedrete subito fra un monte di lettere
e giornali — lavoratore infaticabile. Alcuni lo guardano
trepidanti. Sono impiegati postali, che veggono crescere
smisuratamente il monte delle lettere e de' giornali, sul tavolo
del Professore.
«Fu in una saletta di questo Caffè, che, poche sere prima della
rappresentazione, il Traversi lesse, a un nucleo di amici,
attori e giornalisti, la sua _Danza Macàbra_.
«La lettura di una commedia riesce molte volte nojosa, spesso
insopportabile. L'autore legge male, o mette troppo calore ne'
momenti culminanti, o riesce monotono nelle scene d'assieme, che
non vengono in tutto comprese. Ma letto il primo atto di _Danza
Macàbra_, impostato maestrevolmente, con mano sicura da chi
conosce tutte le esigenze della scena e del pubblico; breve,
efficace; con una esposizione di caratteri studiati e cólti
nella vita; que' pochi che ascoltavano la lettura — fra cui
ricordo Pasqualino Ruta, Cesare Dondini, G. C. Galvani, E.
Baccani, Ausilio Levi, A. Colonnello, A. Colarelli, la
intelligentissima Maria Rosa Guidantonj — cominciarono a
prestare quella intensa attenzione, che solo può essere destata
da una vera opera d'arte. E tutti ci convincemmo che la commedia
del Traversi non era delle solite a base di effetti volgari; ma
lavoro fortemente pensato, che presentava in tutte le sue parti
un insieme armonico, dal quale scaturivano potentissime le scene
drammatiche salienti e i caratteri si svolgevano umanamente
veri, senza incertezze; animando il quadro che l'autore ci aveva
messo dinanzi con vivacità di coloriti e potenza di aziono.
«E così, uditane la lettura, a _Danza Macàbra_ pronosticammo un
successo.»
Dopo quindici giorni di _prove intelligenti_ e _assidue_ sul vasto
palcoscenico dell'_Alfieri_ — prove che, se pur ce ne fosse stato
bisogno, mi fecero capir meglio di quanta bontà e di quanto zelo siano
animati i nostri Attori — andammo in iscena, dinanzi al pubblico delle
_grandi occasioni_, la sera del 14 ottobre.
L'aspettativa era molta; perchè il fine e spassionato pubblico
torinese, non che la critica, che in quella città è maestra di cortesia
e di sapere, aspettavano da me, se non certo un capolavoro (ben altro
ingegno e ben altra coltura ci vorrebbero!), un lavoro almeno
dagl'intendimenti moderni e sociali.
La mia buona stella, e la squisita bontà del gran pubblico torinese,
accorso in folla al teatro _Alfieri_, non che la somma valentia de' miei
interpreti, fecero sì che il successo si determinasse sino dal _primo
atto_; e si accalorasse a mano a mano che l'azione, negli atti seguenti,
si disegnava nettamente.
Il secondo atto piacque; e, come il primo, mi procacciò varie _chiamate_
al proscenio. Ma il grande successo, quello che fa venire le lacrime
agli occhi e ti fa benedire al pubblico e all'arte, si determinò al
calare della tela sull'atto terzo.
Non dimenticherò mai di aver visto quella folla, che poche ore prima
paventavo tanto, sollevarsi in piedi e applaudirmi con tale assordante
rumore e tale scrosciar di battimani, da commuovermi sino alle lacrime.
Come fu benedetta per me quell'ora, quel momento indimenticabile! Come
mi sentii, in quell'istante, felice, pienamente felice! Come avrei
voluto ringraziare tutti quegli spettatori a uno a uno, e dir loro
quanto mi sentivo grato e commosso!
Il _quarto atto_ coronò il lieto successo di tutto il lavoro, e mi
procacciò altre numerose _chiamate_ alla ribalta.
La battaglia era, dunque, vinta; interamente vinta. Il pubblico di
Torino aveva, d'un tratto, afferrato l'intimo intendimento del mio
lavoro; e aveva, con maravigliosa prontezza, colmato le lacune e
riempiti i vuoti.
Io era, ripeto, come poche volte m'avvenne nella vita, felice,
interamente felice!

La mattina di poi, i valorosi Cauda, della _Gazzetta di Torino_; Abbate,
della _Gazzetta del Popolo_; Vittorio Banzatti, della _Gazzetta
Piemontese_; Domenico Lanza, della _Gazzetta della domenica_
confermavano, non solo il successo completo, ma lo ravvaloravano con le
loro buone osservazioni critiche, mettendo in rilievo così i pregj, come
i difetti dell'opera.
Le repliche furono _nove_, e sempre più liete.

Ma avrebbe un altro gran pubblico italiano apposto il suggello della
propria firma al successo torinese? Ecco il dubbio che mi travagliava, e
sminuiva la mia legittima contentezza.

Alla distanza di un sol mese, venne il giudizio de' Veneziani: un altro
gran pubblico, noto per la severità e imparzialità sua: che giudica a
teatro secondo il proprio sentire, e non si lascia dominare, nè
persuadere, da' successi teatrali delle altre città; antico e fedele
custode della gloriosa tradizione goldoniana. E fu un giudizio
anche più entusiastico di quello datomi da' Torinesi. M'ebbi, al
_Goldoni_, numerosissime _chiamate_, e ricordo ancora lo scrosciare
degli applausi unanimi che echeggiarono e risonarono per ben otto volte
nell'ampia sala dello storico teatro.
Le repliche, anche a Venezia, si seguirono con crescente successo; e,
ciò che più giova, con piena e sincera soddisfazione de' Veneziani.
Gli egregj critici Toni (_Munaro_) della Venezia, Ricchetti
dell'_Adriatico_, Mazzacolin dell'_Arte drammatica_, scrissero, sulla
mia Danza, articoli magistrali, assai lusinghieri per la commedia, per
l'autore, e per gl'interpreti.

A giudizio così de' critici di Torino, come di Venezia, io, senza far
torto agli altri nostri Attori, non troverò, facilmente, chi possa e
sappia incarnare il mio _Principe Lanfranchi_, come Cesare Rossi. E, di
vero, sin dal primo comparire in sulla scena del magnifico Attore, il
pubblico capì di avere dinanzi a sè un Principe romano autentico.
L'atteggiamento aristocratico della persona; l'abito elegante e severo;
la _truccatura_ felicissima, nell'aristocratica semplicità sua; il modo
tutto signorile di porgere; la misurata e non istudiata commozione nelle
scene capitali del _terzo_ e del _quarto_ atto, arrivarono a ciò che, in
gergo teatrale, dicesi una vera e propria _creazione_.
Anche questa volta, dunque, come per le _Rozeno_, m'ebbi nel
sommo nostro Attore, non già un interprete, sì bene un vero e proprio
collaboratore.
Teresina Mariani, che m'ha sempre portato fortuna, e condotto sempre con
l'arte sua alla vittoria — ricordo, a chi nol sappia, che l'ebbi a prima
interprete nel _Matrimonio d'Alberto_, ne' _Cugini_, ne' _Tordi e
fringuelli_, e, da ultimo, nelle _Rozeno_, da lei a dirittura create —
fu una _Duchessa Silvia_ quale non avrei certo potuto sperare nè più
efficace, nè più calda, nè più vera. Ebbe — specie nelle due scene
finali del _secondo_ e del _terzo atto_, e nella gran-scena del _quarto_
col vecchio Principe — slanci, inflessioni di voce, impeti di sincerità
e di passione, da trascinare il difficile pubblico veneziano e torinese
a un applauso caldo, sincero, spontaneo.
Anche questa volta vado dunque debitore a questa Gentile, che in pochi
anni ha percorso luminosamente sì grande cammino nella spinosa via
dell'arte sua, le maggiori e più durevoli soddisfazioni.
Devo anche — è giustizia riconoscere — buona parte degli unanimi
applausi avuti, all'arte semplice, sobria, efficace, corretta di Carlo
Rosaspina; che incarnò l'_Ingegnere Salvetti_ con quelle doti che fanno
di lui uno de' nostri primissimi attori. Nelle scene finali del _primo_
e _secondo atto_, e in tutto l'_atto terzo_ — fatica speciale del _primo
attore_ — ebbe momenti d'impeto, di passione, di sincerità da meritarsi
gli applausi più entusiastici.
Vittorio Zampieri fu, come sempre, efficacissimo, e — ciò che più giova
nella _Danza_ — singolarmente efficace. Il Tombari; N. Masi; U. Piperno;
la gentile coppia Guasti; le brave signorine Annita Bergonzio e Maria
Volante; gli egregj Mugnaini e Cantinelli; il sempre misurato e valoroso
Colombari, recitarono da que' bravi attori che sono, e diedero non
piccolo rilievo alle mie scene.
Difficilmente, confesso, troverò degl'interpreti più coscienziosi e più
amici dell'Autore.
A tutti i miei affettuosi e sinceri ringraziamenti.

E, ora, alla mia _Danza_ un augurio paterno: — possa essa, con simili o
con altri non meno valorosi interpreti, _danzare_, per lunghi anni,
sulle maggiori o minori scene d'Italia! —
Sia anche questo il tuo augurio, o caro amico lettore!
CAMILLO ANTONA-TRAVERSI

TEATRO ALFIERI
TORINO
Mercoledì 14 ottobre 1893 — ore 20 e mezzo
La Drammatica Compagnia della CITTÀ DI TORINO
diretta dal
Comm. CESARE ROSSI
darà la
=DANZA MACÀBRA=
Commedia nuovissima in 4 atti di
CAMILLO ANTONA-TRAVERSI
_Personaggi_
Principe Lanfranchi =C. Rossi=
Maurizio, duca di Colle-Verde, suo figlio _V. Zampieri_
Donna Silvia, moglie del duca _T. Mariani_
Fabrizio, secondo figlio del principe _U. Piperno_
Gustavo, marchese di Pietrascarpa _N. Masi_
Donna Elena, sua moglie, nipote del principe _A. Bergonzio_
Riccardo Salvetti, ingegnere _C. Rosaspina_
Tommaso Gaspari, amministratore di casa Lanfranchi _A. Colombari_
Vittorio, giovane impiegato _A. Guasti_
Emma, sua fidanzata _E. Guasti_
Fausto Moretti, costruttore _A. Tombari_
Madamigella Esther, governante in casa Lanfranc _M. Volante_
Commendator Ottaviani, deputato _A. Mugnaini_
Gabriella, sua moglie _C. Bella_
Conte Sereni, deputato _P. Cantinelli_
Enrichetto, figlio di Maurizio e di Silv _C. Rosaspina_
Giacomo _L. Bergonzio_
Ambrogio _G. Bergonzio_
Usciere _E. Faggioli_
L'azione ha luogo a Roma — Tempo presente.
NOTABENE
Dal secondo al terzo atto passano dieci mesi.


DANZA MACÀBRA

PERSONAGGI
Principe LANFRANCHI.
MAURIZIO, Duca di Colle-Verde, suo figlio.
Donna SILVIA, moglie del Duca.
FABRIZIO, secondo figlio del Principe.
GUSTAVO, Marchese di Pietrascarpa.
Donna ELENA, nipote del Principe, moglie di Gustavo.
RICCARDO SALVETTI, ingegnere.
TOMMASO GASPARI, amministratore di casa Lanfranchi.
VITTORIO ARDITI, giovane impiegato.
EMMA, sua fidanzata.
FAUSTO MORETTI, costruttore.
Comm. OTTAVI, Deputato.
GABRIELLA, sua moglie.
Mad.a ESTHER, governante in casa Lanfranchi.
Conte SERENI, deputato.
ENRICHETTO, figlio di Maurizio e di Silvia.
GIACOMO, servo in casa Lanfranchi.
AMBROGIO, servo in casa Lanfranchi.
Usciere.
Due Signori.
L'azione ha luogo in Roma.
Tempo presente.
_N. B. Dal secondo al terzo atto passano dieci mesi._


_ATTO PRIMO_
Gran salone di ricevimento nel palazzo Lanfranchi. —
Architettura del _Rinascimento_. — Nel fondo, a destra dello
spettatore, porta altissima, formata di quattro colonne di
marmo, e capitello di marmo, che comunica in una Galleria di
quadri.
A sinistra, un camino artistico, anch'esso di marmo.
Al di sopra, in modo da coprire tutta la parete, grande
arazzo. — Porte laterali. — Grandi portiere. — Mobili
artistici e di lusso. — Lampadari di Venezia, con candele, e
lampade a olio colorate. — Fiori. — Quadri.
Tra i mobili del fondo, in un angolo, un piccolo porta liquori
con bottiglie e bicchieri.
Le poltrone, e i sofà devono esser disposti in modo da
consentire a' personaggi di formare i gruppi.

SCENA I.
_All'alzare della tela, =Giacomo= e =Ambrogio= stanno
accendendo le candele e i lumi del Salone e della Galleria. —
=Tommaso=, in frak e cravatta bianca, entra dalla destra dello
spettatore, seguito da =Vittorio= che ha in mano lettere e
carte._
TOMM. _(ai servi)_ Accendete da per tutto... anche la Galleria... _(a
Vittorio)_ Vediamo... ho altro da dirle?... _(pensa)_ Ah, sì!...
_(levando di tasca una carta)_ Bisogna spedire questo telegramma... e
poi... poi non c'è più nulla!... Può andare a dormire.... _(ridendo)_ e
questo è l'ultimo ordine che le do!...
VITT. L'ultimo!?
TOMM. Sì!... Il Principe aderisce al desiderio da lei manifestato... e
la impiega negli Ufficj della Società per il quartiere Lanfranchi....
VITT. _(con gioja)_ Davvero!? —
TOMM. Lui stesso... gliene darà domani la lieta notizia.
VITT. _(con espansione)_ Che lei, signor Tommaso ha voluto
anticiparmi?.... Grazie!...
TOMM. _(sempre ironico)_ È proprio contento di lasciarmi... di sottrarsi
al mio giogo?!...
VITT. _(con sollecitudine)_ Le rincresce?!
TOMM. Di perderla?!... Oh, no!... Anzi mi fa piacere....
VITT. _(maravigliato)_ Come!?
TOMM. Non per lei... che, in fondo, è un bravo ragazzo...; ma perchè
posso così impiegare un giovinetto intelligente... attivo... un vero
lavoratore... che mi sta molto a cuore....
VITT. Allora....
TOMM. Tutti contenti... e buona fortuna!... _(lo saluta con la mano)_.
VITT. Oh, non mi congedo!
TOMM. Perchè?
VITT. Dovrò vederla ancora, signor Tommaso, parecchie volte in questi
giorni.... La signora Duchessa mi ha dato una quantità di
commissioni....
TOMM. Quali?
VITT. Oh, le solite!... Una lista di famiglie povere da visitare... per
riferire, poi, sul vero stato... e sulle vere cause della loro
miseria....
TOMM. _(di cattivo umore)_ Dia a me... ci penserò io!
VITT. Non vorrei che la signora Duchessa....
TOMM. _(imperioso)_ Ho detto che ci penso io!
VITT. Preme tanto alla signora Duchessa... e lei, signor Tommaso, è così
occupato!
TOMM. Dia qui!... Se lei deve stare al banco... è chiaro che non può
correre la città per fare inchieste sul vero stato de' mendicanti....
VITT. _(consegnandogli la carta)_ Ha ragione... eccole la nota....
TOMM. Vada subito alla posta... altrimenti, troverà chiuso.
VITT. Vado.... _(via a destra)_.
AMB. e Giac. _(si avvicinano a Tommaso)_.
TOMM. _(leggendo la nota rivolto a' servi)_ I soliti accattoni!
AMB. e Giac. _(lo ascoltano ridendo e approvando)_ Già!...
TOMM. _(c. s.)_ La vedova.... con quattro marmocchi.... l'operajo...
ch'è caduto dalla fabbrica... La puerpera che non ha latte.... L'artista
a cui manca lavoro.... ci sono tutti!... _(con sarcasmo)_. E tutti
cantano miseria!... La Duchessa se ne commuove... e manda il
_signorino_... a verificare... e il _signorino_ dice sempre sì, sì...
perchè, trattandosi di elemosina, gli riesce facile... _(con malignità)_
maneggiar quattrini!... Ma è finita anche questa cuccagna!... Da qui in
avanti le informazioni sopra tutti questi morti di fame, le darò io!...
_(Ambrogio e Giacomo ridono forte)_ Silenzio!... Viene il Marchese....
_(I servi si ritirano in fondo, e tutt'e tre assumono un contegno
rispettoso)_.

SCENA II.
_Gustavo, in frak; e detti._
GUST. _(entrando dalla sinistra)_ Auff!... Come mangia male il
patriziato romano!... Questa cucina bastarda, caro signor Tommaso, mi ha
impinzato... senza nutrirmi!... Delle pietanze romane... condite
all'inglese... da un cuoco francese!...
TOMM. Al quale fanno perdere la testa!... Il principe la vuole in un
modo... La Duchessa, in un altro... Don Fabrizio dà un ordine!... Il
Duca gli contraddice!
GUST. E... tutti insieme... cospirano per far mangiare male i loro
invitati!... L'ho detto anche a tavola... I padroni ne hanno riso... ma
è la verità!... Se il Principe Lanfranchi non ha più nemmeno una buona
tavola, non vedo che cosa possa giovarmi l'essere suo nipote!...
TOMM. Il signor Marchese ha voglia di scherzare!...
GUST. No... dico sul serio!... Danaro non me ne dà!... Dunque!?
TOMM. _(ridendo)_ Oh, oh!... Sempre di buon umore!...
GUST. E... almeno... ci fosse del cognac bevibile!...
TOMM. Ne abbiamo... e dell'eccellente, signor Marchese!
GUST. Allora... non è quello che servite in tavola!?
TOMM. Voglio portarglielo io stesso... _(fa per andare)_
GUST. _(trattenendolo, col gesto)_ No!... Me lo faccia portare... ma lei
resti... perchè vorrei dirle una parola...
TOMM. _(tra sè)_ Ci siamo!... _(fa cenno ad Ambrogio che esce e torna
col cognac servendo Gustavo)_.
GUST. _(avvicinandosi a Tomm.)_ E così?!..
TOMM. _(con sussiego)_ Ecco... se si tratta d'un migliajo di lire...
avrei trovata la persona....
GUST. Ma io ho bisogno di 5000 lire!... Quanto alla terza persona...
via... son ferravecchi!... Le pare?! _(sorseggiando il cognac)_
Eccellente davvero questo cognac!
TOMM. Ferravecchi!... Come se il signor Marchese non sapesse che io sono
un povero maestro di casa... a 60 scudi il mese!
GUST. _(subito)_ E gl'incerti....
TOMM. Oh, ma molto incerti!
GUST. _(sorridendo ironicamente)_ Già, già... anche quando s'amministra
da 15 anni uno de' più grandi patrimonj di Roma!
TOMM. Mi son lasciato indurre a prestare qualche risparmio.... che avevo
fatto...; ma non mi ci prendono più!... Lei sa bene che la settimana
scorsa m'avrebbero sequestrato i mobili... per una cambiale protestata
col mio avallo... se non fosse intervenuto il Principe... tanto buono!
GUST. Tre volte buono!... Perchè a me, quell'affare del sequestro... non
l'avrebbe dato a bere!... È stato... sì, un colpo da vero maestro... di
casa... ma a me... ripeto...
TOMM. _(fingendo dolore)_ Mi maraviglio come il signor Marchese... possa
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