Dal primo piano alla soffitta - 04

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aristocratici e borghesi, arrivi e partenze di forestieri, promozioni e
traslochi d'impiegati, tutto aveva un posto nella cronaca della contessa
Ficcanaso, e Sua Eccellenza Chiaretta, tra uno sbadiglio e l'altro,
pendeva dalla sua inesauribile parlantina. Gli scandali l'attraevano in
ispecial modo, come accade a molte donne oneste, che sono piene di
curiosità patologiche. E di S. E. Chiaretta, fosse virtù vera, o
freddezza, o salute cagionevole, o mancanza di occasioni, non si poteva
davvero dir nulla.
I Rialdi poi, l'ho già detto, facevano in villa Bollati la permanenza
più lunga possibile. Certo che talvolta, pur di rimanere, dovevano ceder
la loro stanza e contentarsi dei peggiori bugigattoli della casa. Ma se
ne contentavano perchè la contessa Zanze voleva far economia, il conte
Luca aveva bisogno d'una boccata d'aria libera dopo le fatiche
dell'impiego, e Fortunata non riprendeva un po' di colore che quand'era
in campagna. Il solo Gasparo preferiva di passare in collegio anche le
vacanze.
Gli ospiti di minor riguardo erano vittime del lugubre buon umore di S.
E. il conte Zaccaria. Così il nobile Canziani, il signor Sughillo, la
contessa Ficcanaso, i Rialdi avevano di tratto in tratto la compiacenza
d'esser svegliati prima di giorno da un gallo nascosto in un canterale,
o di trovar sparsa l'assafetida sulle lenzuola, o di sentirsi nel cuor
della notte strappar via le coperte che erano state insidiosamente
legate a una cordicella di cui uno dei capi era fuori della stanza.
Quando la burla passava la misura--Ah,--borbottava la contessa Zanze al
marito,--se foste almeno nell'amministrazione!
Il conte Luca si stringeva nelle spalle. Gli scherzi del cugino Zaccaria
non gli turbavano la digestione, a lui non pareva vero di poter mangiar
bene tutti i sette giorni della settimana e di dare qualche capatina
furtiva in cucina per assaporare prima del tempo i ghiotti manicaretti
apprestati dal signor Oreste. Inoltre, poichè _non de solo pane vivit
homo_, il nostro conte Luca aveva, in quel periodo della villeggiatura,
delle insigni soddisfazioni d'amor proprio. Al caffè della Mira non
c'era nessuno che gli tenesse testa agli scacchi. Perciò, sia ch'egli
giocasse, sia ch'egli assistesse alle partite d'altri giocatori, egli
trovava, al cospetto della scacchiera, un brio e una loquacità
inesauribile, ed esilarava la compagnia con certi sali attici d'ottimo
gusto, come: _Fiat lux, faccia lui._--_Veda lei che ha quegli occhi così
bei._--_Tacete su quegli olmi, o passeri inquieti._--_Pur che il reo non
si salvi i giusto_ POMI (garbatissima variante al verso del Tasso).--_Tu
taci Solimano e a nulla pensi._--_Fermi là e nessun si muova_--e altre
spiritosaggini simili.
Di Fortunata non si discorre neanche. Ella si lasciava cucinare in tutte
le salse, e i capricci dei cugino erano altrettante leggi per lei.
Leonardo, il quale non voleva intorno a sè che persone sommesse, stava
appunto con Fortunata, con la Rosa nipote del gastaldo, chiamata per
vezzeggiativo Rosetta, e con tre o quattro ragazzi di contadini, ch'egli
pigliava a scappellotti se si mostravano recalcitranti ai suoi ordini.
Ma già la Fortunata e la Rosetta erano le sue favorite. Con loro
deludeva spesso la vigilanza del precettore, e s'inzaccherava nei fossi,
o si ravvoltolava sui mucchi di fieno, o andava a zonzo pei campi
sgranellando i grappoli d'uva lungo le viti. Ora, per un gran tempo, la
Fortunata e la Rosetta, ch'erano quasi coetanee, procedettero d'amore e
d'accordo, senza ombra di gelosia, chè la Rosetta riconosceva la sua
inferiorità di fronte all'altra, la quale, per quanto spiantata, era
sempre una damina. Ma in quell'autunno 1838 il contino Leonardo, che
sentiva ormai le prime inquietudini dell'adolescenza, si divertì a
prendere verso le due ragazze un atteggiamento di sultano fra le
odalische, e accordando ora una preferenza a questa, ora a quella, fece
sorger tra loro una specie di rivalità. Sicchè esse finirono col non
potersi soffrire, e Fortunata, che pur adorava la campagna, vide con
piacere la villeggiatura giungere al suo termine. A Venezia, ella
pensava, le cose torneranno come erano prima, e quella pettegola della
Rosetta non farà più le sue smorfie.
Quest'era vero, ma Fortunata errava grandemente nel credere che, levata
di mezzo, almeno per qualche tempo, la Rosetta, il cugino Leonardo non
avrebbe avuto altri grilli pel capo. Invece, giunto in città, Leonardo
mostrò di aver progredito in pochi mesi in malizia più di quello che in
molti anni non avesse progredito nell'ortografia, e Fortunata non gli
pareva che una bimba insipida con la quale non c'era sugo a perdere il
tempo.
Le tribolazioni di don Luigi in questa fase critica del suo allievo non
si possono descrivere. Quand'egli usciva a passeggio col contino, costui
guardava le donne in una maniera così sguaiata, così provocante, si
lasciava sfuggir di bocca delle esclamazioni così ardite che il povero
sacerdote avrebbe desiderato d'esser mille miglia sotterra, tanto se ne
vergognava. E borbottava fra i denti:--Anime sante del Purgatorio! Che
cosa mi tocca!
Finalmente don Luigi dichiarò che proprio egli non si sentiva in grado
d'andar più fuori di casa solo col contino, perchè, lasciando stare il
resto, egli non poteva nè tenerlo per le falde del vestito, nè corrergli
dietro quando il ragazzo s'impuntava a seguir le serve, o le crestaine,
o.... c'intendiamo.... chè già un paio di volte i monelli gli avevan
dato la baja, a lui sacerdote per bene, e avevan fatto sul suo conto chi
sa che razza di supposizioni offensive.
Il conte Zaccaria accolse con filosofica serenità questi avvertimenti, e
disse che riconosceva in suo figlio il sangue dei Bollati. I Bollati
erano stati sempre così, e poco più d'un secolo addietro il nobiluomo
Giuseppe Antonio era fuggito a quattordici anni con una cameriera.
Effetti del sangue.
Nondimeno per vigilar meglio sul suo chiaro rampollo, il conte Zaccaria
deliberò di affidarlo meno alle cure del precettore e di condurlo più
spesso con sè, al caffè Suttil di giorno, al teatro la Fenice la sera,
quando c'era spettacolo o c'erano prove. Poichè il conte Zaccaria ch'era
uno dei presidenti, aveva libero accesso anche al palcoscenico. In quel
recinto sacro alle Muse il contino Leonardo trovò subito oneste e liete
accoglienze, soprattutto dal corpo di ballo. Infatti le pudiche allieve
di Tersicore avevano troppa stima del conte Zaccaria da non far buon
viso al suo nobile erede, il quale mostrava le migliori disposizioni a
seguir gli esempi paterni. Il contino Leonardo, dal canto suo, si
pavoneggiava molto di queste sue nuove conoscenze, e quand'era in palco
con sua madre nominava a una a una le vaghe giovinette di rango francese
o italiano che volteggiavano sulla scena in vestito succinto.
E se la contessa Chiaretta si sgomentava delle inclinazioni libertine
del figliuolo e manifestava dei timori al marito, questi tirava in campo
la solita scusa del sangue caldo dei Bollati, e soggiungeva:--Ci
vogliono le valvole di sicurezza, ci vogliono. Se no la macchina
scoppia.


VII.

La savia massima paterna non rimase infeconda, e a sedici anni appena il
contino Leonardo cominciò ad applicar largamente il sistema delle
valvole di sicurezza. La prima di queste valvole si chiamava Candida, e
occupava un posto onorifico tra le Greche del ballo spettacoloso, _La
caduta di Missolungi_. Senonchè, finita la stagione della Fenice, la
Candida prese il volo per altri lidi e le successe una Olimpia ascritta
tra le _Scozzesi_ di una _Lucia di Lammermoor_ che si rappresentava al
teatro S. Benedetto. L'Olimpia non durò un pezzo neppur lei, e le tenne
dietro una Serafina, _virtuosa_ di canto, che, insieme con molte altre
cose, aveva perduto la voce. Nè con la Serafina, è inutile il dirlo, si
chiuse il ciclo romantico del nostro giovinetto. Giova bensì notare come
queste frequenti conquiste asciugassero le tasche del contino Leonardo,
il quale non riceveva dal signor padre che un modesto peculio mensile.
In questa critica condizione di cose il nostro Leonardo trovò
un'assistenza impreveduta nell'ottimo signor Oreste, il cuoco, uomo
danaroso e liberalissimo, sovventore magnanimo di piccoli bottegai e
merciaiuoli ambulanti con cui egli teneva conto corrente al mite saggio
dell'un per cento alla settimana. Trattandosi ora di levar d'impiccio il
padroncino, era naturale ch'egli fosse pronto a dare, nonchè i
quattrini, anche il sangue. Onde, in quel modo delicato che rende più
preziose le offerte, il signor Oreste mise la sua cassa a disposizione
del contino Leonardo, ritirandone di volta in volta delle cambialette
rinnovabili ogni anno fino al momento in cui il giovane divenisse
maggiore. S. E. Zaccaria, che ignorava ogni cosa, potè intanto cullarsi
nella dolce illusione che il figliuolo sapesse far baldoria e spenderne
pochini, ciò che non sapevano altri giovani del patriziato.
Il sagace lettore non troverà punto strano che il contino Leonardo,
entrato ormai in dimestichezza con le Candide, le Olimpie e le Serafine,
guardasse con un sorriso di compassione tutte le femmine le quali non
appartenevano a quella casta rispettabile. Fortunata divorava in
silenzio il suo dolore pel mutato atteggiamento del cugino verso di lei,
ma la contessa Zanze non sapeva dominar la sua stizza, e le accadeva
sovente di tirar giù a campane doppie contro i Bollati, ch'erano
stupidi, ignoranti, vanitosi, villani, egoisti, e lasciavano crescere
come l'erba matta il solo maschio che avessero.--Già--ella diceva--per
poco che quello sbarazzino continui la vita che fa, egli crepa
sicuramente.... E sarà quello che si merita--ella soggiungeva urlando
come un'ossessa e dimenticandosi per un momento l'idea da lei
vagheggiata di avere il contino Leonardo per genero.
Gasparo Rialdi trionfava, vedendo di non esser più il solo della
famiglia ad avere in uggia il giovane Bollati. E quando gli toccò
d'imbarcarsi, perch'egli era ormai cadetto di marina e doveva andar con
la squadra in Levante, egli prese da parte la sorella e le disse con
maggior dolcezza dell'ordinario:--Credilo, sorelluccia mia, io me ne
vado più contento sapendo che tu bazzichi meno con Leonardo....
Quell'intimità non m'era piaciuta mai, e sarai persuasa che non avevo
torto. Leonardo è stato da piccolo in su un monellaccio e nient'altro, e
adesso che da un anno in qua fa a modo suo, è uno dei più scapestrati
che vi siano in paese. Tu non sei una bimba, hai quasi quindici anni, e
a quindici anni una giovinetta deve guardar bene a chi accorda la sua
confidenza e le sue preferenze.... Capisco che noi non possiamo troncar
le nostre relazioni coi Bollati; il babbo e la mamma non lo vorrebbero,
e forse avranno ragione, forse è vero che ci conviene usar dei riguardi
a quei nostri parenti.... abbiamo, pur troppo, delle obbligazioni con
loro.... Ma un giorno, se la fortuna m'aiuta!... Intanto sta in
guardia, e soprattutto non curarti di Leonardo... Son meglio i suoi
disprezzi che le sue carezze.--Le parole di Gasparo erano per Fortunata
tante punture di spillo. Ella non osava contraddirlo, si sentiva piccina
piccina di fronte a lui; ma egli era troppo impetuoso, troppo violento,
troppo assoluto da potersele insinuare nell'animo, da poter sradicarne
le simpatie segrete coltivate con lungo amore. Poichè non è mica vero
sempre che i forti trascinino i deboli; la bufera che abbatte la quercia
passa talvolta sul gracile stelo senza far altro che piegarne la cima. A
veder suo fratello così accanito contro Leonardo, ella, pur riconoscendo
i torti di costui, aveva come la coscienza d'un'ingiustizia, di una
persecuzione della quale ell'era muta e impassibile testimonio. Le
pareva che sarebbe convenuto tener modi diversi, usar la dolcezza,
cercar con le ammonizioni e i consigli di ricondurre il traviato sul
retto sentiero, e avrebbe dato dieci anni della sua vita per saper far
lei quello che non sapevano o non volevano fare gli altri. Così Gasparo,
con tutta la sua perspicacia, s'era affrettato troppo a rallegrarsi
della scemata intrinsichezza di sua sorella con Leonardo Bollati.
Sicuro, le apparenze gli davano ragione, e Fortunata si trovava di rado
a quattr'occhi col cugino, ma chi le fosse disceso in fondo al cuore
avrebbe visto che i nodi che la stringevano a lui, anzichè rallentarsi,
accennavano a diventare più saldi e indissolubili.--Non sei una
bimba--le aveva detto Gasparo, ed era vero. E appunto per questo
riusciva meno facile a lei stessa di raccapezzarsi in quel tumulto di
sentimenti nuovi e di nuovi pensieri che l'agitavano. Ciò ch'ella
provava per Leonardo Bollati non era l'affetto uguale, ingenuo e devoto
dei primi anni; era a volte un'attrattiva invincibile, a volte una
strana ripulsione; ond'ella ora lo cercava ed ora lo sfuggiva, ma sia
che lo cercasse o lo sfuggisse, non sapeva staccare il pensiero da lui.
Dei genitori vigili, intelligenti, avrebbero avvertito il pericolo e
cercato di ripararvi in tempo, ma il conte Luca era un uomo nullo che
aveva abdicato in favore della moglie, e la contessa Zanze, sebbene non
fosse una sciocca, non era nata per capir certe cose, e aveva poi uno
spirito singolarmente sconclusionato. Dimodochè, dopo aver dipinto
Leonardo con le tinte più fosche, dopo avergli pronosticato ogni specie
di malanni, ella mutava a un tratto registro e tornava a far castelli in
aria e ad almanaccare sulla possibilità che sua figlia entrasse in casa
Bollati e ch'ella, Zanze Rialdi, divenisse un giorno la suocera
dell'erede di un gran nome e di un gran patrimonio. Inoltre, anche nei
momenti in cui ell'era meno disposta alle illusioni, ell'avrebbe riso in
faccia a chi fosse venuto a dirle che il solo mezzo efficace di salvar
Fortunata dalle amarezze e dai disinganni era quello di non frequentar
troppo i Bollati, di non mantener con essi che le relazioni strettamente
necessarie. Colmarli di contumelie quand'essi non potevano sentirla,
era, per la contessa Zanze, la cosa più naturale del mondo, ma perdere i
vantaggi d'una parentela simile le sarebbe parso un delitto verso sè
stessa e verso la propria famiglia. Ah, in verità non c'era che lei che
avesse un po' di sale in zucca! Suo marito era un bamboccio, Gasparo,
con tutto il suo ingegno, non sapeva il viver del mondo, e Fortunata era
una buona diavola, ma prendeva di tratto in tratto certi atteggiamenti
di vittima ch'erano molto noiosi. Adesso ell'aveva l'aria di fare una
grazia ad andar l'autunno in campagna, come se si potesse rinunziare a
un sistema che, senza contare il benefizio fisico, permetteva di chiuder
la casa e di raggranellar quattro soldi per l'inverno.
La ragione, per la quale Fortunata andava mal volentieri in villa
Bollati, non è difficile a immaginarsi. Il contino Leonardo, si curava
poco di lei e si curava troppo della nipote del gastaldo, la Rosetta,
che in brevissimo tempo s'era fatta una bella ragazza. Vispa,
civettuola, la Rosetta sapeva di piacere e si divertiva a lasciarsi
corteggiare, per rider dei gonzi, diceva lei, giacchè non era così
grulla da innamorarsi a spese della salute e del buon umore, e in quanto
al prender marito non c'era furia, chè un marito è un tiranno e
nient'altro. A ogni modo, di mariti c'era abbondanza; bastava volere.
Per ora preferiva spassarsela, e d'autunno quando i padroni erano in
villa accettava di buon animo gli omaggi del conte Leonardo, certa di
far arrabbiare le sue carissime amiche e di suscitar la gelosia dei
bellimbusti del paese. Perciò ella non aveva nessun riguardo a lasciarsi
vedere con Leonardo per le strade maestre e a scambiar la domenica in
chiesa occhiate e sorrisi con lui. Che se anche le _amiche_ e i galanti
si vendicavano col tener sul suo conto ogni specie di discorsi e
coll'esagerare l'importanza della tresca, ella si stringeva nelle
spalle, tant'era sicura che al finir dell'autunno i galanti sarebbero
tornati ai suoi piedi, docili come cagnolini. Delle _amiche_ poi non si
dava pensiero; chiuder loro la bocca era impresa impossibile.
La Rosetta, come si vede, sfidava la cosidetta opinione pubblica per
vanità, poichè questa sua vanità non sarebbe stata soddisfatta se la
gente non avesse saputo che il contino Bollati spasimava per lei. Ma
dove la vanità non era in giuoco ell'era invece prudentissima, e
Leonardo non riusciva a indurla nè a passeggiate in luoghi solitari, nè
a furtivi colloqui di sera. Anzi quand'egli era troppo insistente, la
ragazza fingeva di corrucciarsi e lo sfuggiva per più giorni di seguito.
Già i pretesti non le mancavano; o doveva attendere alla cascina, o
aveva da lavorar di cucito per lo zio e i cuginetti. Allora Leonardo si
sfogava con Fortunata e diceva che la Rosetta era la più civetta di
tutte le tose ch'egli aveva conosciuto, e ch'ella s'ingannava a partito
se credeva di far colpo sopra di lui con quelle sue bizze da
principessa. C'era proprio pericolo ch'egli la prendesse sul serio! Ma
queste confidenze non davano un gran conforto a Fortunata, che, di lì a
qualche giorno, vedeva Leonardo più sommesso di prima alla capricciosa
contadinotta.
Era impossibile che in casa non s'accorgessero di questa tresca, e
seppur non se ne fossero accorti, la contessa Zanze si sarebbe assunta
la briga di spargerne la notizia. Ella n'era scandalizzatissima, e non
risparmiava fatiche per risvegliare il senso morale del conte Zaccaria e
della contessa Chiaretta e per indurli a far valere la loro autorità
prima che accadesse una catastrofe. Ma quelli non se ne davano per
intesi. O che toccava a loro di vigilare sul prezioso onore d'una
villana?
E se dobbiamo esser sinceri, quegli a cui spettava anzitutto
quest'ufficio delicato era il gastaldo, zio della Rosetta, volpe
vecchia, il quale lasciava correre, sia che si fidasse della furberia
della nipote, sia che non volesse disgustare il giovane conte, e in ogni
evento, sperasse di tirar l'acqua al suo molino.
L'ultimo rifugio della contessa Zanze era don Luigi. O che aveva gli
occhi foderati di prosciutto? O che non sentiva il debito sacrosanto di
alzar la voce, e di sottrarre alla perdizione il suo allievo?
Povero don Luigi! Che ci poteva lui? Non la capivano ancora ch'egli non
era più il precettore? Era il cappellano della famiglia, era una specie
di mastro di casa; ma il precettore no. E su certi argomenti non aveva
diritto di entrare... fuori che nella confessione.... Allora le sue
ragioni sapeva dirle e non aveva bisogno delle lezioni di nessuno, come
non intendeva render conti a nessuno.... E poi perchè venivano a
discorrergli di tresche scandalose?... Credevano che un sacerdote non
avesse da far di meglio che spiare i passi di due monelli senza
giudizio?
--Bei ministri di Dio!--borbottava la contessa Zanze riferendo al marito
questi colloqui.--Bei ministri del Vangelo! Si lavano le mani come
Ponzio Pilato.
--E perchè non ve le lavate anche voi le mani?--rimbeccava il conte
Luca.--Siete un ministro di Dio, voi! Andate proprio a cercarli col
lumicino i fastidi? Che può importarvi di ciò che passa tra Leonardo e
la Rosetta? Per la Vergine santissima, lasciate che si sbrighino loro e
non ve ne impicciate. Tanto, a voi non ne va e non ne viene. Mi spiego?
E il pacifico uomo tornava al caffè a giuocare ai suoi scacchi.


VIII.

Forse il conte Luca aveva ragione a voler mantenere una politica di
assoluta neutralità, ma, d'altra parte, la contessa Zanze non aveva
torto nel presagire che quest'intrigo del contino Leonardo e della
Rosetta sarebbe andato a finir male. Era una cosa troppo lunga, e, come
dice il proverbio, le cose lunghe diventan serpi. In città, Leonardo
aveva mille distrazioni che gl'impedivano di pensare alla nipote del
gastaldo, ma quand'era in campagna gli occhi bellissimi e il sorriso
affascinante della Rosetta esercitavano sopra di lui il solito impero.
Inoltre c'era ormai di mezzo anche un po' di puntiglio. Egli giurava e
spergiurava a sè medesimo di venirne a capo, di non voler essere
raggirato più a lungo da una contadina, di non voler più contentarsi
d'una carezza e d'un bacio a ogni morte di papa. Per la Madonna! Egli
non aveva mai avuto queste abitudini, e le Candide, le Olimpie e le
Serafine non lo avevano mai fatto sospirar tanto. Però questi propositi
risoluti del contino Leonardo si spuntavano contro le arti sopraffine
della ragazza, la quale pareva aver imparato la civetteria in una
capitale. Ella accettava i regalucci del suo spasimante, gli diceva di
volergli bene, accordava quello che non era possibile di negargli, ma in
quanto al resto, nemmen per sogno. Comunque sia, questa tattica era
piena di pericoli, ed era evidente che non poteva durare a lungo,
soprattutto, se, in mezzo ai tanti farfalloni che svolazzavano intorno
alla Rosa, fosse spuntato un pretendente serio. In verità il pretendente
serio tardò abbastanza a venire, e le buone amiche della Rosa si
tenevano sicure ch'esso non sarebbe venuto più, perchè, siamo giusti,
chi doveva sposare quella sguajata? C'era bensì un tal Menico, garzone
di caffè, povero di quattrini e di spirito, il quale dichiarava di
languir d'amore per lei e d'esser pronto a darle il suo nome, ma a
nessuno passava pel capo che la Rosetta si adattasse a sposar quello
zotico di cui ella era la prima a burlarsi, quantunque Menico fosse
sotto la protezione del gastaldo, ch'era suo santolo.
Per altro, allorchè Beppe Gualdi, il figlio dell'oste, finita la ferma
militare, tornò in paese e s'attaccò subito ai panni della ragazza, si
cominciò a susurrare nei crocchi che, se la Rosetta aveva giudizio, lo
sposo era bell'e accalappiato, perchè Beppe non era uomo da perdersi in
galanterie senza costrutto e aveva già detto di voler prendere moglie.
Naturalmente uno sciame di persone officiose, per la maggior parte
madri che avevano figliuole da marito e zitelle che cercavano un
collocamento, si diedero premura di metter sull'avviso il giovinotto,
informandolo di tutte le chiacchiere che correvano sul conto della
Rosetta. Era proprio peccato che un galantuomo cascasse in così cattive
mani. Ma Beppe troncò presto i discorsi, rispondendo che aveva ormai il
dente del giudizio e ch'era in grado di regolarsi da sè. Ai suoi intimi
poi diceva che le chiacchiere dei maligni non gli facevano nè caldo, nè
freddo, e che non si stupiva punto se la Rosetta aveva tante nemiche,
perch'era più bella e più vivace delle altre. Del resto egli era
disposto ad ammettere che le fosse piaciuto di farsi corteggiare anche
dal contino Leonardo, ma al suo posto tutte avrebbero fatto lo stesso. A
lui bastava che queste galanterie non avessero seguito, ed egli non
avrebbe certo domandato formalmente la mano della Rosetta finchè non si
fosse assicurato da sè che tra lei e il contino era troncata ogni
relazione.
La Rosetta non provava nessun entusiasmo per Beppe Gualdi, che aveva una
diecina d'anni più di lei, ma non voleva disgustarlo, nè darla vinta
alle sue rivali che gli tendevano le loro reti; inoltre, per aliena
ch'ella fosse dal matrimonio, non era poi così grulla da rinunziar
troppo leggermente a un buon partito. Onde si mostrava piena di
deferenza pel suo nuovo adoratore e rideva e scherzava con esso intorno
al contino Bollati, i cui stupidi omaggi, ella diceva, non avevano
servito che a tenerla di buon umore.
Il figlio dell'oste era ripatriato alla fine dell'inverno, mentre i
Bollati non erano in villa, ciò che sulle prime diede buon gioco alla
nostra civettuola. Le difficoltà vere dovevano affacciarsi più tardi,
nell'autunno, quando la Rosetta sarebbe stata messa al punto o di
decidersi per uno dei suoi due innamorati o di sfoggiare un'arte
maggiore del solito per corbellarli entrambi. Era anche fuor di dubbio
che allora tutti quelli che le volevano male sarebbero stati con tanto
d'occhi aperti per coglierla in fallo.
Ne venne di natural conseguenza che il contino Leonardo Bollati,
quell'anno, trovò la Rosetta notevolmente mutata, cosa che non poteva
accadergli in peggior momento, giacchè egli s'era impegnato con certi
suoi compagni di libertinaggio a non tornare a Venezia senz'aver vinto
l'ultime resistenze della capricciosa fanciulla. E a raggiungere meglio
il suo fine, egli s'era munito d'un anellino di brillanti il cui
splendore, a parer suo, era atto a trionfare di ben altre virtù
femminili che di quella della nipote del suo gastaldo.
Dinanzi agli ostacoli impreveduti che intralciavano la sua via, il
contino Leonardo, quantunque fosse un balordo, si condusse, per una
volta tanto, da uomo di spirito. Non andò in escandescenze, non perdette
il suo sangue freddo, ma non depose le armi e fidò nella fragilità
femminile.
C'era un'altra bellezza campagnuola che pretendeva contrastar la palma
alla Rosetta, e ch'era stata tra le più implacabili nel giudicarla. Il
giovine conte, che non s'era occupato mai di costei, cambiò tattica a un
tratto, le si avvicinò ripetutamente, le disse di quelle paroline che
suonano così dolci alle donne, solleticò insomma in tutti i modi la sua
vanità. Queste galanterie non rimasero segrete, chè la prima a non voler
che rimanessero tali era la persona alla quale esse erano fatte.
Figuriamoci s'ella poteva resistere al gusto di umiliare la Rosetta che
l'aveva per tanto tempo guardata d'alto in basso! E la Rosetta n'ebbe
una rabbia da non dirsi. Che Leonardo, disgustato dal suo eccessivo
riserbo, si curasse appena di lei, pazienza; ma ch'egli corteggiasse la
Filomena (era il nome della rivale) questo passava davvero ogni misura.
Solo a pensarci le veniva da piangere. E se la prendeva un po' con
tutti. Con la Filomena, s'intende; con Leonardo, ch'era volubile e di
pessimo gusto, con quel noiosissimo Beppe Gualdi che faceva il geloso,
con lei stessa che gli dava retta. Ah, se un giorno essa diventava sua
moglie, come gliel'avrebbe fatta pagare!
Intanto, una mattina, mentre il contino Leonardo tornava alla villa per
una scorciatoia, egli vide la Rosetta che pareva occupata a coglier
margherite sul ciglio del sentiero. Avrebbe voluto far lo spavaldo e
passare avanti, ma ell'era troppo bella, troppo procace in
quell'atteggiamento, col seno che quasi le traboccava dalla bustina, ed
egli sentì una ondata di sangue caldo salirsi alla testa.
--Buon giorno, Rosetta--egli disse fermandosi sui due piedi.
Ella finse una grande sorpresa, arrossì e lasciò cadere i fiorellini che
teneva in mano.
--Ti faccio paura?--ripigliò il giovane. E soggiunse più basso:--Come
sei bella stamattina! Meriti proprio il tuo nome; sei un bocciuolo di
rosa.
--Oh--ella rispose--la Filomena è molto più bella di me.
Il contino Leonardo si strinse nelle spalle.
--La Filomena non è degna neanche di baciar la terra su cui tu cammini.
La fisonomia della Rosetta s'illuminò dal piacere; nondimeno ella si
tenne in un certo riserbo:--A me dice così, a lei invece....
--O che credi sul serio ch'io sia invaghito della Filomena?
--To!!... Come se non lo credessero tutti quanti?...
--Tutti quanti credono male, quest'è la verità.... A ogni modo, che te
ne importa se hai la testa piena del tuo Beppe Gualdi?
La ragazza fece un gesto d'impazienza.
--Un brav'uomo--seguitò Leonardo--un po' maturo per te... ma dal momento
che gli vuoi bene....
--Che ne sa lei se gli voglio bene, o no?
--Oh bella! risponderò anch'io: tutti lo dicono.
--La gente chiacchiera per aprir la bocca.
--E allora perchè sei stata così cattiva con me quest'autunno?--incalzò
il contino passandole un braccio attraverso la vita.
Essa resisteva.--No, no, mi lasci.... Se qualcuno ci vede.
--Non c'è anima viva--replicò Leonardo. E, pronto ormai ad ogni più
ardita impresa, le stampò un bacione sul collo, mentre cercava di
spingerla fuori del sentiero, in un campo di grano turco, le cui canne
alte e fitte potevano essere un eccellente riparo contro gli sguardi
indiscreti.
Quantunque alla giovane ripugnasse l'idea di questa capitolazione
vergognosa, non si sa quel che sarebbe accaduto, se proprio fra le canne
del grano, a poca distanza dal luogo ove si trovavano i due giovani, non
si fosse inteso un improvviso fruscìo, come di persona che si aprisse
bruscamente il passaggio, forse per entrare, forse per uscire dal campo.
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