Dal primo piano alla soffitta - 01

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DAL
PRIMO PIANO ALLA SOFFITTA

ROMANZO
DI
ENRICO CASTELNUOVO
_Seconda Edizione._
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1883.

PROPRIETÀ LETTERARIA.
Tip. Fratelli Treves.


DAL PRIMO PIANO ALLA SOFFITTA


I.

Qualunque spettacolo ci fosse sul Canal Grande, s'era sicuri di veder
folla in palazzo Bollati. Figuriamoci poi quanta gente s'aspettasse
quella domenica 7 ottobre 1838 in cui ci doveva essere la regata in
onore di S. M. Ferdinando I, venuto insieme con l'augusta consorte a
beatificare di sua presenza la fedele città di Venezia.
Già fin dalla mattina si vedeva una gran confusione, una
grand'affaccendarsi dei servi a lavare i pavimenti, a spolverare i
mobili, a fregar le maniglie degli usci, a mettere i damaschi fuori
delle finestre. Il contino Leonardo, ragazzo di circa quindici anni, era
giù alla _riva_ in mezzo ai tappezzieri che stavano compiendo l'addobbo
della _bissona_ l'_Uscocca_, allestita per cura e a spese della famiglia
Bollati, e nella quale egli stesso, il contino, sarebbe entrato più
tardi. E alla riva c'era anche Tita, uno dei barcaiuoli di casa, col suo
gondolino, che doveva prender parte alla gara e che portava il numero 6.
Naturalmente, Tita aveva la testa piena del grande avvenimento e
discuteva col padroncino circa al merito dei varii competitori ch'erano
su per giù quelli dell'ultima regata. C'era però questa volta un giovine
muranese, un tal Nane Sandretti detto Bisatto, di cui nessuno aveva
sentito parlare fino a poche settimane addietro e del quale si
pronosticavano miracoli. Sarà benissimo.... Forza ne aveva sicuramente,
ma la forza non basta. Tita voleva mostrarsi imparziale; nondimeno egli
doveva dire la sua opinione, ed era questa: che i Muranesi avessero a
stare a Murano e a farsi le loro regate per sè. In quanto a lui, il
Bisatto non gli faceva paura e con l'aiuto della Madonna sperava di
guadagnarsi anche quest'anno la sua brava bandiera rossa. Non si lagnava
del compagno che gli avevano dato, uno fra i pochi _Castelani_ che
sapessero tenere il remo[1]. Tita aggiungeva poi alcune savie
considerazioni sul tempo che non era perfettamente sereno, ma che,
secondo lui, si sarebbe mantenuto abbastanza buono fino a notte, sul
riflusso che sarebbe cominciato fra le cinque e le cinque e mezzo, e su
altri argomenti di non minore importanza. Anche il conte Zaccaria, padre
di Leonardo, s'era alzato di buon mattino e girava su e giù per le
stanze in compagnia dell'agente generale, _sior_ Bortolo, descrivendogli
l'accoglienze ricevute il dì prima da Sua Maestà, la quale s'era
mostrata informatissima della grandezza dei Bollati e gli aveva detto
subito!--Ah, Bollati.... nome storico.... conosco.--E il conte Zaccaria
osservava che, quando si ha un nome storico, si ha l'obbligo di curarne
lo splendore senza badar troppo al dispendio, e che già ci son certe
spese le quali possono considerarsi più ch'altro una buona investita di
capitali, e ch'egli non era pentito sicuramente d'aver fatto ristaurare
il palazzo e addobbare l'_Uscocca_, perch'eran tutte cose le quali
tornavano a lustro della famiglia. Parole d'oro a cui _sior_ Bortolo,
uomo furbo e discreto, si guardava bene dal contraddire.
Se il conte Zaccaria era disposto quella mattina a veder tutto color
rosa, la nobildonna Chiaretta, sua illustre consorte, pessimista per
indole, s'era svegliata d'umor più nero del consueto. Essa diceva chiaro
alla cameriera che non vedeva l'ora che questa baldoria finisse, e
ch'era una vita da cani, e che, se durava ancora un mese così, ci
avrebbe rimesso la pelle. Meno male se l'amor proprio fosse stato
soddisfatto. Ma ci voleva quel grullo di suo marito per contentarsene.
Ormai tutti potevano avvicinare i Sovrani, tutti potevano andare a
Corte, ed ella aveva avuto l'umiliazione di trovarvi certe donnette che
non avrebbe ricevuto in casa sua, certe contesse di princisbecco che non
si sapeva di dove venissero. Al gran ballo poi sarebbe stato uno
scandalo addirittura. Eran stati messi in giro duemila inviti e s'era
dovuto discendere fino ai nobili dell'Ordine dei _segretarii_, fino ai
cavalieri della Corona di ferro di terza classe, fino ai mercanti
arricchiti e alle loro femmine. Che più? Si diceva, ma questo la
contessa Chiaretta non voleva crederlo, che ci sarebbe stata anche la
moglie d'un banchiere ebreo. In verità, eran cose che a pensarci
facevano salire i rossori al viso, e quando Sua Eccellenza Chiaretta ci
pensava, le veniva quasi quasi la voglia di affigliarsi alla setta della
_Giovine Italia_. Intanto oggi c'era la seccatura di vedersi il palazzo
pieno di gente, forestieri in gran parte, per merito soprattutto del suo
signor genero e della sua signora figliuola, che quand'erano a Venezia
le _intedescavano_ la casa.
La contessina Maddalena Bollati, figlia primogenita delle loro
Eccellenze Zaccaria e Chiaretta, s'era sposata due anni addietro, uscita
appena dalle Salesiane, col signor marchese Ernesto Geisenburg-Rudingen
von Rudingen ufficiale degli ussari, possessore di molte terre e
castella in Moravia. Matrimonio levato a cielo dagli uni, aspramente
censurato dagli altri, tanta è la varietà degli umani giudizii. Per noi
due cose sole son certe: _primo_, che il nome del marchese Ernesto
Geisenburg-Rudingen von Rudingen figurava nell'almanacco di Gotha, e,
via, ci pare che bisogni discorrer con qualche riguardo d'una persona
ch'è registrata nell'almanacco di Gotha; _secondo_, che il detto signor
marchese possedeva quella prosopopea che si conviene ai grandi
personaggi. La boria dei Bollati non era nemmeno paragonabile a quella
del loro signor genero. L'aristocrazia veneziana si sa, visse sempre in
dimestichezza col popolo e il suo orgoglio di casta prese tutt'al più la
forma d'una famigliarità impertinente. Ma l'aristocrazia tedesca non
ammette scherzi e vuol far capire ai semplici mortali ch'è già una sua
gran degnazione s'ella permette agli altri di tirare il fiato alla sua
presenza. Siccome poi il marchese Ernesto aveva appiccicato le sue belle
qualità alla consorte, così la vicinanza della nobilissima coppia faceva
l'effetto d'una pietra da mulino sullo stomaco.
I coniugi Geisenburg-Rudingen von Rudingen, venuti a Venezia apposta per
ossequiare le LL. MM, erano ospiti in casa Bollati da due settimane, e
proprio nel momento in cui la contessa Chiaretta si sfogava in
querimonie con la cameriera, la marchesa Maddalena strapazzava in
tedesco la sua _Zimmermädchen_, e il marchese Ernesto con l'aiuto d'un
servo si metteva il busto e si stringeva la vita. Bisogna notare che il
marchese, afflitto da obesità prematura, doveva far sforzi erculei per
dissimulare la sua imperfezione e per esser contenuto nella sua
succinta divisa di capitano di cavalleria. E quando tra lui e il servo
avevano sudato due buone ore, il signor marchese acquistava l'apparenza
di un 8 pietrificato. Si capisce come queste condizioni fisiche non gli
permettessero di restar nell'esercito, ed egli infatti aveva chiesto e
ottenuto la sua licenza, conservando però il diritto di vestir
l'uniforme.
Non sarà inopportuno per ultimo di dare una capatina in una stanza del
secondo piano dove si trova inchiodato da due anni per una paralisi alle
gambe il padrone vecchio, l'ottuagenario conte Leonardo, comandante di
galera ai tempi della Serenissima. Lungo, stecchito, grinzoso, il conte
Leonardo era sdraiato sur una poltrona presso una finestra che guarda il
Canalazzo, mentre dietro di lui un barbiere antidiluviano gli pettinava
il parrucchino e gli ravviava i quattro peli tinti delle basette. Il
conte Leonardo, che aveva ancora sciolta la lingua e pronta la memoria,
stava passando in rassegna le innumerevoli regate a cui aveva assistito
nella sua vita. Gl'importava molto di veder quella d'oggi, egli che
aveva visto quelle per l'Imperatore Giuseppe II, per i duchi del Nord,
per il conte di Haga, per Napoleone e pel principe Eugenio!
E il barbiere, rincarando la dose, soggiungeva:--Chi ha visto ciò che si
faceva sotto San Marco non ha più nulla da vedere. Eh, _lustrissimo_, a
pensare che se invece di quel minchione del Condulmer ci fosse stato
lei a capo della flotta, avremmo ancora la nostra Repubblica!...
--Via, via--rispondeva modestamente Sua Eccellenza--la cosa non era
tanto facile.... Quei maledetti Francesi erano un osso duro da rodere.
Ma il barbiere non si dava per vinto.
--Ci son mancati gli uomini, ecco il male. Il cavalier Emo era morto, e
il solo che potesse supplirlo era tenuto in un posto subalterno. Così ci
son capitate addosso tutte le disgrazie. Prima quei matti del Governo
democratico, poi i _patatuchi_, poi i Francesi, poi i _patatuchi_ da
capo, che il diavolo se li porti....
Il conte Leonardo gli diede sulla voce:
--Non vi fate sentire dal marito di mia nipote.
L'altro si strinse nelle spalle.--Io non sono che un miserabile insetto,
ma Vostra Eccellenza sa che quel matrimonio....
--Non l'avete mai potuto digerire.
--A me non toccherebbe parlare, ma santo Iddio, c'era proprio bisogno
che una damigella Bollati andasse a cercarsi lo sposo laggiù?
--Cosa volete? Si sono innamorati del nome.
--Un nome che riempie la bocca.... Bel gusto.
--Un gusto come un altro... Per me tanto li ho lasciati fare, che non ho
mai voluto perdere il mio tempo a raddrizzar le gambe ai cani.... E....
che novità ci sono in paese?
--Ma! Tutte queste feste....
--Ne ho intronata la testa da mio figlio e da mia nuora.... Novità
d'altro genere?...
--Non saprei.... Pare che il Patriarca si sia intromesso perchè il
nobil'uomo Zulian riprenda in casa la moglie.
--La riprenderà, la riprenderà.... Anche suo padre ha fatto lo stesso.
Gli occhi del vecchio luccicarono.
--Vostra Eccellenza ne sa qualche cosa--soggiunse maliziosamente il
barbiere.
--_In temporibus illis_.... E poi?
--Dicono che la signora Giuliana Polo non voglia più fra i piedi Sua
Eccellenza Barbarigo...
--Scene di gelosia a settant'anni?
--Pare che la signora Giuliana abbia colto l'amico in flagranti.
--Eh?--esclamò il conte Leonardo sbarrando gli occhi.--In flagranti? Con
chi?
--Non saranno state che carezze innocenti..... con la cameriera.
--Briccone d'un Barbarigo!... Avanti.
--Hanno messo il sequestro sui beni dei Napodano.
--Era da aspettarselo.... È finito?
--È morto il ragazzo Partecipazio.
Il nobil'uomo Leonardo tentennò il capo.--Ecco un'altra grande famiglia
che s'estingue. Povero Libro d'oro!
--Speriamo che i Bollati durino ancora per secoli--disse il
barbiere.--_In sæcula sæculorum._
--Uhm!--borbottò tristamente il vecchio patrizio. E troncò il
colloquio.

NOTE:
[1] È noto che i popolani di Venezia si distinguevano in
_Castelani_ e _Nicoloti_, secondo ch'erano nati e battezzati
nell'una o nell'altra parte della città. Per antica consuetudine,
nella regata si mette in ciascun _gondolino_ un _Castelano_ e un
_Nicoloto_, assicurando così un uguale successo alle due frazioni.


II.

La regata doveva cominciare alle cinque pomeridiane, ma fin dalle
quattro il piano nobile del palazzo formicolava di dame e di cavalieri,
e il conte Zaccaria col pomposo genero a fianco conduceva in giro per
l'appartamento tre o quattro austriaci d'alto affare, duri, impettiti,
coperti di decorazioni. Era un bel palazzo davvero quello ch'egli
mostrava a' suoi ospiti, uno di quegli edifizi maestosi e leggiadri ad
un tempo di cui gli architetti moderni hanno perduto il segreto. _Stile
del classicismo avviato alla decadenza_, lo dicono le Guide, e ne
attribuiscono la costruzione al Sansovino o a uno dei suoi discepoli.
Cinquant'anni fa, esso era anche uno dei pochi palazzi veneziani che
nell'interno serbassero il carattere primitivo. Dalle travi dello
spazioso androne pendevano due grandi fanali che avevano già appartenuto
a due galere della Repubblica; il soffitto della lunga sala era adorno
di elegantissimi stucchi che incorniciavano degli affreschi non privi di
merito; sopra gli usci che nella sala stessa s'aprivano a destra e a
sinistra c'erano dei ritratti di famiglia, quali col corno ducale in
testa, quali in armatura, quali con la zimarra senatoriale, quali col
vestito paonazzo a larghe maniche dei procuratori di San Marco. Altri
quadri coprivano le pareti, e fra i molti ce n'erano alcuni realmente
pregevoli, un Tintoretto, un Palma giovane, un Paris Bordone. Il salotto
di ricevimento, i cui muri erano coperti d'arazzi di Francia, aveva un
caminetto di marmo scolpito dal Vittoria, un'antica lumiera di Murano e
due bei candelabri di bronzo, che riproducevano in assai minori
proporzioni i due famosi della Cappella del Rosario a' SS. Giovanni e
Paolo. Pesanti cortine di damasco rosso, un po' sfilacciate e sgualcite,
moderavano la luce ch'entrava dall'ampie finestre, e la medesima stoffa
rivestiva i seggioloni dagli alti schienali intagliati ch'erano disposti
in giro simmetricamente e davano alla stanza un aspetto grave e solenne,
come se dovesse a ogni momento adunarvisi il Consiglio dei Dieci. Nel
salottino attiguo si ammiravano alcuni quadretti del Canaletto e del
Longhi e due pastelli di Rosalba Carriera. E qua e là, nell'altre parti
del palazzo, erano pure oggetti artistici di pregio, senza contare le
argenterie, le maioliche, le porcellane. Si diceva, per esempio, che la
collezione di vecchio Sassonia ch'era stata acquistata dal nobil'uomo
Cristoforo Bollati durante la sua ambasciata a Vienna fosse la più bella
che c'era in Venezia.
Mentre che il conte Zaccaria faceva da cicerone agl'illustri forestieri
e il marchese genero gli serviva da interprete, gli altri invitati si
pigiavano nel salotto degli arazzi intorno alla languida contessa
Chiaretta, o, prudentemente, prendevano il loro posto sul poggiuolo o
davanti a qualche finestra per goder meglio dello spettacolo.
Chi ha un po' l'abitudine della società sa benissimo che in ogni
ricevimento, in ogni festa c'è un manipolo di persone alle quali nessuno
bada e che i servi stessi dimenticano volontieri nell'andar in giro coi
rinfreschi. Sono i parenti poveri, i vecchi conoscenti di famiglia, i
maestri dei bimbi, tutta gente a cui s'è detto a bocca stretta:--Se
venite ci farete un piacere--lasciando sottintendere un'altra frase--Se
non venite, ce ne farete due.
In questa condizione umiliante si trovavano quel giorno il conte Luca e
la contessa Zanze Rialdi, cugini dei padroni, relegati insieme con la
loro figliuola Fortunata a una finestra di fianco che dava sul _rio_ e
dalla quale il Canal Grande si vedeva solo in iscorcio. Nè la finestra
era esclusivamente per i Rialdi, chè anzi essi dovevano dividerla con
Don Luigi, precettore del contino Leonardo, e con un'altra signora
soprannominata la contessa Ficcanaso per la rara abilità con cui essa
riusciva a insinuarsi dappertutto e a saper tutti i pettegolezzi della
città.
La contessa Zanze e la contessa Ficcanaso si facevano mille moine, ma
in fondo non si potevano soffrire. E quel giorno poi a trovarsi appaiato
nella stessa mortificazione provavano una stizza grandissima.--Che
vogliano levarsi dai piedi la Ficcanaso--pensava la contessa
Zanze--questo si capisce, ma un trattamento simile a me, che sono della
famiglia!--E l'altra diceva in cuor suo:--Facciano quante asinerie
vogliono a una parente povera; chè già quella è una vera mignatta, ma
usino i dovuti riguardi a una persona del mio grado.
Malgrado del disprezzo reciproco, è probabile però che le due contesse
si sarebbero sfogate a sparlar dei padroni di casa se la presenza di don
Luigi non le avesse tenute in riga. E sì che don Luigi della roba sullo
stomaco ne aveva anche lui, e aveva una voglia di dirne quattro! Per San
Filippo Neri! Un sacerdote par suo, un letterato, il precettore del
padroncino, il cappellano della famiglia, cacciarlo in un angolo come se
fosse una spazzatura, come se si vergognassero di lui! E si vantavano
d'esser gente devota alla Chiesa! Queste cose don Luigi le aveva sulla
punta della lingua, ma non le diceva per paura degli altri, e
specialmente di quelle femmine chiacchierone. Così, per darsela ad
intendere a vicenda, il prete e le due signore andavano a gara nel
levare a cielo la bellezza degli addobbi, il buon gusto dei ristauri e
lo sfarzo con cui si faceva tutto in casa Bollati, e solo di tratto in
tratto si permettevano qualche osservazione a carico dell'una o
dell'altra fra le dame raccolte nel geniale ritrovo. Erano allusioni
velate, erano suggestioni piene di carità evangelica, erano timidi dubbi
seguìti dall'onesta frase: Non bisogna credere alle cattiverie del
mondo;--erano lamentazioni generiche sul pervertimento dei costumi e
sulle gravi conseguenze della vanità.
Nè il conte Luca, nè Fortunata prendevano parte a siffatte mormorazioni.
Il conte Luca non aveva fiele, e per lui, a metterlo in disparte, gli
facevano un piacere fiorito, chè alla società egli non si era mai potuto
avvezzare, e della Regata non gliene importava un'acca, e sarebbe
rimasto ben volentieri a casa sua, davanti alla scacchiera, l'unica
passione della sua vita, a studiarvi un problema intorno al quale
ammattivano da più giorni gli avventori del caffè alla _Vittoria_. In
quanto a Fortunata, ch'era una ragazzina timida e sbiadita di dodici
anni e mezzo, non le veniva neppure in capo di lagnarsi del posto che le
avevano assegnato. Di dove era, allungando un po' il collo, ella vedeva
benissimo il Canal Grande, vedeva perfino le signore che si facevano
fresco sul poggiuolo d'un palazzo prospettante il palazzo Bollati.
Sotto la sua finestra poi, all'imboccatura del _rio_, c'era un grosso
battello che serviva a sbarrare il passaggio (come s'usa nei giorni di
regata), ed era pieno di gente allegra, uomini, donne, fanciulli che
ingannavano il tempo mangiando semi di popone e disputando romorosamente
intorno all'esito probabile della gara. C'erano due partiti. Gli uni
tenevano per Tita Oliva, gli altri, meno numerosi, per quel Nane
Sandretti detto _Bisatto_ ch'entrava in regata per la prima volta. Tita,
come sappiamo, era il gondoliere di casa Bollati, e quando lo si
nominava, tutti gli occhi si alzavano verso la finestra a cui era
affacciata la ragazza Rialdi.
Il cuore di Fortunata batteva anch'esso per Tita, ch'era sempre gentile
con lei e che la chiamava padroncina. Nel venir a palazzo essa lo aveva
incontrato per istrada già vestito da _regatante_, con la sua fascia
rossa intorno alla vita, l'aveva incontrato insieme con tre o quattro
altri compari, ed egli aveva salutato rispettosamente lei, il conte Luca
e la contessa Chiaretta, e aveva detto:--Adesso si va col gondolino ai
Giardini, e speriamo bene.
Come la Fortunata gli augurava il trionfo! Come si sentiva inclinata
verso quelli che parteggiavano per lui, come l'indispettivano i fautori
di quel Nane Bisatto che aveva la petulanza di venir a lottare coi
provetti!
Un fremito di voci umane, un rumore crescente di applausi annunziò
l'avvicinarsi delle gondole di Corte, le quali, precedute e seguìte
dalle _bissone_, facevano il giro del Canal Grande prima che i gondolini
della regata si mettessero in moto. Il corteggio passò e ripassò come un
lampo davanti al palazzo Bollati, dove le signore sventolavano i
fazzoletti e gli uomini gridavano con quanto fiato avevano in corpo:
_Viva l'Imperatore, viva l'Imperatrice!_ È utile rammentare a questo
proposito che, quantunque anche in quel tempo vi fossero in Venezia
uomini gagliardi e generosi pronti a versare il loro sangue per
l'indipendenza della patria, e non mancassero gli affigliati alla
_Giovine Italia_, la grande maggioranza della popolazione accettava
rassegnata il dominio austriaco e applaudiva i Sovrani col solito
entusiasmo della folla per tutto ciò che brilla ed abbaglia.
--Viva, viva!--strillava Fortunata con la sua vocina. E continuava,
rossa dall'emozione:--Ah, ecco l'_Uscocca_, ecco l'_Uscocca_.... Mamma,
babbo, presto, guardate Leonardo.... Come sta bene!
In ginocchio sulla prora della sua svelta ed elegante _bissona_, sotto
un baldacchino tutto veli e frangie inargentate, il contino Bollati
animava i rematori col gesto e con la voce, e pareva un antenato di sè
medesimo alla battaglia di Lepanto.
--Ah!--seguitava la fanciulla in preda a un nuovo parossismo
d'ammirazione.--E quella è la lancia del collegio di marina... ci
dev'esser Gasparo lì dentro... sì, sì... eccolo là.... Babbo, mamma...
non lo vedete?... È lui che governa il timone....
--Sì, sì, cara--rispondevano i genitori--non spingerti tanto fuori dal
davanzale.
Gasparo era il fratello maggiore di Fortunata, allievo dell'Accademia di
marina, e prossimo a uscirne cadetto.
La fulgida visione disparve, e di lì a poco s'intese il cannone che
annunziava la partenza dei _regatanti_ dalla punta dei Giardini
pubblici. Un lungo mormorio corse attraverso la folla accalcata sulle
due rive del Canalazzo; poi si fece uno di quei silenzi solenni in cui
si sente palpitare il cuore d'un popolo. Oggi scaduta dalla sua
importanza, la regata era fino a trent'anni fa lo spettacolo favorito
dei Veneziani. A ogni modo, essa era ed è sempre lo spettacolo popolare
per eccellenza. La lotta dei gladiatori in Roma antica, la corsa dei
tori in Ispagna trovano forse una maggior partecipazione in tutte le
classi sociali, ma nessuna festa scuote più vivamente le fibre della
moltitudine. Quanto tempo prima se ne discorre nei _traghetti_, per le
osterie, nelle case, nei trivii, quanto tempo dopo si continua a
parlarne! E il giorno della prova, mezza Venezia si spopola per
riversarsi sull'altra metà. La gente s'insacca nelle barche, nelle
_peate_, nei battelli d'ogni forma e misura, fa ressa sulle
_fondamenta_, paga volentieri qualche soldo per assicurarsi una seggiola
o un posto sopra qualche panca, o s'arrampica sugli sporti delle
fabbriche, sull'inferriate delle case, sui piedestalli dei candelabri, o
s'addensa dietro le spallette del ponte di Rialto, la cui mole maestosa
e severa sembra acquistare il moto e la vita a quell'ondeggiamento di
teste. E in quel giorno più che mai il popolo è superbo della sua
Venezia, e s'inebbria in quel tripudio di colori e di luce onde ogni
cosa s'anima e si trasfigura, dal freddo marmo dei palazzi gotici,
arabi, lombardeschi, barocchi, alle carni pastose e alle fulve o brune
chiome delle donne e delle fanciulle.
Ma ecco nuovamente venir di lontano un rumore che somiglia al muggito
del mare, ecco una viva ansietà dipingersi nei volti, ecco tutti gli
sguardi tendere a un punto.
--Son vicini...
--Son qui...
--Chi è il primo?
--Non si capisce.... C'è il sole che confonde la vista.
Il conte Zaccaria, gonfio e pettoruto pel bel successo della sua
_Uscocca_, aveva annunziato come cosa sicura a' suoi ospiti che il primo
sarebbe stato il gondolino rosso N. 6 a poppa del quale vogava il suo
Tita Oliva. Ma, ohimè, il gondolino N. 6 non era che il secondo, e anche
questo secondo posto gli era fieramente contrastato dal gondolino viola
N. 4; l'uno e l'altro poi erano preceduti d'un buon tratto dal gondolino
celeste N. 8, su cui si trovava il formidabile Nane Bisatto. I gondolini
5 e 7 si disputavano il quarto premio, gli altri, ormai disperati di
riuscire, venivano dietro lentamente a grande distanza.
--Non è deciso nulla--disse il conte Zaccaria facendo di tutto per
nascondere il proprio dispetto.--Riderà bene chi riderà ultimo.
Infatti i gondolini dovevano ancora giungere al punto estremo del Canal
Grande, a Santa Chiara, poi girare intorno a un palo che qui chiamano
il _paletto_, e rifare una gran parte del cammino fin presso
l'imboccatura del _rio_ Foscari, ove sorge la cosidetta _Macchina_, ch'è
una elegante baracca di legno improvvisata sull'acqua e segna la meta
ultima della corsa. In tal maniera, da tutti i palazzi che stanno tra il
_rio_ Foscari e Santa Chiara, i _regatanti_ si vedono due volte, cioè
all'andata e al ritorno. E realmente il ritorno può serbare non piccole
sorprese, e tale che chi era primo diventa secondo, e tal altro che
pareva ormai fuori d'ogni speranza accenna a conquistarsi valorosamente
la sua bandiera. Ma questa volta gl'intenditori dicevano chiaro e tondo
che a Nane Bisatto il primo premio non lo portava via _neppure il Padre
Eterno_, giacchè c'era troppa distanza tra lui e il gondolino di Tita
Oliva, ed era già molto se quest'ultimo poteva mantenersi il secondo e
non esser sorpassato dal gondolino N. 4, quello dove c'era Menico
Fichetti da Pellestrina, un giovine piccolo e sottile, ma che aveva
nervi d'acciaio.
Questi discorsi si tenevano anche nel barcone ch'era fermo
all'imboccatura del _rio_ sotto il palazzo, e Fortunata che aveva preso
tanto a cuore la causa di Tita, si metteva nei panni di lui e aveva una
gran voglia di piangere.
La contessa Zanze, la contessa Ficcanaso e don Luigi erano in
disposizione d'animo affatto diverse, e, poichè il fiasco del barcajolo
veniva a ricader sui padroni, ne provavano una segreta esultanza, che
non esprimevano apertamente, ma che lasciavano trapelare. Don Luigi
faceva delle riflessioni filosofiche sulla caducità delle cose umane,
sullo sperpero del danaro pubblico e privato in feste e in bagordi e sul
poco giudizio che c'era a distrarre i ragazzi dagli studi per farli
andare sulle _bissone_.... Con quella voglia che avevano di studiare! Le
due contesse assentivano appieno alle savie parole del sacerdote, tanto
più che il servo aveva presentato loro il vassoio dei dolci quando tutti
s'erano già preso il buono e il meglio, e ciò le aveva esacerbate fuor
di misura.
Ma il dialogo fu troncato dal riapparire dei _regatanti_. Ora, la
finestra sul _rio_ guardava precisamente verso la parte dalla quale i
gondolini tornavano, e Fortunata vide ben presto che il _viola_
continuava ad essere il primo e aveva aumentato anzichè diminuito
l'intervallo che lo separava dagli altri. Il valore di Nane Bisatto
aveva finito ormai col trascinare i più restii, e, con una volubilità
che afflisse e irritò Fortunata, parecchi tra i fautori del suo protetto
si unirono anch'essi a quelli che applaudivano l'eroe della giornata. Ma
quel che è peggio, il gondolino rosso non era più nemmeno il secondo,
non era nemmeno il terzo; era il quarto, quello a cui era destinato
l'ultimo, premio, la bandiera gialla e il relativo porcellino, quasi
un'onta per Tita, avvezzo ai primi trionfi. Povero Tita! Egli non osava
alzar la testa, vogava per l'onor delle armi, ma avrebbe preferito esser
sott'acqua lui e il suo gondolino, piuttosto che sentire tutti quegli
sguardi fissi sopra di sè, piuttosto che passar davanti al palazzo dove
c'erano i padroni e tanti ospiti d'alto affare. Tita non si ricordava in
quel momento di Fortunata, oppure ell'era la sola che, pensando alla sua
umiliazione, aveva gli occhi pieni di lagrime. I padroni invece erano
irritatissimi, dicevano che Tita non era più buono a nulla, e che aveva
compromesso il decoro della casa, e che meritava d'essere strapazzato
senza misericordia.
Questo incidente fece sì che in palazzo Bollati si gustasse meno
l'ultima parte, pur così bella, dello spettacolo, quando cioè tutte le
barche prima raccolte, ristrette ai due lati del Canal grande, pigliano
il largo e formano un suolo galleggiante che copre e nasconde la
superficie dell'acqua. È per solito l'ora del tramonto, e gli ultimi
raggi del sole scintillano sui ferri bruniti delle gondole, sfolgorano
con bagliori d'incendio sui vetri delle finestre, danno risalto alle
dorature e alle stoffe colorate delle _bissone_, alle livree dei
gondolieri, agli abbigliamenti delle signore, alle vesti chiassose delle
popolane. Ed è un suono di musiche allegre, un vociare confuso, uno
strepito di remi che si urtano, di ferri che cozzano, di carene che
scricchiolano. Indi cala lento lento il crepuscolo, la folla si
disperde, il rumore a poco a poco svanisce, e il Canalazzo ritorna
nell'usato silenzio.
Frattanto, giù nell'entratura di Cà Bollati, Tita sedeva accasciato
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