Dal primo piano alla soffitta - 14

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patria comune. Onore a voi, valorosi, sia che vi ricordi la storia, sia
che, martiri oscuri, vi copra l'oblio! E onore anche a voi, pochi ma
eletti, svizzeri, slavi, magiari, che, non nati sotto il cielo d'Italia,
pur ci veniste a morire, suggellando col sacrifizio delle vostre giovani
vite l'alleanza fra quanti credono nella giustizia e nella libertà!
Ma non lasciamo sbizzarrir troppo la penna. Tra i più intrepidi
combattenti di Malghera e del Ponte c'era Gasparo Rialdi. Primo al
pericolo, ultimo a chiedere o ad accettare il riposo, a vicenda capitano
e soldato, egli comandava ed eseguiva, ora intento a puntare i cannoni,
ora a rinforzare i terrapieni, ora ad assistere i feriti. I suoi
compagni d'armi lo dicevano invulnerabile. Infatti le palle gli
grandinavano intorno senza toccarlo. Una volta un piccolo deposito di
polvere scoppiò a pochi passi da lui con un orrendo fragore; dieci
uomini stramazzarono al suolo per non più rialzarsi, altri due,
rovesciati dall'urto, sorsero subito in piedi tra il fumo e la polvere,
pesti, contusi, ma atti a riprendere il loro posto. Uno dei due era
Gasparo.
Ogni settimana egli consacrava alla famiglia una mezza giornata o una
notte, ed è facile immaginarsi con che lagrime egli fosse accolto dal
conte Luca e dalla contessa Zanze. Chè se il conte era pusillanime come
un coniglio e la contessa leggera come una farfalla, questo non voleva
dire che non amassero il loro figliuolo. Negli affetti veri, nei veri
dolori tutti gli uomini si rassomigliano.
Fortunata, il cui spirito debole era stato soprappreso da un nuovo
accesso di fervore religioso, vedeva nella salvezza del fratello un
effetto delle sue preghiere alla Madonna, e glielo diceva, e lo
scongiurava di non sorridere, di non provocar l'ira del cielo con la sua
incredulità.
La sola Margherita, in un'età che non capisce i pericoli, riceveva lo
zio Gasparo col sorriso ilare e confidente d'un tempo. Tanto più che
egli non si presentava mai alla nipotina senza un regaluccio, ed era
curioso vedere quell'uomo grande e grosso, un momento prima in mezzo
alle granate e alle bombe, era curioso, dico, vederlo entrar in un
negozio di balocchi a prendervi dei soldatini di piombo, o delle
minuscole posate di stagno o altre bagatelle simili.
La bimba, quando lo sentiva venire, gli correva incontro con le braccia
aperte chiamandolo a nome, ed egli la sollevava per di sotto le ascelle,
su, su, fino ad avvicinar la faccia bianca di lei al suo viso
abbronzito; poi se la metteva sulla spalla e la conduceva in giro per la
stanza.
Dai forti il cannone tuonava e faceva tremar i vetri.
--Vergine santissima!--esclamavano Fortunata e la madre. Il conte Luca
si turava gli orecchi con le dita; Gasparo corrugava la fronte come se
lo prendesse un rimorso di non esser sul luogo della pugna; Margherita
imitava ridendo il suono delle cannonate: _bum, bum_. Poi si metteva a
canticchiare una delle canzonette patriottiche di quei tempi:
Fuoco sopra fuoco
S'ha da vincere o morir,
ecc. ecc.
Oppure
E col verde, bianco e rosso
La bandiera s'innalzò,
ecc. ecc.
O quella scioccheria in dialetto
Tre colori, tre colori,
I Tedeschi gà i dolori,
ecc. ecc.
Di lì a poco però, sporgendo avanti la testa come chi da una finestra
del secondo piano vuole attaccar conversazione con gl'inquilini del
primo, ella arrischiava una domanda:
--Zio Gasparo, cosa m'hai portato?
--Niente--rispondeva serio serio l'ufficiale.
Ed ella, con un suo vezzo inimitabile:
--Sì che m'hai portato qualcosa.
Allora egli la faceva discendere dal punto elevato in cui l'aveva posta,
si metteva a sedere con lei e le diceva:
--Cerca.
Margherita cercava di qua, cercava di là e finiva col tirar fuori da una
tasca della tunica o dei calzoni gli oggetti che lo zio le aveva
destinati e che le strappavano un grido d'ammirazione.
--Guarda, mamma, guarda.... Oh bello, bello!
Fortunata ringraziava il fratello con gli occhi che le si velavano di
lagrime. Ah se Leonardo avesse voluto alla sua figliuola la metà del
bene che Gasparo voleva alla nipote!
In verità Gasparo Rialdi era meravigliato lui stesso della parte che
questa bimba prendeva nei suoi pensieri. Severo, ruvido qualche volta,
alieno sempre dalle soverchie espansioni, egli era pienamente convinto
d'essere un orso, come gli aveva detto una donna gentile che non era
riuscita ad ammansarlo. Ma ciò che non avevan potuto le donne lo poteva
ora una fanciulletta di men che quattro anni; l'orso era ammansato.
Un giorno, verso la fine di luglio, quando le previsioni dell'avvenire
eran più fosche che mai, e il nemico stringeva intorno alla città
assediata il suo cerchio di ferro e di fuoco, e scarseggiavano i viveri,
e il lugubre spettro del colèra appariva sull'orizzonte, Gasparo, venuto
a casa per poche ore, fece alla sorella una inattesa proposta.
--Fortunata.--egli le disse, e il suo aspetto era più grave e la sua
voce più commossa dell'usato--nessuno osa confessarlo, ma tutti lo
sentono. Venezia non potrà resistere a lungo.... Fra due mesi, fra un
mese forse, ci mancheranno i soldati, le munizioni, il pane... bisognerà
cedere come ha ceduto Roma.... Se in questo mese, se in questi due mesi
la mia buona stella non mi manda una palla di cannone, e sa Iddio se la
cerco....
--Oh Gasparo, Gasparo, che parole son queste?
--Beati quelli che son morti--egli riprese in tuono solenne;--beati
quelli che morranno prima che il giallo e nero abborrito torni a
sventolar sugli stendardi del nostro San Marco!... Ma io non sarò fra
questi felici... pare un destino.... Ebbene, se io sopravvivo, credi tu
che io possa rimaner qui? Io, antico ufficiale austriaco, io, disertore?
--No, no... è necessario che tu fugga... subito....
--Non oggi, o Fortunata, non prima che Venezia sia caduta.... Allora
prenderò la via dell'esilio.
--Dove andrai?
--Non lo so;... forse a Londra, ove un signore che ho conosciuto a
Smirne mi offre un impiego... a ogni modo, ho ventisette anni, ho una
salute robusta, conosco le lingue, la matematica; potrò dar delle
lezioni.
A questo punto egli afferrò tutt'e due le mani della sorella e
guardandola fissa negli occhi, le disse:
--Vuoi seguirmi, Fortunata... insieme con la tua Margherita, s'intende?
Fortunata impallidì.
--Partire?
--Sì, partire.... Ho qualche risparmio che basterà per il viaggio di
tutti noi tre.... Poi lavorerò.... Sarete la mia famiglia.
Ma Fortunata, non rimessa ancora del suo smarrimento, ripeteva
balbettando:
--Partire?.... Abbandonare....
--I nostri genitori?--interruppe bruscamente Gasparo compiendo a suo
modo la frase.--Poveri vecchi! Lo so, restan soli, ma che puoi tu fare
per loro?... Afflitta da tante sventure, nella casa già triste, tu non
puoi portare che una tristezza di più.... Certo la mancanza dei figli è
un gran dolore, ma nostro padre ha il suo impiego che probabilmente gli
sarà conservato, la mamma è d'un carattere ottimista, vede molta
gente;... insomma, finiranno col passarsela alla meno peggio, tanto più,
se, non avendo da pensare che a sè, godranno d'una discreta
agiatezza.... Credilo, Fortunata, ciò ch'io ti propongo non nuoce a
nessuno e può giovare a molti:... a me, a Margherita, a te stessa, che
qui sei troppo vicina alla prima cagione di tutti i tuoi mali.
Così Gasparo, per necessità di cose, arrivava al punto che avrebbe
voluto schivare.
E Fortunata, che sino a quel momento era riuscita a padroneggiarsi,
scoppiò in un pianto dirotto o disse con voce soffocata dai singhiozzi:
--Sì, sì... è vero... la prima cagione dei miei mali è qui.... E te lo
giuro... non lo vedo più da un pezzo... non lo vedrò finchè egli non
abbia bisogno di me.... Ma se ne avesse, se desiderasse riavvicinarsi a
sua moglie, alla sua bimba, e noi fossimo lontane... lontane?...
--Ancora infatuata di quei miserabile!...--esclamò Gasparo.--Apri una
volta gli occhi, per Dio.... Che obblighi hai verso di lui?...
Quell'uomo è di fango.... Egli aveva una via di salvezza, gliel'abbiamo
offerta, non l'ha voluta.... Gli esseri più spregevoli hanno pur qualche
cosa da contrapporre ai loro vizi, ai loro delitti....
--Oh delitti egli non ne ha commessi....
--Lo credi?... E sia pure.... Ci sono degli sciagurati a cui si
perdonano i delitti in nome di un loro impeto di generosità, d'un loro
atto di coraggio; quello che non si perdona è l'abbiezione continua, la
vigliaccheria contenta di sè....
--Oh Gasparo.... Sono sua moglie....
--Ma sei anche madre.... E più che a un marito indegno, devi pensare a
una figlia ingenua, innocente.... Che sarà di lei?... Chi si curerà
della sua educazione?... Sei moglie, sei moglie!... Ebbene, se tanto ti
preme quell'uomo, se per amor suo vuoi rimanere a Venezia, lasciami
Margherita.....
--Lasciarti Margherita?... Staccarmene forse per sempre?... No, no....
Gasparo, per carità, non me la rubare.
Quindi, alzando le palme al cielo in un parossismo di
disperazione:--Vergine santa--esclamò la povera donna--intercedetemi la
grazia di morire... Che ci faccio io a questo mondo? Sono un impiccio
per me e per gli altri.... Vergine santa, ottenetemi questa grazia....
Ho patito tanto.... E nessuno ha bisogno di me.... Mia figlia starà
molto meglio con mio fratello... Vergine santa, datemi retta, salvate
lui e fatemi morire, fatemi morire.
Fortunata avrebbe impietosito i sassi. L'ufficiale chinandosi sopra di
lei le diede un bacio in fronte e le disse:
--Calmati... una madre non è mai un impiccio per sua figlia.... Io non
te la ruberò la tua Margherita... con che diritto potrei rubartela?...
Se tu non vorrai separartene, se non vorrai venire con lei e con me...
mi avrai dato un gran dolore, m'avrai privato di ciò che poteva rendermi
meno amaro l'esilio, ma non importa, io non te la ruberò.... Per altro
fino all'ultimo giorno, fino all'ultima ora conserverò la speranza di
persuaderti.... Oggi non parliamone più, è tardi e debbo essere al mio
posto prima di sera....
Il cannone tuonava. Gasparo sorrise.
--E noi facciamo i conti sull'avvenire--egli mormorò tristamente.
Di lì a poco, abbracciati i genitori e la nipotina, egli s'avviava alla
batteria.
Fortunata, corse a chiudersi nella sua camera e ponendosi in ginocchio
davanti a un'immagine della Madonna rinnovò la preghiera di poco
prima:--Vergine santa, salvate mio fratello e fatemi morire, fatemi
morire!


XXV.

Il palazzo Bollati era vuoto da più mesi. Ad onta del suo grande amore
per Venezia, lord Herbert Seaweed era partito con la famiglia fin
dall'estate 1848, e la figliuola romantica e _byroniana_ s'era mostrata
la più sollecita a fare i bauli. Ell'aveva però voluto portar seco una
scheggia di marmo del caminetto del salotto; la città poteva saltar in
aria tutta quanta ed era opportuno d'averne un ricordo. Nell'imbarcarsi
sopra un vapore inglese, il nobile _lord_ aveva sentenziato che le razze
latine son destinate a servire in perpetuo e che soltanto la vecchia
Inghilterra, _old England_, ha il diritto di godere della libertà.
Le chiavi degli appartamenti rimasero in mano del console di S. M.
Britannica, e un custode il quale abitava nel pian terreno aveva ben
poco da custodire. Nondimeno il signor Ambrogio (chè tale era il suo
nome) si dava una gran d'aria di importanza come se fosse lui stesso il
rappresentante della Regina Vittoria. E reputandosi cittadino inglese,
giudicava gli avvenimenti con la calma superiorità d'uno straniero,
diceva che gl'Italiani, pur troppo, sono una piccola nazione priva
d'ogni esperienza politica, e che avevano commesso e commettevano ogni
giorno errori nuovi, i quali avrebbero condotto il paese a inevitabile
rovina.
--Per noi però--egli conchiudeva rivolgendosi a sua moglie, a una
figliastra e a due gatti che dividevano con lui l'onore di guardare il
palazzo--per noi non ci sono pericoli. Al primo serra serra si inalbera
sul tetto la bandiera di S. M. e vorrei vedere chi ardisse metter piede
qua dentro.... Per gl'Inglesi è una cosa da nulla il mandare una
fregata, e vi dico io che i loro cannoni fanno far giudizio a tutti i
Governi provvisori e a tutte le Monarchie del mondo.
Il signor Ambrogio estendeva il suo patrocinio anche all'unico inquilino
della casa, al conte Leonardo Bollati.
--Quello lì--egli diceva--in mezzo alle sue disgrazie può considerarsi
un uomo fortunato. E non dovrebbe aver parole bastanti per ringraziar la
munificenza del Milord, che lo ha lasciato stare in una botte di
ferro... una botte di ferro.
--Pover'uomo!--esclamavano in coro la matrigna e la figliastra.--Pensare
che una volta era lui il padrone!
--È la ruota della fortuna--ripigliava il grave signor Ambrogio.--Un
tempo c'era l'aristocrazia veneziana, adesso c'è l'aristocrazia inglese.
E nel dir così si stropicciava le mani come se a quest'aristocrazia
inglese appartenesse anche lui.
Il custode e la sua famiglia, ch'eran buona pasta di gente, usavano
molti riguardi al conte Leonardo, e le donne gli tenevano pulite le
camere senza curarsi di domandargli il compenso di poche lire al mese
ch'egli aveva loro promesso e che non pagava mai. Per quello che si
riferisce alle sue condizioni domestiche, alla sua separazione dalla
moglie e dalla figliuola, non sapevano che giudizio fare. A sentirlo,
poichè di tratto in tratto egli si fermava a chiacchierare col signor
Ambrogio, tutti i torti eran della moglie e specialmente dei parenti
della moglie, i quali gli avevano teso un tranello per costringerlo al
matrimonio, quando i Bollati erano ancora tra i primi signori di
Venezia. Poi, sopraggiunti i rovesci, quei birbanti s'eran dimenticati
dei pranzi, delle cene, dei regali avuti, e non avevan voluto aiutarlo
in nessuna maniera. Basta dire che il suo degnissimo signor cognato,
ch'era adesso tra quelli che tenevano il mestolo, invece di procurargli
un impiego onorifico, gli aveva suggerito di arruolarsi come soldato
semplice! Soldato semplice, lui, un Bollati! Dopo che i suoi vecchi eran
stati generali, ammiragli, dogi!
Il signor Ambrogio non pareva alieno dal credere alla perversità e
all'ingratitudine dei Rialdi; ma le donne rimanevano perplesse.
Nonostante la compassione che destava in loro questa _Eccellenza_ così
pitocca, esse non potevano dissimularsi che il conte Bollati era un
vizioso, un buono a nulla, uno di quegli uomini che sembran fatti
apposta per finir sulla paglia, e che hanno un gran torto di attribuire
agli altri le proprie sventure. Inoltre era impossibile che la moglie
del conte Leonardo fosse cattiva; bastava vederla per persuadersi del
contrario. E al palazzo la si vedeva spessissimo. Ella veniva a chieder
notizie di suo marito, a raccomandarlo, a lasciar qualche cosa per lui,
un po' di biancheria, una flanella, dei limoni, degli aranci, tanto più
preziosi quanto più era difficile l'averne durante l'assedio. Se le
dicevano ch'egli era in casa, ella guardava istintivamente verso la
scala come se fosse tentata di salire; ma resisteva alla tentazione e
calando il velo sugli occhi e rattenendo le lagrime si allontanava a
passi rapidi. Dopo la scena violenta che egli le aveva fatta in
occasione di quel famoso impiego chiesto e non ottenuto, ella non aveva
più coraggio di presentarglisi dinanzi. Del resto, per lo più, nell'ore
in cui Fortunata poteva recarsi al palazzo, Leonardo non c'era.
Le cose tirarono avanti in questo modo per mesi e mesi; solo quando
Gasparo fece alla sorella la proposta che sappiamo, ella deliberò di
avere un ultimo colloquio col marito; s'egli trovava una parola
d'affetto, se dava un segno di rammarico all'idea di separarsi per
sempre dalla sua famiglia, no, no, checchè dicesse Gasparo, ella non
sarebbe partita.
Ma le vicende dell'assedio impedirono il colloquio desiderato.
La sera di domenica 29 luglio le batterie austriache avevano sospeso il
fuoco; gli artiglieri del Piazzale e di San Secondo, a cui non pareva
vero di risparmiar le munizioni, ne avevano imitato l'esempio. A un
tratto, poco prima di mezzanotte, spettacolo bello e terribile, il cielo
è solcato da infinite striscie luminose, un fragore spaventoso risveglia
la città addormentata. Che è, che non è? I projettili nemici che fino
allora erano stati rivolti contro i forti o avevano colpito tutt'al più
l'estremo lembo di Cannaregio, ora giungevano d'improvviso nel cuore di
Venezia. Si sentiva il fischio delle bombe, lo strepito delle granate
che scoppiavano, lo schianto dei fumaiuoli, delle cornici, dei tetti,
che cadevano a pezzi. A poco a poco, dalle case rovinate o minaccianti
rovina, uscivano intere famiglie, vecchi languenti, donne discinte,
bambini aggrappati ai collo delle madri, uomini ancor vigorosi e pronti
a combattere, ma smarriti al cospetto d'un pericolo che veniva a
insidiarli persino nelle pareti domestiche. Uscivano portando seco le
masserizie più necessarie, avviandosi ai quartieri più lontani dai
bombardatori, a San Marco, a Castello. In breve la piazza fu gremita di
gente. Chi stendendo il materasso sul nudo terreno vi si adagiava coi
suoi cari a dormire, chi sedeva muto sopra uno sporto di colonna della
Basilica o su uno dei gradini delle Procuratie nuove, chi cercava asilo
nei Caffè, chi girava inquieto su e giù in traccia di parenti e d'amici.
Dalla folla saliva un mormorìo confuso di gemiti, di preghiere,
d'imprecazioni; in alto, sopra le mille e mille teste, i colombi di San
Marco, turbati nei loro riposi dall'insolito frastuono e cacciati fuori
dai nidi da un folle spavento, volavano a stormi di qua, di là, senza
mai chetarsi e sbattendo l'ali con un fragore sinistro.
Una calca poco minore c'era sul Molo, ove accorrevano anche i semplici
curiosi per veder meglio la parabola delle bombe.
--_I ne fa i foghi d'artifizio, sti fioi de cani_--diceva un barcaiuolo
apparecchiando tranquillamente la sua gondola e offrendosi di condur in
laguna quelli che volessero goder più davvicino del meraviglioso
spettacolo.
Un altro, a ogni colpo, mandava agli assediati un augurio breve ed
espressivo: _Andè in malora!_
--_Ve le faremo inghiotir tute le vostre bombe_--esclamava un popolano
stringendo i pugni in aria di sfida.
Nessuno apriva la bocca per parlare di capitolazione.
Il bombardamento continuò con pari vigore nel giorno dopo, ma intanto la
carità pubblica e privata aveva provveduto all'alloggio di quelli
ch'eran rimasti senza tetto. Però, chi pensi che due terzi della città
erano quasi inabitabili, si farà presto un'idea del modo in cui questi
profughi infelici potevano essere accomodati nell'altro terzo. Le stanze
non bastavano più; bisognava pigiar la gente nelle soffitte arse dal
sole, nei pianterreni corrosi dalla salsedine, nei sottoscala infetti,
nelle stive puzzolente dei barconi ancorati in laguna. Qual meraviglia
se in mezzo a quella moltitudine ammucchiata in sì breve spazio,
affranta già dagli stenti passati e ora sfinita più che mai dalla
nutrizione insufficiente e mal sana, prima serpeggiava insidioso, poi
scoppiava tremendo il colèra?
Il palazzo Bollati, e la casa Rialdi sorgevano in due punti abbastanza
distanti fra loro: tuttavia erano entrambi in quella parte di Venezia
ove arrivavano le bombe; Anzi, nel palazzo, un proiettile era caduto fin
dalla mattina del 30, mezz'ora dopo che il signor Ambrogio aveva issato
sul tetto il vessillo britannico dicendo solennemente alla moglie:
--Noi siamo in una botte di ferro... una botte di ferro. La bandiera
devono vederla sicuro, e allora da questa parte non tirano più....
Vorrei poi sapere perchè quell'imbecille del conte Bollati non sia
ancora tornato a casa.
Il conte Bollati non era tornato a casa e non aveva nessuna intenzione
di ritornarci. Quando principiò il bombardamento egli era in una
bettola a pochi passi dalla quale scoppiò una granata. Uscitone in
fretta, trovò la strada piena di gente che fuggiva dal _sestiere_ di
Cannaregio, quello appunto dov'era il palazzo già appartenente alla sua
famiglia. Con l'esagerazione propria degli spaventati, quei fuggiaschi
dicevano che a Cannaregio le bombe venivan giù come una gragnuola, che
due persone eran morte, che la chiesa di S. Geremia era in fiamme, che
una gondola era stata squarciata e sommersa. Leonardo non se lo fece
ripetere due volte e prese la rincorsa fino a Castello, ove andò a
rifugiarsi in una osteriaccia da lui frequentata in altri tempi.
Anche i Rialdi avevano dovuto lasciare la loro abitazione ed erano stati
accolti presso un amico di Gasparo, in parrocchia di San Marco. Il primo
pensiero di Fortunata, appena vide in salvo i suoi genitori e la sua
Margherita (di sè non si curava affatto, la poverina), fu quello di
Leonardo. Ma dove trovarlo? Come arrischiarsi ad andar fino al palazzo
Bollati, ove forse, se c'erano ancora i custodi, se ne avrebbe saputo
qualcosa? A badare alla gente quella era la parte della città più
bersagliata; non ci mettevano piede che le pattuglie della guardia
civica; i pochi abitanti rimasti stavano tappati nei magazzini ove si
credevano più sicuri e da cui non uscivano che per le indispensabili
provvigioni.
--Eh, _viscere mie_, c'è altro da fare che andar in cerca di tuo
marito--borbottava la contessa Zanze alla figliuola, la quale chiedeva
a lei consiglio ed aiuto.--Per poco che la duri così, siamo tutti
spacciati e non ci resta che da raccomandare l'anima al Signore.
La contessa Zanze non aveva torto. Le condizioni di Venezia
s'aggravavano terribilmente ogni giorno. Non ostante gli sforzi eroici
del nostro piccolo naviglio, la flotta austriaca era riuscita a impedir
tutti gli accessi del porto; dal lato di terra, non c'è bisogno di
dirlo, non poteva entrare nè un sacco di grano, nè un capo di bestiame.
S'era ridotti a cibarsi di pan nero, di frutte e d'erbaggi forniti dalle
nostre isole, del pesce che si pescava nei nostri canali e nella nostra
laguna. Chi riusciva a imbandire un pezzo di carne d'un quadrupede
purchessia, doveva ringraziare la Provvidenza come d'un segnalato
favore. La fame, gli stenti, l'agglomeramento della popolazione
preparavano una messe abbondante al colèra. E il colèra falciava le
vittime a centinaia, senza distinzione di classe, di sesso, d'età;
ricchi e poveri, giovani e vecchi, donne e bambini. Non bastavano al
bisogno gli ospedali, benchè se ne aprissero sempre di nuovi, non
bastavano i medici, benchè pieni d'abnegazione; mancava il ghiaccio,
mancava il chinino pei malati, mancavano i preti pei moribondi, i
seppellitori pei morti.
Eppure, in generale, le privazioni erano sopportate virilmente, e si
trovava perfino il tempo di ridere e di scherzare. Nella famiglia ove
erano ospitati i Rialdi c'era una vecchia nonna piena d'energia che dava
coraggio ai giovani e non voleva sentir piagnistei. Linda, pulita, con
una cuffietta bianca da' cui orli spuntavano due ciocche di capelli
d'argento, asciutta dalla persona e non curva ancora dagli anni, con un
par d'occhi scuri, vivi, lucenti, la signora Teresa era sempre
circondata da uno stuolo di bimbi come una chioccia dai suoi pulcini. La
chiamavano nonna tutti quanti, i suoi nipoti come gli estranei, ed ella
raccontava loro tante belle storielle, insegnava loro tanti bei giuochi.
Qualche volta una nube velava la sua fronte serena; allora, rivolgendosi
ai maschi, ella diceva con voce sommessa:
--Quando sarete grandi toccherà a voi a prendere il fucile contro i
Tedeschi.
--Sì, sì--gridavan quelli con entusiasmo.
--Lo farete il vostro dovere?
--Sì, sì, nonna.
--Bravi!--E la nonna soggiungeva con un filo d'ironia:--Fin che venga
quel tempo torniamo a giocar a mosca cieca.
La signora Teresa aveva una gran simpatia per Gasparo Rialdi e per
Margherita; per Fortunata provava una sincera commiserazione, ma non
poteva intendersi nè con lei, nè col conte Luca o con la contessa Zanze;
erano caratteri troppo dissimili dal suo. La impazientiva specialmente
il conte Luca, il quale passava delle ore tenendosi una boccettina
d'aceto e un pezzo di canfora al naso, e lamentandosi:
--L'hanno voluta fare la rivoluzione! Ecco che cosa ci hanno guadagnato.
L'avevo sempre previsto io.... Mettersi a cozzare con l'Austria!... era
uno scacco matto sicuro.... Mi spiego?
--Eh, caro signore--rimbeccava la vecchierella--se tutti fossero come
lei, il regno dei prepotenti durerebbe sino alla consumazione dei
secoli.
Malgrado del suo spirito alquanto mordace, la signora Teresa esercitava
una singolare attrazione non soltanto sui fanciulli, ma anche sugli
adulti. E Fortunata si fece animo a confidarle, non le sue vicende
coniugali, che già erano note, ma le sue angustie per la proposizione
che l'era stata fatta dal fratello.--Dio mio, come devo regolarmi? Come
devo regolarmi?--esclamava la povera giovine.
La signora Teresa non amava le persone le quali non sanno regolarsi da
sè; tuttavia ella non potè schermirsi dal rispondere. E riconobbe che la
cosa era grave; ma pesato il pro e il contro, disse:
--Per me, accetterei.
E ripetè gli argomenti addotti già da Gasparo. Rimanendo a Venezia
Fortunata non poteva recar nessun giovamento ai suoi genitori, e in
quanto al signor conte Bollati, egli, con la sua condotta aveva perduto
il titolo di marito e di padre. Fortunata doveva pensare alla sua
figliuola, e per la bimba sarebbe senza dubbio un gran bene lo star con
lo zio.
--Quello è un uomo--concludeva la signora Teresa--e in qualunque luogo
si trovi, saprà farsi la sua strada e mantenere le sue promesse.
Fortunata si torceva le mani e gemeva:
--Dio, Dio!--E neanche vederlo? Neanche saper s'è vivo o morto?
--Qui ha ragione lei. Ma non c'è proprio caso d'averne notizie?
--Senta, signora Teresa, poichè è tanto buona, trovi un'anima pietosa
che m'accompagni fino al palazzo Bollati. Dicono ch'è un vero rischio
l'andar fin là, ma non importa....
--Crede che non si sia mosso di casa?
--Non lo so.... Probabilmente si sarà mosso come gli altri, ma possibile
che non ci sia più nessuno a guardia del palazzo? E se c'è qualcheduno,
possibile che non mi diano un' informazione, una traccia?
--Insomma vorrebbe aver compagnia per questa sua gita?
--Sì... un servitore... un facchino a cui darei una mancia.
--Ma che servitore? Che mancia? Aspetti domattina e vengo io.
--Lei!... No... no, nemmen per idea....
--O che ha bisogno d'una pattuglia per esser sicura? O crede ch'io non
mi regga sulle gambe?
--Ma no... non è questo.... Non voglio che si esponga a un rischio per
causa mia.... In mezzo alle bombe....
--Che paroloni! Dia retta a me, il rischio è molto minore di quello che
si dice.... Se non ci fosse altro che il bombardamento, gli Austriaci
avrebbero da sudare ancora per un pezzo.... In verità, quanti crede sian
stati colpiti dalle bombe in tutta la città? Dieci o dodici forse....
Meno di quelli che il colèra porta via in una casa sola in poche ore....
Alle corte, se si decide, domattina alle nove, con la scusa di fare
qualche spesa, si va insieme.... Andare e tornare è l'affare di
un'ora.... Se poi non le accomoda, si spicci da sè, chè io non ho tempo
da perdere.
Come avviene sempre a quelli che contrastano con chi abbia più energia
di loro, Fortunata cedette. E la mattina seguente, alle nove precise, le
due donne s'avviarono insieme a braccetto.
I quartieri bombardati avevano realmente un aspetto che stringeva il
cuore. Le strade deserte, le botteghe chiuse, e chiuse pure, per la
massima parte, le imposte delle case, soprattutto nei piani superiori.
Qua e là, dietro alle inferriate di un magazzino, dietro ai battenti
socchiusi d'una porta, spuntava una faccia livida, affilata, sparuta.
Non mancavano segni più visibili del bombardamento; qualche mucchio di
rovinacci, qualche pezzo di tegola e di grondaia, qualche muro diroccato
o annerito da un principio d'incendio. Tuttavia il pericolo delle
persone non era gran cosa. Nè i cannoni austriaci potevano tirar più di
tanti colpi al minuto, nè tutti i colpi arrivavano sino all'abitato. Di
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