Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 15

Total number of words is 4437
Total number of unique words is 1388
41.2 of words are in the 2000 most common words
56.0 of words are in the 5000 most common words
63.7 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
e massimamente da san Savino, dello sciolto e traccurato reggimento
del campo, ma non della provvisione fatta per messer Manno, perchè al
fatto fu troppo vicino, conferito con Giovanni dell’Aguto sopra la
materia, infine in lui commisono il tutto dell’impresa, e il popolo
animoso e voglioso a furore presa l’arme nelle braccia sue si pose
con lieta speranza di vittoria, quasi siccome non dovesse potere
perdere. Giovanni Aguto preso il carico senza perdere punto di tempo
diede ordine a quanto fu di mestiere, e uscì col popolo di Pisa, e fè
capo a san Savino, e come mastro di guerra fè il campo de’ Fiorentini
per tre riprese assalire da gente che prima era fuggita che giunta,
affinchè i nemici attediati non conoscessono il vero assalto quando
venisse, e venneli fatto, che ’l campo fu tre volte mosso ad arme dal
campanaro indarno, e il capitano turbato di suo riposo fè comandare
al campanaro alla pena del piè, che che che si vedesse non sonasse
senza licenza sua. Appresso il detto Giovanni aspettò la volta del
sole, perchè i raggi fedissono nel volto de’ nemici, e a’ suoi nelle
spalle. Ancora per la pratica ch’avea del paese conobbe, che a tale
ora surgea un’aura che la polvere venia a portare negli occhi de’
nemici. Solo in uno per gl’intendenti giudicato fu che egli errasse,
che non misurando le miglia da san Savino a Cascina, che sono quattro
di polveroso e rincrescevole piano, nè avendo rispetto alla fiamma del
sole che divampava il mondo, nè al grave peso dell’arme, fidandosi
nella gioventù e prodezza de’ suoi Inghilesi nati e cresciuti nelle
guerre di Francia, a’ quali per animarli e soperchiare ogni fatica
e ogni paura avea messo che nel campo erano quattrocento Fiorentini,
tal buono prigione per mille, tale per duemila fiorini, e del tutto
ignoranti dell’arme, esso fè tutta gente scendere a piè, il perchè
lassi e mezzi stanchi giunsono al campo. Mosselo a ciò fare due
ragioni, l’una perchè la gente a piè più chetamente cavalca, l’altra
perchè leva meno polverio, immaginando, come avvenne, che prima fossono
al campo che sentiti, e così prendere il campo di furto prima che
si potesse ordinare: e tutte le dette cose fatte furono per Giovanni
Aguto, che niente ne sentì messer Galeotto, o per difetto di spie, o
perchè poco curasse ciò che potessono fare i nemici, e questo è più da
credere. Adunque messi nella prima fronte delle schiere quelli aspri
e duri Inghilesi cui tirava la voglia della preda, tutto l’esercito
fè muovere quando gli parve, e prima i suoi Inghilesi furono vicini
alle sbarre che da’ nostri fossono sentiti. Il romore e le strida del
subito assalto a’ nostri furono le spie. I fanti che posti erano alla
guardia del luogo, i quali per lo giorno furono assai più che uomini,
francamente presono l’arme non curando le spaventevoli strida, ma
ordinati di subito alla resistenza non si lasciarono torre una spanna
di terra. E il valente messer Riccieri Grimaldi compartiti i suoi
balestrieri dove necessario gli parve, e allogatine gran parte nelle
ruine delle case, le quali erano di mattoni, e pertugiate e di costa a’
nemici, confortandoli a ben fare, e sollecitandoli dolcemente e qui e
quivi a rinterzare colla forza de’ verrettoni rintuzzò la fiera rabbia
de’ baldanzosi nemici. Mentre che la battaglia era e quinci e quindi
animosamente attizzata alle sbarre, il vero grido del fatto come era
senza suono di campana o altro sollecitamento di capitano corse per lo
campo e lo strinse ad armare, e il primo che giunse al soccorso alle
sbarre, come quelli che temendo sempre stava in punto, fu messer Manno
Donati, il quale veggendo quivi soprabbondare gente da cavallo, per
non stare indarno uscì con tutta sua brigata del campo, e percosse i
nemici ne’ fianchi, conturbando gli ordini loro, e facendo loro danno
assai; e in poca d’ora vennono alle sbarre il conte Arrigo di Monforte
colla insegna de’ feditori, e con lui il conte Giovanni e il conte
Ridolfo chiamato dal volgo il conte Menno, e costui come giunse alle
sbarre le fè gettare in terra, e si avventò sopra i nemici facendo
colla spada cose da tacerle, perchè hanno faccia di menzogna. Per
simile il conte Arrigo co’ suoi Tedeschi sollecitando i cavalli colli
sproni senza averne riguardo contro a’ nemici gli ruppono, passando
tutte loro schiere infino alle carra che da Pisa recavano e veniano
con vino per rinfrescare loro brigata. Il sagace messer Giovanni
dell’Aguto, il quale era nell’ultima schiera co’ suoi caporali e altri
pregiati Inghilesi, avendo compreso che la testa delle sue schiere non
era di fatto entrata nel campo come si credette, e che la resistenza
era dura, si giudicò vinto, e senza aspettare colpo di spada di buon
passo co’ detti caporali si ricolse a san Savino, dove aveano lasciati
i loro cavalli, lasciando nelle peste il popolo de’ Pisani faticato, e
poco uso e accorto negli atti dell’arme. I Genovesi Aretini e’ fanti
dell’Alpe come vidono rotte le schiere de’ Pisani, e mettersi in
fuga, seguitando la caccia ne presono assai. Essendo adunque per gli
Aretini Fiorentini e’ fanti del Casentino alle sbarre ben sostenuta
la puntaglia de’ nemici, e mezza vinta loro pugna, per i balestrieri
genovesi e per i Tedeschi in poco tempo recati a fine, il capitano fè
muovere l’insegna reale, la quale per spazio d’un miglio o poco più si
dilungò dal campo, sotto il cui riguardo assai d’ogni maniera si misono
a perseguitare i nemici, e trovandoli sparti in qua e in là, lassi e
spaventati, ne presono assai. Stando la cosa in estrema confusione
per i Pisani, per alcuni valenti e pratichi d’arme, parendo loro
conoscere il vantaggio, consigliato fu messer Galeotto che seguitasse
la buona fortuna, la quale li promettea la città di Pisa: rispose,
che non intendea il giuoco vinto mettere a partito, e più fè, che
tantosto fè sonare alla ricolta, sotto il dire che temea degli aguati
de’ sottrattori e sagaci nemici; onde molti che sarebbono stati presi
ebbono la via libera a fuggirsi, e massimamente gl’Inghilesi ch’erano
fediti e rifuggiti in san Savino, nè osavano sferrarsi de’ verrettoni
che giunti in Pisa, dov’ebbono solenni medici, e in pochi giorni gran
numero ne perì. Tornato il capitano al campo, e cercato il luogo dove
fu la battaglia, assai vi si trovarono morti, ma molti più il seguente
dì per le fosse e per le vigne, quale per stracco, quale di ferite, e
molti colla sete in Arno mettendovisi dentro vi annegarono. Stimossi
che i morti per detta cagione passassono i mille: i presi furono
vicini a duemila, de’ quali tutti i forestieri furono lasciati, e i
Pisani presi da quelli ch’erano venuti al servigio del comune si furono
loro. Tutta gente di soldo fu per messer Galeotto in segreto istigata
e sollecitata a domandare a lui paga doppia e mese compiuto, ed egli
per la balìa presa dal comune la promesse loro, che montò a dannaggio
del comune circa a centosettantamila fiorini e più, perchè presa la
speranza della detta promessa gran quantità di ricchi e buoni prigioni
i soldati trabaldarono, e feciono con poca di cortesia riscuotere.
Forte e molto diè che pensare a quelli savi e valenti cittadini, che in
que’ giorni si trovarono nel numero de’ reggenti, messer Galeotto, il
più famoso uomo allora d’Italia in cose militari e in podere d’arme,
meritasse d’essere in tal forma assalito nel campo da uomo non meno
famoso nè meno saggio in simili atti di lui, e che esso fosse l’autore,
che i soldati per difendere il campo contro buono uso di gente d’arme
pertinacemente volessono eziandio e con minacce e atti disonesti paga
doppia e mese compiuto, le quali cose diligentemente ponderate furono
cagione d’affrettare il trattato della pace, dando di ciò pensiere ad
alquanti discreti e intendenti cittadini. Ma noi tornando al processo
della guerra, il dì seguente, che fu l’ultimo di luglio, messer
Galeotto, con tutto l’esercito e con i prigioni, girandosi pure vicino
a Pisa per tornarsene a san Miniato del Tedesco assai bene in ordine e
colle schiere fatte, in quello cavalcare fè cavaliere Lotto di Vanni da
Castello Altafronte, giovane di gentile aspetto, e degli accomandati al
comune di Firenze, Piero de’ Ciaccioni di san Miniato, e Bostolino de’
Bostoli d’Arezzo.

CAP. XCVIII.
_Come furono assegnati i prigioni al comune da’ soldati, ed entrarono
in Firenze in sulle carra._
Essendo condotti i prigioni pisani in Monticelli fuori della porta
a san Frediano di Firenze, alquanta di resistenza in parole feciono
i soldati di non darli se certi non fossono di paga doppia e mese
compiuto, e conobbesi essere moto altrui e a mal fine; il perchè
ricevuta speranza d’averla da quelli savi cittadini che con loro
ne parlarono, diedono liberamente i prigioni, i quali ricevuti con
dispettoso e vile spettacolo, col capitano, con l’insegne, e con la
gente dell’arme furono messi in città, perocchè i popolani di basso
stato con alquanti d’un poco meno che mezzano furono allogati in sulle
carra, e furono quarantaquattro carrate; a’ nobili e gente da bene fu
conceduto il venire a cavallo. E innanzi che questa pompa entrasse
nella città, tutte le campane del comune cominciarono a sonare alla
distesa acciocchè tutto il popolo traesse a vedere, e dinanzi alle
carra tutti gli stromenti e suoni del comune, e così quelli della
parte guelfa, vista certamente esemplare di diversa e varia fortuna,
verificante quello disse David, che disse: Vario è l’avvenimento della
guerra, e quinci e quindi consuma il coltello. I prigioni furono
allogati nelle prigioni del comune il più abilmente che si potè, e
dalle buone e pietose donne fiorentine a gara furono abbondantemente
provveduti di tutto ciò che loro bisognava.

CAP. XCIX.
_Come la parte guelfa di Firenze prese a far festa di san Vittore, e
perchè._
In questa vittoria universale che s’ebbe del popolo di Pisa, la quale
non pensata nè cercata fu, ma piuttosto recata, perchè singulare, e fu
nel giorno che la santa Chiesa fa festa di san Vittore papa e martire
glorioso, la parte guelfa di Firenze ad eterna memoria di tanto fatto
prese di fare festa in Firenze ogni anno di san Vittore divotamente,
come a patrone de’ guelfi, a similitudine come san Barnaba: e feciono
in santa Reparata fare una cappella in reverenza del detto santo, con
intenzione di migliorarla, perchè venendo la chiesa a sua perfezione
stare non può quivi dov’è, e ogni anno vi fanno solennemente celebrare
la sua festa con bella offerta della parte, e poi nel giorno fanno
correre un ricco palio di drappo a figure foderato di drappo vergato:
e vollono e tennono che l’arti guardassono il giorno, e così l’altro
popolo.

CAP. C.
_Come la gente dell’arme del comune di Firenze prese tira di non
cavalcare, e quello ne seguì._
Fatta la festa de’ prigioni, per contentamento del popolo, che non
si potea vedere sazio di vendetta dell’ingiuria in ultimo fatta per i
Pisani con la forza d’Anichino di Bongardo e degl’Inghilesi, tutta la
gente del comune col capitano uscì fuori per cavalcare in su quello
di Lucca, ma imbizzarrita sopra volere paga doppia e mese compiuto,
come da altrui erano nel segreto inzigati, si fermò fra Montetopoli
e Marti, e quivi stettono infino a dì 18 d’agosto assai in atti e
in parole turbata contro al nostro comune: in fine vinta la gara e
conseguito loro intento per meno male, cavalcarono i nemici afflitti
e tribolati oltre a modo, e a dì 28 del mese messer Galeotto fermò
l’oste a san Piero in campo. Bene avvenne infra il tempo, che essendo
condotti gl’Inghilesi dal comune di Firenze, andarono per ubbidire il
capitano, e puosono di per sè campo, e, o che i Tedeschi sollevati da
sagace ingegno per vedere peggio, o pur perchè la gloria dell’arme
non potessono patire di vedere gl’Inghilesi, il seguente dì vennono
a riotta con loro, e ordinati e provveduti gli assalirono al campo
di ciò niente pensati. La zuffa fu aspra e pericolosa assai, e quinci
e quindi ne morirono, e molti ne furono magagnati. Gl’Inghilesi loro
campo francamente difesono, tutto che predati e soperchiati fossono
da’ Tedeschi, come sprovveduti: e quel giorno il capitano con gli altri
caporali del campo loro feciono fare triegua per tre dì, e il seguente
dì poi per quindici. E in quello inviluppamento il capitano con tutta
la gente dell’arme, eccetto gl’Inghilesi che si rimasono al campo
loro, cavalcarono in su quello di Lucca, e feciono campo nel borgo
di Moriano, facendo danni e prede assai. I Fiorentini per dilungare
gl’Inghilesi da’ Tedeschi glie ne mandarono nel Valdarno di sopra. In
queste tenebre e confusioni i governatori del comune di Firenze per
fuggire la grande e incomportabile spesa dell’arme, e’ loro dangieri
e pericoli, come fu tocco in parte di sopra, e ne’ segreti e pubblici
consigli determinarono che a pace si venisse, e cura ne dierono a dieci
buoni e discreti cittadini; e infra il tempo l’ambasciadore del santo
padre col favore degli ambasciadori de’ comuni di Toscana duplicando
essa sollecitudine, perchè vedeano le cose de’ Pisani per ire in
fascio, e in mala parte e tosto, tanto sollecitarono, che i Pisani
mandarono loro solenni ambasciadori alla terra di Pescia con mandato
pieno a conchiudere la pace. Il comune di Firenze appresso vi mandò
messer Amerigo Cavalcanti, messer Pazzino degli Strozzi, messer Filippo
Corsini, messer Luigi Gianfigliazzi, e Gucciozzo de’ Ricci per simil
modo col mandato larghissimo, nè però tanto, che li quinci e li quindi
disposti alla pace tanto seppono e poterono onestamente avacciare, che
Giovanni dell’Agnello, tutto sollevato e disposto dal consiglio e caldo
di messer Bernabò a farsi signore di Pisa, più non avacciasse a farsi
signore, prevenendo la pace la quale gli tagliava ogni suo pensiero e
rendevalo vano.

CAP. CI.
_Come Giovanni dell’Agnello si fece signore di Pisa sotto titolo di
doge._
Giovanni dell’Agnello cittadino di Pisa di gesta popolare, per
antichità di sangue non chiaro e per ordine mercatante, piuttosto
scaltrito e astuto che saggio, presuntuoso a maraviglia e vago di cose
nuove, e sopra tutto sollecito, questi era in questi giorni tornato
da messer Bernabò dove ito era per ambasciadore del suo comune, e col
tiranno avea tenuto trattato che i Pisani fossono suoi accomandati,
ed egli gli atasse con darli delle terre loro, e per detta cagione da
lui ebbe in prestanza trentamila fiorini. Di questo trattato nacque il
baldanzoso parlare e pensiero di Giovanni dell’Agnello di farsi signore
di Pisa, immaginando che venendo Pisa e le membra sue a tiranno, i
Fiorentini fossono più contenti di lui che di messer Bernabò. Essendo
adunque Pisa sospesa, in tremore e spavento, e più volte abbandonati
dalla speranza della pace, feciono un gran consiglio di più gravi e
notabili cittadini della terra, nel quale fu messer Piero di messer
Albizzo da Vico, avanti che andasse per ambasciadore di Pisa alla terra
di Pescia per conchiudere la pace, e il consiglio fu di provvedere a
loro stato: e intra gli altri vi fu il detto Giovanni dell’Agnello, il
quale era reputato buono mercatante e fedele cittadino; costui levato
in consiglio osò dire, che necessario li parea che si venisse a signore
per un anno, dirizzando il suo parere che quel fosse messer Piero di
messer Albizzo da Vico dottore di legge, il quale con ogni istanza che
seppe quel carico rifiutò, e fulli cagione di affrettare sua gita a
Pescia ad accozzarsi con gli ambasciadori fiorentini. Veggendo Giovanni
contradire a messer Piero, come stimò, si rimise a consigliare che
pure convenia a uno degli altri pigliare quella sollecitudine, cura
e gravezza: e allora ser Vanni Botticella, anticamente per genia di
beccaio, s’offerse di prendere quel carico. Giovanni dell’Agnello
disse, che buono e sufficiente era, ma che gli bisognava d’avere
trentamila fiorini al presente per pagare la gente dell’arme: a
questo rispose ser Vanni non si sentire sofficiente, e per quel giorno
rimasono, che ogni uno si pensasse d’uno che a ciò fosse sofficiente,
e altra volta tornasse il consiglio. Di questo strano ragionamento
e spaventevole consiglio surse, che uno de’ seguenti dì in sul fare
della sera molti buoni e cari cittadini, avendo presa sospezione e
gelosia del dire del detto Giovanni così affettatamente in consiglio e
con fronte pertinace, e perchè nel mormorio del popolo voce correa che
esso facea ragunata di fanti, s’andarono ad armare, e armati insieme se
n’andarono al palagio degli anziani, e questo tantosto venne a notizia
di Giovanni dell’Agnello, che continovo stava in sentore, ed egli
pensando che farebbono quello che feciono, sagacemente e prestamente si
mise a’ ripari, e i fanti che egli avea stribuì per le case di certi
suoi fidati e singolarissimi amici, e alla moglie e alla famiglia
di casa ordinò tutto ciò che dovessono fare, ed egli con l’arme
celata ond’era vestito con una fonda cappellina in capo se n’andò nel
letto, e la moglie fece ire allato appresso di lui. Come fu venuta
la notte, i cittadini con la volontà degli anziani e con la famiglia
loro se n’andarono a casa Giovanni dell’Agnello, e come ordinato era
per lui, di presente fu aperta la porta, ed essi di subito presono
viaggio alla camera d’esso Giovanni, e l’udirono russare e sembrare
veramente dormire, come uomo che gran bisogno n’avesse. La donna,
come ammaestrata era, con tutto il petto nudo si levò in sul letto a
sedere, dicendo a’ cittadini che bisogno avea di posare, ma se voleano
lo svegliasse che lo farebbe; i cittadini preso vergogna della veduta
della donna, e fede della libera dimostrazione della camera e della
casa, togliendo il parlare della donna, per semplice, si partirono
della camera e della casa, e si tornarono agli anziani, e riferirono
loro tutto ciò che aveano trovato, onde posto giù il sospetto, ciascuno
si tornò a casa sua, e posta giù l’arme diede suo pensiere a dormire.
Giovanni dell’Agnello, che con Giovanni dell’Aguto avea temperato la
cetera, temendo che la dilazione del tempo nel quale il fatto si potea
palesare non li fosse nociva, pieno di sollecitudine, quella notte
medesima la quale avea assicurati e gli anziani e’ cittadini, con
Giovanni dell’Aguto e con gli amici e’ fanti che avea ragunati se ne
venne in piazza, e senza niuno romore ebbe l’entrata del palagio degli
anziani con quella brigata che a lui era abbastanza, l’altra lasciò a
guardia della piazza, ed entrato nel luogo dove sedeano gli anziani si
mise a sedere nel seggio del proposto, e ad uno ad uno fece destare gli
anziani, e venire dinanzi da sè, e per dire a che fine, così dicesse
in forma come disse egli, che è semplice detto, se non fosse congiunto
alla forza di Giovanni dell’Aguto, che la Vergine Maria gli avea
revelato, che per bene e riposo della città di Pisa dovesse prendere
sotto titolo e nome di doge la signoria e ’l governo della città di
Pisa per un anno, e così avea preso, e avea de’ trentamila fiorini
contenta la gente dell’arme che seco erano in palagio e in piazza, e
così si fè confermare agli anziani, e sotto lo splendore delle spade li
fece in sua mano giurare; e senza intervallo di tempo e per parte degli
anziani mandò per quelli cittadini pensò li potessono essere avversi,
e come ciascuno giugnea li significava come e perchè avea presa la
signoria, e accomandati cortesemente in forma non si sarebbono potuti
partire all’uno promettea il vicariato di Lucca, all’altro di Piombino,
e così agli altri secondo i gradi loro, o per amore o per paura tutti
l’indusse a giurare nelle sue mani, e in questo servigio consumò tutta
la notte. Alla dimane con gli anziani, con costoro e con la gente
dell’arme titolatosi doge, cavalcò per la terra, e a grido di popolo
fu fatto signore, nè vi fu chi ricevesse un buffetto, prese il palagio
in possessione, e tutta la gente dell’arme fè giurare nelle sue mani. E
per mostrare che mansuetamente veniva al governo, e preso avea il nome
e quello che il nome importava non come tiranno, quel medesimo giorno
elesse sedici famiglie di popolari di comune stato, e gli si fece a
consorti, e prese con tutti arme novella d’un leopardo d’oro rampante
nel campo rosso, con dare a intendere che d’anno in anno uno di loro,
qual più boce avesse, fosse fatto doge: e in fine, seguitando il
consiglio del conte Guido da Montefeltro a papa Bonifazio, le promesse
fur larghe e lunghe, ma lo attendere stretto e corto, che di cosa che
promettesse niente osservò, ma pigliando la signoria a giornate come
tiranno, lasciato il titolo del doge, si facea chiamare signore. E se
mai fu signoria fastidiosa piena di burbanza quella fu dessa, e negli
ornamenti e nel cavalcare con verga d’oro in mano; e quando tornato era
al palagio si mettea alle finestre a mostrarsi al popolo come fanno le
reliquie, con drappo a oro pendente tenendo le gomita sopra guanciali
di drappo ad oro, e patìa e volea che come al papa o all’imperadore
le cose che gli s’avessono a esporre innanzi gli si esponessono
ginocchione, e altre simili cose molto più vane.

CAP. CII.
_Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani._
Parendo a messer Piero di messer Albizzo ambasciadore de’ Pisani,
in cui giacea il tutto della pace per la parte loro, che lo stato
di Pisa intorno alle condizioni di sua libertà vacillasse, forte
sollecitava la conclusione della pace, e per Carlo degli Strozzi, uno
dell’uficio de’ signori priori di Firenze, a cui per lo volgo ignorante
del segreto posto era carico di volere che la pace si facesse al
tempo dell’uficio suo, e per i suoi compagni, sentendosi il segreto
del trattato che Giovanni dell’Agnello tenea con messer Bernabò
Visconti, il quale in effetto era che i Pisani fossono accomandati del
tiranno, e ch’egli avesse di loro terre, e ch’egli li difendesse, e
prendesse la guerra contro a’ Fiorentini, ed era già tanto innanzi,
che avendo messer Bernabò addomandato Lucca e Pietrasanta, i Pisani
già gli aveano consentito Pietrasanta, e per loro disperazione si
temea non passassono più oltre; per la libertà di Toscana in segreto
consiglio fu preso, che si venisse alla pace per lo migliore modo
e più onorevole che si potesse, e scritto fu agli ambasciadori del
comune ch’erano a Pescia, che il più tosto che potessono onestamente
ne venissono al fine. Onde seguì, che a dì 28 del mese d’agosto, non
sapendo l’una parte dell’altra che ciascuna voglia n’avesse, si fermò
la pace con pubblichi e solenni stromenti, la quale in Firenze si
pubblicò e bandì il primo dì di settembre, nell’ora ch’entrarono i
nuovi priori, la quale dall’ignorante popolo de’ segreti del comune mal
conosciuta forte fu biasimata, pensando che Carlo per troppa baldanza
e della famiglia e dello stato fosse stato l’autore. Onde il popolo
vittorioso, a cui parea essere al di sopra della guerra, incominciò in
piazza non solamente a mormorare, ma con altere parole e atti forte a
sparlare contro a Carlo. Onde i priori e i vecchi e i novi temettono
di commozione, e che Carlo nel tornare a casa o alla casa in su quel
furore non ricevesse villania, e pertanto dai loro mazzieri e da’
fanti lo feciono accompagnare, e tanto stare loro famiglia con lui
che l’ira fosse passata. La pace fu onorevole, e da’ savi e buoni
cittadini assai commendata, e nelle parlanze per la città sostenuta
per le sue condizioni e circostanze laudabili, che furono di questa
maniera: la prima, perchè fatta fu essendo messer Galeotto capitano de’
Fiorentini con loro gente sopra il terreno de’ nemici: la seconda, che
tanto si dichinarono i nemici che la vennono a conchiudere nelle terre
del comune di Firenze: la terza, perchè Pietrabuona, la quale era del
contado di Pisa, origine in grido e cagione della guerra, in premio
di vittoria per patto rimase al comune di Firenze, confessando per
questo essere ricreduti e vinti: la quarta, perchè Castel del Bosco,
e certe altre loro tenute e fortezze per patto si vennono a disfare:
la quinta, perchè confermarono tutte le franchigie che il comune di
Firenze o suoi mercatanti mai avessono avuto in Pisa: la sesta, perchè
per dieci anni si feciono tributari del comune di Firenze, dando ogni
anno nella vigilia di san Giovanni Battista pubblicamente diecimila
fiorini d’oro. Gli stromenti della pace in sustanza contennono prima la
remissione delle offese, e promettere di non offendere per l’avvenire,
come è di costume in somiglianti atti e contratti; appresso confermate
e di nuovo per patto concesse furono tutte le franchigie che avesse
per l’addietro avute il comune di Firenze o suoi mercatanti in Pisa o
nelle terre loro. Obbligossi il comune di Pisa per ammenda di danni
a dare ai comune di Firenze centomila fiorini d’oro in dieci anni
seguenti, diecimila ogni anno in Firenze nella vigilia della natività
di san Giovanni Battista: e più a dare al comune Pietrabuona, che era
stata cagione della guerra, e tutte altre terre del comune di Firenze,
o a esso comune accomandate, che ’l comune di Pisa o nella guerra o
innanzi la guerra per eccitarla, o direttamente o per indiretto avesse
prese, ed e converso facesse così il comune di Firenze, e così si fè.
Spianare Castel del Bosco, e certe altre tenute de’ Pisani, che per i
patti si disfeciono. La detta pace fu confermata in nome di papa Urbano
quinto, colle solennità della Chiesa e colle pene ecclesiastiche,
per messer Piero Cini arcivescovo di Ravenna, e per frate Marco di
Viterbo generale de’ frati minori, il quale poco appresso fu fatto
cardinale. Il popolo di Firenze a giornate conoscendo il frutto e il
bene della pace riconobbe suo errore, e rimase per contento, e il
comune dolcemente si levò da dosso la spesa di messer Anichino di
Bongardo e degl’Inghilesi. Messer Anichino co’ suoi Tedeschi e con
molti mascalzoni che non sapeano nè poteano vivere se non di rapina,
nel mese di novembre in forma di compagnia cavalcò in terra di Roma,
e presono prima Sabina e poi Sutri, e quivi vernarono. La compagnia
degl’Inghilesi arso e predato in parte il contado di Siena se n’andò
all’Aquila, e quindi passò in Puglia a vernare. E per non avere più a
capitolare giugnerò a questa gente famosa la morte di messer Malatesta
il vecchio, il quale lungo tempo fece gran segno in Italia di savio
guerriere, di uomo e d’alto consiglio e pratico in tutte cose, il quale
passò di questa vita del mese d’agosto 1364. E gli Aretini presono e
disfeciono la Serra.

FINE DELLA CRONICA DI MATTEO
E FILIPPO VILLANI.
You have read 1 text from Italian literature.
  • Parts
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 01
    Total number of words is 4530
    Total number of unique words is 1432
    41.1 of words are in the 2000 most common words
    55.7 of words are in the 5000 most common words
    63.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 02
    Total number of words is 4716
    Total number of unique words is 1473
    38.4 of words are in the 2000 most common words
    53.5 of words are in the 5000 most common words
    61.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 03
    Total number of words is 4724
    Total number of unique words is 1495
    39.3 of words are in the 2000 most common words
    53.5 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 04
    Total number of words is 4692
    Total number of unique words is 1435
    39.2 of words are in the 2000 most common words
    53.1 of words are in the 5000 most common words
    60.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 05
    Total number of words is 4617
    Total number of unique words is 1408
    39.2 of words are in the 2000 most common words
    54.4 of words are in the 5000 most common words
    61.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 06
    Total number of words is 4752
    Total number of unique words is 1445
    40.6 of words are in the 2000 most common words
    55.0 of words are in the 5000 most common words
    62.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 07
    Total number of words is 4711
    Total number of unique words is 1605
    38.0 of words are in the 2000 most common words
    52.4 of words are in the 5000 most common words
    59.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 08
    Total number of words is 4703
    Total number of unique words is 1449
    39.1 of words are in the 2000 most common words
    53.0 of words are in the 5000 most common words
    60.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 09
    Total number of words is 4681
    Total number of unique words is 1414
    40.8 of words are in the 2000 most common words
    55.9 of words are in the 5000 most common words
    63.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 10
    Total number of words is 4664
    Total number of unique words is 1431
    38.6 of words are in the 2000 most common words
    51.4 of words are in the 5000 most common words
    58.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 11
    Total number of words is 4648
    Total number of unique words is 1469
    40.0 of words are in the 2000 most common words
    53.9 of words are in the 5000 most common words
    60.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 12
    Total number of words is 4675
    Total number of unique words is 1373
    40.0 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 13
    Total number of words is 4767
    Total number of unique words is 1519
    39.5 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 14
    Total number of words is 4714
    Total number of unique words is 1493
    39.2 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    60.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 5 - 15
    Total number of words is 4437
    Total number of unique words is 1388
    41.2 of words are in the 2000 most common words
    56.0 of words are in the 5000 most common words
    63.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.