Dal primo piano alla soffitta - 15

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quelli che ci arrivavano, molti finivano nei canali interni; a ogni
modo, ben di rado i proiettili avevano la forza di trapassar le
impalcature di tutti i piani e di giungere ai luoghi terreni ove s'erano
ridotte quelle famiglie che non avevan voluto lasciar le loro case. Per
le strade poi era quasi impossibile d'esser colti alla sprovveduta; le
bombe si sentivan venire e cento volte contro una c'era tempo di
mettersi in salvo.
Checchè ne sia, Fortunata e la signora Teresa toccarono senza disgrazia
la meta del loro pellegrinaggio. Il portone del palazzo era chiuso; il
campanello risuonò cupamente nei cortile silenzioso.
Alla terza suonata si sentì qualcheduno a muoversi, e una voce femminile
gridò dal di dentro:
--Chi è? Chi è?
Era la moglie del custode.
--Sono io, sono la contessa Bollati--rispose Fortunata,--apra un
momento.
--Madonna santa!... Cosa viene a fare?--replicò la donna affacciandosi
sulla soglia ma senza invitar le due visitatrici ad entrare.--Il signor
conte non c'è mica.... Non è più venuto dopo il 29 del mese passato....
dopo il principio del bombardamento.
--Almeno mi faccia la carità di dirmi dove sia....
--Se lo sapessi....
--Non lo sa? Non lo sa?... O poveretta me!... Non sa neanche s'è vivo?
--Per questo si cheti--rispose la custode con voce raddolcita.--È
vivo....
--Ah sì.... N'è ben sicura?
--Ieri era vivo.... Mio marito l'ha visto in piazza.
--Ha parlato con lui? E dov'è suo marito?
--Ambrogio è dal console... per quella bomba ch'è venuta in palazzo. Ah
Gesù mio!
Quest'esclamazione fu provocata dal romore d'un proiettile che doveva
esser caduto poco lontano. Dopo aver ripreso fiato, la custode accennò a
voler troncare il discorso.
--Vada, vada, signora, e che Iddio l'accompagni.... Non son luoghi da
fermarcisi, questi....
--Un momento ancora, per carità.... Non mi ha detto se suo marito abbia
parlato col conte Leonardo.
--Non gli ha parlato.... Si son scambiati un saluto di lontano e il
signor conte ha gridato: «A rivederci dopo il bombardamento....» Sarà
contenta adesso.... Vada via, vada via....
--Vado, sì... e grazie.... Ma se potesse saper qualche cosa di più....
--O Signore Iddio benedetto! Cosa vuol che si sappia in questi tempi?...
Bisogna contentarsi di vivere.
E con queste parole la donna chiuse bruscamente il portone.
La signora Teresa, che aveva taciuto fino allora, toccò leggermente la
spalla della sua compagna.
--Andiamo... Quello che si poteva sapere lo ha saputo.
--Oh sì--disse Fortunata--e mi par d'esser sollevata d'un gran peso....
È vivo!... Ma dov'è? Dov'è?... È necessario ch'io lo veda.
--A questo si penserà poi.... Andiamo.
Lungo il cammino, Fortunata cercava ogni tanto la mano della signora
Teresa e la stringeva con un moto convulso come a ringraziarla d'esser
venuta con lei. Avrebbe voluto attaccar discorso, rimetter sul tappeto
la gran questione della sua partenza con Gasparo, questione ch'era
sempre insoluta nella sua mente, ma la signora Teresa pareva assorta in
gravi pensieri.
Il cannone tuonava.
--Non finirà più!--mormorò a mezza voce Fortunata come parlando tra sè.
--Oh finirà... pur troppo che finirà--disse la signora Teresa
tentennando tristamente il capo.
Giunsero in piazza San Marco. C'era una calca di gente; la guardia
civica era schierata sotto il palazzo del Governo, e Daniele Manin,
affacciato al poggiuolo, le indirizzava per l'ultima volta la parola.
La voce onesta e leale, che per diciassette mesi aveva mantenuto acceso
nei Veneziani il sacro fuoco del patriottismo, che aveva guidato,
frenato, corretto i mobili istinti del popolo, ora scendeva commossa in
una folla commossa; era un patetico addio, era un gagliardo eccitamento
a sperare nell'avvenire, era un caloroso appello a quelle virtù con cui
le nazioni riescono a domar la fortuna.
Dal punto della piazza ove si trovavano le due donne, non era possibile
seguire il filo del discorso, ma se ne coglievano le frasi pronunciate
con accento più vibrato.
«.... Un popolo che ha fatto e patito quanto ha fatto e patito e patisce
il nostro popolo non può perire. Dee venir giorno in cui gli splendidi
destini siano corrispondenti al merito vostro.... Quando verrà questo
giorno?... Noi abbiamo seminato.... Sventure grandi sono forse
imminenti.... È pur sempre in poter nostro mantenere intemerato l'onore
di questa città.... Checchè avvenisse, dite: _Quest'uomo s'è ingannato_;
ma non dite mai: _Quest'uomo ci ha ingannati...._»
--Mai, mai--gridavano i militi agitando i berretti sulle
baionette.--Mai, mai--ripeteva il popolo unanime.
E tutti piangevano, tutti sentivano che l'ultima ora della libertà era
vicina.
Daniele Manin pronunziò ancora qualche parola; poi, sorpreso da un
malessere subitaneo, dovette ritirarsi. La folla si disperse.
La signora Teresa era rimasta immobile con gli occhi fissi al suolo; due
grosse lagrime, le prime che Fortunata le vedesse spargere, le rigavano
le gote. Alla fine si scosse, sospirò due volte:--Povera Venezia!
Povera Venezia!--disse alla sua compagna:--Spicciamoci, a casa ci
aspetteranno;--e s'avviò.
Fortunata la seguì senza aprir bocca. Forse anche a lei parevano
piccoli, dinanzi a questo gran dolore della patria, tutti i dolori
privati.


XXVI.

. . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
Il morbo infuria,
Il pan ci manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
Questo grido pietoso d'un gentile poeta e soldato, che sul cader del 20
agosto 1849 contemplava mestamente da uno dei forti della laguna la
città avvolta nei rosei vapori del tramonto, dipinge, meglio che non
potrebbero le lunghe descrizioni, lo stato di Venezia in quei giorni. Il
cannone non tuonava più, si negoziava la resa. E la resa fu sottoscritta
il 22; il 27 doveva succeder l'occupazione austriaca.
Cessato il bombardamento, tutti quelli che il fuoco, la fame, il
contagio avevano risparmiati, s'affrettarono a tornare alle loro
abitazioni, stupiti e forse non lieti di sopravvivere alla patria. Però,
se la guerra era finita, se la carestia era scemata, c'era sempre tempo
di morir di colèra, chè la malattia non accennava punto a diminuire
d'intensità, e anzi il numero delle vittime fu, in quello scorcio
d'agosto, maggiore che mai. L'accesa fantasia popolare parlava di
migliaia di morti al giorno; non erano tanti, ma passavano i trecento,
cifra enorme in una città di poco più che centomila anime.
Naturalmente anche i Rialdi furono tra quelli che rincasarono. Se la
paura, come ritengono alcuni, dispone i corpi al contagio, il conte Luca
avrebbe dovuto avere il colèra una ventina di volte; invece n'era
rimasto illeso e attribuiva la sua salvezza alle infinite precauzioni di
cui s'era circondato, e soprattutto a un grande odor di canfora che lo
isolava in mezzo alla gente. È vero ch'egli non poteva ancor cantar
vittoria. Aveva però ben altre angustie addosso oltre a quella del
colèra. Che cosa farebbe di lui il Governo austriaco? Lo lascerebbe al
suo posto, lo metterebbe in pensione, lo destituirebbe addirittura? Il
Signore Iddio gli era testimonio ch'egli non aveva contribuito per nulla
alla Rivoluzione, che non aveva appartenuto all'Assemblea, nè era sceso
in piazza San Marco a gridar _viva_ e _morte_; sicuro che s'era messo
anche lui la coccarda tricolore all'occhiello, e s'era presentato al
Manin coi suoi colleghi del Tribunale; sfido io; come si poteva
esimersi? Ma il grosso guaio era l'esser padre d'un ufficiale che aveva
preso le armi contro il suo legittimo Sovrano e che doveva quindi
emigrare, l'esser marito d'una donna senza giudizio, che s'era voluta
cacciare in una dozzina di comitati, e per diciassette mesi non aveva
fatto altro che salir le scale delle case per accattar firme a indirizzi
e denari per collette, o bazzicar per le ambulanze a civettare coi
feriti (alla sua età! vergogna!) o intervenire a cerimonie chiassose,
tutta gale e pennacchi come un cavallo bardato. La contessa Zanze non
poteva lodarsi del Governo provvisorio, il quale non aveva apprezzato
sufficientemente il suo patriottismo, nè dato a Gasparo il comando di
tutte le forze di terra e di mare; anzi ella diceva che un'altra volta
si guarderebbe bene dal rifare i sacrifizi che aveva fatto; ma ella non
era punto disposta a sopportare in pace i rimproveri di suo marito, e,
stuzzicata da lui, rispondeva per le rime. Egli però non era in grado di
sostenere una discussione, e alzando le mani al cielo esclamava:
--Per carità, non mi stordite con le vostre chiacchiere, non mi fate
inquietare, che c'è ancora il colèra.
--Sì, sì,--rispondeva la moglie.--Se non avessi la spina dei figliuoli
che sono in procinto di partire, non mi fareste mica tacer così presto.
Era deciso; Gasparo conduceva con sè la sorella e la nipotina.
Fortunata, debole sempre, aveva ceduto alle istanze reiterate di suo
fratello; o forse non voleva star più a carico dei suoi genitori, i
quali, nell'incertezze dell'avvenire, potevano essere impicciati a
provvedere a sè medesimi. La piccina, dal canto suo, avrebbe preferito
di rimaner eternamente nella casa ove c'era la _nonna Teresa_ con tanti
bimbi, e ove ella, a marcio dispetto del bombardamento e del colèra,
aveva passato i giorni più allegri della sua vita. Ma dacchè s'era
tornati nella casa vecchia, nella casa squallida e trista, ella ripeteva
da mattina a sera che voleva andarsene con lo zio Gasparo, con la mamma
e con _la nuova Lilì_. Notiamo fra parentesi che _la nuova Lilì_
ispirava a Margherita un rispetto superstizioso. Infatti, mentre tutti i
suoi giocattoli s'erano rotti, _la nuova Lilì_, di legno dalla testa
alle piante, aveva resistito agli urti, alle percosse, ai cambiamenti di
domicilio, aveva persino ruzzolato un giorno la scala senz'altra
conseguenza che una lieve avaria nei capelli e nel vestito.
Nel piegarsi, dopo molte lagrime e molti contrasti, alle sollecitazioni
di Gasparo, Fortunata aveva messo la condizione d'andar un'ultima volta
in cerca di Leonardo che non era stato ancora possibile di rintracciare,
e di condurgli Margherita, s'egli mostrava il desiderio di vederla.
--E se,--aveva soggiunto la povera Fortunata,--s'_egli_ fosse diventato
un altr'uomo, se avesse messo giudizio, se volesse esser davvero un
buon marito e un buon padre.... intendi bene che non potrei lasciarlo.
--Se uno solo de' tuoi _se_ si verificasse,--rispose Gasparo sapendo di
rischiar poco,--sarei il primo a dirti: Rimani a Venezia.
La vigilia del giorno stabilito per la partenza, Fortunata s'avviò di
buon mattino al palazzo Bollati. L'accompagnava una donna di servizio
che sarebbe tornata a prender Margherita nel caso che il conte Leonardo
fosse nelle sue stanze e volesse dar un bacio alla figliuola.
Una vecchia aperse il portone.
--Chi è? Che vuole?
--Non c'è il signor Ambrogio, il custode?
--Oh poveretto, sia pace all'anima sua, è morto già da due giorni.
--Morto?
--Sì, di colèra.... E adesso c'è la moglie in burrasca.... Vada via,
signora, ch'è meglio.
--Padroncina, padroncina, andiamo,--disse la fantesca che a sentir
nominare il colèra era diventata bianca come un cencio lavato.
--Un momento.... Buona donna, e del conte Bollati ne sapete
nulla?--soggiunse Fortunata con voce tremante.
--Il conte Bollati? Chi è?
--Non lo conoscete? Quel signore alto, coi baffi biondi, che abita qui
all'ultimo piano.
--Non lo conosco.... Ma badi.... ho sentito dire dal medico che anche su
in alto c'è qualcheduno col colèra.
--Vergine santa!--gridò la giovine mettendosi la mano al cuore.
--Padroncina, per amor di Dio, andiamo a casa,--ripetè angosciosamente
la serva.
Ma Fortunata si svincolò a forza dalla paurosa compagna che la teneva
per un lembo del vestito e le disse:
--Va a casa tu sola, va subito anzi.... io devo salire.
E senza soggiunger altro attraversò rapidamente il cortile e
l'entratura, e infilò lo scalone.
Il conte Leonardo era tornato alla sua soffitta fin dal giorno innanzi,
e i primi sintomi del morbo l'avevan colpito nel cuor della notte.
Disceso giù nell'androne all'alba per chieder soccorso, aveva per caso
trovato il dottore che veniva a curar la moglie del custode. E il
dottore, dopo avergli inutilmente suggerito di farsi trasportar
all'ospedale piuttosto di rimaner così solo nel suo covile, gli aveva
consegnato una boccettina con una mistura di canfora e laudano da
prendersi in più volte, promettendogli di tornar fra un'ora e di condur
seco un infermiere. Trascinatosi di nuovo su de' suoi cento e quindici
scalini, il conte s'era coricato aspettando. Ma non s'eran più visti nè
infermiere, nè medico. Chi poteva risponder di sè e degli altri in quei
giorni? Intanto il male cresceva di violenza e il pover'uomo che aveva
trangugiato in un colpo tutta la mistura e aveva bevuto una mezza
bottiglia di rhum, si contorceva urlando sul letto. E lo lasciavano
morir come un cane! Pensò a Fortunata; s'era viva, se lo sapeva in
quello stato, sarebbe venuta ad assisterlo.... Ma per mezzo di chi
mandarla a cercare!... Egli non poteva più scendere, non si reggeva più
sulle gambe. Era in queste smanie quando Fortunata entrò nella camera.
La prima impressione di Leonardo fu un'impressione di spavento. Era
proprio sua moglie in carne ed ossa, o era uno spettro? Egli non la
vedeva da alcuni mesi e gli parve invecchiata di diec'anni, gracile e
sottile come un giunco, bianca e diafana come l'alabastro. Alla fine si
persuase ch'era lei e si calmò alquanto. Sì, aveva fatto bene a venire,
ma adesso premeva avere il medico; corresse subito subito a chiamarne
uno, e poi, subito subito, tornasse. E Fortunata rifece le scale e volò
in due o tre farmacie lasciando dappertutto l'ordine di mandar in
palazzo Bollati il primo medico che capitasse. Quand'ella tornò presso
l'infermo, alcuni fenomeni della fatale malattia si erano alleviati;
minori i granchi allo stomaco, minore il vomito; ma erano sopraggiunti
altri sintomi gravissimi: la pelle sparsa d'un sudor freddo e viscido,
la tinta terrea, gli occhi infossati nell'orbita, il respiro affannoso,
la voce rauca e sepolcrale. Mentre il conte Leonardo si trovava in una
specie di sopore letargico, Fortunata sentì un suono di passi nella
stanza attigua, e credendo che fosse il medico uscì a incontrarlo.
Ma non era il medico, era Gasparo, il quale, saputo confusamente a casa
sua che la sorella era rimasta in palazzo Bollati, veniva in traccia di
lei.
--Tu, Gasparo?
--Io, sì.... Ebbene?... Tuo marito?...
--È di là.... col colèra.... È tanto aggravato... E non si trova un
medico... O Gasparo, fa un'opera di carità.... falla per me.... va tu a
cercarlo il dottore.... Io non posso abbandonare Leonardo che muore.
Gasparo si lasciò scappare una frase crudele.
--Ne son morti tanti migliori di lui in questi diciassette mesi!
Ella gli mise una mano sulla bocca.
--Non parlare così.... Se Leonardo ha le sue colpe, vedi come le espia!
vedi a che punto è ridotto!
_Sunt lacrimae rerum._ Gasparo girò gli occhi intorno, e nel mirar
quella squallida soffitta, e nel richiamar alla mente il lusso, gli agi
che avevan cinta l'infanzia di Leonardo Bollati provò uno stringimento
di cuore. E disse alla sorella:
--Farò come desideri.... Andrò pel dottore.... Ma lo sai che domattina
all'alba?...
--Taci, taci,--interruppe Fortunata.
E vedendolo turbarsi, soggiunse:
--Taci in questo momento.... Posson succedere tante cose prima di
domattina!
Gasparo la guardò inquieto. C'era un'intonazione così triste nella sua
voce, c'era una tale aria di stanchezza nella sua persona!
--Fortunata, cos'hai?
--Io?... Nulla.... Per amor del cielo non perder tempo.... Va, va....
Oh smemorata ch'io sono, prima d'uscir dal palazzo, batti all'uscio
dell'abitazione del custode, al pian terreno.... c'è un caso di colèra
anche lì.... forse ci sarà un medico.... va, Gasparo....
Egli discese in fretta. Dal custode gli dissero con un gesto espressivo
che il medico non aveva più ragione di venire. Invece, giunto in
istrada, la sua buona stella gli mise subito tra i piedi un dottore di
sua conoscenza; se ne impadronì (è il vocabolo giusto) e se lo tirò
dietro in palazzo.
Leonardo peggiorava rapidamente; spenta la voce, impercettibili i polsi,
esauste le forze; pur non aveva ancora perduto conoscenza, e vedendo
insieme col medico entrare il cognato guardò Fortunata con
un'espressione indefinibile di sgomento. Ella lo rassicurò con
un'occhiata, e Gasparo, impietosito al miserando spettacolo, gli fece un
saluto amichevole e gli rivolse le parole incoraggianti che sogliono
rivolgersi ai malati.
Al dottore, ch'era un brav'uomo e aveva curato i colerosi a centinaia,
non occorse più di un minuto per giudicare che Leonardo era bell'e
spacciato; nondimeno volle provare i mezzi che gli suggeriva la sua
esperienza. Visto che non ne cavava alcun frutto, chiamò da parte
Gasparo e gli susurrò all'orecchio:
--Non c'è alcuna speranza.... Procuri di condur via sua sorella.... Mi
par molto debole, e il colèra si attacca facilmente, soprattutto alle
persone deboli.
Ma Fortunata, come se avesse indovinato il pensiero del medico, fece un
energico segno negativo col capo e passando un braccio sotto il collo
del moribondo parve voler dire: «Non mi strapperete di qui che a forza.»
Gasparo le si avvicinò con dolcezza.
--Fortunata, per amore della tua Margherita....
--No, no... Margherita non ha bisogno di me.... _Lui_ sì che ne ha
bisogno.... Leonardo, Leonardo, non è vero che hai bisogno della tua
Fortunata?... Oh meschina me, che ho potuto lasciarti per tanto
tempo.... Perdonami, Leonardo mio.... Oh se tu m'avessi mandata a
chiamare!... Perchè, non m'hai mandata a chiamare?... T'ho sempre voluto
bene.... O Leonardo, se guarisci, starò sempre con te, te lo giuro.
E, trattenuta invano, si gettava bocconi sul letto e tentava scaldar con
le sue carezze quel povero corpo assiderato.
A un certo momento il medico, che non aveva levato mai gli occhi
dall'infermo, disse:
--Signora, si faccia una ragione.... Ormai... è inutile.
Ella alzò la testa, guardò il medico, guardò Gasparo, guardò Leonardo,
comprese che tutto era finito e cadde ginocchioni, tendendo le palme al
cielo e gridando:--Madre di Dio, abbiate misericordia!
Stette così qualche minuto singhiozzando, pregando, coprendo di baci la
mano del morto che spenzolava dalla sponda del letto; poi, appoggiandosi
a Gasparo, cercò di rizzarsi in piedi, ma le vennero meno le forze e
s'abbandonò come una massa inerte tra le braccia del fratello.
Il dottore ch'era ancora nella stanza, accorse subito, e vedendo la
faccia stravolta, gli occhi smarriti, il pallore cadaverico della
giovane, capì subito di che cosa si trattava. Era di nuovo il colèra, un
colèra de' più gravi, di quelli che lasciano meno tempo alle difese. Il
male che aveva testè ucciso il marito ora investiva con raddoppiata
violenza la moglie.
--E poi negheranno il contagio!--disse tra sè il valentuomo, il quale,
per far prevalere la teoria del contagio, aveva sostenuto fiere
battaglie con alcuni colleghi. E non vorremmo giurare che l'idea di
poter gettare in viso agli oppositori un nuovo esempio a sostegno della
sua tesi, non gli desse qualche soddisfazione. Tanto più che il triste
caso di Fortunata pareva dargli ragione su un altro punto. Questo aveva
tutta l'aria di esser colèra fulminante, e anche il colèra fulminante
negavano que' caparbi, e pretendevano che in Europa non se ne fosse mai
visto.
Si trasportò Fortunata nella camera vicina a quella dov'era morto
Leonardo. S'era pensato sulle prime di trasportarla a casa, ma ella,
pienamente in sè e pienamente consapevole del suo stato, supplicò che
la lasciassero morir lì. Non voleva comunicare a' suoi genitori e a sua
figlia il germe della malattia... o forse, giacchè il cielo le aveva
accordato la grazia di ricongiungersi a suo marito, non voleva
staccarsene più.
Forte in mezzo agli strazi, come non era stata mai nelle condizioni
ordinarie della vita, ella scongiurava il medico di non tormentarla coi
rimedi; già ella capiva ch'era suonata la sua ora e che Iddio la
chiamava a sè.... avesse almeno potuto avere un prete!...
Gasparo si mosse per andare a cercarne uno, ma ella col po' di voce che
le rimaneva:
--Per carità non allontanarti--gli disse.
In pari tempo rivolse al medico uno sguardo supplichevole. Il buon
dottore comprese il significato di quella muta preghiera, fece a Gasparo
cenno di rimanere e s'avviò:
--In un quarto d'ora vado e torno.
--Gasparo--mormorò Fortunata, quando fu sola con suo fratello--il
Signore sa quel che si fa.... Se fossi venuta teco a Londra ti sarei
stata d'impaccio... sempre malinconica, sempre piagnucolosa.... Se
invece all'ultimo momento mi fossi rifiutata di venire, tu non avresti
voluto privarmi della mia bambina....
--No, Fortunata....
--E allora il tuo esilio sarebbe stato più tristo.... È meglio così....
Te la raccomando, la mia Margherita.... Parlale qualche volta di me....
E se le nomini suo padre, non insegnarle a disprezzare la sua
memoria.... Promettimi che compiacerai alla tua povera sorella.
--Te lo prometto, sì, te lo prometto con tutta l'anima.
--Grazie.... E il babbo e la mamma... poveri vecchi, che restan soli nel
mondo... li vedrai, non è vero, prima di partire? Salutali, di' loro che
mi perdonino se non fui sempre una figliuola ubbidiente... e tu pure...
Uno spasimo acuto le troncò la frase, e la voce le si estinse in un
gemito.
Quando tornò il dottore, e poco dopo di lui venne il prete ch'egli era
andato a chiamare, gli occhi dell'ammalata nuotavano già nella morte. Ma
ell'era sempre presente a sè stessa e potè accompagnare col movimento
delle labbra le preghiere del sacerdote e volger di tanto in tanto lo
sguardo all'uscio della camera vicina, come se intendesse che quelle
preghiere dovessero valere anche pel disgraziato che non era più in caso
di sentirle.
Era l'ora del tramonto; il sole prima di nascondersi dietro un palazzone
che sorgeva dall'altra parte del canale mandò un fascio di raggi nella
stanza e tinse d'una luce purpurea il letto improvvisato e la faccia
livida della morente. Ella s'agitò in un'ultima convulsione, poi le sue
membra s'irrigidirono per sempre.
Gasparo ebbe un ruggito da leone.--Morta, morta! Infelicissima sorella
mia, che non hai fatto altro che patire!... Morta per cagione di quel
miserabile! E non dovrò maledirlo?
Ma quell'impeto durò poco. Il tempo stringeva e Gasparo aveva ancora un
terribile ufficio da compiere: annunziare ai suoi genitori la nuova,
inattesa sciagura che piombava loro sul capo.
Egli strappò un foglietto da un taccuino e scrisse col lapis poche righe
a un amico sulla cui devozione poteva fare assegnamento. «Sai che devo
partire domattina sotto pena di essere preso e fucilato dagli Austriaci.
Mia sorella»--a questo punto egli ebbe un'esitazione, ma la vinse e
proseguì:--«e mio cognato son morti or ora di colèra in due stanze a
tetto del palazzo Bollati. Intenditi col dottore X... per la
tumulazione. Fa quello che faresti se la sventura (che il cielo tenga
sempre lontano da te) avesse battuto alla tua porta. In un momento come
questo non posso dare un tale incarico a mio padre. Addio: quando mi
sarò posato in qualche luogo (spero di fermarmi a Londra) ti riscriverò
e ti indicherò il mio recapito. Addio, e grazie dal fondo del cuore. A
rivederci in tempi migliori.»
Com'ebbe finito di scrivere, piegò il foglietto in due, vi fece
l'indirizzo e lo consegnò al dottore.
--È stato tanto buono; m'usi un'ultima cortesia. Mandi questo biglietto
al mio amico--e glielo nominò--che lei conosce benissimo e si metta
d'accordo con lui per tutto quello che resta da fare.
Il medico chinò la testa in sogno d'assenso e promise a Gasparo che
avrebbe anche pensato a trovar chi vegliasse nella notte quei poveri
morti.
--Non sono ricco, sto per prendere la via dell'esilio--disse Gasparo con
voce commossa--non posso compensarla come vorrei, ma una memoria....
E si toglieva un anello dal dito, ma il dottore l'interruppe vivamente:
--No, Rialdi, io non accetto nulla... assolutamente nulla... Ogni più
piccolo oggetto può esser necessario ad un esule....
--Ma...
--Non ne parliamo.... Mi dia piuttosto un bacio, e buon viaggio....
Gasparo abbracciò intenerito il dottore, sfiorò ancora una volta con le
labbra la fronte gelida di Fortunata e corse a precipizio giù per le
scale. Uscito dal palazzo, egli fece in un lampo la strada che lo
divideva da casa sua.
Il conte Luca e la contessa Zanze lo aspettavano con ansietà.
--E Fortunata?--essi chiesero a una voce vedendolo arrivar
solo.--Dov'è?... È rimasta lì?... Quando verrà?
--Fortunata...--principiò Gasparo. Ma invece di continuare,
balbettò:--Coraggio, padre mio, coraggio, mamma... Armatevi di tutta la
vostra forza, chè ne avete bisogno.
Quelle parole, quelle lagrime, che invano rattenute velavano due occhi
non avvezzi a spargerne, lasciavano indovinare il peggio.
--Gasparo--gridò la contessa--tu non diresti di più se tua sorella fosse
morta!
Il giovino chinò la fronte in silenzio. Rinunziamo a descrivere la scena
che ne seguì per non render ancora più triste questo capitolo già pieno
di tante pubbliche e private tristezze, e perchè ci sembra che l'ora
incalzi anche noi e ci costringa innanzi tutto a mettere in salvo il
nostro ufficiale. Questa partenza inevitabile, imminente, era quella
sera, in casa Rialdi, un dolore di più, e nello stesso tempo una
distrazione al dolore. Non c'era caso, bisognava occuparsene, far gli
ultimi preparativi, dar l'ultime disposizioni, e per conseguenza, di
tratto in tratto, pensare ad altro, parlar d'altro che della tragica
fine di Fortunata.
Intanto Margherita dormiva. Poichè ella doveva alzarsi per tempissimo,
l'avevano messa a letto subito dopo desinare, poco prima che Gasparo
giungesse, ed ella, appena posata la testa sul capezzale, aveva trovato
il sonno dolce e profondo dell'infanzia.
Degli altri di casa, come si può ben credere, non chiuse occhio in
quella notte nessuno. Ma, verso il mattino, Gasparo sforzò i suoi
genitori a ritirarsi nella loro stanza per un paio d'ore; avrebbe
vestito lui la bambina.
--Sei proprio irremovibile?--disse la contessa.--Vuoi portarcela via?
Vedi come restiamo soli.
Oh Gasparo lo sapeva, e ne sentiva in cuore una profonda pietà. Ma anche
egli era solo, e da mesi e mesi il pensiero di condur seco questa
fanciulla, di tenersela come propria figlia, era per la sua anima un
raggio di luce che rischiarava le tenebre dell'avvenire. E poi,
nonostante tutte le amarezze, tutte le incertezze dell'esilio, gli
pareva di provveder meglio alla sorte di Margherita conducendola con sè
che lasciandola presso i nonni.
--Sì, mamma--egli rispose con affetto.--Credi pure ch'è meglio così...
Un giorno, se la fortuna m'arride, verrete voi altri a raggiungerci.
La contessa Zanze non insistette.
Alle quattro del mattino Gasparo entrò nella camera della nipote.
Margherita dormiva tranquilla, con la sua puppattola al fianco, con un
braccio nudo piegato sotto la testa, in una positura simile a quella in
cui egli l'aveva vista la prima volta. Accanto alla cuna della bimba
c'era il letto della sua povera mamma, intatto, con le lenzuola
rimboccate.
--Margherita--chiamò Gaspare--o Margherita.
E la scosse dolcemente.
Ella si risentì, aperse gli occhi, si guardò intorno e disse:--La
mamma... voglio la mamma.
--Sono io, Margherita, sono lo zio Gasparo.... Lo sai che si deve
partire insieme.
--Ma anche la mamma...
--La mamma--egli soggiunse con pietosa bugia--è andata avanti... La
troveremo... Su, su....
Margherita si lasciò persuadere, e, aiutata dallo zio e da una donna di
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