Dal primo piano alla soffitta - 02

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sopra una panca, e non sapeva risolversi a salir dalle loro Eccellenze
dopo lo smacco subìto. Parecchi amici e compari gli facevano corona e si
sforzavano di calmar la sua agitazione e di persuaderlo a presentarsi ai
padroni con la faccia franca, chè già non l'avrebbero mica mangiato vivo
seppure una volta la fortuna gli era stata contraria. In quel gruppo di
confortatori c'erano anche alcune donnette, una sua sorella tra l'altre,
bel tipo di veneziana da Cannareggio, con certi occhi neri e lucenti
come due carboni e con una parlantina inesauribile.
--_Oh, corpo de diana_--ella diceva al fratello--vorrei anche vedere che
ti trattassero con mala grazia. Io risponderei: Lustrissimi, credono che
a vogare in regata sia lo stesso che a starsene lunghi distesi con la
pancia in giù sui cuscini d'una _bissona_?... Eh, non ho peli sulla
lingua io....
Tita s'impazientiva.--I rimproveri dei padroni sono il meno... È l'amor
proprio.
--To', non la può mica andar sempre bene... Una volta corre il cane e
l'altra il lepre... È stato così dacchè mondo è mondo.
--_Siora_ Cate ha ragione--soggiungeva un vecchio _gastaldo_ d'un
traghetto vicino, persona assai autorevole--non c'è ragione di
tribolarsi... E lascialo dire a chi se ne intende... _Bisatto_ non è
degno d'allacciarti le scarpe... E se ha vinto oggi, a rivederci domani.
--È stato quel colpo di vento alla Punta della Salute--ripigliò un
altro.--C'ero io, c'ero. _Bisatto_ l'ha sentito meno perchè il suo
gondolino si trovava più a destra.
Ma Tita non voleva esser consolato e andava in escandescenze,
soprattutto quando la sua umiliazione gli era rammentata dai guaiti del
porcellino che giaceva in un angolo, più morto che vivo.
--Povera bestia!--esclamò la Cate, chinandosi sull'infelice animale in
atteggiamento di suora di carità.--Come se ne avesse colpa!... È tutto
ammaccato... Che ragione c'era di pigliarlo a calci? Che se poi crepa di
bile, non è più buono da mangiare.
--È vero--notò gravemente un nuovo personaggio comparso in quel punto.
Era il signor Oreste, il cuoco, in abito da signore, col _metternicche_
in testa, una collana d'oro al collo e uno spillone di diamanti sulla
camicia.--È vero--egli riprese dopo una pausa. E inventandosi apposta un
proverbio per l'occasione continuò:--_Bestia ben trattata buona in
pignatta_.... E questa qui non ha bisogno d'altre disgrazie.... Conviene
ingrassarla per una settimana, e poi si potrà farne uno stufatino con la
salsa piccante....
--Ma che stufatino!... Ma che salsa piccante!--interruppe la
Cate.--Meglio arrosto.
--Scusi, _siora_ Cate, è troppo piccolo.
--Alla malora il porco e i suoi protettori--urlò Tita in una
recrudescenza di furore.--Ch'io possa morire d'un accidente se di quel
porco lì ne assaggio un boccone.... L'avevo detto al mio compagno che se
lo tenesse tutto per lui.
Ma la sorella, ch'era una giovane savia e positiva, protestò contro
quest'idea bislacca.--Neanche per sogno.... Quello ch'è giustizia....
Ciascuno la sua parte.
--Belle parti che si faranno--disse il signor Oreste con piglio
sprezzante, accennando alla piccolezza dell'animale.
--O che non potrebbe attendere alle sue casseruole, _sior
piavolo_?--rimbeccò la Cate, che non poteva soffrire il cuoco, il quale
un giorno aveva voluto mettere a troppo caro prezzo un piatto di
polpette ch'egli le aveva regalate.
--Ehi, ehi, la mia _tosa_, che fumi vi montano alla testa?
--Zitto--sussurrò qualcheduno--che c'è _sior_ Bortolo.
Infatti, l'agente generale discendeva dalla scaletta del mezzà in
compagnia d'un signore dai baffi grigi che faceva il sensale di mutui e
godeva di una mediocre riputazione.
--Siamo intesi, caro Bellani... Combinando l'affare l'un per cento a
me....
In quel punto la porta della scala di servizio si aprì con violenza, e
un cameriere in livrea gridò tutto trafelato.--Che qualcheduno vada
subito in farmacia a cercare un medico.... Dal dottor Zuliari andrò
io... È venuto un deliquio a Sua Eccellenza Leonardo.


III.

Il deliquio del vecchio conte non durò che pochi minuti, ma i medici,
considerando l'età avanzata e il fisico indebolito di Sua Eccellenza, lo
giudicarono un sintomo gravissimo e non tacquero le loro inquietudini
alla famiglia. Nè s'apponevano a torto; chè di lì a qualche giorno
apparve evidente che il nobil'uomo Leonardo Bollati, patrizio veneto e
comandante di galera sotto la Serenissima, si spegneva a oncia a oncia,
come lampada a cui manchi l'olio. Egli conservò per altro sino
all'ultimo la lucidezza della mente, e quando s'accorse d'essere ormai
bell'e spacciato, chiamò al suo letto il figliuolo e gli tenne
all'incirca questo discorso:
--Lasciamo i preamboli, perchè non ho tempo da perdere. Presto sarete
voi il capo della famiglia di nome e di fatto. È dunque bene che
sappiate, se non ve ne foste ancora accorto, che, da un secolo a questa
parte, c'è in casa nostra tutta la disposizione ad andare in malora. La
mia colpa ce l'avrò anch'io, ma si è cominciato molto prima di me a
spendere più di quello che si poteva. Se cercherete su nell'archivio le
lettere del vostro prozio Almorò, ambasciatore a Parigi, vedrete ch'egli
domandava 120 mila franchi all'anno per lui solo e l'agente aveva un bel
da fare a trovarglieli. E vedrete anche la polizza delle spese occorse
per le feste date in occasione della nomina a Procuratore di San Marco
di vostro nonno e mio padre Zaccaria. Oh bazzecole! venti mila ducati!
Notate che in quei tempi c'era ogni tanto la sua brava eredità che
capitava in buon punto a colmare i vuoti. Ma adesso i pochi parenti che
ci restano son tutti spiantati, e non so quali eredità si possono
sperare.... Se non fosse da parte dei Rialti....
Questa supposizione parve sì comica al conte Leonardo ch'egli si mise a
ridere, e, poichè il riso gli fece venire la tosse, dovette interrompere
la sua arringa.
--Sì, sì--egli riprese di lì a un paio di minuti--tutti ebbero le mani
bucate nella nostra famiglia. Non è da eccettuarsi che una bisavola, la
quale aveva invece la manìa dell'avarizia, e, fra l'altre cose, lasciò
alla sua morte una cinquantina di pacchi di curadenti con scrittovi
sopra: _usati, ma servibili_. Insomma quello che volevo dirvi si è ch'è
necessario metter giudizio; se no vi assicuro io che, nonostante i due
dogi, i tre procuratori e gli altri illustrissimi personaggi che
vantiamo per antenati, di tutte le nostre ricchezze non ci resterà fra
poco il becco d'un quattrino. E queste cose ditele alla mia degnissima
nuora, che non si sa proprio come spenda il danaro, perchè le nostre
vecchie si divertivano, e quella lì consuma una sostanza in caffè,
cioccolata, _baicoli_ e paste sfogliate. Badate poi al vostro figliuolo
Leonardo, che giurerei destinato a restare un somaro e a diventare un
cattivo soggetto. Finalmente credo utile avvertirvi che tutti i nostri
dipendenti ci succhiano il sangue come tanti vampiri, cominciando
dall'agente generale _sior_ Bortolo e terminando coll'ultimo fattore di
campagna. Già saprete il proverbio: _Fame fator un ano, e se moro de
fame xe mio dano_. Non vi suggerisco di cambiarli, perchè ne prendereste
di quelli che vi ruberebbero ancora di più; solamente tenete gli occhi
aperti e procurate di far meglio di quello che ho fatto io. Io me ne
lavo le mani. È il meno che si possa fare quando si va all'altro mondo.
In complesso il sermone del conte Leonardo era pieno d'idee giudiziose,
ciò che prova come tutti gli uomini in punto di morte abbiano
l'attitudine a dar buoni consigli, perchè sanno di non doverli più
avvalorar con l'esempio, e perchè non temono più le conseguenze dei
sacrifizi che suggeriscono agli altri.
E invero quando, dopo pochi giorni, Sua Eccellenza morì con tutti i
conforti della religione, il suo testamento parve fatto apposta per
ismentire le savie massime ch'egli aveva predicato, tanti e di tante
specie erano i legati che imponeva all'erede. Ce n'era sotto forma di
elargizioni a opere pie, di somme da pagarsi in una sol volta a parenti
ed a amici, di elemosine ai poveri, di pensione alla servitù, ecc., ecc.
Nè mancavano istruzioni precise, minute, circa ai funerali che dovevano
essere tra i più splendidi che si fossero visti.
Questi funerali i vecchi parrocchiani se li ricordano ancora. Essi si
ricordano perfettamente quanti minuti impiegasse il corteo per giungere
dal palazzo alla chiesa, quanti preti, quante confraternite, quante
rappresentanze civili e militari, quanti servi di casa, quanti
gondolieri di famiglie patrizie vi prendessero parte, e che folla di
curiosi venisse in coda, donne, ragazzi, pezzenti d'ogni età e d'ogni
sesso, che, trattenuti a fatica dai fanti del Municipio, si accalcavano
gli uni sugli altri, mormorando per non aver potuto avere il torcetto.
In chiesa poi era uno spettacolo imponente. Le pareti e i pilastri erano
rivestiti di drappo nero con galloni d'argento, un gran catafalco con
iscrizioni ai quattro lati s'ergeva nel mezzo, le fiamme oscillanti dei
ceri abbarbagliavano gli occhi e gettavano in faccia dei buffi d'aria
infocata. Dopo che il feretro fu issato sul catafalco, intorno al quale
stavano ritti ed immobili quattro pompieri con le spade nude e quattro
servitori con le torce accese, principiò la cerimonia religiosa, una
cerimonia che non voleva finir mai. Le onde sonore che partivano dalla
cantoria accrescevano, s'era possibile, il caldo affannoso, la gente,
stipata come le sardelle in barile, si rasciugava i sudori con la manica
del vestito (seppur le riusciva di alzare il braccio), e di tratto in
tratto, non potendone proprio più, metteva dei muggiti simili a quelli
del mare in burrasca. Insomma, quando piacque a Dio, il parroco
pronunziò l'assoluzione e il funerale si mosse. Ci fu di nuovo un serra
serra, qualche bimbo rischiò di restar schiacciato, qualche donna cadde
in deliquio, ma non s'ebbero a deplorare disgrazie maggiori. Nel _campo_
davanti alla chiesa un picchetto di soldati di marina rese alla bara gli
onori militari; poi, non usandosi in quei tempi i discorsi, la bara fu
accompagnata sino al canale, e venne deposta in una _peota_ riccamente
addobbata, nella quale salirono i famigli del defunto, alcuni pompieri e
fanti del Municipio. La _peota_ preceduta da una barca con la musica e
seguita da uno stuolo di gondole si diresse verso il cimitero di San
Michele di Murano.
La folla si disperse da varie parti. Solo un centinaio di poveri (donne
in gran parte) s'avviarono al palazzo per buscarsi qualche soldo
d'elemosina.
_Sior_ Bortolo, il quale, soffrendo un po' d'asma non era andato in
chiesa, ebbe un bel da fare a liberarsi da quest'arpie ch'eran riuscite
a penetrar nel _mezzà_ e lo assordavano delle loro querimonie.
--A mio marito non hanno dato nemmeno una candela.
--Ho quattro creature, io....
--Son due giorni che non si accende fuoco in casa....
--Sono un povero vecchio impotente....
--Ho il figliuolo coscritto.
--Andate in pace--diceva _sior_ Bortolo--chè già nel testamento di S. E.
Leonardo c'è un legato pei poveri della parrocchia.
--Oh _paron benedeto_!--stillavano alcune di quelle megere--di quei
soldi lì noi altri non ne vediamo.... Se li mangia il pievano.
--Eh, vergogna. Che discorsi!
--Pur troppo, _sior_ Bortolo.... Pur troppo la è sempre così.
--Se anche non li mangia tutti--soggiungeva una femmina d'opinioni
moderate--li distribuisce a suo modo, a chi non li merita, a chi non ha
bisogno.... Sia buono, _sior_ Bortolo, ci dia qualche cosa.
_Sior_ Bortolo si lasciava commuovere e cacciava le mani dentro un
cassetto.--Uno alla volta.... Marco.
Marco era un fattorino addetto all'agenzia.
_Sior_ Bortolo gli diede una manata di soldi con l'incarico di
licenziare tutta quella gente, e Marco ricorrendo a _sior_ Bortolo ogni
volta che la provvista era esaurita, persuase i postulanti ad andarsene.
In questa delicata operazione egli seppe far in modo che qualche mezza
svanzica si smarrisse nelle tasche della sua giacchetta. _Sior_ Bortolo,
dal canto suo, nel registrare la sera tutte le spese innumerevoli della
giornata, stimò opportuno di arrotondare la cifra, sembrandogli forse
che il decoro della nobile famiglia Bollati esigesse di far comparire
nei libri una somma maggiore del vero.
Sua Eccellenza il conte Leonardo Bollati, che scendeva sotterra in quel
giorno d'ottobre 1838, non era un grand'uomo, come volevano far credere
i suoi panegiristi. Egli aveva avuto la fortuna di conquistare in
gioventù una certa riputazione di valore combattendo sotto gli ordini
dell'ammiraglio Emo nell'impresa di Tunisi, e aveva avuto l'abilità di
conservar quella riputazione, non mettendola mai alla prova. Così più
d'uno aveva creduto (e abbiamo visto che tale era anche l'opinione del
vecchio barbiere) che se, nel 1797, egli fosse stato alla testa della
flotta, le cose sarebbero andate diversamente.
Caduta la Repubblica, Sua Eccellenza non volle più servire nè sotto il
Governo democratico che le succedette per pochi mesi, nè sotto alcuno
dei Governi che si avvicendarono poi, e quest'atto, che forse in lui era
da attribuirsi a sola pigrizia, fu interpretato quale una protesta
dignitosa contro i nuovi ordinamenti politici della patria. È vero che
questo suo nobile disdegno non gl'impedì d'essere tra i patrizi
veneziani i quali sollecitarono dall'Austria la corona di conte.
Se Sua Eccellenza Leonardo Bollati abbandonò dopo il 1797 i pubblici
uffici, non si può dire ch'egli si consacrasse con molto zelo alle sue
faccende private, chè anzi, mortagli la moglie in età ancora fresca,
egli non si diede alcun pensiero dell'unico figliuolo rimastogli, e
continuò invece, fin che la salute glielo permise, a menar vita
dissipata e galante. A ogni modo, sia pel fascino esercitato dal suo
nome storico, sia pei ricordi che gettavano una luce favorevole sulla
sua gioventù, sia per una certa prontezza e festività di spirito, sia
per le maniere affabili sotto le quali egli dissimulava l'alterigia e
l'egoismo nativo, sia pel largo patrimonio ch'è mezzo sicuro di coltivar
le aderenze, il conte Bollati era un uomo assai popolare e molti
riverivano in lui uno degli ultimi rappresentanti di quell'aristocrazia
veneziana che diede così splendidi esempi di senno civile. E quantunque
da alcuni anni egli non si facesse veder quasi da nessuno e lasciasse
far tutto al figliuolo, la sua morte recò una scossa notevole al credito
della famiglia, cosa di cui l'agente generale fu il primo ad accorgersi
nel combinare l'operazione finanziaria indispensabile pel pagamento dei
numerosi legati.
_Sior_ Bortolo era una perla d'agente, che non seccava mai i padroni coi
molesti predicozzi dei commessi troppo scrupolosi, che non lesinava mai
il danaro, nè sollevava dubbi e difficoltà. A ogni straordinaria
richiesta di fondi, egli atteggiava le labbra a un sorrisetto serafico e
rispondeva:--Sarà fatto.--E non c'era pericolo ch'egli non mantenesse la
sua parola. Ohibò! Si era sicuri di vederlo comparire il domani più
sorridente ancora del consueto con la somma precisa di cui si aveva
bisogno. E la soddisfazione che _sior_ Bortolo provava nel compiacere la
nobile famiglia era tale ch'egli diventava ogni giorno più lucido e
grasso, tanto lucido da parer spalmato di lardo, tanto grasso da
raggiunger quasi la forma sferica.
Sappiamo già che il conte Leonardo era intimamente persuaso che l'ottimo
_sior_ Bortolo rubasse a man salva. Ma egli diceva:--Non posso mica
attender io stesso ai miei affari. E a qualunque altro li affidassi,
sarebbe peggio.--Il conte Zaccaria poi non faceva neanche questo
ragionamento; egli lasciava correre senza badare più in là.
Adesso però, sotto l'impressione delle profezie e delle ammonizioni
paterne, egli stimò necessario di veder coi suoi occhi come stavano le
cose, e ordinò a _sior_ Bortolo di preparargli un prospettino da cui
apparisse chiaro lo stato del patrimonio. E _sior_ Bortolo con mirabile
sollecitudine allestì un lavoro degno della sua perizia di contabile e
di calligrafo. Frutto di queste lucubrazioni furono due nitidi specchi a
doppia colonna, l'una per il dare, l'altra per l'avere. Nel primo
figuravano a destra le somme a cui erano stimati i beni della famiglia,
possidenze in città e in campagna, oggetti d'arte e oggetti preziosi,
ecc. ecc.; a sinistra si leggevano i nomi dei varii creditori insieme
con le cifre dei loro crediti. Qui c'era una bella differenza in più
nell'avere. Nel secondo specchio erano disposte nello stesso ordine
l'entrata e l'uscita: spese domestiche presunte, livelli, tasse,
interessi dei mutui. E c'era una bella differenza anche qui, ma in senso
contrario; il dare superava l'avere di parecchie migliaia di lire.
--Capisco, capisco--disse il conte Zaccaria dopo aver esaminato per
mezz'ora i due prospetti in lungo e in largo--noi avanziamo ogni anno
dai quattro ai cinquemila ducati.
--Scusi, Eccellenza--interpose l'agente--è proprio il rovescio. Si
spendono quattro o cinquemila ducati in più.
Il conte Zaccaria si grattò la nuca.
--E come va questa faccenda?
--Ma!--rispose _sior_ Bortolo, sprofondando la testa fra le spalle.--Mi
pareva che S. E. Leonardo (pace all'anima sua) l'avesse avvertita....
--Sì, sì, mi disse qualche cosa.... senza parlare di cifre....
--Del resto--ripigliò l'agente per dorar la pillola--del resto, se ci
fossero due buoni raccolti di seguito, un aumento nelle entrate lo si
dovrebbe vedere. Poi c'è qualche livello che sta per cessare.... In ogni
modo, non lo dissimulo, un po' d'economia sarebbe assai utile. Dal canto
mio, per quanto riguarda l'agenzia, procurerò sicuramente.... ma
bisognerebbe che anche in famiglia.... perdoni, Eccellenza, se mi prendo
questa libertà.... ma è la mia devozione per la casa Bollati.
--Bene, bene.... vedremo.... Capisco....
--Di qui ad alcuni anni poi--soggiunse _sior_ Bortolo--il contino
Leonardo, col suo nome e con le sue belle qualità, che il Signore Iddio
gli conservi, potrà trovar la dote che vuole....
--Affari lontani, caro amico, affari lontani....
--Lontani, ma sicuri.
A questo punto _sior_ Bortolo mostrò al principale un polizzino
supplementare con la nota delle tasse e dei legati che conveniva pagar
subito, e disse in qual modo, salvo sempre l'approvazione di S. E., egli
aveva creduto di provveder la somma occorrente. E S. E., che rispondeva
sempre _capisco_ e non capiva mai nulla, si spicciò con due parole:
--Fate voi.... Purchè non si tratti di vendere.... Vendere significa
diminuire il patrimonio, e io voglio tramandarlo intatto a mio figlio.
Esposta questa savia massima amministrativa, il conte Zaccaria prese la
eroica risoluzione di raccomandare alla sua illustrissima consorte una
maggiore economia nelle spese di casa, e citò a sostegno della sua tesi
gli avvertimenti del defunto genitore e quelli dell'agente generale.
La signora Chiaretta, donna ordinariamente molto fredda ed apatica, fu
punta sul vivo dalle considerazioni del marito, e gli rispose per le
rime. Ella disse prima di tutto che si maravigliava molto che si
venissero a raccontare a lei queste storie; che se da più secoli gli
uomini della famiglia non avevano avuto giudizio, ella non sapeva che
farci, e se Sua Eccellenza Almorò, quand'era ambasciatore a Parigi,
spendeva 120 mila franchi all'anno, e Sua Eccellenza Zaccaria per
festeggiare la sua nomina a Procuratore aveva gettato 20 mila ducati
bisognava prendersela con Sua Eccellenza Almorò e con Sua Eccellenza
Zaccaria, e non con lei. Del resto, quand'ella, l'ultima degli Orseolo,
era entrata in casa Bollati aveva creduto di entrare in una casa di gran
signori, e non era disposta affatto a vivere di pane e di noci. A ogni
modo ella sarebbe stata curiosa di sapere quali risparmi si potevano
fare.--Perchè--ella continuava rispondendo da sè alla propria
domanda--non pretenderete mica che si stia senza gondola.
--Sfido io.... Nemmen per sogno.
--O che si licenzi il cuoco?
--Ma chi dice questo?
--O che io mandi a spasso la cameriera?
--Ma no, ma no.
--O che rinunzi al palco alla Fenice?
--Nemmen per idea.
--O che mi vesta come una serva?
--Via, Chiaretta, nessuno pretende una roba simile.
--Che cosa si pretende adunque? Che si dia il benservito al precettore
di Leonardo, e che si mandi il ragazzo alla scuola pubblica?
--Ci mancherebbe altro! Un Bollati alla scuola pubblica?... In mezzo
alla marmaglia?
--Lo vedete voi stesso, è chiaro come la luce del sole che meno di quel
che si spende non si può spendere.... almeno per parte mia. Se voi
sprecate il danaro senza discernimento....
--Io!--interruppe scandalizzato il conte Leonardo. E allora toccò a lui
di provare come due e due fan quattro che sulle sue spese particolari
non c'era da risecare un centesimo, mentre non si poteva certo
pretendere che un Bollati non appartenesse al Casino dei nobili, e non
avesse un posto nel _palcone_ di società in tutti i teatri, e non
frequentasse il caffè, e si tirasse indietro dal giuocare una partita a
_tre sette_ per paura di perdere qualche zecchino.
La contessa Chiaretta avrebbe voluto dire che tutte le spese del marito
non finivano lì, ma tacque per ispirito di conciliazione.
Dopo questo colloquio pareva che le cose dovessero restar al punto in
cui erano prima; nondimeno i due coniugi, ritornando sull'argomento,
ebbero uno slancio sublime, e mostrarono di quanta abnegazione fosse
capace l'animo loro. Sua Eccellenza Chiaretta, che prendeva sei tazze di
cioccolata al giorno, deliberò di sacrificarne una, e il conte Zaccaria,
sempre fermo nell'idea di lasciare intatto il patrimonio al figliuolo,
immolò sull'altare della famiglia un bicchierino di curaçao, ch'egli
soleva centellare dopo colazione.


IV.

Chi, nei giorni immediatamente successivi alla morte del N. H. Leonardo,
fosse penetrato in qualche caffè di Venezia avrebbe sentito un dialogo
simile a questo:
--Dunque si sa precisamente quel che abbia lasciato Bollati?
--Ma no, nulla di preciso... L'azienda diretta da quel famosissimo
_sior_ Bortolo è in una confusione da non credersi.
--Oh c'è da scommettere che anche quelli lì finiscono coll'andare in
rovina....
--Via, prima della rovina ci vorrà qualche annetto.
--Non tanto, non tanto; quando si comincia, si va giù a precipizio.
--Che pessimisti! Il vecchio conte, se badiamo alle sue disposizioni
testamentarie, non aveva di queste paure.
--Oh se le aveva!... Le disposizioni testamentarie non significano
nulla.... È positivo che prima di morire egli fece una predica al
figliuolo e gli pronosticò una catastrofe se non restringeva le spese.
--Bellissima! E poi lasciò tutti quei legati?
--Boria postuma.
--Contraddizioni umane.
--È vero--chiedeva qualcheduno--che i Geisenburg sono partiti su tutte
le furie il giorno dopo i funerali?
--Verissimo. È innegabile che il conte Leonardo li trattò un po' male.
Non nominò nemmeno nel suo testamento il marchese Ernesto, e alla nipote
lasciò un anello di nessun valore.
--Il conte Leonardo aveva sempre veduto di mal occhio questo matrimonio.
--E aveva ragione. O che non c'erano meglio partiti a Venezia?
--Quel marchese con la sua prosopopea è insoffribile.
--È poi così ricco come si vanta di essere?
--Nemmen per sogno.... Molto fumo e poco arrosto. Già quando c'è il
vizio del gioco non c'è fortuna che basti.
--Il gioco, il vino e i cavalli--soggiungeva un altro.--Tre cose che
costano un occhio.
--E lei, la marchesa, sciupa una moneta in _toilettes_.
--Sì, con quel frutto.... Pare la bambola di Francia.
E si seguitava di questo tuono, tagliando i panni addosso al marchese
Ernesto e alla marchesa Maddalena, che, per vero dire, erano antipatici
a tutti. Noi, che non dobbiamo occuparci dei fatti loro, li lasceremo in
balìa dei loro detrattori e vedremo che cosa pensino del testamento del
conte Leonardo quei parenti dei Bollati, a cui già accennammo più volte,
i Rialdi.
Anche i Rialdi erano stati delusi nella loro aspettazione. Si
ripromettevano una bella sommetta e avevano avuto invece un legatino
piccolo piccolo. Il conte Luca soffiava in silenzio (era il suo modo
d'esprimere il malcontento), ma la contessa Zanze, quando non c'era
presente la figliuola, non resisteva alla tentazione di darsi uno sfogo.
--Avete visto?--ella diceva al pacifico marito.--Valeva la pena di aver
fatto la vita che s'è fatta in questi ultimi giorni, valeva la pena
ch'io aiutassi il flebotomo a metter, con riverenza parlando, le
sanguisughe a quell'empiastro del conte Leonardo, per esser poi trattati
come parenti lontani che vanno a palazzo a ogni morte di papa o come
estranei che non hanno altro merito che quello di recitar quattro versi
nelle feste di famiglia?... Quattromila lire venete una volta tanto....
Una miseria!... E invece le migliaia di ducati all'Ospitale, alla Casa
di Ricovero, agli Orfanotrofi, agli Asili d'infanzia, ai Catecumeni, o
che so io... tutto per aver gli articoli della _Gazzetta_ e le lapidi
nei vari istituti.... Come se il morto leggesse quegli articoli e le
iscrizioni di quelle lapidi!... Ma il dispetto maggiore me lo fanno
quelle pensioni ad agenti e a servitori... dopo che il conte Leonardo
ha detto lui stesso che tutti rubano in casa sua.... Se rubano!... Quel
_sior_ Bortolo peggio degli altri.... Sempre così mellifluo, sempre così
cerimonioso... _lustrissimo_, _lustrissima_, e inchini, e baciamano, e
proteste di devozione, e intanto s'empie le tasche di ben di Dio.... E i
fattori di campagna?... Che cere da Patriarchi!... Bianchi e rossi da
fare allegria.... Rendono i conti a loro modo, si servono dei cavalli di
lusso, dotano le figliuole, allargano i loro poderi... insomma un
carnovale.... Ma perfino il cuoco ha tutta l'aria d'un gran signore, e a
vederlo la domenica quando conduce a spasso la moglie lo si direbbe un
milord.... Gli è che oltre alla sua paga ha gli incerti e accetta
ordinazioni di pranzi da questi e da quelli, e tutto vien fuori dalla
cucina Bollati.... Camerieri e guatteri, non c'è bisogno di dirlo,
cacciano le mani anche loro nelle casseruole e non ce n'è uno che non
porti a casa il suo fagotto di roba... le donne fanno il resto e vorrei
aver io tutti i capi di biancheria e di vestiario che quella stolida
della Chiaretta si lascia portar via sotto agli occhi.... È inutile che
facciate quelle smorfie... queste son verità sacrosante, e siete voi
solo a ignorarle.... E vi dico che se foste stato un uomo di spirito,
invece di perdere le giornate in quel vostro ufficio che non vi dà
nemmeno da campare la vita, e di sciupar le sere al caffè alla Vittoria
coi vostri eterni scacchi, avreste dovuto ottenere un posto
nell'amministrazione Bollati e ingegnarvi.
--Oh, oh--interruppe il conte Luca--vorreste dire che avrei dovuto
rubare come gli altri... mi spiego?
--Mi spiego, mi spiego?... Vi spiegate malissimo.... Io non ho detto
rubare; avreste fatto del bene alla vostra famiglia e anche ai vostri
parenti Bollati, che era meglio cascassero in mano d'un cugino che di
gente mercenaria.... E oggi stesso, vedete, s'io fossi nei vostri panni,
andrei difilato da Zaccaria e gli direi: Volete una persona di cuore
alla testa dell'agenzia? Son qua io.
--Siete matta? In questi impicci mi mettereste? Vi paion proposte da
fare?
--Oh lo so che voi non siete uomo capace di uscir dal vostro guscio....
E guai alla famiglia se non ci fossi io.... Che anche quel poco che ci
rende la parentela dei Bollati lo dovete a me.
--Io non nego le vostre belle qualità;... però... sì... voglio dire...
se siamo parenti dei Bollati, il merito non è mica vostro... mi spiego?
Il conte Luca non aspettò la risposta e sguizzò dalla stanza, come
faceva sempre quando gli pareva di non aver mostrata sufficiente
sommissione alla moglie.
Era una brava donnetta, una donnetta attiva e procacciante la contessa
Zanze, ed era riuscita, poverissima, a farsi sposar dal conte Luca
Rialdi, poco meno spiantato di lei, ma cugino degli illustri e
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